CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 1818 depositata il 20 gennaio 2023
Tributi – Compensi non dichiarati – IVA – Mancata esibizione della documentazione specificamente richiesta in sede di verifica – Accoglimento
Fatti di causa
La dott.ssa M.C., esercente la professione di consulente del lavoro, fu destinataria di duplice verifica fiscale condotta dalla Guardia di Finanza di Portoferraio (Isola d’Elba), l’esito della seconda delle quale – compendiato nel processo verbale di constatazione redatto in data 28.10.2010, riportante le risultanze d’indagini bancarie eseguite sia su conti correnti personali che su conti di terzi legati alla C. da vincolo di coniugio o di parentela – diede luogo, per quanto qui interessa, alla notifica di avviso di accertamento n. T8H01400526/2001, con il quale, per l’anno d’imposta 2006, ai fini delle imposte dirette, furono contabilizzati come “compensi non dichiarati” i versamenti e prelevamenti ritenuti dall’Amministrazione finanziaria non giustificati in sede di contraddittorio per un totale di euro 132.791,32, mentre ai fini IVA furono considerati come “corrispettivi non dichiarati” i versamenti ritenuti non giustificati in sede di contraddittorio per un totale di euro 49.896,61 sui quali era stata addebitata l’IVA secondo l’aliquota allora del 20%, per euro 9.979,32.
La contribuente impugnò l’atto impositivo dinanzi alla Commissione tributaria provinciale (CTP) di Livorno, che accolse parzialmente il ricorso della contribuente medesima.
La sentenza di primo grado fu oggetto di appello principale da parte della C. e di appello incidentale da parte dell’Agenzia delle entrate, per quanto di rispettiva soccombenza, dinanzi alla Commissione tributaria regionale (CTR) della Toscana – sezione staccata di Livorno, che, con sentenza n. 631/23/14, depositata il 26 marzo 2014, non notificata, rigettò l’appello principale della contribuente ed accolse invece l’appello incidentale dell’Amministrazione finanziaria, confermando quindi in toto la legittimità dell’impugnato avviso di accertamento.
Avverso la sentenza della CTR la contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato ad otto motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 32, quarto comma, del d.P.R. n. 600/1973 e 52, quinto comma, del d.P.R. n. 633/1972, nonché per violazione dell’art. 7 del d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nella parte in cui la pronuncia resa dalla CTR ha ritenuto che le giustificazioni addotte dalla contribuente riguardo a taluni movimenti bancari ripresi a tassazione, che avevano indotto il giudice di primo grado ad accogliere parzialmente l’impugnazione proposta avverso l’atto impositivo, non potevano essere addotte in sede contenziosa, essendo stata la contribuente resa edotta nel PVC della relativa preclusione derivante dalla mancata esibizione degli atti, libri e registri all’atto della verifica, per effetto dell’art. 32, quarto comma, del d.P.R. n. 600/1973 in tema di imposte dirette e dell’art. 52, quinto comma. del d.P.R. n. 633/1972 in materia di IVA.
2. Con il secondo motivo la contribuente denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., laddove la CTR ha ritenuto che la contribuente non avesse assolto l’onere della prova su di essa gravante per superare la presunzione legale relativa di cui all’art. 32 del d.P.R. n. 600/1973, essendo state le giustificazioni rese delle movimentazioni bancarie oggetto di esame “certificate” soltanto da dichiarazioni personali della parte privata.
3. Con il terzo motivo, che costituisce ulteriore sviluppo di quello precedente, la ricorrente denuncia l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 32, secondo comma, del d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nella parte in cui la CTR avrebbe escluso che la prova contraria alla presunzione legale relativa di cui al citato art. 32 del d.P.R. n. 600/1973, volta a dimostrare che i versamenti e prelevamenti oggetto delle movimentazioni bancarie verificate fossero frutto di operazioni non imponibili, potesse consistere anche in una prova basata su presunzioni.
4. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 546/1992, dell’art. 47, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 445/2000 e dell’art. 188 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nella parte in cui la decisione impugnata avrebbe omesso, secondo la contribuente, l’esame di fatto storico decisivo ai fini del giudizio, costituito dall’allegazione, da parte della C., della documentazione probatoria volta a fornire la prova contraria dell’accertamento effettuato dall’Amministrazione.
5. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 32 e 37, terzo comma, del d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 2697 cod. civ., con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., laddove la sentenza impugnata ha affermato l’utilizzabilità nei propri confronti della presunzione di cui all’art. 32 del d.P.R. n. 600/1973 relativamente a conti correnti bancari intestati a soggetti terzi, senza che fosse dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che essa ne fosse l’effettivo possessore per interposta persona.
6. Analoga doglianza è formulata, con il sesto motivo di ricorso, per violazione dell’art. 37 del d.P.R. n. 600/1973, questa volta in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., denunciando con detto motivo la ricorrente la nullità della sentenza impugnata per carenza assoluta di motivazione, laddove si è limitata a richiamare genericamente, a fondamento della ritenuta utilizzabilità delle movimentazioni bancarie risultanti da conti correnti bancari intestati a soggetti terzi ai fini della presunzione di cui all’art. 32 del d.P.R. n. 600/1973, «la giurisprudenza unanime nell’ammetterlo».
7. Con il settimo motivo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. per omessa pronuncia sulla domanda giudiziale proposta dalla contribuente di riconoscimento dei costi sostenuti perché inerenti la produzione del reddito da lavoro autonomo, stante l’obbligo per l’Amministrazione, in sede di accertamento presuntivo dell’imposta sul reddito, di tenere conto delle componenti negative del reddito, atteso che, altrimenti, si assoggetterebbe ad imposta il profitto lordo, anziché quello netto, in contrasto con l’art. 53 Cost.
8. Con l’ottavo motivo, infine, la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 32 del d.P.R. n. 600/1973 e 52 del d.P.R. n. 633/1972, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., in ragione della sopravvenuta sentenza della Corte cost. 6 ottobre 2014, n. 228, che ha stabilito l’illegittimità costituzionale della norma sugli accertamenti bancari laddove prevede una presunzione legale, a favore del Fisco, di maggiori compensi nei confronti del professionista, che non sia in grado di fornire giustificazioni sui prelevamenti.
9. Il primo motivo è fondato nei termini e nei limiti di quanto di seguito chiarito.
9.1. Va opportunamente premesso che è incontroverso in fatto che la richiesta di documentazione alla contribuente sia avvenuta in sede di verifica; dunque, se corretto è il riferimento, quanto all’IVA, all’art. 52, quinto comma, del d.P.R. n. 633/1972, la norma di cui parte contribuente assume effettivamente la violazione da parte della sentenza impugnata in materia d’imposte dirette, è quella dell’art. 33 del d.P.R. n. 600/1973, che richiama espressamente il succitato art. 52 del decreto in tema di IVA e, non l’art. 32 del d.P.R. n. 600/1973 innanzi menzionato ed erroneamente indicato in rubrica.
9.2. Ciò premesso, il motivo è, in parte qua, fondato.
Va, in proposito, assicurata ulteriore continuità all’indirizzo, anche di recente affermato, espresso da questa Corte, secondo cui «[i]n tema di accertamento tributario, occorre distinguere l’ipotesi in cui l’amministrazione finanziaria richieda al contribuente documenti mediante questionario, ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 in materia di imposte dirette, ovvero dell’art. 51 d.P.R. n. 633 del 1972 in materia di IVA, da quella avanzata nel corso di attività di accesso, ispezione o verifica ex art. 33 d.P.R. n. 600 cit., quanto all’imposizione reddituale ed ex art. 52 del d.P.R. n. 633 cit., quanto all’IVA, perché, ferma restando la necessità, in ogni ipotesi, che l’amministrazione dimostri che vi era stata una puntuale indicazione di quanto richiesto, accompagnata dall’espresso avvertimento circa le conseguenze della mancata ottemperanza – nel primo caso, il mancato invio nei termini concessi della suindicata documentazione equivale a rifiuto, con conseguente inutilizzabilità della stessa in sede amministrativa e contenziosa, salvo che il contribuente non dichiari, all’atto della sua produzione con il ricorso, che l’inadempimento è avvenuto per causa a lui non imputabile, della cui prova è, comunque, onerato; nel secondo caso, invece, la mancata esibizione di quanto richiesto ne preclude la valutazione a favore del contribuente solo ove si traduca in un sostanziale rifiuto di rendere disponibile la documentazione, incombendo la prova dei relativi presupposti di fatto sull’amministrazione finanziaria» (cfr. Cass. sez. 5, ord. 15 settembre 2022, n. 27158; Cass. sez. 5, 16 giugno 2021, n. 16957).
Si è altresì chiarito che «[i]n tema di imposte sui redditi, la dichiarazione del contribuente di non possedere libri, registri, scritture e documenti, specificamente richiestigli dall’Amministrazione finanziaria nel corso di un accesso, preclude la valutazione degli stessi in suo favore in sede amministrativa o contenziosa e rende legittimo l’accertamento induttivo solo ove sia non veritiera, cosciente, volontaria o dolosa, così integrando un sostanziale rifiuto di esibizione diretto ad impedire l’ispezione documentale, poiché l’art. 52, comma 5, del d.P.R. n. 633 del 1972, a cui rinvia l’art. 33 del d.P.R. n. 600 del 1973, ha carattere eccezionale e deve essere interpretato alla luce degli artt. 24 e 53 Cost., in modo da non comprimere il diritto di difesa del contribuente e da non obbligare lo stesso a pagamenti non dovuti, sicché non può reputarsi sufficiente, ai fini della suddetta preclusione, il mancato possesso imputabile a negligenza o imperizia nella custodia e conservazione della custodia contabile» (cfr., oltre alla già citata Cass. ord. n. 27158/22, Cass. sez. 5, 11 aprile 2014, n. 8539).
9.3. Nella fattispecie in esame la sentenza impugnata che, senza dar conto della completezza o meno dell’avvertimento da parte dei verbalizzanti in ordine alle conseguenze derivanti dalla mancata esibizione della documentazione specificamente richiesta in sede di verifica, in modo sommario si è limitata ad affermare che a detta esibizione la contribuente «non provvide se non in misura esigua», facendone comunque discendere una generale preclusione nell’utilizzabilità dei relativi documenti poi prodotti in sede contenziosa, non risulta avere fatto corretta applicazione dei succitati principi di diritto.
10. Il secondo ed il terzo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto tra loro intimamente connessi, sono ugualmente fondati.
10.1. Laddove la sentenza impugnata afferma, implicitamente, che la sola documentazione suscettibile di esame è quella riferita alle dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà della contribuente medesima, priva peraltro di efficacia probatoria per la parte medesima che la rende, essa sconta evidentemente l’erroneità della ritenuta preclusione – in assenza dell’esame delle relative condizioni che l’avrebbero legittimata – dell’utilizzabilità in sede contenziosa degli ulteriori documenti prodotti (copie fotostatiche di assegni, ricevute, fatture etc.), esaminata nell’ambito del precedente motivo.
10.2. Essa risulta altresì erronea nella parte oggetto della censura formulata con il terzo motivo, laddove la sentenza impugnata finisce con l’escludere a priori che possano avere qualsiasi rilevanza sul piano probatorio le dichiarazioni di terzi sostitutive di atto notorio allegate (parte ricorrente ne ha correttamente localizzato la produzione nell’ambito del giudizio di merito e lo stesso controricorso dell’Amministrazione finanziaria ne dà atto), cui la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo riconosciuto la possibile valenza indiziaria (tra le molte si vedano Cass. sez. 5, ord. 4 novembre 2021, n. 31588; Cass. sez. 5, 7 aprile 2017, n. 9080), potendo concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice.
11. Il quarto motivo resta assorbito alla stregua dell’accoglimento dei motivi sopra esaminati.
12. Il quinto ed il sesto motivo, che possono essere esaminati congiuntamente, stante la loro connessione, sono infondati.
In disparte anche profili d’inammissibilità della censura addotta con il sesto motivo che veicola, in realtà, una questione di nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione in relazione alla violazione di legge assunta in relazione all’art. 37, terzo comma, del d.P.R. n. 600/1973, i motivi sono palesemente infondati, giustificandosi, come più volte chiarito da questa Corte, l’estensione di accertamenti bancari su conti di terzi legati da vincoli di parentela o coniugio con la parte assoggettata ad accertamento nella ricorrenza di determinate condizioni (cfr., più di recente, Cass. sez. 5, 15 gennaio 2020, n. 549, secondo cui «[i]n tema di accertamento dell’imposta sui redditi (nella specie da lavoro autonomo), le verifiche fiscali finalizzate a provare, per presunzioni, la condotta evasiva possono anche indirizzarsi sui conti bancari intestati al coniuge o al familiare del contribuente, potendo desumersi la riferibilità a quest’ultimo da elementi sintomatici, quali: il rapporto di stretta familiarità, l’ingiustificata capacità reddituale dei prossimi congiunti nel periodo di imposta considerato, l’infedeltà delle dichiarazioni e l’esercizio di attività da parte del contribuente compatibile con la produzione della maggiore redditività riferita a dette persone); circostanze evidenziate dall’Amministrazione nel recupero a tassazione del maggior reddito imputato presuntivamente alla contribuente.
13. Il settimo motivo è infondato, poiché, avendo la sentenza impugnata confermato in toto la legittimità dell’avviso di accertamento impugnato, deve ritenersi implicitamente rigettata la relativa domanda (cfr., ex multis, Cass. sez. 5, ord. 30 gennaio 2020, n. 2153), non sussistendo quindi il denunciato vizio di omessa pronuncia.
14. L’ottavo motivo è infine fondato nei termini di seguito indicati.
14.1. Questa Corte ha, con orientamento ormai consolidato, chiarito che «[i]n tema di accertamento, resta invariata la presunzione legale posta dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicché questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale limitatamente ai prelevamenti sui conti correnti» (cfr., tra le altre, Cass. sez. 5, ord. 26 settembre 2018, n. 22931; Cass. sez. 6-5, ord. 30 marzo 2018, n. 7951; Cass. sez. 5, 9 agosto 2016).
14.2. Consegue che la sentenza impugnata, resa anteriormente alla succitata pronuncia della Corte costituzionale, va cassata anche in accoglimento del motivo in esame nella parte in cui legittimava l’accertamento anche in relazione all’allora vigente presunzione legale a favore del Fisco di maggiori compensi percepiti nell’esercizio della propria attività dal professionista che non fosse in grado di fornire giustificazioni sui prelevamenti da conti correnti.
15. In conclusione, il ricorso va accolto nei termini sopra esposti e la sentenza impugnata cassata, per l’effetto, in relazione ai motivi accolti, con rinvio per nuovo esame, alla stregua dei menzionati principi di diritto, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana – sezione staccata di Livorno – cui si demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione.
Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana–sezione staccata di Livorno – cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
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