Corte di Cassazione sentenza n. 20079 del 22 giugno 2022
IVA – VIES – cessione intracomunitaria – esenzione – onere di dimostrare l’effettività del trasporto della merce nel territorio dello Stato in cui risiede il cessionario – motivazione apparente
Fatti di causa
Dalla esposizione in fatto della sent1enza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato alla società B.G. s.r.l. ed ai soci M.A., M.N. e A.G. un avviso di accertamento, relativo all’anno 2011, con il quale aveva contestato l’effettuazione di cessioni intracomunitarie di beni in esenzione iva nei confronti di una società rumena in quanto le stesse erano da considerarsi inesistenti; avverso l’atto impositivo la società ed i soci avevano proposto ricorso che era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale dii Potenza; avverso la pronuncia del giudice di primo grado la società ed i soci avevano proposto appello.
La Commissione tributaria regionale della Basilicata ha accolto l’appello, in particolare ha ritenuto che: l’attribuzione del numero identificativo iva costituiva mero requisito formale, che, tuttavia, non poteva essere ostativo al riconoscimento del diritto alla non imponibilità dell’iva qualora ricorressero le condizioni sostanziali di una cessione comunitaria; nel caso di specie, la cessione intracomunitaria doveva essere ritenuta non imponibile in quanto era stata effettuata a titolo oneroso e risultava che i beni erano stati trasferiti in altro stato membro tra soggetti passivi d’imposta risultanti dalla iscrizione al Vies, non assumendo rilevanza le ulteriori vicende avvenute successivamente alla vendita tra il cedente nazionale e il cessionario; non era, infine, fondata la contestazione relativa alla fittizietà dell’operazione.
L’Agenzia delle entrate ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a otto motivi di censura, illustrato con successiva memoria, cui hanno resistito la società ed i soci depositando controricorso, illustrato con successiva memoria.
Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dott.ssa F.P., ha depositato le proprie conclusioni scritte con le quali ha chiesto l’accoglimento del quinto motivo di ricorso.
Ragioni della decisione
Per ragioni di ordine logico sistematico si ritiene di dovere esaminare unitariamente il primo, secondo, terzo e quarto motivo del ricorso. Con il primo motivo del ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 36, n. 4), d.lgs. n. 546/1992, dell’art. 132, n. 4), cod. proc. civ., per avere reso una motivazione apparente.
In particolare, evidenzia parte ricorrente che il giudice del gravame, dopo avere fatto riferimento alla non rilevanza della iscrizione al Vies e del possesso del codice identificativo iva da parte dell’operatore economico cessionario in caso di cessione intracomunitaria ed al relativo onere probatorio, ha affermato che le operazioni in esame erano connotate da tutti i requisiti richiesti per potersi ritenere che le stesse fossero state correttamente realizzate, cioè che le stesse fossero onerose, che l’acquirente fosse un effettivo operatore economico e che fosse avvenuto il trasferimento fisico della merce in altro stato dell’Unione.
Sotto tale profilo, lamenta parte ricorrente che la questione della cancellazione della F. dall’archivio Vies a partire dal 2010, circostanza sulla quale il giudice del gravame ha, in sostanza, basato la propria decisione, costituiva solo uno degli elementi presuntivi sulla cui base l’amministrazione finanziaria aveva emesso l’avviso di accertamento impugnato.
In realtà, evidenzia parte ricorrente che l’avviso di accertamento impugnato conteneva una duplice ragione di pretesa: in primo luogo, sul presupposto che le cessioni operate nel 2011 nei confronti della società cessionaria estera I.X. fossero soggettivamente inesistenti (in quanto quest’ultima era un mero missing trader) ed oggettivamente inesistenti (in quanto la merce non era mai pervenuta alla medesima) si era contestata l’indebita fruizione del regime di non imponibilità di cui all’art. 41, d.l. n. 331/1993; in secondo luogo, si era altresì contestato l’indebito utilizzo della qualifica di esportatore abituale, in quanto nell’anno 2011 la società non avrebbe potuto emettere lettere di intento nei confronti dei propri fornitori ed effettuare acquisti senza addebito di iva, poiché si era ritenuto che anche le cessioni effettuate nell’anno 2010 nei confronti della società rumena F. (da prendere a riferimento ai fini del riconoscimento nell’anno successivo dello status di esportatore abituale) erano da considerarsi imponibili, poiché il codice identificativo della medesima era cessato a for data dal giorno 1 agosto 2010 e la società di fatto non aveva mai operato, sicchè non risultava provata la soggettività passiva dell’acquirente comunitario, l’onerosità dell’operazione e il trasporto dei beni presso altro Stato membro.
Ciò precisato, parte ricorrente evidenzia che la questione relativa al numero identificativo iva costituiva circostanza non conferente con il thema decidendum così come posto alla cognizione del giudice del gravame: il suddetto profilo, invero, non atteneva in alcun modo alla ragione della pretesa relativa alla contestata non imponibilità dell’iva sulle cessioni compiute nei confronti della società I.X., nei confronti della quale, come detto, si era prospettata unicamente la inesistenza della medesima per essere una società cartiera, operante nell’ambito di una complessa operazione cli frode iva.
Sicchè, sotto tale profilo, quel che era stato devoluto al giudice del gravame era la verifica dei presupposti necessari per ritenere sussistente il diritto alla non imponibilità dell’iva sulle cessioni compiute nei confronti della suddetta società, senza che potesse avere alcuna rilevanza la diversa questione della cessazione del codice identificativo iva che, in realtà, intercettava solo il profilo relativo alla seconda ragione della pretesa.
Secondo parte ricorrente, il giudice del gravame ha deciso la questione della imponibilità iva delle cessioni compiute nei confronti della società rumena I.X. senza attenersi all’effettiva materia del contendere, come prospettato nell’avviso di accertamento e come contestato dalla società ed i soci sia con il ricorso introduttivo che con il successivo atto di appello avverso la pronuncia del giudice di primo grado.
Con il secondo motivo di ricorso sii censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 112, cod. proc. civ., in quanto ha reso una motivazione apparente, essendo inconferente, ai fini della decisione sulla questione della corretta applicazione del regime di non imponibilità dell’iva sulle cessioni compiute nei confronti della società rumena I.X., la circostanza della cancellazione dal registro Vies e la perdita del codice di identificazione iva, poiché essa riguardava unicamente l’altra ragione della pretesa concernente la contestazione della qualifica di esportatore abituale.
Con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 36, n.4), d. lgs. n. 546/1992, e dell’art. 132, n. 4), cod. proc. civ., per avere reso una motivazione apparente, per avere affermato che l’operazione di cessione nei confronti della società Industrie Xelion era connotata di tutti i requisiti richiesti ai fini della corretta applicazione del regime di non imponibilità iva (onerosità dell’operazione, effettività dell’operatore economico acquirente e del trasferimento dei beni) senza alcuna indicazione delle ragioni sulle base delle quali ha fondato il proprio convincimento.
Con il quarto motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 138, par. 1, Direttiva 2006/112/Ce e degli artt. 41 e 50, d.l. n. 331/1993, per avere erroneamente ritenuto che la regolarità delle operazioni di cessione intracomunitaria derivasse dalla circostanza della irrilevanza della successiva perdita del codice identificativo iva della società cessionaria.
I motivi sono fondati.
Si evince, in primo luogo, dalla sentenza censurata che: “Come giustamente rileva la Commissione europea, sarebbe contrario al principio di proporzionalità che il venditore sia considerato debitore dell’iva per la sola ragione che si è verificata una cancellazione del numero d’identificazione iva dell’acquirente specie laddove detta cancellazione sia avvenuta successivamente all’instaurazione del rapporto commerciale, come accade nel presente giudizio”.
Successivamente, la stessa sentenza argomenta sulla base della non rilevanza dell’aspetto formale della identificazione del soggetto passivo ai fini iva, essendo invece necessario accertate la sostanza dell’operazione e, a tal fine, evidenzia che: “Nel caso di specie si è in presenza di una cessione comunitaria non imponibile iva dal momento che la stessa è stata effettuata a titolo oneroso, risulta che i beni sono stati trasferiti in altro stato membro tra soggetti passivi d’imposta comunitari risultante dalla iscrizione al Vies”, essendo, peraltro, irrilevanti: “le ulteriori vicende avvenute successivamente alla vendita tra operatore italiano e operatore bulgaro”, in quanto le stesse: “non possono influire sulla detraibilità o meno dell’iva da parte dell’operatore italiano”.
La decisione assunta dal giudice del gravame, dunque, incentra la definizione della controversia ragionando unicamente sulla questione della non rilevanza del successivo venire meno della iscrizione al Vies, essendo rilevante il fatto che, ai fini della individuazione della soggettività passiva del cessionario, questi risultasse iscritto al Vies al momento della realizzazione delle operazioni.
Tuttavia, così motivando, il giudice del gravame nori ha tenuto conto di quale fosse l’effettivo thema decidendum posto alla sua attenzione.
Dagli atti delle parti si evince che la pretesa dell’amministrazione finanziaria, con riferimento alla quale aveva deciso il giudice di primo grado in senso sfavorevole alla società ed ai soci e successivamente posta alla cognizione del giudice del gravame con l’atto di appello, aveva riguardo ad una duplice pretesa: da un lato, si era contestata l’indebita fruizione del regime di non imponibilità di cui all’art. 41, d.l. n. 331/1993, sul presupposto che le cessioni operate nel 2011 nei confronti della società cessionari21 estera I.X. fossero soggettivamente inesistenti (in quanto quest’ultima era un mero missing trader) ed oggettivamente inesistenti (in quanto la merce non era mai pervenuta alla medesima); d’altro lato, si era altresì contestato l’indebito utilizzo della qualifica di esportatore abituale, in quanto nell’anno 2011 la società non avrebbe potuto emettere lettere di intento nei confronti dei propri fornitori ed effettuare acquisti senza addebito di iva, poiché si era ritenuto che anche le cessioni effettuate nell’anno 2010 nei confronti della società rumena F. (da prendere a riferimento ai fini del riconoscimento nell’anno successivo dello status di esportatore abituale) erano da considerarsi imponibili, poiché il codice identificativo della medesima era cessato a far data dal giorno 1 agosto 2010 e la società di fatto non aveva mai operato, sicchè non risultava provata la soggettività passiva dell’acquirente comunitario, l’onerosità dell’operazione e il trasporto dei beni presso altro Stato membro.
Ciò si evince sia dal contenuto del ricorso (vd. Pagg. 8, 10, 13, 21), sia dall’atto di appello della società e dei soci (riprodotto dalla ricorrente) in cui, con riferimento alla questione della non imponibilità dell’iva sulle cessioni compiute nei confronti della società I.X., non era in alcun modo posto in luce che la pretesa si basava sulla mancanza di iscrizione al Vies della medesima, quanto, piuttosto, sulla esistenza di un meccanismo fraudolento in cui quest’ultima società era stata ritenuta soggettivamente inesistente ed in cui la merce non era effettivamente pervenuta alla società cessionaria.
La questione relativa alla mancanza di iscrizione al Vies, in realtà, aveva avuto riguardo al secondo rilievo e non riguardava la società I.X., ma altra società cessionaria (F.), con riferimento alla quale, anche in questo caso, si era ipotizzata la partecipazione della medesima in un complesso meccanismo di frode iva.
Si evince, in particolare, dal ricorso che la società ed i soci, con il quinto motivo di appello (vd. pag 31., ricorso), avevano censurato la decisione del giudice di primo grado proprio per non avere statuito in ordine alla diversa questione della contestazione dello status di esportatore abituale della società.
In sostanza, quel che era stato devoluto al giudice del gravame era la necessaria verifica della legittimità della pretesa sotto i due diversi profili in contestazione, in cui solo per il secondo emergeva la questione del venire meno dell’iscriziione al Vies.
D’altro lato, con riferimento ad entrambi i profili della pretesa, quel che l’amministrazione finanziaria aveva, in sostanza, contestato, era la esistenza di un meccanismo fraudolento, in cui sia la società F. che la società I.X., entrambe cessionarie rumene, erano state ritenute mere cartiere, sicchè si era prospettata sia la non applicabilità del regime di non imponibilità dell’iva che la non qualificabilità della società contribuente quale esportatore abituale in base all’assunto che le società cessionarie erano mere cartiere e che il trasporto non era mai avvenuto in favore delle cessionarie.
Il giudice di primo grado, invero, aveva rigettato l’impugnazione proposta dalla società e dai soci in quanto aveva ritenuto che mancava la prova dell’effettivo trasferimento dei beni presso la società cessionaria nonché dei pagamenti e, avverso la suddetta pronuncia, la società ed soci avevano proposto appello prospettando le seguenti ragioni di censura: omessa valutazione dei documenti prodotti al fine di provare l’effettività del trasporto presso la società comunitaria e per contrastare la tesi dell’amministrazione finanziaria secondo cui la cessionaria non era una società realmente esistente; omessa valutazione della effettività dei pagamenti; illegittimità della sentenza in quanto il giudice di primo grado aveva erroneamente ritenuto che la società cessionaria estera non fosse un soggetto passivo iva, sia in quanto non rilevava la mancata iscrizione al Vies sia in quanto non era corretta la prospettazione secondo cui la stessa fosse un missing trader; Illegittimità della sentenza per avere ritenuto irrilevante l’assenza di vantaggi economici per la società nell’ambito della prospettazione della ritenuta partecipazione ad una frode; omessa motivazione relativa alla eccezione di contraddittorietà della motivazione; omessa motivazione sulla questione della contestazione dello status di esportatore abituale.
I motivi di appello della società e dei soci erano orientati a ribaltare la pronuncia del giudice di primo che, invece, aveva ritenuto mancanti i presupposti per potere ritenere che le operazioni fossero non imponibili, cioè la soggettività passiva della società cessionaria e l’effettivo trasferimento della merce.
In questo quadro ricostruttivo del thema decidendum, dunque, il giudice del gravame avrebbe dovuto orientare la decisione accertando, in fatto, se: con riferimento al primo profilo della pretesa, la società cessionaria fosse un soggetto esistente, cioè un reale soggetto economico cui attribuire la soggettività passiva iva, e, in questo ambito, verificare se la merce fosse stata effettivamente ad essa trasportata, tenuto conto della complessiva prospettazione, posta a fondamento della pretesa impositiva, della natura fraudolenta dell’operazione; con riferimento al secondo profilo della pretesa, potesse essere riconosciuto lo status di esportare abituale, e, in particolare, verificare se la società F., a prescindere dal venire meno del codice identificativo iva, fossi anch’essa un soggetto passivo esistente ai fini iva ed avesse! effettivamente ricevuto i beni oggetto di cessione; in entrambi i casi, se fosse da escludere un meccanismo fraudolento.
La pronuncia del giudice del gravame ha incentrato la disamina su di un unico profilo, quello relativo alla non rilevanza del venire meno dell’iscrizione al Vies che non attiene al thema decidendum che era stato posto alla sua cognizione.
La suddetta circostanza, in realtà, non è in alcun modo conferente con il profilo della pretesa relativo alla contestazione della soggettività passiva della cessionaria I.X..
Inoltre, sia con riferimento a tale profilo che con riferimento al profilo della pretesa relativo alla contestazione dello status di esportatore abituale, quel che, come detto, il giudice del gravame avrebbe dovuto accertare era se la società ed i soci avevano effettivamente dato la prova dell’effettività dell’operazione, cioè del trasporto della merce presso le società cessionarie estere e della qualificabilità delle stesse quali soggetti passivi ai fini !va, dunque della sua effettiva operatività quale soggetto economico.
Va precisato, a tal proposito, che la Corte di giustizia (causa c-21/16) ha precisato che l’articolo 131 e l’articolo 138, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, devono essere interpretati nel senso che ostano a che l’amministrazione tributaria di uno Stato membro neghi l’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto di una cessione intracomunitaria per il sollo motivo che, al momento di tale cessione, l’acquirente, domiciliato sul territorio dello Stato membro di destinazione e titolare di un numero di identificazione di imposta sul valore aggiunto valido per le operazioni in tale Stato, non è iscritto al sistema di scambio di informazioni in materia di imposta sul valore aggiunto e non è assoggettato ad un regime di tassazione degli acquisti intracomunitari, allorché non esiste alcun serio indizio che lasci supporre l’esistenza di una frode ed è dimostrato che sono soddisfatte le condizioni sostanziali dell’esenzione.
In sostanza, al fine di negare l’imponibilità della cessione intracomunitaria, non è rilevante la mancata iscrizione al Vies, salvo che sussistano elementi presuntivi che inducano a ritenere che le operazioni siano state realizzate al fine di perseguire un intento fraudolento e purchè sia dimostrato che sussistano le condizioni sostanziali che devono essere a fondamento del riconoscimento della non imponibilità dell’iva.
La stessa Corte di giustizia evidenzia sulla base di quali specifici elementi deve essere valutata la sussistenza della soggettività passiva, in particolare ha evidenziato che la definizione di soggetto passivo, enunciata all’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva IVA, riguarda esclusivamente la persona che compie, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, quali che siano gli scopi e i risultati di tale attività, senza subordinare detta qualità al fatto che il soggetto possieda un numero di identificazione IVA (v., in tal senso, sentenza del 27 settembre 2012, VSTR, C-587/10, EU:C:2012: 592, punto 49 e giurisprudenza ivi citata), eventualmente specifico alla realizzazione di operazioni intracomunitarie, oppure che tale persona sia iscritta al sistema VIES. Dalla giurisprudenza della Corte risulta, inoltre , che il soggetto passivo agisce in tale qualità quando effettua operazioni nell’ambito della propria attività imponibile (v ., in tal senso, sentenza del 27 settembre 2012, VSTR, C-587/10, EU:C:2012:592, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).
In particolare, per quanto riguarda i requisiti sostanziali che devono essere soddisfatti affinchè un’operazione possa essere qualificata come cessione intracomunitaria ai sensi dell’art. 28 quater, punto A, lett. a), comma 1, della sesta direttiva (aggiunto dalla Direttiva 16.12.91, n. 91/680), va osservato che dalla giurisprudenza comunitaria risulta che rientrano in tale nozione, e sono pertanto esentate dall’IVA, le cessioni di beni spediti o trasportati, dal venditore o dall’acquirente, o per loro conto, fuori dal territorio di uno Stato membro, ma all’interno dell’Unione, effettuate per un altro soggetto passivo di imposta che agisce in quanto tale in altro Stato membro, e che si traducono nel trasferimento del potere di disporre di un bene come proprietario (cfr. e Giust. CE, 7.12.10, C-285/09, C. Giust. CE, 27.9.12, cit.).
La giurisprudenza comunitaria ha precisato, inoltre, che spetta al fornitore di beni provare che sono soddisfatte le condizioni di applicazione dell’art. 28 quater, punto A, lett. a), comma 1, della sesta direttiva, comprese quelle imposte dagli Stati membri per una corretta e semplice applicazione delle esenzioni e per prevenire ogni possibile frode, evasione fiscale o condotta concretante abuso del diritto (v. C. Giust. CE, 7.12.10, cit.).
Questa Corte, anche di recente, ha precisato che, in caso di cessioni intracomunitarie, il cedente ha l’onere di dimostrare l’effettività del trasporto della merce nel territorio dello Stato in cui risiede il cessionario; in mancanza, deve emergere la sua buona fede, cioè che egli non sapesse o non avrebbe dovuto sapere che l’operazione effettuata rientrava in un’evasione posta in essere dall’acquirente e, ciò nonostante, non avesse adottato tutte le misure ragionevoli per evitare di parteciparvi, così come stabilito da CGUE 6 settembre 2012, in C-273/11, Mecsek (Cass. n. 26062 del 30/12/2015; Cass. 4636 del 26/02/2014. Si veda, da ultimo, anche CGUE 17 ottobre 2019, in causa C-653/18, Unite).
Ed è stato, inoltre, affermato il seguente principio di diritto: “in tema di IVA, ove l’Amministrazione finanziaria contesti l’imponibilità di cessioni relative a merci che si ritengano fittiziamente esportate in altro Paese membro della UE, grava sul cedente l’onere di provare l’effettività del trasporto nel territorio dello Stato in cui risiede il cessionario“.
Dunque, l’attribuzione del numero identificativo e la sua conferma da parte dell’autorità dello Stato di destinazione della merce forniscono la prova dello status fiscale del soggetto passivo dell’operazione ed agevolano il controllo tributario della stessa, ma la loro concreta assenza assume uno specifico rilievo, ai fini di negare la non imponibilità della cessione, qualora tale violazione formale abbia l’effetto di impedire la dimostrazione certa che i requisiti sostanziali dell’operazione intracomunitaria erano stati soddisfatti (C. Giust. CE, 27.9.07, c- 146/05).
In altri termini, se la mancata indicazione, da parte del fornitore, del numero di identificazione del cessionario, o l’omessa richiesta di conferma della validità di tale numero, al momento in cui la cessione viene compiuta, non possono di per sè giustificare il diniego di non imposizione dell’operazione effettuata, è pur sempre necessario che il fornitore medesimo fornisca indicazioni idonee a dimostrare che l’acquirente è un soggetto passivo che agisce in quanto tale nell’ambito dell’operazione di cui trattasi (C. Giust. CE, 27. 9.12, C- 587 /10).
In difetto di tale dimostrazione, invero, anche il mancato compimento dei suddetti adempimenti formali, richiesti dalla normativa nazionale (D.L. n. 331 del 1993, art. 50) e comunitaria (Direttive CE in materia), assume uno specifico rilievo, ai fini di negare il diritto alla non assoggettabilità ad imposta dell’operazione di cessione intracomunitaria, in quanto si traduce in un impedimento alla dimostrazione certa di uno dei requisiti sostanziali di tale cessione, costituito dallo status fiscale di soggetto passivo IVA del cessionario intracomunitario (cfr. Cass. 3603/09).
In tale prospettiva, se è certamente irrilevante ai fini dell’esclusione di tale diritto il fatto che il numero di identificazione dell’acquirente, valido al momento dell’esecuzione dell’operazione, sia stato, successivamente al suo compimento, cancellato dall’autorità del Paese di destinazione della merce con efficacia retroattiva (è la fattispecie presa in esame da C.. Giust. CE, 6.9.12, cit.), a conclusione ben diversa deve pervenirsi laddove tale numero sia del tutto inesistente, ovvero fornisca indicazioni in contrasto con il riconoscimento della qualità di soggetto passiva IVA del cessionario, o la sua validità non sia stata confermata dall’autorità dello Stato di appartenenza dell’acquirente. E ciò, laddove il cedente dei beni non sia stato in grado di fornire la dimostrazione della sussistenza dei presupposti di fatto che possano giustificare la deroga al normale regime impositivo, provando che, al di là delle violazioni formali, sussistano le caratteristiche sostanziali di affidabilità della controparte, sotto il profilo dello stc1tus fiscale di soggetto passivo IVA nello Stato di appartenenza, che legittimano· la non assoggettabilità ad imposta della cessione intracomunitaria di cui si tratti (cfr. Cass. 3603/09, 13457/12]1.
In sostanza, al di là del profilo formale relativo alla esistenza o meno del codice identificativo iva, ove la amministrazione finanziaria, come nel caso in esame, prospetti, con riferimento ad entrambe le ragioni della pretesa, la natura fraudolenta dell’operazione e, in particolare, la natura di società cartiera della cessionaria comunitaria, il cedente ha l’onere di provare l’effettività della cessione e, dunque, che il trasporto è effettivamente avvenuto, nonché la sostanziale qualità di soggetto passivo del cessionario, secondo i requisiti sopra precisati. Con riferimento al caso di specie, la pronuncia censurata ha limitato la propria considerazione sul solo profilo della irrilevanza della successiva cancellazione della cessionaria dal Vies, ma non ha in alcun modo provveduto ad accertare, con riferimento ad entrambi i profili della pretesa fatta valere dall’amministrazione finanziaria, sulla base delle stesse deduzioni difensive prospettate dalla società e dai soci, che l’operazione non aveva alcun intento frodatorio, che il trasporto era effettivamente avvenuto e che il cessionario fosse un soggetto qualificabile quale soggetto passivo.
Né può avere rilievo l’affermazione, contenuta in sentenza secondo cui “Nel caso di specie si è in presenza di una cessione comunitaria non imponibile iva dal momento che la stessa è stata effettuata a titolo oneroso, risulta che i beni sono stati trasferiti in altro stato membro tra soggetti passivi d’imposta comunitari risultanti dalla iscrizione al Vies”.
In realtà, con il suddetto passaggio motivazionale il giudice del gravame non risulta avere compiuto alcun accertamento in fatto in ordine alle specifiche questioni che erano state poste alla sua attenzione, cioè l’effettività dei trasferimenti e la qualificabilità dei cessionari come soggetti passivi.
Quest’ultima affermazione, in particolare, risulta riferita alla mera circostanza della precedente iscrizione al Vies ed alla successiva considerazione che: “Le ulteriori vicende avvenute successivamente alla vendita tra operatore italiano e operatore bulgaro non possono influire sulla detraibilità o meno dell’iva da parte de/l’operatore italiano”.
Manca, quindi, un preciso ragionamento logico in ordine alle diverse ed ulteriori questioni che erano state poste alla sua attenzione, cioè la ragione della sussistenza dei presupposti sostanziali per potere ritenere effettive le operazioni, sia sotto il profilo della verifica dell’avvenuto trasporto che dell”effettiva qualificabilità della cessionaria quale soggetto passivo ai fini iva.
Ciò, tenuto conto che questa Corte a Sezioni Unite (Cass. 22232/2016; Cass. 8053/2014) ha invero affermato che: “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “errar in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a, far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture“.
Né può darsi rilievo al successivo passaggio motivazionale con il quale il giudice del gravame ha ritenuto di dovere escludere la natura fittizia delle operazioni.
L’affermazione del giudice del gravame è basata su mere ed astratte considerazioni, senza alcuna verifica in concreto della natura fittizia delle operazioni.
Il giudice del gravame, invero, ha escluso la fittizietè1 dell’operazione ragionando: ora, sulla inverosimiglianza del fatto che il cedente possa avere realizzato un’operazione fittizia senza che gli sia stata contestata la mancanza di strutture o l’inesistenza di idonea capacità produttiva; ora, sul fatto che il venditore può indursi all’emissione di fatture per operazioni inesistenti solo se questo non incida sul proprio volume di affari, essendo l’iva una imposta neutra; ora sulla richiesta di archiviazione del pubblica ministero, clhe si esprime in termini di sospetti e non di indizi e, comunque, qualifica come cartiere le società estere, quindi non riferibile alla società interna, ora al fatto che la stessa prospettazione dell’amministrazione finanziaria avrebbe confermato l’esistenza delle operazioni.
Si tratta, tuttavia, di profili non conferenti con l’accertamento che il giudice del gravame avrebbe dovuto compiere nel caso di specie, secondo quanto rilevato.
Ne consegue che la pronuncia censurata è viziata per violazione dell’art. 112, cod. proc. civ., non avendo pronunciato sulle specifiche questioni che erano state poste alla sua attenzione, in relazione al thema decidendum delineato dagli stessi atti difensivi delle parti, nonché per motivazione apparente, avendo solo in astratto affermato che le operazioni di cessione intracomunitarie fossero non imponibili ai fini iva, senza, tuttavia, esporre il ragionamento logico seguito per pervenire alla considerazione finale; la stessa, inoltre, è viziata da violazione di legge, non avendo correttamente applicato i principi sopra riportati in ordine alla verifica dell’effettività dell’operazione.
L’accoglimento del primo, secondo, terzo e quarto motivo di ricorso comporta l’assorbimento dei restanti motivi, in particolare: del quinto, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., per omessa valutazione circa un fatto decisivo per il giudizio relativo alla fittizità della società cessionaria; del sesto, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione degli artt. 1 e 17, d.P.R. n. 633/1972, nonché degli artt. 41, 45 e 46, d.l. n. 331/1993, per avere escluso la fittizietà dell’operazione di cessione intracomunitaria; del settimo, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt 498, 411 e 654, cod. proc. pen., per avere escluso la fittizietà dell’operazioni sulla base di una automatica applicazione del decreto di archiviazione; dell’ottavo, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 36, d.lgs. n. 546/1992, e dell’art. 132, n. 4), c:od. proc. civ., per non avere motivato sulle ragioni per le quali ha ritenuto rilevante il decreto di archiviazione.
In conclusione, sono fondati il primo, secondo, terzo e quarto motivo di ricorso, assorbiti i restanti, con conseguente cassazione della pronuncia censurata e rinvio alla Commissione tributaria regionale anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il primo, secondo, terzo e quarto motivo, assorbiti i restanti, cassa la sentenza censurata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Basilicata, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.
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- Corte di Cassazione sentenza n. 22679 depositata il 20 luglio 2022 - In tema di prova per presunzioni, il giudice, posto che deve esercitare la sua discrezionalità nell'apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile…
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