CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 20215 depositata il 14 luglio 2023
Lavoro – Reclamo – Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Difetto titolo di studio per mansione – Mobbing – Corso di formazione professionale – Mancanza mansioni compatibili col profilo professionale – Obbligo di repechage – Accoglimento
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Catanzaro ha accolto il reclamo proposto dalla Casa di Cura V.G.G. srl e, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda di A.M.A. volta alla declaratoria di illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatole il 4.7.2012.
2. La Corte territoriale ha così ricostruito la sequenza che ha portato alla decisione di recesso:
il 27.11.2009 la società datoriale ha comunicato alla dipendente (con diploma di operatore chimico) l’impossibilità di continuare ad impiegarla nelle mansioni di strumentista di sala operatoria perché non in possesso del prescritto titolo di studio, come da disposizione dell’Asp di Vibo Valentia prot. n. 42843 del 4.11.2009; il 31.3.2010 la dipendente ha proposto un primo ricorso ex art. 700 c.p.c. denunciando la condotta mobbizzante di parte datoriale e chiedendo il ripristino delle originarie mansioni (ricorso respinto con ordinanza del Tribunale di Vibo Valentia del 29.11.2010, al pari del reclamo); con ordine di servizio dell’1.7.2010, la società ha assegnato la lavoratrice “temporaneamente ed in attesa della pronuncia giudiziale” all’ufficio amministrativo;
con nota del 4.3.2011 la lavoratrice ha contestato l’ordine di servizio dell’1.7.2010 evidenziando di non avere alcuna preparazione per le mansioni di collaboratore amministrativo; in risposta a tale nota la Casa di Cura le ha offerto di seguire un corso di formazione professionale per le nuove mansioni; la A. ha proposto ricorso ex art. 700 c.p.c. avverso il citato ordine di servizio, ricorso respinto con ordinanza del Tribunale di Vibo Valentia del 21.12.2011; a seguito di altra nota della lavoratrice del 16.5.2011, la Casa di Cura ha interpellato la Commissione per l’accertamento dei requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi dell’ASP di Vibo Valentia sulla possibilità di adibire la dipendente a mansioni di tecnico di laboratorio, ricevendo risposta negativa; con lettera del 4.7.2012 la società ha intimato alla dipendente il licenziamento sul rilievo che “non sussiste(sse) possibilità alcuna di adibirla alle mansioni per le quali è stata assunta e neppure ad altre coerenti con la sua qualificazione professionale, a motivo della struttura aziendale e della specifica organizzazione del lavoro”.
3. I giudici di appello hanno accertato l’impossibilità della dipendente di continuare a lavorare come strumentista di sala operatoria poiché non in possesso del necessario titolo di studio; l’inesistenza presso la Casa di Cura di mansioni confacenti alla sua qualifica professionale; la mancata accettazione da parte della stessa delle mansioni amministrative, anche in via provvisoria e nonostante la disponibilità di parte datoriale a colmare le sue esigenze formative; la non disponibilità ad accettare mansioni inferiori, avendo la stessa, nelle cause intentate contro la società, richiesto il ripristino delle originarie mansioni o di altre di pari livello professionale. Hanno quindi ritenuto integrato un “giustificato motivo di recesso ex art. 1464 c.c., per il venir meno di un apprezzabile interesse datoriale all’adempimento della prestazione lavorativa, sostanzialmente inutilizzabile in seno all’attività produttiva dell’azienda”.
4. Avverso tale sentenza A.M.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. La Casa di Cura V.G.G. srl ha resistito con controricorso. Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo l’accoglimento del ricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
5. Con il primo motivo di ricorso è dedotto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti concernente la ritenuta non definitività di assegnazione alla ricorrente di mansioni amministrative e il supposto rifiuto della stessa a svolgerle.
6. Si rammenta che con ordine di servizio dell’1.7.2010 la società ha assegnato la dipendente all’ufficio amministrativo della clinica, sotto la direzione del rag. M. B.; che a seguito del rigetto del ricorso ex art. 700 c.p.c., la A. ha iniziato a svolgere le mansioni di collaboratore amministrativo sotto la direzione del rag. B. ed ha continuato in tale attività fino alla data del licenziamento (4.7.2012); che nel corso di tale periodo la Casa di Cura le ha offerto più volte di “frequentare un corso di formazione professionale per le sue nuove e definitive mansioni”, sottolineando come all’interno della struttura vi fosse una “carenza cronica di personale amministrativo” (ricorso pag. 15); che nell’esecuzione delle mansioni di collaboratore amministrativo la lavoratrice ha ricevuto anche una contestazione disciplinare (lettera del 5.12.2011), a cui non ha fatto seguito l’applicazione di alcuna sanzione; che la Corte merito ha totalmente omesso di considerare l’effettivo e protratto svolgimento delle mansioni di collaboratore amministrativo, di pari livello (livello D) rispetto a quelle originarie, la cui assegnazione la dipendente ha contestato con ricorsi giudiziari senza tuttavia mai rifiutarne l’esecuzione; che la Corte di appello ha giudicato legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo sul presupposto della sopravvenuta impossibilità di adibire la dipendente ai compiti di strumentista di sala operatoria sebbene tali mansioni non fossero più attuali alla data del recesso in quanto la predetta svolgeva le nuove e definitive mansioni di collaboratore amministrativo.
7. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 e 1464 c.c. e dei contratti collettivi nazionali di lavoro, per avere la sentenza d’appello affermato l’impossibilità o il rifiuto dello svolgimento di mansioni diverse e l’impossibilità parziale della prestazione lavorativa; si deduce inoltre la violazione dell’art. 345, comma 2, c.p.c.
8. Si afferma che la società, a distanza di due anni dalla definitiva assegnazione alle nuove mansioni di collaboratore amministrativo, ha intimato il licenziamento per impossibilità di adibire la lavoratrice alle mansioni per le quali era stata assunta o ad altre coerenti con la sua qualifica professionale; che nella lettera di licenziamento e nel ricorso in opposizione si è limitata a ribadire tali ragioni di recesso e ad affermare la provvisorietà dei compiti di collaboratore amministrativo; che solo col reclamo ha dedotto la presunta “incapacità del lavoratore allo svolgimento delle mansioni affidate”, la altrettanto presunta impossibilità della prestazione lavorativa ex art. 1464 c.c. e l’osservanza dell’obbligo di repechage; che la lavoratrice, nella memoria di costituzione nel giudizio di reclamo, ha eccepito la novità delle suddette questioni; che la Corte d’appello ha giudicato legittimo il licenziamento per ragioni diverse da quelle per cui lo stesso è stato intimato ed esattamente per ragioni allegate solo in sede di reclamo.
9. Entrambi i motivi di ricorso, che si trattano congiuntamente per connessione logica, sono fondati nei limiti di seguito esposti.
10. La lettera di licenziamento reca la seguente motivazione: “a seguito di precisa indicazione della commissione per l’accertamento dei requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi per l’accreditamento delle attività sanitarie … ribadita dall’Asp Vibo Valentia… e più volte confermata in sede giurisdizionale… è stata formalmente riconosciuta la carenza del possesso, da parte sua, dei requisiti legalmente necessari per l’esercizio della mansione a lei assegnata, la cui esecuzione risulta dunque impossibile. Del pari ricorderà, anche per averlo formalmente contestato in quanto da lei ritenuto illegittimo, che questa Azienda, nel suo esclusivo interesse, con ordine di servizio emesso in data 1 luglio 2010, l’ha invitata -temporaneamente ed in attesa della pronuncia giudiziale- ad assumere servizio presso l’ufficio amministrativo. Pertanto, non sussistendo possibilità alcuna di adibirla alle mansioni per le quali è stata assunta e neppure ad altre coerenti con la sua qualificazione professionale, a motivo della struttura aziendale della specifica organizzazione del lavoro, questa Azienda è costretta ad interrompere, per i motivi esposti, il rapporto di lavoro con lei intercorrente”.
11. La Corte d’appello ha accertato che la lavoratrice è stata licenziata “perché le sue prestazioni lavorative non po(tevano) essere proficuamente utilizzate dalla società”, per difetto del titolo di studio necessario alle mansioni di strumentista di sala operatoria e per l’impossibilità di reimpiego in altre mansioni coerenti con la sua qualifica professionale (sentenza pag. 8).
12. In tale accertamento i giudici di appello hanno, tuttavia, omesso di esaminare il fatto storico del concreto svolgimento delle mansioni di collaboratore amministrativo, da parte della dipendente, in seguito all’ordine di servizio dell’1.7.2010 e fino alla data del licenziamento in data 4.7.2012.
13. Essi hanno valutato le ragioni poste a base del recesso, cioè l’impossibilità per la Casa di Cura di continuare ad impiegare la dipendente nelle originarie mansioni di strumentista di sala operatoria e la mancanza di mansioni compatibili col profilo professionale della stessa, traslando idealmente il provvedimento espulsivo in un’epoca anteriore all’ordine di servizio dell’1.7.2010 e pretermettendo del tutto quanto accaduto dopo e per effetto di tale ordine di servizio.
14. Con riferimento alla condotta tenuta dalle parti nell’intervallo temporale tra l’ordine di servizio dell’1.7.2010 e il licenziamento del 4.7.2012, la sentenza impugnata contiene un accertamento il cui esito è espresso (a pag. 9, ultimo cpv.) come “rifiuto e/o impossibilità di eseguire la diversa prestazione lavorativa di tipo amministrativo”. Sempre a pag. 9, secondo cpv., la Corte di merito considera “pacifico” che la dipendente non abbia “inteso accettare neppure in via provvisoria mansioni amministrative e ciò al di là della sua incompetenza, che avrebbe potuto essere colmata con un corso di formazione, pure offerto dalla datrice di lavoro” e nel prosieguo spiega la fonte di tale convincimento dando atto che la lavoratrice “nelle diverse cause intentate contro l’azienda ha sempre ostinatamente preteso il ripristino delle originarie mansioni o l’assegnazione di mansioni coerenti e di pari livello a quelle precedentemente espletate”. Dal che si comprende come nella sentenza impugnata l’affermazione del “rifiuto e/o l’impossibilità” delle mansioni di carattere amministrativo poggi sulla avvenuta contestazione da parte della lavoratrice, anche in via giudiziale, della decisione datoriale di assegnarla all’ufficio amministrativo.
15. Secondo l’orientamento consolidato e che in questa sede si intende ribadire, la legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo presuppone, da un lato, l’esigenza di soppressione di un posto di lavoro, dall’altro, l’impossibilità di collocazione del lavoratore in una posizione di lavoro analoga a quella soppressa per l’espletamento di mansioni equivalenti (v. Cass. n. 4460 del 2015; Cass. n. 5592 del 2016; Cass. n. 12101 del 2016; Cass. n. 24882 del 2017; Cass. n. 27792 del 2017; Cass. 10435 del 2018; Cass. n. 29102 del 2019) oppure l’impossibilità di collocamento in mansioni inferiori rientranti nel suo bagaglio professionale (Cass. n. 21579 del 2008; n. 4509 del 2016; Cass. n. 29099 del 2019).
16. Nelle medesime pronunce si è ribadito che incombe sul datore di lavoro l’onere di allegare e dimostrare il fatto che rende legittimo l’esercizio del potere di recesso, ossia l’effettiva sussistenza di ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa nonché l’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse, anche inferiori, da quelle precedentemente svolte purché compatibili col suo bagaglio professionale. Ai fini dell’adempimento dell’obbligo di repechage, il datore di lavoro, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, ha l’onere di allegare e dimostrare di aver prospettato al dipendente la possibilità di un reimpiego in mansioni diverse, ed anche inferiori rientranti nel suo bagaglio professionale, senza averne ottenuto il consenso (v. Cass. n. 21579 del 2008; n. 4509 del 2016; n. 29099 del 2019 cit.).
17. La Corte di merito, nell’applicare tali principi di diritto, ha ritenuto soddisfatto l’onere di prova a carico di parte datoriale supponendo esistente un “rifiuto e/o impossibilità” della dipendente di svolgere mansioni amministrative senza considerare il dato fattuale dell’effettivo svolgimento di tali mansioni, in esecuzione del citato ordine di servizio e fino alla data del licenziamento.
18. Il dato fattuale pretermesso ha valenza decisiva in quanto è espressione tangibile del repechage attuato dal datore di lavoro, e quindi della non attualità dell’esigenza organizzativa posta a base della decisione di recesso.
19. Né può considerarsi il repechage già realizzato dalla società come meramente temporaneo oppure reso inefficace dalle contestazioni della lavoratrice.
Sotto il primo profilo, è vero che l’assegnazione della dipendente al settore amministrativo era stata disposta “temporaneamente”, ma tale temporaneità era espressamente subordinata alla pronuncia giudiziale sul primo ricorso ex art. 700 c.p.c. e sarebbe venuta meno in caso di rigetto del ricorso, come in concreto accaduto (v. ordinanza cautelare del 29.11.2010 citata a pag. 5 secondo capoverso della sentenza d’appello). Sotto il secondo profilo, deve osservarsi come la contestazione, tramite note scritte e azioni in giudizio, delle nuove mansioni da parte della lavoratrice e la rivendicazione del diritto ad essere assegnata a compiti compatibili con la propria esperienza e preparazione professionale si collochi su un piano diverso dal “rifiuto e/o impossibilità” di eseguire la prestazione in quanto attiene all’esercizio del diritto alla professionalità e non è equiparabile e neppure confondibile con l’omesso svolgimento della prestazione che costituisce inadempimento degli obblighi che gravano sul lavoratore e che può avere rilievo ai fini disciplinari.
20. La sentenza impugnata ha omesso l’esame del fatto storico rappresentato dall’effettivo svolgimento, da parte della lavoratrice e per un periodo significativo, delle mansioni amministrative assegnatele; fatto rilevante e decisivo ai fini della verifica di assolvimento dell’onere probatorio di parte datoriale sul legittimo esercizio del potere di recesso, sia quanto alla attualità delle ragioni giustificative e sia quanto alla impossibilità di repechage e ciò rende irrilevante il richiamo, nella sentenza impugnata, all’art. 1464 c.c. e al “venir meno di un apprezzabile interesse datoriale all’adempimento della prestazione lavorativa”.
21. Per le ragioni esposte, il ricorso deve trovare accoglimento nei limiti di cui in motivazione e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame della fattispecie valutando, ai fini della legittimità del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, il fatto storico dell’avvenuto svolgimento delle mansioni amministrative da parte della lavoratrice in esecuzione del citato ordine di servizio. La Corte di rinvio provvederà inoltre alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 novembre 2019, n. 29100 - In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, per la soppressione del posto di lavoro cui era addetto il lavoratore,' il datore di lavoro ha l'onere di provare non solo che al…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 22 febbraio 2021, n. 4673 - In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo per la soppressione del posto di lavoro cui era addetto il lavoratore, il datore di lavoro ha l'onere di provare non solo che al…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 27 dicembre 2021, n. 41585 - In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo a causa della soppressione del posto cui era addetto il lavoratore, il datore di lavoro ha l'onere di provare non solo che al momento…
- CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 749 depositata il 12 gennaio 2023 - In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, incombono sul datore di lavoro gli oneri di allegazione e di prova dell'esistenza del giustificato motivo oggettivo, che…
- TRIBUNALE DI ROMA - Sentenza 19 maggio 2020, n. 2503 - La legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo presuppone, da un lato, l’esigenza di soppressione di un posto di lavoro, dall’altro, la impossibilità di diversa collocazione del…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 15 marzo 2021, n. 7218 - In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo grava sul datore di lavoro per la soppressione del posto di lavoro cui era addetto il lavoratore, l'onere di provare in giudizio che al…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- IMU: no all’esenzione di abitazione principa
La Corte di Cassazione. sezione tributaria, con l’ordinanza n. 9496 deposi…
- Il consulente tecnico d’ufficio non commette
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 15642 depositata il 1…
- ISA 2024 le cause di esclusione per l’anno 2
La legge istitutiva degli Indici Sintetici di Affidabilità fiscale (ISA) ha una…
- Il diritto riconosciuto dall’uso aziendale n
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10120 depositat…
- L’indennità sostitutiva di ferie non godute
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 9009 depositata…