Corte di Cassazione sentenza n. 18391 depositata il 9 luglio 2019
Elusione fiscale – Costi per provvigioni – Senza risultati – Inerenza – Non sussiste
Massima
Le provvigioni corrisposte sono indeducibili, in violazione del principio di inerenza, qualora non hanno come conseguenza un ricavo per l’azienda anche se l’agente ha prodotto le fatture emesse. Sarebbe necessaria la dimostrazione dei risultati conseguiti o un contratto di collaborazione.
RILEVATO
Che:
la società G. S.a.S. ed i soci G.F. e G.D. propongono ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo, nei confronti della sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, indicata in epigrafe, che aveva parzialmente accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate contro la decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Bologna n. 427/2014, con cui era stato accolto il ricorso proposto avverso avvisi di accertamento IRPEF IRAP 2007 a seguito di rettifica del reddito della società e dei soci;
l’Agenzia delle Entrate si è costituita al solo scopo di partecipare all’udienza di discussione.
CONSIDERATO
Che:
1.1. si lamenta violazione di norme di diritto (D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109) per avere la CTR parzialmente accolto le doglianze dell’Ufficio, e segnatamente quella relativa alla contestata inerenza del costo di provvigioni erogate dalla società, avendo i Giudici d’appello ritenuto “subordinata la deducibilità di un costo al “collegamento” del medesimo con il ricavo che ne “deve” conseguire in termini di necessità”;
1.2. la doglianza è infondata sulla base delle considerazioni di seguito illustrate;
1.3. con l’ordinanza n. 18904/2018 questa Corte ha precisato che il principio di inerenza esprime una correlazione tra costi ed attività d’impresa in concreto esercitata e si traduce in un giudizio di carattere qualitativo, che prescinde, in sé, da valutazioni di tipo utilitaristico o quantitativo, ma il giudizio quantitativo o di congruità non è, però, del tutto irrilevante, collocandosi, invece, su un diverso piano logico e strutturale;
1.4. la questione, invero, si intreccia con il profilo dell’onere della prova dell’inerenza del costo, che, secondo la costante giurisprudenza, incombe sul contribuente, mentre spetta all’Amministrazione la prova della maggiore pretesa tributaria (Cass. n. 10269/2017; Cass. n. 21184/2014; Cass. n. 13300/2017);
1.5. l’inerenza è, come evidenziato, un giudizio; la prova dunque deve investire i fatti costitutivi del costo, sicché, per quanto riguarda il contribuente, il suo onere è, per così dire, “originario”, poiché si articola ancor prima dell’esigenza di contrastare la maggiore pretesa erariale essendo egli tenuto a provare (e documentare) l’imponibile maturato e, dunque, l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, ovvero che esso è in realtà un atto d’impresa perché in correlazione con l’attività d’impresa;
1.6. nella sua esplicazione effettiva tale onere si atteggia diversamente a seconda dello specifico oggetto della componente negativa in quanto, in molti casi, le caratteristiche documentate del costo o dell’operazione sono tali da far ritenere semplicemente evidente la correlazione tra la spesa e l’attività d’impresa;
1.7. in tal senso si spiega la giurisprudenza che distingue tra beni “normalmente necessari e strumentali” e beni “non necessari e strumentali”, concludendo “nel ritenere a carico del contribuente l’onere della prova dell’inerenza solo in questa seconda evenienza” (cfr. Cass. n. 6548/2012);
1.8. in realtà, nella prima ipotesi si assiste, più che una modifica dei criteri di ripartizione, ad una semplificazione dell’onere del contribuente, per contro, quando l’operazione posta in essere risulti complessa o anche atipica od originale rispetto alle usuali modalità di mercato, tale onere si atteggia in termini parimenti complessi: la qualificazione dell’operazione come atto d’impresa (che, per scelta o ventura, ha un coefficiente negativo) deve tradursi in elementi oggettivi suscettibili di apprezzamento in funzione del giudizio di inerenza;
1.9. l’Amministrazione finanziaria, ove ritenga gli elementi dedotti dal contribuente mancanti, insufficienti od inadeguati ovvero riscontri ulteriori circostanze di fatto tali da inficiare la validità e/o la rilevanza di quelli allegati a fondamento dell’imputazione del costo alla determinazione del reddito, può contestare la valutazione di inerenza;
1.10. semplificando, si può dire che due (ferma la possibile variegata articolazione dei casi concreti) sono le possibili ipotesi: nel primo caso la contestazione si risolve, sostanzialmente, sulla carenza degli elementi di fatto portati dal contribuente e, dunque, sulla loro insufficienza a giustificare una positiva valutazione di inerenza, all’altro estremo, invece, l’Amministrazione adduce l’esistenza di ulteriori elementi tali da far ritenere – di per sé od in combinazione con quelli portati dal contribuente – che il costo non sia, in realtà, correlato all’attività d’impresa;
1.11. l’antieconomicità del comportamento imprenditoriale, quindi, richiede da parte dell’Amministrazione finanziaria la dimostrazione dell’inattendibilità della condotta, inattendibilità che va considerata in chiave diacronica tenuto conto dei diversi indici che presiedono la stima della redditività dell’impresa (v. Cass. n. 13468 del 01/07/2015; Cass. n. 21869 del 28/10/2016), a fronte della quale spetta poi al contribuente dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate (Cass. n. 25257 del 25/10/2017);
1.12. pertanto, in tema di imposte dirette, l’Amministrazione finanziaria, nel negare l’inerenza di un costo per mancanza, insufficienza od inadeguatezza degli elementi dedotti dal contribuente ovvero a fronte di circostanze di fatto tali da inficiarne la validità o la rilevanza, può contestare l’incongruità e l’antieconomicità della spesa, che assumono rilievo, sul piano probatorio, come indici sintomatici della carenza di inerenza pur non identificandosi in essa ed in tal caso è onere del contribuente dimostrare la regolarità delle operazioni in relazione allo svolgimento dell’attività d’impresa e alle scelte imprenditoriali;
1.13. il tenore della decisione dei Giudici regionali, nella ricostruzione della vicenda fattuale, mostra la piena consapevolezza del valore da attribuire al concetto di inerenza, con logica inappuntabile, poiché avverte che la “semplice esibizione delle fatture rilasciate dai genitori soci fondatori non accompagnate dalla esibizione della documentazione probante i rapporti intercorrenti tra gli stessi e la società quale per esempio un contratto di collaborazione coordinata e continuativa o un contratto di subagente e dalla documentazione probante dei contratti di assicurazione da essi procurati o dell’attività a qualsiasi titolo prestata che giustifichino i compensi corrisposti in misura fissa mensile, non soddisfa il concetto di inerenza e deducibilità dei costi stabilita dall’art. 109 D.P.R. TUIR che al comma 5 statuisce che sono deducibili le spese se e nella misura in cui si riferiscono a ricavi o ad altri proventi che concorrono a formare il reddito”;
1.14. a fronte di tali valutazioni, consequenziali, logiche, rigorose sul piano della rappresentazione dei dati emergenti, le diverse prospettazioni cui aspirano i ricorrenti sono volte ad una diversa ricostruzione dei fatti che implicherebbe un riesame del tutto inammissibile perché riservato al giudice di merito ed inibito al giudice di legittimità;
2. per quanto fin qui osservato il ricorso va integralmente rigettato;
3. nulla sulle spese stante la mancanza di attività difensiva della resistente;
4. sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato a carico della parte soccombente mancando in atti la delibera di ammissione al patrocinio gratuito a carico dello Stato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
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