CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 1846 depositata il 20 gennaio 2023
Tributi – Avviso di accertamento – IRPEG, IRAP e IVA – Differenze inventariali – Perizia di parte – Rigetto
Fatti di causa
Nella controversia originata dall’impugnazione da parte della V.I.M. s.r.l. di avviso di accertamento che recuperava a tassazione, ai fini dell’IRPEG, dell’IRAP e dell’IVA, maggiori ricavi e minori costi indeducibili per l’anno di imposta 2003, questa Corte, con sentenza n.27327 del 2016, in accoglimento del ricorso proposto dall’Agenzia dell’Entrate, cassò la sentenza di appello (di conferma di quella di primo grado favorevole alla contribuente) e dispose il rinvio al Giudice di merito per la corretta applicazione dei seguenti principi:
– le differenze inventariali scaturite dalle indagini sulla consistenza del magazzino effettuate dai verificatori sono fonte di una presunzione legale suscettibile di legittimare la prova di cessioni operate in nero se non debitamente resistita a mezzo delle prove consentite dagli artt.1 e 2 del d.P.R. n.441 del 1997;
– in tema di prova circa la deducibilità dei costi, non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’impresa, occorrendo una documentazione di supporto da cui ricavare l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, non essendo a tal fine idonea una fattura generica che non consenta di determinare l’oggetto della prestazione in assenza di ogni precisazione circa la natura, quantità e qualità della stessa.
Riassunto il giudizio a opera della contribuente, la Commissione tributaria regionale della Basilicata, con la sentenza indicata in epigrafe, rilevato che, per effetto della sentenza di questa Corte (che aveva rigettato i relativi motivi di ricorso), l’avviso di accertamento era parzialmente e definitivamente annullato con riguardo ai costi ritenuti non inerenti pari a euro 46.829 (costi di trasporto attestati dai documenti di spesa), riteneva il ricorso (in riassunzione) proposto dalla V.I.M. s.r.l. infondato.
In particolare, il Giudice del rinvio rilevava, in applicazione dei principi statuiti da questa Corte, che la V.I.M. non avesse fornito alcuna prova idonea a vincere la presunzione di cessione, ritenendo inammissibile, siccome documento nuovo prodotto solo nel giudizio di rinvio, la relazione tecnica illustrativa delle risultanze contabili. Eguali considerazioni il giudice di appello svolgeva, poi, con riferimento ai costi ritenuti indeducibili, perché non documentati.
Avverso la sentenza la V.I.M. s.r.l. ha proposto ricorso su quattro motivi.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso e propone, a sua volta, ricorso incidentale subordinato su unico mezzo, resistito con controricorso dalla Società.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso -rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art .2909 cod.civ. e dell’art.324 c.p.c. in combinato disposto con l’art.384, co.2, c.p.c. (art.360, comma 1, n.3 c.p.c.) – la Società rileva l’errore in cui sarebbe incorsa la C.T.R. nel ritenere che sulle differenze inventariali si fosse formato un giudicato interno.
1.1. La censura è inammissibile perché inconferente rispetto al decisum. L’affermazione censurata è, infatti, priva di contenuto decisorio laddove la C.T.R., malgrado un inesatto riferimento a un accertamento in fatto conforme operato dal giudice di appello e da questa Corte, ha, poi, egualmente proceduto all’accertamento in fatto in ordine all’applicabilità della presunzione di cui agli artt. 1 e 4 del d.P.R. n. 441 del 1997, attraverso l’esame degli elementi fattuali in atti.
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art.360, primo comma, n.3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 63, commi terzo e quarto, del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 394, comma 2 e 3, cod. proc. civ., nelle quali sarebbe incorsa la C.T.R. per avere ritenuto inammissibile la produzione della perizia, depositata dalla Società in sede di rinvio, stante il carattere chiuso di quel giudizio.
3. Con il terzo motivo -rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art.1, comma 1 e 5 e dell’art.4, comma 2 del d.P.R. 10 novembre 1997, n.441 (art.360, comma 1, n.3 c.p.c.)- la ricorrente deduce l’errore in iudicando in cui sarebbe incorsa la C.T.R. la quale, nel negare l’ammissibilità della produzione della citata perizia e nel disconoscerne le risultanze (dalle quali emergevano che le asserite differenze inventariali erano riconducibili esclusivamente a meri passaggi interni di merce tra i due magazzini della società), avrebbe violato la normativa di riferimento, laddove la Società aveva fornito la prova della consegna dei beni a terzi a titolo non traslativo della proprietà idonea a vincere la presunzione di cessione.
4. Le due censure, intimamente connesse, possono trattarsi congiuntamente e sono infondate.
4.1 Il Giudice di appello, in sede di rinvio, dopo avere premesso che era onere della contribuente fornire la prova necessaria al fine di vincere la presunzione di cessione, peraltro con le sole modalità previste dall’art.1, comma 5, d.P.R. n. 441/97, vale a dire dimostrando “la consegna dei beni a terzi a titolo non traslativo della proprietà” e avere constatato che tuttavia nei precedenti gradi di giudizio la VIM non ha prodotto alcuno di siffatti documenti, ha dato atto che, solo nel giudizio di rinvio, la V.I.M. s.r.l. ha prodotto la relazione del dott.
Quintano, illustrativa delle risultanze contabili. La C.T.R. ha, però, ritenuto che la produzione di tale relazione, in quanto documento nuovo e comunque diretto a veicolare nel processo le risultanze di documenti in precedenza non prodotti, è del tutto inammissibile in sede di giudizio di rinvio, dovendosi ribadire quanto da tempo affermato dai Giudici di legittimità e, cioè che “nel giudizio di rinvio in grado di appello, riassunto a seguito della sentenza della Corte di cassazione, si possono produrre nuovi documenti che non si siano potuti depositare in precedenza per causa di forza maggiore”…
4.2. La sentenza impugnata, siccome resa in applicazione dei principi reiteratamente affermati da questa Corte in materia, rimane esente da censura non ravvisandosi le dedotte violazioni di legge.
Con riferimento al processo tributario, questa Corte ha, infatti, statuito che <<nel giudizio di rinvio, configurato dall’art. 394 c.p.c. quale giudizio ad istruzione sostanzialmente “chiusa”, è preclusa l’acquisizione di nuove prove e segnatamente la produzione di nuovi documenti, salvo che la stessa sia giustificata da fatti sopravvenuti riguardanti la controversia in decisione, da esigenze istruttorie derivanti dalla sentenza di annullamento della Corte di cassazione o dall’impossibilità di produrli in precedenza per causa di forza maggiore>> (cfr. Cass. n. 26108 del 18.10.2018; Cass. n.19424 del 30.09.2015, ribadite, di recente, anche per il rito ordinario, da Cass. n. 27736 del 22/09/2022).
Conseguentemente, seppur è vero che le consulenze tecniche di parte non costituiscono mezzi di prova (cfr. Cass, Sez. 5, n.30364 del 21/11/2019) ma allegazioni difensive di contenuto tecnico (cfr. Cass, Sez.6-5, n. 22965 del 29/09/2017), costituenti al più mero argomento (cfr. Cass., Sez.6-5, n. 8621 del 9/04/2018), si è, anche, specificato che se la C.T.U., quale mezzo di controllo tecnico della prova chiusa è ammissibile nel giudizio di rinvio, pure tributario (Cass., Sez. 5, n. 26307 del 2020) è, altrettanto, ammissibile che la parte possa difendersi col controllo tecnico della prova già chiusa, salva la sola ipotesi in cui l’attività peritale si ponga, piuttosto che come elemento di valutazione, come mezzo di acquisizione delle prove (cfr. Cass, Sez.5, n.33503 del 27/12/2018).
Nel caso in esame, come evincibile dal passo motivazionale sopra riportato, correttamente la C.T.R. ha dichiarato l’inammissibilità della produzione della relazione peritale in quanto meramente veicolativa di prove mai offerte nei precedenti gradi del giudizio.
4.3. Dal rigetto del secondo motivo consegue il rigetto del terzo che presuppone l’ammissibilità della produzione in giudizio della perizia di parte.
5. Con il quarto motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art.360, primo comma, num.3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art.109, comma quinto, del d.P.R. 22 dicembre 1986 n.917, laddove il giudice del rinvio avrebbe, con riferimento alla ritenuta indeducibilità dei costi, affermato che le fatture esibite al proposito erano generiche. Secondo la prospettazione difensiva, a fronte di costi effettivi e inerenti all’attività di impresa, l’Amministrazione finanziaria avrebbe dovuto considerare ai fini della determinazione del maggior reddito i costi che erano stati sostenuti, seppure in via forfetaria.
5.5 La censura è inammissibile per più ragioni. In primo luogo, non viene neppure indicata l’argomentazione con cui la C.T.R. avrebbe perpetrato la dedotta violazione di legge, censurandosi piuttosto l’operato dell’Ufficio. Ma, ancor prima, nella genericità sul punto del mezzo di impugnazione e nel silenzio in proposito della sentenza impugnata, la questione appare nuova e, come tale, inammissibile in questa sede.
6. Il rigetto del ricorso principale comporta l’assorbimento del ricorso incidentale subordinato proposto dall’Agenzia delle entrate.
7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale.
Condanna la ricorrente, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese processuali liquidate in complessivi euro 12.000,00 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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