Corte di Cassazione sentenza n. 18182 depositata il 7 giugno 2022
termini di impugnazione brevi a seguito ricorso per revocazione – presunzione di distribuzione del (presunto) maggiore reddito societario – sospensione del processo
Fatti di causa
1. (N. R.G. 10783/2015) A seguito di accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza e conclusi con Processo Verbale di Costatazione (PVC, 17.2.2011), l’Agenzia delle Entrate notificava il 16.12.2011 (rie., p. 2) alla V. Spa, svolgente attività di lavorazione e commercio di pelli e pellame, l’avviso di accertamento n. T6507DA03933/2011 (lrpef anno 2006), con il quale veniva contestato alla società di capitali, avente però ristretta base partecipativa, l’omessa effettuazione della ritenuta alla fonte del 12,50% sull’utile extracontabile di Euro 156.695,00 nella misura in cui doveva presumersi essere stato distribuito alla socia Maria Cristina Cerato, titolare del 10% del capitale sociale, nell’anno 2006, derivandone “la liquidazione a debito della società della ritenuta non operata di € 19.587,00, più sanzioni per un totale di € 23.555,40” (sent. CTR, p. 1). L’atto impositivo risultava conseguenza dell’avviso di accertamento n. T6503DA00697 (Iva Ires, Irap e sanzioni, anno 2006), con il quale era stato rettificato in aumento il reddito societario dichiarato in relazione all’anno 2006.
Sembra opportuno ricordare subito che, mediante una pluralità di avvisi di accertamento, l’Amministrazione finanziaria aveva contestato alla società la contabilizzazione di operazioni commerciali ritenute inesistenti, talune oggettivamente e talaltre soggettivamente, nell’ambito di una c.d. frode carosello. Era stata quindi promossa e svolta procedura di accertamento con adesione, che però non aveva sortito esito positivo.
2. La società impugnava l’avviso di accertamento oggetto di questo primo giudizio innanzi alla Commissione TrJbutaria Provinciale di Vicenza, proponendo una pluralità di censure. La CTP osservava che, avendo altra sezione della stessa Commissione annullato l’avviso di accertamento pregiudicante, recante n. T6503DA00697 ed attinente al reddito conseguito dalla società, non poteva che essere annullato anche l’avviso di accertamento pregiudicato per cui e causa, attinente all’omessa effettuazione delle ritenute alla fonte in relazione a quanto ritenuto distribuito alla socia Cerato Maria Cristina.
3. L’Ente impositore spiegava appello, avverso la decisione sfavorevole conseguita in primo grado, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, chiedendo innanzitutto la riunione del giudizio con quello pregiudicante. La CTR trattava separatamente ma contestualmente i due giudizi e, rilevato che nel separato giudizio relativo all’accertamento pregiudicante, la decisione di primo grado era stata riformata ed era stata accolta l’impugnativa proposta dall’Amministrazione finanziaria, riformava la decisione di primo grado anche in questo giudizio, e riaffermava la piena validità ed efficacia dell’avviso di accertamento T6507DA03933/2011.
4. Avverso la decisione assunta dalla CTR di Venezia Mestre ha proposto ricorso per cassazione la V. Spa in liquidazione, affidandosi a tre motivi di impugnazione. Resiste mediante controricorso l’Amministrazione
4.1 Ha fatto pervenire le proprie conclusioni scritte il Pubblico Ministero, s.Procuratore Generale Tommaso Basile, che ha domandato rigettarsi il ricorso.
5. (N.R.G. 10787/2015) A seguito di accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza e conclusi con Processo Verbale di Costatazione (PVC, 17.2.2011), l’Agenzia delle Entrate notificava il 26.4.2011 (rie., p. 2) alla V. Spa, che svolge attività di lavorazione e commercio di pelli e pellame, gli avvisi di accertamento n. T6503DA00695 (Iva, Ires, Irap e sanzioni, anno 2005), n. T6503DA00697 (Iva, Ires, Irap e sanzioni, anno 2006), T6503DA00698 (Iva Ires, Irap e sanzioni, anno 2007), n. T6503DA00700 (Iva, Ires e sanzioni, anno 2008), n. T6503DA00702 (Irap e sanzioni, anno 2008), n. T6506DA01064 (Iva e sanzioni, anno 2009), n. T6503DA01056 (Ires e sanzioni, anno 2009), e n. T650CDA01066 (Irap e sanzioni, anno 2009) (ibidem).
Mediante gli avvisi di accertamento l’Amministrazione finanziaria contestava la contabilizzazione di operazioni commerciali inesistenti, oggettivamente oppure soggettivamente, nell’ambito di una c.d. frode carosello. Era quindi promossa e svolta procedura di accertamento con adesione, che però non sortiva esito positivo.
6. La società impugnava gli avvisi di accertamento innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Vicenza, proponendo una pluralità di censure. La CTP riteneva fondate le difese introdotte dalla contribuente, reputando che l’Agenzia delle Entrate avesse proposto delle mere deduzioni e congetture, piuttosto che raccogliere indizi gravi, precisi e concordanti, ed in conseguenza annullava gli atti impositivi.
7. L’Ente impositore spiegava appello avverso la decisione sfavorevole conseguita in primo grado, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto che, riesaminate nel dettaglio le risultanze di causa, riformava la decisione di primo grado, riaffermando la piena validità ed efficacia degli atti impositivi emessi nei confronti della società.
8. Avverso la decisione assunta dalla CTR di Venezia-Mestre ha proposto ricorso per cassazione la V. Spa in liquidazione, affidandosi a sette motivi di impugnazione. Resiste mediante controricorso l’Amministrazione finanziaria. La contribuente ha pure depositato memoria, in particolare al fine di replicare alla richiesta di voler pronunciare l’inammissibilità del ricorso per tardività, proposta dall’Agenzia delle Entrate nel suo
8.1 Ha fatto pervenire le proprie conclusioni scritte il Pubblico Ministero, s.Procuratore Generale Tommaso Basile, che ha domandato rigettarsi il ricorso.
Ragioni della decisione
1. Preliminarmente occorre osservare che i due giudizi di cui in intestazione hanno oggetto parzialmente coincidente e pendono tra le stesse parti, appare pertanto opportuno disporre la loro riunione.
2. (N.R.G. 10783/2015) Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., la contribuente contesta la nullità della sentenza pronunciata dalla CTR, in conseguenza della violazione dell’art. 2, comma 6, del Lgs. n. 545 del 1992 e dell’art. 158 cod. proc. civ., in considerazione anche dei principi espressi dalla Corte EDU, per non avere il giudice dell’appello tenuto conto del vizio insanabile della decisione conseguente all”‘arbitraria sostituzione del relatore dimissionario con altro proveniente da diversa sezione, in carenza dei presupposti legittimanti tale sostituzione” (rie., p. 8) quale componente del collegio giudicante.
3. (N.R.G. 10783/2015) Mediante il secondo strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, 4, cod. proc. civ., la società censura la nullità della sentenza pronunciata dal giudice di secondo grado, in conseguenza della violazione dell’art. 295 cod. proc. civ., come richiamato all’art. 1 del D.Lgs. n. 546 del 1992, per non avere la CTR disposto la sospensione, sebbene necessaria, del presente procedimento dipendente, in attesa della definizione con giudicato del procedimento pregiudicante, disponendo in alternativa la riunione dei due giudizi.
Al termine dell’esposizione del mezzo d’impugnazione, la contribuente ha fatto seguire la trascrizione dei sette motivi di ricorso proposti nel giudizio avverso l’avviso di accertamento pregiudicante, n. T6503DA00697, “al fine di dimostrare la ricaduta della pronuncia societaria sulla presunzione di distribuzione del (presunto) maggiore reddito societario” (rie., p. 25).
4. (N.R.G. 10783/2015) Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la contribuente critica la violazione dell’art. 53 del D.Lgs. n. 546 del 1992, per avere il giudice di secondo grado ritenuto ammissibile l’appello introdotto dall’Amministrazione finanziaria, sebbene “non contenesse nemmeno uno specifico motivo d’impugnazione della sentenza di primo grado” (rie., p. 66).
5. (N.R.G. 10787/2015) Mediante il primo motivo di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., la contribuente contesta la nullità della sentenza pronunciata dalla CTR, in conseguenza della violazione dell’art. 2, comma 6, del Lgs. n. 545 del 1992 e dell’art. 158 cod. proc. civ., in considerazione dei principi espressi dalla Corte EDU, per non aver tenuto conto del vizio della decisione conseguente all111arbitraria sostituzione del relatore dimissionario” (rie., p. 25) nel collegio giudicante.
6. (N.R.G. 10787/2015) Con il secondo mezzo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., la società censura ancora la nullità della sentenza pronunciata dal giudice di secondo grado, in conseguenza della violazione dell’art. 132, comma secondo, n. 4, cod. proc. civ., “dell’art. 36, comma 2, 4, e dell’art. 1 D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546” (rie., p. 36), perché nella sentenza “manca totalmente” la descrizione del fatto oggetto di causa e delle difese proposte dalle parti.
7. (N.R.G. 10787/2015) Mediante il suo terzo motivo di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente critica la violazione dell’art. 2700 civ., in cui è incorso il giudice dell’appello per aver ritenuto che gli “elementi emersi dalle indagini della GdF formino prova sino a querela di falso” (rie., p. 39).
8. (N.R.G. 10787/2015) Con il quarto strumento di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, 4, cod. proc. civ., la contribuente torna a contestare la nullità della sentenza pronunciata dalla CTR del Veneto, in conseguenza della violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4, del D.Lgs. n. 546 del 1992, nonché degli artt. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., e 118 disp. att. cod. proc. civ., avendo in realtà il giudice di secondo grado articolato una motivazione meramente apparente.
9. (N.R.G. 10787/2015) Mediante il suo quinto motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, 4, cod. proc. civ., la società lamenta ancora la nullità della sentenza, per essere incorso il giudice dell’appello nella violazione dell’art. 112 cod. pro c. civ., non essendosi la CTR del Veneto affatto pronunciata “sull’eccepita mancata dimostrazione dell”‘accordo trilatero”, imprescindibile in ipotesi di contestata interposizione fittizia” (rie., p. 65).
10. (N.R.G. 10787/2015) Con il sesto mezzo di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, 4, cod. proc. civ., la ricorrente censura sempre la nullità della sentenza adottata dal giudice di secondo grado, questa volta per non aver pronunciato sulla questione avente ad oggetto l”‘omesso versamento Iva del cedente (e di conseguente, necessario recupero dell’imposta in capo al medesimo), la misura aggiuntiva del diniego di detrazione in capo al cessionario configura violazione del principio di neutralità. La sola misura applicabile è dunque la coobligazione solidale nel versamento dell’imposta, ex art. 60-bis, Dpr 633/1972″ (rie., p. 67 s.).
11. (N.R.G. 10787/2015) Mediante il suo settimo motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. , la contribuente critica la nullità della sentenza pronunciata dalla CTR del Veneto per aver respinto, “in modo iper-generico e altresì adducendo elementi di giudizio irrilevanti” (rie., p. 70 s.), le contestazioni proposte dalla società avverso il vizio di motivazione degli avvisi di accertamento.
12. Per esigenze espositive e di conseguenzialità logica, appare opportuno esaminare prima il ricorso N.R.G. 10787/2015.
Occorre pertanto scrutinare preliminarmente il rilievo proposto dall’Agenzia delle Entrate nel suo controricorso, mediante il quale ha domandato dichiararsi inammissibile il ricorso introdotto dalla società perché proposto dopo la scadenza dei termini di legge. Osserva l’Amministrazione finanziaria che la sentenza della CTR di Venezia, ora contestata dalla società innanzi a questa Corte di legittimità, è già stata impugnata dalla V. Spa per revocazione, con atto notificato all’Ente impositore il 24.12.2015. Il ricorso per cassazione è stato invece notificato all’Agenzia delle Entrate in data 22.4.2015, pertanto oltre il termine, c.d. breve, di decadenza dal potere d’impugnazione, fissato dalla legge in sessanta giorni (art. 325, comma secondo, cod. proc. civ.).
12.1 La ricorrente non ha contestato la ricostruzione dei termini proposta dall’Amministrazione finanziaria, ma ha sostenuto che, nel caso di specie, debba trovare applicazione il termine c.d. lungo di impugnazione (art. 327, primo comma, c.p.c.), e non il termine c.d. breve. La società ha infatti replicato, in memoria, che “non esiste nel nostro ordinamento una disposizione che, per colui che abbia notificato un gravame, ai fini della decorrenza del “termine breve” colleghi gli effetti della notifica della sentenza alla notifica dell’impugnazione avverso quella medesima decisione” (mem., p. 3 s.), e tanto dovrebbe affermarsi a maggior ragione a seguito della riduzione da un anno a sei mesi, decisa dal legislatore, del termine di decadenza, c.d. lungo, riconosciuto a colui che intenda ricorrere per cassazione. Inoltre, la tesi sostenuta dalla difesa erariale, che intenderebbe trovare fondamento nella pretesa conoscenza legale della pronuncia che avrebbe il difensore della parte ricorrente innanzi ai due giudici, quello di legittimità e quello della revocazione, potrebbe trovare un qualche fondamento soltanto nell’ipotesi in cui la persona fisica del difensore impugnante fosse la medesima nei due giudizi, ma la circostanza non ricorre nel caso di specie.
12.2 La questione da esaminare è stata già ripetutamente scrutinata da questa Corte di legittimità, la quale ha raggiunto un orientamento condivisibile e da tempo consolidato, che gli argomenti proposti dalla ricorrente non inducono a rivedere. Si è infatti di recente rilevato che “la notificazione della citazione per la revocazione di una sentenza di appello equivale, sia per la parte notificante che per la parte destinataria, alla notificazione della sentenza stessa ai fini della decorrenza del termine breve per proporre ricorso per cassazione, onde la tempestività del successivo ricorso per cassazione va accertata non soltanto con riguardo al termine di un anno dal deposito della pronuncia impugnata, ma anche con riferimento a quello di sessanta giorni dalla notificazione della citazione per revocazione, a meno che il giudice della revocazione, a seguito di istanza di parte, abbia sospeso il termine per ricorrere per cassazione, ai sensi dell’art. 398, comma 4, c.p.c.“, Cass. sez. V, 5.9.2019, n. 22220 (conf. Cass. sez. III, 3.2013, n. 7261).
Lo stesso principio è stato espresso anche dalle Sezioni Unite della Suprema Corte che, esaminan do una questione ai presenti fini analoga, hanno affermato che “la notificazione del ricorso per la revocazione di una sentenza del Consiglio di Stato equivale (sia per la parte notificante che per la parte destinataria) alla notificazione della sentenza stessa ai fini della decorrenza del termine breve per proporre ricorso per cassazione, onde la tempestività del successivo ricorso per cassazione, ai sensi degli artt. 360, primo comma, n. 1, e 362 c.p.c., va accertata non soltanto con riguardo al termine di sei mesi dalla pubblicazione della pronuncia impugnata ma anche con riferimento a quello di sessanta giorni dalla notificazione del ricorso per revocazione“, Cass. S.U., 9.12.2019, n. 34114, e questo orientamento è stato recentemente confermato da Cass S.U., 3.2.2022, n. 3363.
12.3 In conseguenza il ricorso per cassazione N.R.G. 10787/2015, proposto dalla V. Spa oltre sessanta giorni dopo la notificazione dell’impugnazione per revocazione proposta dalla stessa società avverso la medesima sentenza, innanzi al giudice dell’appello che l’aveva pronunciata, deve essere dichiarato inammissibile.
13. Può quindi procedersi all’esame dei motivi di ricorso proposti dalla società nel procedimento che ha assunto N.R.G. 10783/2015.
Mediante il primo strumento di impugnazione la società afferma la nullità della sentenza pronunciata dalla CTR del Veneto, per essere intervenuta la sostituzione di componenti del collegio giudicante nel mancato rispetto delle regole ordinamentali, ed anche in contrasto con la giurisprudenza della CEDU. Spiega la ricorrente che la composizione del collegio giudicante della VII sezione della CTR di Venezia-Mestre, come indicata ai fini della prima udienza (17.6.2014), era stata poi modificata con ordinanza pronunciata fuori udienza dal Presidente il quale, costatato che occorreva sostituire un membro dimissionario del collegio, ha nominato al suo posto un componente della CTR del Veneto, ma appartenente alla diversa sezione XXX. Inoltre, in occasione dell’udienza celebrata il 30.9.2014, pure il Presidente del collegio risultava mutato, e questa volta senza che alla parte fosse stata neppure comunicata la ragione.
Ricordava la contribuente come la Suprema Corte abbia sostenuto che non integra un vizio della costituzione del giudice, ai sensi dell’art. 158 cod. proc. civ., il mutamento di uno o più compone el collegio prima della discussione del giudizio (Cass. 15.5.2009, n. 11295). Tuttavia, nel caso di specie occorre tener conto di ulteriori elementi. La necessaria attuazione dei principi costituzionali di indipendenza ed imparzialità del giudice, infatti, ha richiesto l’adozione del c.d. “diritto tabellare” (rie., p. 10) per la disciplina dell’attività degli uffici giudiziari, che ha imposto di ritenere legittima la sostituzione del componente di un collegio giudicante, “solo ed esclusivamente per ragioni attinenti l’oggettiva carenza di organico … non la mera situazione di indisponibilità temporanea di un membro del Collegio … non risulta che la sezione VII fosse rimasta con meno di tre componenti ” (rie., p. 12 s.). Questi principi troverebbero riscontro anche nella giurisprudenza della CEDU, sent. 28.11.2011, Kontalexis c. Grecia, causa 59000/08.
13.1 Sulla questione riproposta dalla società in questo giudizio, in senso generale ma anche specifico, questo giudice ha già avuto modo di pronunciarsi ripetutamente, adottando un orientamento consolidato che le pur attente considerazioni della ricorrente non inducono a Questa Corte di legittimità ha infatti affermato, come ricordato anche dalla contribuente, che “i collegi delle Corti di Appello, ivi compresi quelli delle sezioni per i minorenni, essendo precostituiti ai sensi dell’art. 7-bis dell’ordinamento giudiziario, e dovendo procedere alla trattazione della causa in composizione collegiale anche in fase istruttoria, sono soggetti al principio dell’immutabilità del collegio, il quale, però, in quanto inteso unicamente ad assicurare che i giudici che pronunciano la sentenza siano gli stessi che hanno assistito alla discussione della causa, trova applicazione dall’apertura della discussione fino alla deliberazione della decisione, con la conseguenza che non è configurabile alcuna nullità nel caso di mutamento della composizione del collegio nel corso dell’istruttoria“, Cass. sez. II, 15.5.2009, n. 11295. Le condivisibili ragioni della decisione affermate in questa pronuncia, invero, sono state ripetutamente ribadite dalla successiva giurisprudenza di legittimità, cfr., ad es., Cass. sez. VI-I, 20.9.2013, n. 21667; e Cass. sez. II, 7.12.2017, n. 29421.
13.1.1 La società non ritiene di contrastare direttamente i riassunti principi, ma reputa che gli stessi debbano essere riletti, senza trascurare l’esigenza di assicurare il rispetto dei principi costituzionali di imparzialità ed indipendenza del giudicante, in considerazione dell’affermarsi del diritto tabellare, che imporrebbe di ritenere ammissibile la sostituzione di un componente di un collegio giudicante con un giudice incardinato presso una diversa sezione solo per ragioni di carenza di organico, conseguendone altrimenti la nullità della decisione adottata dal collegio irregolarmente composto con violazione delle regole tabellari degli uffici giudiziari.
13.1.2 La riassunta opinione non può essere condivisa, ed invero questa Corte di legittimità ha già avuto occasione di esaminare anche questo profilo, ed ha condivisibilmente osservato che non involge “giammai una questione di competenza l’assegnazione di un affare ad uno piuttosto che ad altro magistrato in imprecisa applicazione dei relativi criteri stabiliti dalle tabelle (da ultimo, ord. 21/02/2018, n. 4261; in precedenza: Cass. Sez. U. ord. 16/07/2008, n. 19512); infatti, non sussiste mai – tranne il solo caso (che ovviamente qui non ricorre) dei rapporti tra sezioni ordinarie e sezioni specializzate agrarie, ma in dipendenza della peculiare struttura di queste – una questione di competenza tra magistrati dello stesso ufficio (Cass. 21/09/2015, n. 18563; Cass. ord. 05/05/2015, n. 8905; Cass. ord. 23/09/2009, n. 20494; Cass. ord. 09/11/2006, n. 23891); e, comunque, una questione di rituale applicazione delle tabelle di composizione dell’ufficio o di ripartizione degli affari all’interno del medesimo non comporta mai in alcun caso un vizio del provvedimento giurisdizionale conseguente, a norma dell’ultimo periodo del primo comma dell’art. 7-bis r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, a mente del quale la violazione dei criteri per l’assegnazione degli affari, salvo il possibile rilievo disciplinare, non determina in nessun caso la nullità dei provvedimenti adottati”, Cass. sez. VI-III, 26.4.2019, n. 11332 (evidenza aggiunta).
13.2 Solo per completezza può allora anche rilevarsi che le censure proposte dalla ricorrente difettano comunque di specificità. La società, infatti, neppure prova che vi fossero ulteriori giudici appartenenti alla medesima sezione VII della CTR del Veneto che avrebbero potuto sostituire il membro assente, limitandosi l’impugnante ad affermare che “non risulta che la Sezione VII fosse rimasta con meno di tre componenti”,(rie., 13).
Si tratta invece di circostanza che, a seguire le sue riflessioni, risulterebbe decisiva, ed avrebbe dovuto necessariamente essere provata da chi la allegava. La ricorrente, inoltre, censura che la sostituzione di un componente dell’organo giudicante non può avvenire “in presenza di una mera indisponibilità temporanea di un membro del collegio” (rie., p. 12), ma la critica non appare comprensibile, perché è la medesima parte ad attestare che la sostituzione del giudice si era resa necessaria a causa delle “impreviste dimissioni” del componente designato. Può darsi che la contribuente intenda allora riferirsi alla sostituzione del Presidente del collegio, ma non lo chiarisce, ed anche in tal senso la censura non appare pertanto specifica.
La richiamata pronuncia della CEDU afferma il principio secondo cui ogni controversia deve essere decisa dal tribunale stabilito dalla legge, principio assolutamente condivisibile che, alla luce di quanto si è in precedenza osservato, deve ritenersi sia stato rispettato nel presente giudizio, in cui i giudici che hanno preso parte al procedimento appartenevano al medesimo ufficio giudiziario, ed i giudici che hanno integrato il collegio il quale ha pronunciato il provvedimento decisorio sono i medesimi che hanno assistito alla discussione delle parti.
In definitiva, il primo motivo di ricorso proposto dalla V. Spa risulta infondato, e deve perciò essere respinto.
14. Mediante il secondo strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., la società censura la nullità della sentenza pronunciata dal giudice di secondo grado, in conseguenza della violazione dell’art. 295 cod. proc. civ., come richiamato all’art. 1 del D.Lgs. n. 546 del 1992, per non avere la CTR disposto la sospensione, sebbene necessaria, del presente procedimento dipendente, in attesa della definizione con giudicato del procedimento pregiudicante, disponendo in alternativa la riunione dei due giudizi.
Al termine dell’esposizione del mezzo d’impugnazione, la contribuente ha fatto seguire la trascrizione dei sette motivi di ricorso proposti nel giudizio avverso l’avviso di accertamento pregiudicante, n. T6503DA00697, “al fine di dimostrare la ricaduta della pronuncia societaria sulla presunzione di distribuzione del (presunto) maggiore reddito societario” (rie., p. 25).
Deve rilevarsi che, a seguito della decisione di inammissibilità del ricorso in relazione alla causa ‘pregiudicante’ innanzi esposta, il presente motivo di ricorso rimane travolto, verificandosi un’ipotesi di inammissibilità sopravvenuta dello strumento di impugnazione.
Peraltro il motivo di ricorso è pure infondato.
Invero, la questione proposta dalla ricorrente è stata già ripetutamente esaminata da questa Corte, la quale ha statuito, pronunziando a Sezioni Unite, che “salvi soltanto i casi in cui la sospensione del giudizio sulla causa pregiudicata sia imposta da una disposizione specifica ed in modo che debba attendersi che sulla causa pregiudicante sia pronunciata sentenza passata in giudicato, quando fra due giudizi esista rapporto di pregiudizialità, e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, è possibile la sospensione del giudizio pregiudicato soltanto ai sensi dell’art. 337 cod. proc. civ., come si trae dall’interpretazione sistematica della disciplina del processo, in cui un ruolo decisivo riveste l’art. 282 cod. proc. civ.: il diritto pronunciato dal giudice di primo grado, invero, qualifica la posizione delle parti in modo diverso da quello dello stato originario di lite, giustificando sia l’esecuzione provvisoria, sia l’autorità della sentenza di primo grado“, Cass. S.U., 19.6.2012, n. 10027 (conf. Cass. sez. VI-I, 3.11.2017, n. 26251). Più recentemente, questa Corte di legittimità è tornata a pronunciare sul punto, proprio nell’ambito di un giudizio in materia tributaria, ed ha confermato che “in tema di sospensione del processo, nel caso in cui il giudizio pregiudicante sia stato deciso con una sentenza impugnata, trova applicazione l’art. 337, comma 2, c.p.c., e, poiché la sentenza, ancor prima e indipendentemente dal suo passaggio in giudicato, esplica una funzione di accertamento al di fuori del processo, l’ambito di applicazione del predetto art. 337, comma 2, deve essere esteso alle impugnazioni diverse dalla revocazione straordinaria e dalla opposizione di terzo, e la stessa disposizione deve essere interpretata nel senso che essa impone al giudice l’alternativa di tenere conto della sentenza invocata – che è quella sulla quale può essere fondata un’azione o un’eccezione – senza alcun impedimento derivante dalla sua impugnazione o dalla sua impugnabilità, o di sospendere il processo nell’esercizio del suo potere discrezionale“, Cass. sez. V, 17.11.2021, n. 34966.
Nel caso di specie, pertanto, il giudice dell’appello non era tenuto a riunire, sempre che fosse pure possibile, i due giudizi, e neppure a sospendere il giudizio in attesa della decisione definitiva sul giudizio “pregiudicante”, a meno che non intendesse discostarsi dalla pronuncia sino ad allora assunta.
Il secondo motivo di ricorso proposto dalla società deve essere pertanto dichiarato inammissibile, e risulta comunque infondato.
15. Con il terzo motivo del ricorso N.R.G. 10783/2015, la contribuente critica la decisione assunta dal giudice impugnato per aver ritenuto ammissibile l’appello introdotto dall’Amministrazione finanziaria, sebbene “non contenesse nemmeno uno specifico motivo d’impugnazione della sentenza di primo grado” (rie., p. 66).
In materia occorre tener conto delle peculiarità del giudizio tributario, in cui l’Amministrazione finanziaria svolge le proprie difese illustrando le ragioni che inducono a ritenere legittimo l’atto impugnato dal contribuente, ed infondate le contestazioni mosse da quest’ultimo. Nel caso di specie la CTR annota che “l’Ufficio contesta, con vari motivi, la sentenza menzionata” (sent. CTR, p. Il), e la stessa ricorrente riporta un estratto dell’atto d’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, da cui emerge che l’Ente impositore ha riassunto le ragioni poste a fondamento della pretesa, confermate anche in relazione all’accertamento ‘pregiudicante’, ed ha quindi osservato: “l’Ufficio non può che reiterare tutte le argomentazioni già espresse a confutazione delle doglianze manifestate nel ricorso introduttivo da controparte nei confronti dell’accertamento presupposto” (rie., p. 67).
Merita allora di essere ricordato il condivisibile orientamento, recentemente confermato da questa Corte di legittimità, secondo cui “nel processo tributario, ove l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire e riproporre in appello le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, come già dedotto in primo grado, in quanto considerate dalla stessa idonee a sostenere la legittimità dell’avviso di accertamento annullato, è da ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica previsto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992” Cass. sez. VI-V, 25.2.2022, n. 6302 (conf. Cass. sez. VI-V, 22.3.2017, n. 7369).
In definitiva il ricorso N.R.G. 10783/2015 deve essere rigettato.
16. Le spese di lite seguono l’ordinario criterio della soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo, in considerazione della natura delle questioni esaminate e del valore delle cause. Risulta dovuto anche il versamento del c.d. doppio contributo.
La Corte,
P.Q.M.
riunite le procedure, dichiara inammissibile il ricorso N.R.G. 10787/2015 proposto dalla V. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, e rigetta il ricorso N.R.G. 10783/2015 proposto dalla società.
Condanna la V. Spa al pagamento delle spese processuali in favore dell’Agenzia delle Entrate, e le liquida in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
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