Corte di Cassazione sentenza n. 20081 del 22 giugno 2022
IVA – detraibilità – mancata indicazione in fattura della natura e quantità – reddito d’impresa – componenti del reddito devono essere certi e determinati
Fatti di causa
Dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato alla società S.T. s.p.a ., esercente l’attività di “altri trasporti terrestri regolari”, un avviso di accertamento con il quale, relativamente all’anno di imposta 2004, aveva contestato, ai fini Irpeg e Irap, costi non deducibili in quanto non inerenti o privi di certezza o non di competenza e, ai fini Iva, costi non detraibili, irrogando le conseguenti sanzioni; avverso l’atto impositivo la società aveva proposto ricorso che era stato parzialmente: accolto dalla Commissione tributaria provinciale cli Palermo, avendo riconosciuto la deducibilità dei costi che l’amministrazione finanziaria aveva ritenuto non inerenti; avverso la pronuncia del giudice di primo grado la società aveva proposto appello principale e l’Agenzia delle entrate appello incidentale.
La Commissione tributaria regionale della Sicilia ha rigettato l’appello principale della società ed accolto quello incidentale dell’amministrazione finanziaria, in particolare ha ritenuto che: circa i costi ritenuti non inerenti, la società non aveva dato prova dell’effettività degli stessi; circa i costi privi di certezza, attesa la genericità delle operazioni indicate in fattura e la mancata indicazione del servizio ricevuto, la società non aveva assolto all’onere di provare quali prestazioni avesse effettivamente ricevuto ed i mezzi sui quali si sarebbe eseguito il servizio di manutenzione e pulizia; circa, infine, la pretesa relativa ai costi non di competenza, le spese relative ai canoni di locazione per l’esercizio 2003 erano state inserite nel conto economico dell’esercizio 2004 sia a titolo di canoni di locazione che di sopravvenienze passive, e quelle relative alle fatture emesse dalle società facenti parte dell’ATI, pur riguardando spese di competenza dell’anno 2003, erano state inserite nel conto economico dell’esercizio 2004, e., inoltre, circa la questione della mancata concorrenza delle sopravvenienze passive alla formazione della base imponibile Irap, la società non aveva prodotto il necessario prospetto di raccordo tira le variazioni contestate e le variazioni portate in aumento della base imponibile; erano, infine, da considerarsi assorbite le ulteriori questioni prospettate dalle parti.
La società ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza, illustrato con successiva memoria, affidato a otto motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso.
Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dott.ssa F.P., ha depositato l,e proprie conclusioni scritte con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo del ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 19, d.P.R. n. 633/1972, in combinato disposto con l’art. 17, Direttiva Cee n. 388/1977, e degli artt. 167 e ss., Direttiva n. 2006/112/Ce, per avere erroneamente negato il diritto alla detrazione iva, regolarmente assolta e contabilizzata sulle fatture emesse nei confronti della ricorrente dalle società M. s.r.l. e I.A. s.r.l. per il servizio di manutenzione e pulizia sulle vetture facenti parte del parco macchine della medesima ricorrente in quanto, sebbene fosse incontestata l’esistenza, la strumentalità e l’inerenza all’attività di impresa, era stata ritenuta l’assenza del requisito della certezza in ragione del contenuto generico dei documenti contabili.
Evidenzia parte ricorrente che il sistema fondante il regime dell’iva, incentrato sul principio di neutralità, comporta che il diritto alla detrazione deve essere ritenuto autonomo rispetto a quanto stabilito dalle norme sul reddito di impresa, sicchè il giudice del gravame, tenuto conto dei principi della giurisprudenza comunitaria, avrebbe dovuto riconoscere il diritto alla detrazione dell’iva indipendentemente dalla deducibilità del costo, atteso che l’amministrazione finanziaria, pur avendo sostenuto la mancanza di certezza dei costi relativi alle operazioni, non aveva mai messo in dubbio l’effettività delle stesse e la strumentalità all’attività di impresa, né aveva prospettato un eventuale intento fraudolento.
Il motivo è infondato.
Si evince dalla sentenza censurata che la pretesa relativa alla non detraibilità dell’iva di cui alle fatture emesse dalle società I.A. s.r.l. e M. s.r.l. era basata sulla constatazione della genericità e mancanza di specifica indicazione nelle fatture dei servizi ricevuti e, a tal proposito, il giudice del gravame ha ritenuto che, rispetto a tale contestazione, la società .aveva prodotto una documentazione non idonea ( contratto non registrato e privo di data certa e, inoltre, non aveva prodotto altra documentazione che consentisse di accertare quali prestazioni fossero state effettivamente ricevute e, in particolare, quali mezzi della società ricorrente erano stati oggetto di specifica manutenzione e pulizia.
In sostanza, al di là del dato formale relativo alla emissione delle fatture, la genericità delle stesse aveva condotto il giudice del gravame ad escludere non solo la deducibilità dei costi, ma anche la detraibilità dell’iva, non sussistendo certezza dell’effettiva ricezione della prestazione (“Di conseguenza.,. in assenza degli elementi di certezza e precisione di cui si è già detto, l’Ufficio ha legittimamente recuperato sul suddetto importo la relativa iva., per l’evidente violazione dell’art. 19 del d.P.R. n. 633/1972).
Va quindi precisato che il principio secondo il quale, a fronte di una regolare fattura, opera la presunzione di veridicità di quanto in essa rappresentato, presuppone che essa sia stata redatta in conformità ai requisiti di forma e contenuto prescritti dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21 (v. Cass. n. 18208 del 24/06/2021; Cass. n. 29290 del 14/11/2018; Cass. n. 21980 del 28/10/2015; Cass. n. 21446 del 10/10/2014).
In una tale evenienza, infatti, la fattura diviene inidonea a costituire titolo per il contribuente ai fini del diritto alla deduzione dei relativi costi, mentre l’Amministrazione finanziaria può contestare l’effettività delle operazioni ad essa sottese e ritenere indeducibili i costi indicati (Cass. n. 9912 del 27/05/2020).
L’esigenza, dunque, di una corretta descrizione nella fattura delle prestazioni di servizi ricevute assume rilevanza ai fini della verifica dell’effettività della prestazione.
A tal proposito, la Corte di giustizia (con sentenza 15 settembre 2016, causa C-516/14, Barlis 06 ··· Investimentos Imobiliàrios e Tudsticos SA c. Autoridade Tribudria e Aduaneira), seguita dalla giurisprudenza interna (Cass. 6 ottobre 2017, n. 23384, n. 10211 e n. 13882 del 2018), nell’esaminare le condizioni formali di esercizio del diritto di detrazione dell’imposta, ha considerato che la normativa unionale prescrive l’obbligatorietà dell’indicazione dell’entità e della natura dei servizi forniti (art. 226, punto 6 della direttiva n. 112 del 2006, di contenuto analogo all’omologa norma della sesta direttiva), nonchè della specificazione della data (art. 226, punto 7) in cui è effettuata o ultimata la prestazione di servizi; ciò al fine di consentire alle amministrazioni finanziarie di controllare l’assolvimento dell’imposta dovuta e, se del caso, la sussistenza del diritto alla detrazione dell’iva. In tal caso, incombe su colui che chiede la detrazione dell’iva l’onere di dimostrare di soddisfare le condizioni per fruirne e, per conseguenza, di fornire elementi e prove, anche integrativi e succedanei rispetto alle fatture, che l’Amministrazione ritenga necessari per valutare se si debba riconoscere, o no, la detrazione richiesta, in particolare l’effettività della prestazione.
Nella specie, come detto, il giudice del gravame si è conformato ai suddetti principi, avendo ritenuto che la mancanza di certezza delle prestazioni di servizi, genericamente indicate nelle fatture, fosse ostativa al riconoscimento non solo del diritto alla deducibilità dei costi, ma anche della detrazione dell’iva.
Non correttamente, dunque, parte ricorrente richiama il principio di neutralità dell’iva e, conseguentemente, argomenta sulla base della differenziazione del regime di deducibilità del costo e di detraibilità dell’iva: in entrambi i casi, il presupposto ostativo al loro riconoscimento è stato l’accertamento circa la mancanza di prova dell’effettività della prestazione.
L’accertamento, in particolare, della non effettivitù dell’esecuzione delle prestazioni di cui alle fatture è ostativo al riconoscimento del diritto alla detrazione.
Con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per difetto di motivazione, ai sensi dell’art. 1, comma 2, e 36, comma 2, n. 4), d.lgs. n. 546/1992, nonché degli artt. 132, comma 2, n. 4), e 112, cod. proc. civ., e dell’art. 118, disp. Att., cod. proc. civ..
In particolare, parte ricorrente evidenzia che il giudice del gravame ha escluso il diritto alla detrazione iva di cui alle fatture emesse dalle società I.A. s.r.l. e M. s.r.l. senza indicare in alcun modo il processo logico seguito, limitandosi ad operare un richiamo incondizionato a quanto sostenuto dall’amministrazione finanziaria.
Il motivo è infondato.
Come già osservato in sede di esame del primo motivo di ricorso, il giudice del gravame ha disconosciuto il diritto alla detrazione dell’iva in ordine alle fatture emesse dalle società I.A. s.r.l. e M. s.r.l. avendo accertato la genericità delle suddette fatture e la non idoneità e mancanza di prova contraria, precisando specificamente che la mancanza di certezza delle prestazioni di servizi effettivamente ricevuti aveva rilevanza sia ai fini delle imposte dirette che ai fini iva. È proprio sulla ravvisata inesistenza della certezza della prestazione che, in sostanza, il giudice del gravame ha ritenuto di dovere disconoscere il diritto alla detrazione iva, esponendo, in tal modo, il ragionamento logico seguito.
Con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 1, comma 2, e dell’art. 36, comma 2, n. 4), d.lgs. n. 546/1992, nonché degli artt. 132, comma 2, n. 4) e 112, cod. proc. civ., e dell’art. 118, disp. Att. cod. proc. civ., in ordine alla statuizione di assorbimento dell’eccezione proposta dalla ricorrente sulla questione della violazione e falsa applicazione dell’art. 19, d.P.R. n. 633/1972.
In particolare, evidenzia parte ricorrente che la questione relativa alla sussistenza del diritto alla detrazione dell’iva non avrebbe potuto essere definita con la mera affermazione, contenuta in sentenza, che “tutti gli altri motivi, rilievi ed eccezioni, sollevati dalle parti, sono da considerarsi assorbiti”.
Il motivo è infondato.
Come già precisato, il giudice del gravame ha specificamente definito la questione della non sussistenza del diritto alla detrazione iva, indicando l’argomento logico seguito: la pronuncia di assorbimento, dunque, non attiene alla specifica questione in esame sulla quale, invero, il giudice si è espressamente pronunciato.
Con il quarto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 1, comma 2, e dell’art. 36, comma 2, n. 4), d.lç1s. n. 546/1992, nonché degli artt. 132, comma 2, n. 4) e 112, cod. proc. civ., e dell’art. 118, disp. Att. cod. proc. civ.., in ordine alla statuizione sulle sopravvenienze passive nel calcolo del valore della produzione netta ai fini Irap.
In particolare, evidenzia parte ricorrente che la questione dell’esclusione dal calcolo della produzione netta ai fini Irap delle sopravvenienze passive quali costi del 2003 e contabilizzati nel 2004, era stata sottoposta all’attenzione del giudice del gravame e, allo stesso, era stato evidenziato che erano state escluse dal calcolo le fatture per le quali, invece, si era contestata la contabilizzazione delle suddette sopravvenienze passive tra le componenti negative in quanto relative a costi di competenza dell’anno 2003: secondo parte ricorrente, erroneamente l’ufficio aveva ritenuto di sottrarre tali voci di spesa dai componenti negativi ai fini Irap, poiché i suddetti importi risultavano già esclusi per legge.
Evidenzia, inoltre, che: il ragionamento logico seguito dal giudice del gravame non sarebbe tale da rendere legittima la pretesa dell’amministrazione finanziaria, anche tenuto conto del fatto che la ricorrente aveva dimostrato di non avere incluso nel calcolo della produzione netta le sopravvenienze passive; il giudice del gravame avrebbe compiuto una inversione dell’onere probatorio, in quanto era l’amministrazione finanziaria che avrebbe dovuto provare la legittimità della pretesa; il giudice del gravame non si sarebbe espresso sugli effetti del giudicato di cui alla sentenza della ctp di Palermo n. 474/04/09, avente ad oggetto altro avviso di accertamento emesso per l’anno 2003 ed in cui l’amministrazione finanziaria era incorsa nel medesimo errore relativo alla contabilizzazione delle sopravvenienze passive nei componenti negativi ai fini Irap.
Il motivo è infondato.
Il giudice del gravame ha esaminato la questione relativa alla contestazione della ricorrente in ordine al fatto che “/e sopravvenienze passive …non hanno mai concorso alla formazione della base imponibile Irap”, ed ha ritenuto che la questione non poteva trovare accoglimento, in quanto il modello Irap 2005, relativo al bilancio 2004, fornito dalla ricorrente, indicava variazioni in aumento della base imponibile di importo diverso rispetto agli importi in contestazione e che, inoltre, non era stato prodotto il necessario prospetto di raccordo tra le variazioni contestate e le variazioni portate in aumento della base imponibile.
Diversamente da quanto ritenuto dalla ricorrente, dunque, il giudice del gravame ha espresso il proprio ragionamento diretto a contrastare la prospettazione della ricorrente in ordine alla non concorrenza delle sopravvenienze passive alla formazione della base imponibile Irap.
Non può, quindi, ragionarsi in termini di mancata pronuncia sulla questione in esame o di mancanza dii motivazione sul punto.
Né possono assumere rilevanza gli ulteriori profili di censura prospettati nell’ambito del presente motivo relativi alla non corretta applicazione dell’onere della prova ovvero alla questione del passaggio in giudicato di altra pronuncia resa con riferimento al precedente anno di imposta.
Il primo profilo attiene, semmai, ad una censura di violazione di legge, non riconducibile nell’ambito della censura per errar in procedendo, come prospettato dalla ricorrente.
Il secondo profilo, con il quale si prospetta la mancata considerazione del passaggio in giudicato di altra sentenza relativa all’anno 2003, risulta, in realtà, definito con la affermazione, compiuta in sentenza, secondo cui “tutti gli altri motivi, rilievi ed eccezioni, sollevati dalle parti, sono dà considerarsi assorbiti”:.
Rispetto a tale specifica statuizione, che coinvolge anche la questione degli effetti del giudicato prospettato dalla ricorrente, non conferente è, dunque, la prospettazione di una omessa pronuncia.
Con il quinto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per viiolazione e falsa applicazione degli artt. 5, 5bis e 19,, d.lgs. n. 446/1997, e dell’art. 53, Cost.
Evidenzia parte ricorrente che dalla previsione contenuta nell’art. 19, d.lgs. n. 446/1997 si evince il principio, in materia Irap, della “presa diretta”, secondo cui le componenti positive e negative per il calcolo della produzione netta devono essere riferite all’anno di competenza, sicchè le sopravvenienze passive non concorrono alla determinazione Irap, sicchè il giudice del gravame sarebbe incorso nella violazione di legge per avere ritenuto di dovere includere le sopravvenienze passive tra le componenti negative per il calcolo del valore della produzione netta, aumentando i componenti positivi dell’ammontare dei costi indeducibili, falsando, in tal modo, la capacità contributiva della ricorrente.
Il motivo è infondato.
Il giudice del gravame ha esaminato, come già osservato, la questione della non concorrenza.,. nel caso cli specie, delle sopravvenienze passive alla formazione della base imponibile Irap, ed ha ritenuto, con una valutazione in fatto non censurabile in questa sede, che tale circostanza, sebbene sostenuta dalla ricorrente, non trovava riscontro alla luce della contabilità prodotta.
Diversamente da quanto, dunque, sostenuto dalla ricorrente, il giudice del gravame non ha ritenuto che le sopravvenienze passive concorressero alla formazione della base imponibile Irap, ma ha accertato che quanto dedotto dalla ricorrente non trovava adeguato supporto probatorio.
Non è, quindi, configurabile la ritenuta violazione di legge, secondo quanto, invero, prospettato dalla ricorrente.
Con il sesto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 1, comma 2, e dell’art. 36, comma 2, n. 4), d.lgis. n. 546/1992, nonché degli artt. 132, comma 2, n. 4) e 112, cod. proc. civ., e dell’art. 118, disp. Att. cod. proc. civ., in ordine alla statuizione sui costi non di competenza.
In particolare, evidenzia parte ricorrente che il giudice del gravame avrebbe definito la questione relativa alla pretesa dei costi non di competenza nell’anno in cui sono stati dedotti sulla base di affermazioni tatutologiche ed apparenti, senza avere esposto le ragioni poste a fondamento della pronuncia.
Evidenzia, inoltre, che il giudice del gravame non avrebbe dato risposta alle specifiche censure svolte nell’atto di appello dalla ricorrente relative alla diverse questioni concernenti: la necessità di esaminare partitamente la questione delle sopravvenienze passive e della esistenza o meno delle condizioni per essere ritenute deducibili; il difetto di motivazione della pronuncia di primo grado; la duplicazione di imposta; il mancato esame degli effetti del giudicato relativo all’anno di imposta 2003.
Il motivo è infondato.
Il giudice del gravame ha esaminato la questione relativa alla pretesa concernente i costi non deducibili nell’anno 2004 per difetto di competenza ed ha ritenuto, con un accertamento in fatto non censurabile in questa sede, che i costi relativi ai canoni di locazione, seppure relativi all’esercizio 2003, erano stati dedotti nell’anno 2004, e che i costi relativi alle fatture em11 sse dalle società facenti parte dell’ATI, pur riguardando spese di competenza dell’anno 2003, erano state, parimenti, dedotte nell’anno 2004.
In sostanza, il giudice del gravame ha accertato la non corretta deduzione dei costi nell’anno 2004, nonostante gli stessi, sotto il profilo della competenza contabile, erano riferibili all’anno 2003.
Diversamente da quanto prospettato dalla ricorrente, il giudice del gravame ha esplicitato il ragionamento logico giuridico seguito, avendo ragionato in ordine alla riferibilità dei costi per l’anno di competenza ed ha, conseguente, escluso che gli stessi potessero essere riferiti all’anno 2004.
L’ulteriore profilo di censura, diretto, in realtà, a contestare non tanto la apparenza di motivazione, ma l’omessa considerazione di domande prospettate in sede di appello, non può essere seguito, posto che il giudice ha, conclusivamente, ritenuto di dovere rigettare “tutti gli altri motivi, rilievo ed eccezioni, sollevati dalle parti’: in quanto assorbiti: è con tale pronuncia di assorbimento che il giudice del gravame ha, quindi, inteso dare risposta alle diverse ulteriori questioni di cui, in questa sede, parb ricorrente lamenta la mancata considerazione.
Con il settimo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 109, comma 4, d.P.R. 917/1986, con riferimento alla questione della certezza dei costi di cui ai servizi resi dalla società I.A..s.r.l. e M. s.r.l..
In particolare, evidenzia parte ricorrente che erroneamente il giudice del gravame ha ritenuto non deducibili i costi sostenuti, in relazione ai servizi ricevuti dalle suddette società, per mancanza del requisito della certezza, atteso che, invece, aveva prodotto il contratto di appalto che evidenziava chiaramente i lavori ricevuti ed il personale impiegato, il tempo ed il luogo della prestazione ed il corrispettivo. Sotto questo profilo, deduce che il contratto di appalto è a forma libera, sicchè sarebbe erronea la considerazione secondo cui quello prodotto non era opponibile in quanto non registrato.
Inoltre, secondo parte ricorrente, non corretta sarebbe la considerazione espressa dal giudice del gravame secondo cui, ai fini della prova della certezza del costo, parte ricorrente! avrebbe dovuto indicare in fattura il ragguaglio specifico di tutte le voci di spesa con l’indicazione del tipo di prestazione e della targa delle vetture, in quanto, atteso l’elevato numero di mezzi, la fattura non avrebbe potuto contenere una specifica indicazione di tutti i servizi resi, sicchè il prezzo contenuto nella fattura mensile riportava distintamente i costi per i servizi resi che la ricorrente, con il conseguente pagamento, ne accettava l’importo.
Il motivo è infondato.
La questione che era stata prospettata al giudice del gravame concerneva la sussistenza del diritto alla deduzione dei costi di cui alle fatture emesse dalle società I.A. s.r.l. e M. s.r.l..
La ragione della contestazione della non sussistenza del diritto alla deduzione dei costi derivava dalla considerazione che le fatture emesse dalle suddette società avevano un contenuto generico, dunque mancava il requisito della certezza dei costi sostenuti, che, invece, l’art. 109, TUIR, postula come requisito necessario ai fini della riduzione della base imponibile nell’ambito dlelle imposte sui redditi.
Il giudice del gravame ha accertato che le fatture avevano un contenuto generico e che la società non aveva assolto al proprio onere di fornire la prova documentale da cui evincere quali fossero concretamente le prestazioni ricevuti. e, in particolare, i mezzi per i quali i servizi erano stati resi.
Rispetto a tale accertamento in ordine alla non rilevanza della documentazione prodotta, la ricorrente contesta la mancata attribuzione al contratto prodotto, sebbene non registrato, della idoneità probatoria ai fini della dimostrazione dell’effettivo servizio ricevuto.
Va quindi osservato, con riferimento ai redditi di impresa, che, secondo questa Corte, ai fini della deduzione delle spese relative a contratti a forma libera, il contribuente deve in ogni caso dimostrarne puntualmente l’esistenza, l’oggetto, l’ammontare, l’inerenza, nonchè la congruità del prezzo corrisposto per gli stessi e l’effettività del pagamento (Cass. civ. 8 ottobre 2014, n. 21184; Cass. civ., 13 dicembre 2018, n. 32280; Cass. civ., 13 maggio 2021, n. 12914).
È stato, altresì, precisato che, ai fini tributari, il documento pacificamente non registrato, dunque privo di data certa, costituisce una prova documentale inopponibile all’agenzia fiscale per la carenza dei presupposti di “certezza” da tale disposizione legislativa codicistica previsti (Cass. civ., 2 maggio 2022, n. 13718; 31 marzo 2006, n. 7636).
In sostanza, correttamente il giudice del gravame ha ritenuto la produzione del contratto di appalto, privo di registrazione e, quindi, di data certa, non poteva costituire elemento di prova idonea ai fini della dimostrazione della certezza delle prestazioni ricevute dalla ricorrente, sicchè non è configurabile la prospettata violazione di legge.
Con l’ottavo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione degli artt. 2697 e 2729, cod. civ., per non avere considerato che, in presenza di un costo risultante da una fattura, la cui certezza era comprovata dal sottostante contratto di appalto, era l’amministrazione finanziaria che avrebbe dovuto fornire la prova della indeducibilità.
Evidenzia, in particolare, parte ricorrente che, secondo i principi di riparto dell’onere della prova in materia di deducibilità dei costi, qualora l’amministrazione finanziaria ritenga che, stante il difetto di analiticità della fattura, corrisponda la non effettività dell’operazione compiuta, la stessa si avvale di una presunzione semplice, sicchè è questa che deve provare la precisione e concordanza della suddetta presunzione; pertanto, avendo la ricorrente provveduto a documentare il costo, producendo le fatture ed il contratto di appalto, non correttamente il giudice del gravame ha posto a carico della medesima l’onere di fornire ulteriore prova, poiché era l’amministrazione finanziaria che avrebbe, in tal caso, dovuto provare la non deducibilità dei costi.
Il motivo è infondato.
Questa Corte ha più volte precisato che il sistema di determinazione del reddito è cogente nello stabilire che i componenti reddituali rilevanti debbono essere certi e determinati e, in questo ambito, se relativamente ai componenti positivi la prova è posta ad onere dell’amministrazione finanziaria, è invece a carico del contribuente per i componenti negativi ove, come nel caso di specie, siano contestati dall’Amministrazione Finanziaria (Cass. civ., 28 aprile 2022, n. 13301).
Ciò assume particolare rilievo al caso di specie in cui, come visto, il contenuto delle fatture era stato contestato dall’amministrazione finanziaria attesa la genericità delle stesse.
Rispetto a tale specifico onere, il giudice del gravame ha ritenuto che lo stesso non era stato assolto, poiché la documentazione prodotta o non era opponibile (contratto di appalto non registrato) o non era stata prodotta (la parte non ha prodotto alcun documento giustificativo delle prestazioni ricevute).
Sicchè, non può ragionarsi in termini di alterazione del principio dell’onere della prova o di non corretta applicazione della previsione di cui all’art. 2729, cod. civ., avendo il giudice del gravame fatta corretta applicazione dei principi indicati.
In conclusione, i motivi di ricorso sono infondati, con conseguente rigetto e condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio.
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle entrate che si liquidano in complessive euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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