Corte di Cassazione sentenza n. 2007 depositata il 26 gennaio 2018
Registro – Norma antielusiva – Articolo 20 DPR 131/1986 – Legge di Bilancio 2018 – Non ha effetto retroattivo
Massima:
Non è possibile applicare retroattivamente le modifiche apportate all’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986 dalla Legge di Bilancio 2018 in materia di registro. L’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986 è stato recentemente modificato dalla Legge di Bilancio 2018 (art. 1, c. 87 della L. n. 205/2017) e non avendo natura interpretativa, bensì innovativa, «non esplica effetto retroattivo: conseguentemente, gli atti antecedenti alla data di sua entrata in vigore (1° gennaio 2018) continuano ad essere assoggettati ad imposta di registro secondo la disciplina risultante dalla previgente formulazione dell’art. 20 del D.P.R. n. 131/86». Detto articolo prevede che «l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati». Alla norma novellata dal legislatore con la Legge di Bilancio 2018, pertanto, non si può riconoscere l’effetto interpretativo di quella previgente perché «essa introduce dei limiti all’attività di riqualificazione giuridica della fattispecie che prima non erano previsti».
ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA
1. In data 7 agosto 2007 la società I.V. S.r.l. stipulava con la Banca delle Marche S.p.A. un contratto di mutuo ipotecario del valore di Euro 1.300.000 con lo scopo dichiarato di voler eseguire la ristrutturazione di un suo immobile sito in (XXXXX). In data 12 ottobre 2007 la società I.V. S.r.l. e G.G. costituivano la società Q. S.r.l. con capitale sociale di Euro 20.000. Il signor G. sottoscriveva il 50% del capitale sociale liberando la propria quota in denaro e la I.V. S.r.l. sottoscriveva il restante 50% del capitale liberando la propria quota a mezzo del conferimento della piena proprietà dell’immobile sito in (XXXXX) valutato Euro 1.310.000 ed accollando alla conferitaria il mutuo ipotecario del valore di Euro 1.300.000. La quantificazione del valore imponibile operata dalla parte era di Euro 10.000, dato dal valore dell’immobile al netto delle passività accollate alla conferitaria. L’Agenzia delle Entrate notificava avviso di liquidazione dell’imposta complementare di registro con cui il valore netto del conferimento, inizialmente considerato pari ad Euro 10.000, veniva riconosciuto inesatto poichè la stipula del mutuo, il conseguente incasso di Euro 1.300.000 da parte della conferente e il successivo accollo di tale passività alla conferitaria rappresentavano una modalità di pagamento del prezzo dell’immobile conferito ma, nella realtà, ceduto alla conferitaria sicchè doveva essere assoggettato ad imposta di registro proporzionale l’importo di euro 1.300.000 quale prezzo della cessione. Avverso l’atto impositivo proponevano distinti ricorsi la società I.V. SrI e la società Q. S.r.l.. La Commissione Tributaria Provinciale di Pesaro, riuniti i ricorsi, li accoglieva. Proponeva appello l’Agenzia delle Entrate e la Commissione Tributaria Regionale delle Marche lo accoglieva sul rilievo che, applicandosi il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 la fattispecie doveva inquadrarsi come una pluralità di diversi negozi giuridici che, sotto la forma apparente, nascondevano un chiaro fine elusivo.
2. Avverso la sentenza della CTR le società contribuenti propongono ricorso per cassazione affidato a tre motivi illustrati con memoria. L’Agenzia delle Entrate si è costituita in giudizio con controricorso.
3. Con il primo motivo le ricorrenti deducono violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, in relazione all’art. 112 c.p.c.. Sostengono che la CTR ha accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate sulla base di una ricostruzione della fattispecie diversa da quella contenuta nell’atto impositivo e, dunque, sulla base di un petitum diverso da quello formulato dall’agenzia delle entrate. Ciò in quanto l’Ufficio aveva individuato nell’operazione complessa una cessione dell’immobile mentre la CTR ha qualificato la fattispecie sotto il profilo dell’abuso del diritto inteso come ricorso a strumenti giuridici che, ancorchè legali, consentivano di eludere il fisco mediante operazioni non simulate ma poste in essere per trarne un beneficio fiscale.
4. Con il secondo motivo deducono insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 5. Sostengono che il giudice di secondo grado non ha motivato in ordine a quale sarebbe stato l’intento elusivo perseguito dalle parti nè in ordine a quali sarebbero state le ragioni in forza delle quali ha ritenuto di accogliere la tesi dell’Ufficio omettendo di esaminare le argomentazioni svolte dalle parti in ordine alla sussistenza di valide ragioni economiche che avevano sorretto l’operazione. Secondo le ricorrenti la ragione dell’operazione consisteva in ciò che le parti avevano inteso costituire una società con paritetici conferimenti da parte dei soci che avrebbe dato luogo ad un’attività immobiliare interamente finanziata da terzi. Il socio G., invero, non sarebbe addivenuto alla costituzione della società qualora fosse stato tenuto a versare anch’egli un importo pari ad Euro 1.310.000.
5. Con il terzo motivo deducono violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 20 e 50.Sostengono che i giudici di appello hanno applicato in maniera erronea il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 in quanto hanno ricondotto ad unità più negozi tra loro completamente autonomi e distinti stipulati, peraltro, tra persone diverse laddove, invece, l’atto costitutivo della società con contestuale accollo del mutuo costituiva un negozio avente una propria autonomia sotto il profilo fiscale.
ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Osserva la Corte che il primo motivo di ricorso, pur prescindendo dai profili di inammissibilità derivanti dalla inesatta formulazione del motivo, è infondato poichè in tema di procedimento tributario, – come in quello civile, non sussistendo sul punto preclusione di compatibilità – l’applicazione del principio iura novit curia fa salva la possibilità-doverosità per il giudice di dare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite nonchè all’azione esercitata in causa, ricercando, a tal fine, le norme giuridiche applicabili alla vicenda descritta in giudizio e ponendo a fondamento della sua decisione disposizioni e principi di diritto eventualmente anche diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti, con il solo limite dell’immutazione della fattispecie da cui conseguirebbe la violazione del principio di correlazione tra il chiesto ed il pronunciato (Cass. n. 11629 del 11/05/2017).
2. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso debbono essere esaminati congiuntamente in quanto sottendono la medesima questione giuridica. Il D.P.R. n. 131 del 1986 dispone che “l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici, degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”. La Corte di legittimità, con numerose pronunce anche recenti (Cass. 21676 del 2017; n. 6758 del 2017; n. 1955 del 2015; n. 24594 del 2015; n. 3481 del 2014) considera preminente, nell’imposizione, la causa reale dell’operazione e l’effettiva regolamentazione degli interessi realmente perseguita dai contraenti, e ciò anche se rinveniente in pattuizioni collegate. Ed ha precisato la Corte, poi, che la scelta legislativa di privilegiare la sostanza dell’operazione comporta che “gli stessi concetti privatistici sull’autonomia negoziale regrediscano a semplici elementi della fattispecie tributaria”, sicchè nella individuazione della materia imponibile ha preminenza assoluta la “causa reale sull’assetto cartolare” (Cass. n. 19752 del 2013; n. 10740 del 2013) dovendosi considerare, altresì, “l’indisponibilità della qualificazione contrattuale ai fini fiscali”. Sono quindi prive di rilievo le questioni relative all’interpretazione dei contratti e all’autonomia negoziale delle parti poichè ha importanza non cosa le parti abbiano scritto, ma ciò che esse abbiano effettivamente realizzato col complessivo regolamento negoziale adottato, anche indipendentemente dal contenuto delle dichiarazioni rese. Pertanto quando gli atti sono plurimi e funzionalmente collegati non può rilevare che la causa concreta dell’operazione complessiva, posto che il ritenere l’imposta di registro come imposta di negozio correlata alla causa concreta dell’operazione costituisce applicazione del principio costituzionale di capacità contributiva. Un’interpretazione atomistica dell’operazione negoziale non è in grado di misurare il reale movimento di ricchezza, che si rivela soltanto nella dimensione complessiva dell’affare (Cass. n. 6758 del 2017).
Nel caso che occupa la società I.V. S.r.l. ha stipulato il contratto di mutuo ipotecario di Euro 1.300.000 ed ha incassato tale somma. Successivamente ha sottoscritto la quota pari al 50% del capitale sociale della Q. s.r.l. a mezzo del conferimento dell’immobile valutato Euro 10.000 e dell’accollo del mutuo di Euro 1.300.000 da parte della società conferitaria. La causa concreta dell’operazione non può, dunque, che essere ravvisata nella cessione dell’immobile alla Q. s.r.l., con conseguente assoggettamento dell’operazione all’imposta di registro calcolata non solo sull’importo di Euro 10.000 ma anche su quello di Euro 1.300.000 poichè la società conferente ha perduto la disponibilità dell’immobile per averne conferito la proprietà alla conferitaria ed ha trattenuto, a titolo di remunerazione, la somma di Euro 1.300.000 ricevuta n mutuo dalla banca. Non è ravvisabile alcuna altra causa concreta del negozio, posto che la realizzazione del fine sociale costituito dallo svolgimento di attività immobiliare con apporto paritetico da parte dei soci e con il ricorso al finanziamento di terzi avrebbe potuto essere perseguita con la sottoscrizione di quote di Euro 10.000 da parte di ciascuno dei soci e con l’accensione da parte della costituita società di un mutuo ipotecario che avrebbe consentito di acquistare l’immobile e di procedere alla sua ristrutturazione. Del resto le stesse contribuenti hanno dichiarato che il mutuo originariamente acceso dalla conferente era pari ad Euro 2.800.000 e che la residua parte di Euro 1.500.000 è stata conferita in seguito alla società per procedere alla ristrutturazione, senza peraltro precisare a quale titolo sia stata effettuata tale dazione alla Q. s.r.l.. Ciò conferma, dunque, anche per altra via la natura di corrispettivo della cessione dell’accollo del mutuo limitatamente alla parte di Euro 1.300.000.
Sostengono le contribuenti che dovrebbe trovare applicazione anche al caso che occupa il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 nel testo modificato dalla L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a), (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020) pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 302 del 29 dicembre 2017- Supp. Ord. n. 62 , ed entrata in vigore l’1 gennaio 2018. Il novellato art. 20 cit. prevede che “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”. Sennonchè alla norma non si può riconoscere l’effetto interpretativo di quella previgente poichè essa introduce dei limiti all’attività di riqualificazione giuridica della fattispecie che prima non erano previsti, fermo restando che l’amministrazione finanziaria può dimostrare la sussistenza dell’abuso del diritto previsto dall’ art. 10 bis della legge 212/2000 (introdotto dal D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128 ), il quale, alla lettera a), attribuisce espressamente rilevanza al collegamento negoziale, ma nel solo ambito, appunto, dell’abuso del diritto e non più in quello della mera riqualificazione giuridica. E mette conto considerare che l’orientamento giurisprudenziale prevalente ha escluso la natura antielusiva dell’art. 20 a beneficio di quella della qualificazione giuridica della fattispecie (Cass. 21676 del 2017; n. 6758 del 2017; n. 1955 del 2015; n. 24594 del 2015; n. 24594 del 2015; n. 1955 del 2015; contra n. 2054 del 2017; n. 6835 del 2013; n. 24452 del 2007; n. 2713 del 2002), per il che non si può affermare che la modifica introdotta al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 dalla L. 27 dicembre 2017, n. 205 abbia natura interpretativa alla luce della L. n. 212 del 2000, art. 10 bis poichè tale ultima norma disciplina il diverso ambito dell’abuso del diritto.
Non varrebbe obiettare che la relazione illustrativa alla L. n. 205 del 2017 assegna alla disposizione concernente l’imposta di registro il compito di “chiarire” il criterio di individuazione della natura e degli effetti che devono essere presi in considerazione ai fini della registrazione. Tale elemento può, infatti, agevolmente superarsi sulla base del tenore testuale infine adottato dallo stesso art. 1, comma 87 in esame, il quale dichiara espressamente di apportare talune “modificazioni” al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 palesandosi così quale disposizione prettamente innovativa del precedente assetto normativo. E ciò trova conferma, in accordo con il dato letterale del nuovo disposto, anche in ragione del fatto che tale modificazione ha determinato una rivisitazione strutturale profonda ed antitetica della fattispecie impositiva pregressa; là dove l’art.20 previgente (secondo l’indirizzo di legittimità) imponeva la tassazione sulla base di elementi (il dato extratestuale ed il collegamento negoziale) che vengono invece oggi espressamente esclusi; fatto salvo il loro recupero, come detto, nel diverso ambito della sopravvenuta disciplina dell’abuso del diritto di cui alla L. n. 212 del 2000 cit., art. 10 bis.
In definitiva, va dunque affermato che la L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a), non avendo natura interpretativa, ma innovativa, non esplica effetto retroattivo; conseguentemente, gli atti antecedenti alla data di sua entrata in vigore (1^ gennaio 2018) continuano ad essere assoggettati ad imposta di registro secondo la disciplina risultante dalla previgente formulazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20.
3. Il ricorso va, dunque, rigettato e le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a rifondere all’Agenzia delle Entrate e le spese processuali che liquida in Euro 7.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 gennaio 2018.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2018
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