CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 19160 depositata il 19 luglio 2018
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del 15/4/2006 BG e RF proposero opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Trani con il quale era stato loro ingiunto il pagamento in favore di AF della somma di € 80.096,97 in qualità di fidejussori della conduttrice di un contratto di affitto d’azienda relativo all’Hotel E, sito in Bisceglie, somma corrispondente ai canoni dovuti e non pagati per il periodo 21/6/2003-20/12/2005. La clausola di cui all’art. 14 del contratto di locazione stipulato tra le parti (AF-locatrice e la società M.-conduttrice) aveva previsto che, a garanzia dell’esatto adempimento di tutte le obbligazioni assunte con il contratto, si costituissero fidejussori i signori PG Donato, PG, BG, RF e SS, obbligandosi in solido tra loro al pagamento di quanto potrà essere tenuta a pagare la M. per l’inadempimento di una o più obbligazioni di cui al contratto. Gli attori-fidejussori eccepirono che la garanzia era cessata in quanto il contratto di affitto era cessato alla data del 31/10/2004 a seguito di disdetta della locatrice AF; che comunque la conduttrice M. s.r.l. era stata dichiarata fallita in data 5/5/2004 per cui il contratto si era risolto, al più tardi, in quella data; che avevano versato alla locatrice la somma di € 2.582,28 a titolo di cauzione e che detta somma doveva essere restituita, maggiorata dagli interessi e portata in compensazione con il maggior credito dell’opposta; che il BG aveva sostenuto lavori per l’importo di € 37.749,34, sicché pure detta somma doveva essere portata in compensazione con il maggior credito dell’opposta. Eccepirono, inoltre, la decadenza dalla garanzia ex art. 1957 c.c. per i canoni pretesi da giugno 2003 a maggio 2004; la nullità sopravvenuta della garanzia fidejussoria ex art. 1938 c.c.; la carenza di legittimazione passiva per essere cessato il contratto di affitto al 5/5/2004. Conclusero chiedendo la revoca del decreto ingiuntivo opposto, di essere autorizzati a chiamare in giudizio gli altri fidejussori, PG, PM e SS, per sentirli condannare al pagamento, a titolo di regresso, delle somme in favore di AF. Quest’ultima si costituì in giudizio, chiedendo il rigetto dell’opposizione. Con separati atti di citazione proposero opposizione anche i citati altri fidejussori ed in questi giudizi pure si costituì l’AF chiedendo il rigetto delle opposizioni.
Il Tribunale di Trani accolse l’opposizione e revocò il decreto ingiuntivo opposto, condannando gli opponenti in solido a pagare in favore dell’opposta i canoni dovuti dal 21/4/2004 al 20/12/2005, per complessivi € 56.480,80, condannò GP a pagare in favore di PG la somma di € 2.809,52 oltre interessi legali nonché tutti gli opponenti al rimborso delle spese del giudizio.
Avverso la sentenza proposero appello PG, BG, RF, GP, SS chiedendo, in via principale, il rigetto della domanda azionata nei loro confronti conseguente alla nullità del contratto di fidejussione del 31/10/84 ed in via subordinata, di essere tenuti obbligati al pagamento in favore di AF del canone dal 21/4/2004 al 5/5/2004, data della sentenza dichiarativa del fallimento della debitrice principale M. s.r.l.; in via ulteriormente subordinata, di ritenere essi appellanti obbligati al pagamento in favore di AF dei canoni dovuti dal 21/4/2004 al 21/11/2004, in ogni caso con condanna della AF alle spese del doppio grado. La AF si costituì chiedendo il rigetto dell’appello. Contro la stessa sentenza propose appello la AF chiedendo il rigetto dell’opposizione, la conferma del decreto ingiuntivo opposto e la condanna dei fidejussori al pagamento delle spese del giudizio. PG, BG, RF, GP e SS si costituirono in questo secondo giudizio, svolgendo altresì appello incidentale per sentir pronunciare il rigetto della domanda di pagamento avanzata da AF in danno degli appellati.
La Corte d’Appello di Bari, con sentenza del 27/5/2016, ritenne che la fidejussione avesse un oggetto determinato o determinabile per la durata del contratto principale per venti anni, mentre, per le obbligazioni sorte successivamente al termine di scadenza della locazione (e cioè successive al 20/11/2004), la fidejussione fosse indeterminata ed indeterminabile e quindi invalida per i canoni successivi al 20/11/2004.
Quanto alla pretesa estinzione della fidejussione in conseguenza del fallimento della garantita, la Corte territoriale ritenne in conformità al giudice di primo grado, che il curatore fosse subentrato nella posizione giuridica della M. di guisa che il debito del pagamento dei canoni faceva capo alla massa dei creditori, mentre i fidejussori restavano obbligati nei confronti del creditore per il mancato pagamento dei canoni. Quanto alla pretesa violazione dell’art. 1957 c.c. la Corte d’Appello aderì alla giurisprudenza consolidata di legittimità secondo la quale, qualora il debito sia ripartito in scadenze periodiche, ciascuna delle quali dotate di un grado di autonomia, il dies a quo va individuato, agli effetti dell’art.1957 c.c., in quello di scadenza delle singole prestazioni e non dell’intero rapporto, in quanto scopo del termine di decadenza è quello di evitare che il fidejussore si trovi esposto all’aumento degli oneri inerenti alla sua garanzia, nel caso in cui il creditore non si sia tempestivamente attivato al primo manifestarsi dell’inadempimento, magari proprio contando sulla responsabilità solidale del fidejussore (Cass. Sez. 3, n. 15902 dell’11/7/2014).
Conclusivamente il giudice d’appello, a parziale modifica della sentenza impugnata, condannò in solido gli opponenti al pagamento in favore dell’opposta dei canoni dovuti dal 21/4/2004 al 20/11/2004, calcolati in complessivi € 21.269,04, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo.
Avverso la sentenza d’appello Francesca Maria AF propone ricorso per cassazione affidato a due motivi illustrati da memoria.
Resiste BG con controricorso illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1938 c.c. nonché la violazione o falsa applicazione dell’art. 10 della L. 17/02/1992 n. 154 in relazione al successivo art. 11, all’art. 11 disp. prel. c.c. ed all’art. 360 10 comma nn. 3 e 5 e 366 c.p.c.
Ad avviso della ricorrente l’art. 1938 c.c., che prevede la possibilità di una fidejussione per un’obbligazione condizionale o futura, non sarebbe applicabile alla fattispecie perché il suo attuale testo, introdotto dalla legge n. 154 del 1992, entrata in vigore dopo la stipula del contratto, non sarebbe applicabile anche in forza dell’art. 11 disp. prel. c.c. che sancisce il principio della irretroattività della legge ed anche in ragione di una efficacia della medesima disposizione limitata ai soli contratti relativi alle “operazioni e servizi bancari e finanziari”.
1.1. Questa parte del motivo è manifestamente infondata in quanto, in base alla disciplina transitoria (dettata dall’art. 11 della I. n. 154/92), tutte le disposizioni – compresa quella che ha modificato l’art. 1938 c.c.- sono divenute efficaci trascorsi 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge stessa, sicché dall’8/7/1992, l’attuale testo dell’art. 1938 c.c. si applica ratione temporis anche al contratto in corso. Anche l’assunto secondo il quale l’ambito di applicazione della legge sarebbe limitato ai soli servizi bancari e finanziari è infondato perché la giurisprudenza consolidata di questa Corte ha escluso la lettura restrittiva della norma in quanto né la lettera né la sua ratio consentono tale limitazione (Cass., Sez. 3, n. 5951 del 14/3/2014).
1.2. Con un secondo ordine di argomenti la ricorrente censura il capo di sentenza che ha limitato l’operatività della fidejussione alla durata del contratto di locazione affermando che, in mancanza di una clausola di recesso dei fidejussori, la sorte della fidejussione era ancorata all’effettivo rilascio del bene. Peraltro, la sentenza impugnata avrebbe errato anche nel ritenere che, per la parte successiva alla cessazione di efficacia del contratto di locazione, neppure potrebbe considerarsi la fidejussione indeterminata, perché la stessa era determinabile in relazione ai canoni.
1.3. Anche tali doglianze sono infondate. La fidejussione prestata a garanzia di una o più obbligazioni si protrae, salva diversa volontà negoziale (mancante nel caso di specie) per lo stesso termine entro il quale la prestazione garantita va eseguita sicché nella ipotesi di locazione, in cui sia garantito l’obbligo del pagamento del canone, il fidejussore può recedere dal contratto solo se le parti abbiano previsto il diritto del garante di recedere (Cass., 6-3, n. 25171 del 26/11/2014) e la sua obbligazione sia astretta a quella del debitore principale sicché, se quest’ultimo è in mora nel restituire la cosa locata, il fidejussore è tenuto a pagare il corrispettivo fino alla riconsegna e la sua obbligazione prescinde del tutto dall’attuazione fisiologica del rapporto locatizio né è dato al garante giovarsi del concetto di “proroga del contratto” (Cass., 3, n. 15781 del 29/7/2016). Il primo motivo deve, pertanto, essere rigettato.
2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1957 c.c. in relazione all’art. 360 1° comma nn. 3 e 5 e 366 c.p.c.; in particolare, lamenta che la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere che il termine semestrale di cui all’art. 1957 c.c. dovesse essere riferito alle singole scadenze periodiche in cui il debito è ripartito, dovendo invece considerare che le azioni contro la debitrice principale erano già iniziate prima dell’emissione del decreto ingiuntivo e che l’AF si era sempre attivata immediatamente per recuperare quanto dovutole. La ratio della norma, di colpire l’inerzia del creditore che, adagiandosi sulla corresponsabilità del fidejussore, escluda dal contesto esecutivo il debitore principale, non sarebbe stata rispettata dall’impugnata sentenza nella parte in cui la stessa, anziché considerare il complessivo andamento dei rapporti contrattuali avrebbe, invece, ragionato atomisticamente con riguardo alle singole scadenze dei canoni.
2.1. Il motivo è infondato in quanto, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la Corte territoriale ha richiamato e correttamente applicato la giurisprudenza di questa Corte che prescrive testualmente, in tema di decadenza del creditore dall’obbligazione fidejussoria per effetto della mancata tempestiva proposizione delle azioni contro il debitore principale, qualora il debito sia ripartito in scadenze periodiche, come il dies a quo vada individuato, agli effetti dell’art. 1957 c.c., in quello di scadenza delle singole prestazioni e non già dell’intero rapporto, in quanto scopo del termine di decadenza è quello di evitare che il fidejussore si trovi esposto all’aumento indiscriminato degli oneri inerenti alla sua garanzia, per non essersi il creditore tempestivamente attivato al primo manifestarsi dell’inadempimento, magari proprio contando sulla responsabilità solidale del fidejussore (Cass., Sez. 3, n. 15902 dell’i 1/7/2014).
Conclusivamente il ricorso va rigettato.
3. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono poste a carico della parte ricorrente e liquidate come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in C 10.200 (di cui C 200 per esborsi), oltre accessori di legge e spese generali al 15%, in favore della parte controricorrente. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis de dello stesso art. 13.
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