Corte di Cassazione sentenza n. 18963 depositata il 16 luglio 2019
Immobile venduto prima di cinque anni – Abitazione principale – Individuata secondo consumi di acqua e luce – Sussiste
Massima
Qualora il contribuente, ha consumi di acqua e luce inferiori rispetto a un’altra dimora, paga le imposte sulla plusvalenza se l’immobile venduto prima dei cinque anni.
RILEVATO
Che:
– Con sentenza n. 6913/15/17 depositata in data 29 novembre 2017 la Commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 9746/20/16 della Commissione tributaria provinciale di Roma che aveva accolto il ricorso contro l’avviso di accertamento per II.DD. 2009 emesso nei confronti di V.M. emesso in relazione alla plusvalenza derivante da cessione immobiliare ex art. 67 T.U.I.R., comma 1, lett. B), in relazione ad immobile acquistato in data 30.10.2007 e rivenduto in data 2.12.2009 senza inserimento della plusvalenza nella dichiarazione fiscale. L’Agenzia delle entrate richiesti e non ottenuti chiarimenti, constatava che l’immobile compravenduto non costituiva abitazione principale e assoggettava ad imposizione la plusvalenza;
– Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il contribuente deducendo due motivi. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO
Che:
– Con il primo motivo – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 -, il contribuente deduce la nullità dell’atto di accertamento per violazione o falsa applicazione dell’art. 67 T.U.I.R., comma 1, lett. b) e dell’art. 68 T.U.I.R., per non aver la CTR preso “in considerazione la copiosa mole di prove prodotte dal ricorrente attestanti la circostanza che lo stesso utilizzasse l’immobile di Milano (ossia quello che ha originato la ripresa) quale abitazione principale”, tenuto conto del fatto che Milano era il luogo di lavoro, ai fini del superamento della presunzione derivante dalla residenza anagrafica, sita in Roma nel periodo di tempo considerato;
– Con il secondo motivo – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 -, il contribuente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in tema di onere della prova e valore di prova della documentazione prodotta nel giudizio di primo grado e degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., da un lato per non aver l’Amministrazione dimostrato i fatti che costituiscono il fondamento sostanziale della ripresa e, dall’altro, per aver il contribuente incontrovertibilmente provato di aver avuto la propria residenza effettiva in Milano, città ove lavorava nel periodo di tempo rilevante;
– I motivi, da trattarsi congiuntamente in quanto connessi, sono inammissibili. La Corte reitera l’insegnamento secondo cui, in relazione all’applicazione dell’art. 67 T.U.I.R., comma 1, lett. b) e dell’art. 68 T.U.I.R., “gli elementi che determinano l’esclusione della fattispecie normativa sono, da un lato, il non superamento di un certo intervallo temporale fra acquisto e vendita – requisito da intendersi nel senso che l’immobile de quo deve essere stato adibito ad abitazione principale del cedente “per la maggior parte del periodo intercorrente tra l’acquisto e la cessione” (Cass. n. 18846 del 2003) – dall’altro, la destinazione all’uso personale dell’acquirente e dei suoi familiari, secondo criteri oggettivi. ” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14270 del 13/07/2016);
– “In tema di presunzioni, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione, concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360 c.p.c., n. 3 (e non già alla stregua dello stesso art. 360, n. 5), competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta. ” (Cass. Sez. L -, Sentenza n. 29635 del 16/11/2018, Rv. 651727 – 01); rammenta inoltre che “È inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito.” (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017, Rv. 643690 – 01);
– Nel caso di specie la CTR ha fondato, per la parte che interessa, presunzioni gravi, precise e concordanti, idonee a rovesciare le conclusioni raggiunte dai giudici di prime cure, non solo sul fatto che nel periodo la residenza del contribuente fosse rimasta a Roma, a fronte della sede di lavoro sita in Milano, ma anche su ulteriori circostanze a riscontro del fondamento della ripresa. I giudici di appello hanno in particolare accertato in fatto l’esistenza di documentazione attestante maggiori costi sostenuti per servizi di energia elettrica, gas e telefono, per determinare che l’abitazione principale fosse in Roma. I fatti concreti indicati in sentenza sono rispondenti ai tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione, concordanza), relativa ma non superata da prova contraria del contribuente, secondo il canone di riparto della prova fissato dalla giurisprudenza citata. Tali presunzioni non superate dal contribuente legittimano la razionale conclusione secondo cui vi è stata plusvalenza da cessione dell’appartamento milanese acquistato dal contribuente da non più di cinque anni e, pertanto, il ricorso appalesa come richiesta di un’indebita rivalutazione degli elementi di prova considerati dal giudice senza reale indicazione di elementi decisivi e contrari non soppesati dalla CTR;
– In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile, e da ciò discende il regolamento delle spese di lite secondo soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente alla rifusione alla controricorrente delle spese di lite, liquidate in Euro 5.600,00 oltre spese prenotate a debito.
La Corte dà atto che, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013), per effetto del presente provvedimento sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis, testo unico spese di giustizia.
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