CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 2044 depositata il 24 gennaio 2023

Tributi – Cartelle di pagamento – Principio della conversione delle prescrizioni brevi in prescrizione ordinaria – Termine di prescrizione entro il quale va fatta valere l’obbligazione tributaria per sanzioni –  Disciplina della prescrizione quinquennale agli interessi – Accoglimento

Fatti di causa

1. Il contribuente M.S. ha impugnato una intimazione di pagamento, relativa a nove cartelle di pagamento relative a tributi (una decima cartella non era riferita a crediti tributari), deducendo, oltre all’omessa notificazione delle cartelle prodromiche, vizi propri dell’intimazione e la prescrizione breve dei crediti, quinquennale per i tributi erariali e triennale per la tassa automobilistica.

2. La CTP di Arezzo ha accolto il ricorso.

3. La CTR della Toscana, con sentenza in data 31 gennaio 2019, ha rigettato l’appello dell’Ufficio. Ha ritenuto il giudice di appello che all’atto impugnato non può farsi applicazione della prescrizione ordinaria in assenza della formazione del giudicato, non potendo estendersi alla definitività di un atto della riscossione il principio della conversione delle prescrizioni brevi in prescrizione ordinaria, proprio dell’actio iudicati.

4. Ha proposto ricorso per cassazione l’Ufficio, affidato a tre motivi; il contribuente intimato si è costituito con controricorso e ha depositato memoria.

5. La causa è stata rimessa dalla Sesta Sezione Civile per essere trattata in pubblica udienza. Il ricorrente ha depositato memoria con cui ha chiesto rimettersi la causa alle Sezioni Unite. Il controricorrente ha depositato ulteriore memoria.

Ragioni della decisione

1.1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, violazione dell’art. 2946 cod. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che i crediti erariali non si prescrivono in dieci anni. Osserva il ricorrente che i tributi sottostanti sono crediti erariali, in relazione ai quali si applica la prescrizione ordinaria indipendentemente dall’applicazione del principio di cui all’art. 2953 cod. civ., relativo all’allungamento della prescrizione breve proprio dell’actio iudicati in caso di passaggio in giudicato del titolo giudiziale che lo accerta, che invece riguarda crediti che originariamente erano sottoposti a prescrizione breve. Diversamente, conclude il ricorrente, in caso di crediti erariali, la definitività della cartella, anche in assenza di giudicato, comporta l’applicazione della prescrizione decennale.

1.2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli artt. 2946 cod. civ., falsa applicazione dell’art. 20 d. lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 e violazione dell’art. 24 d. lgs. n. 472/1997, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto di fare applicazione della prescrizione quinquennale alle sanzioni. Osserva parte ricorrente come la prescrizione quinquennale di cui all’art. 20 cit. riguarderebbe i soli atti di contestazione o irrogazione sanzione autonomi, non anche gli atti irrogativi di sanzioni emessi contestualmente all’atto di recupero del tributo, per i quali opererebbe l’art. 24 d. lgs. n. 472/1997, con conseguente applicazione del medesimo regime prescrizionale del tributo.

1.3. Con il terzo motivo si deduce, in relazione, all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2946 e 2948 cod. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto di fare applicazione della prescrizione quinquennale agli interessi. Osserva parte ricorrente che il principio della prescrizione quinquennale può applicarsi a prestazioni periodiche caratterizzate da pluralità di prestazioni, non anche al pagamento di tributi, come nella specie, per i quali la periodicità riguardi la sola presentazione di rendiconti, nonché in considerazione della accessorietà del credito per interessi a un credito soggetto a prescrizione decennale, con conseguente applicazione del medesimo termine prescrizionale.

2. Va rigettata l’eccezione di novità della questione relativa al regime prescrizionale (eccezione ribadita dal controricorrente in memoria), essendo stata tale questione sottoposta sin dal primo grado di giudizio e potendo la stessa essere ulteriormente articolata nei successivi gradi di giudizio. Parimenti infondata è l’eccezione di inammissibilità del ricorso, essendo lo stesso sufficientemente ancorato ai fatti e ai documenti di causa.

3. Il primo motivo è fondato, conformemente alle conclusioni del Pubblico Ministero, essendo assorbente osservare come sia la stessa sentenza delle Sezioni Unite, citata nella pronuncia impugnata (Cass., Sez. U., 17 novembre 2016, n. 23397) e richiamata dal controricorrente (come anche ribadito in memoria), che afferma il principio secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non modifica il termine di prescrizione del credito oggetto della cartella, termine che ove non assoggettato a prescrizione breve, rimane quello prescrizionale ordinario (Cass., Sez. VI, 16 dicembre 2020, n. 28846; Cass., Sez. V, 27 novembre 2020, n. 27188; Cass., Sez. V, 3 novembre 2020, n. 24278; Cass., Sez. VI, 17 dicembre 2019, n. 33266; Cass., Sez. VI, 11 dicembre 2019, n. 32308; Cass., Sez. V, 9 febbraio 2007, n. 2941), secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte.

4. Il secondo motivo è infondato. Dispone l’art. 20, comma 3, d.lgs. n. 472/1997 che «il diritto alla riscossione della sanzione irrogata si prescrive nel termine di cinque anni. L’impugnazione del provvedimento di irrogazione interrompe la prescrizione, che non corre fino alla definizione del procedimento». La norma, sostanzialmente rimasta immutata nel tempo, prevede al primo comma anche un analogo termine di decadenza di cinque anni (31 dicembre del quinto anno successivo in cui è avvenuta la violazione o diverso termine previsto per l’accertamento dei singoli tributi). Come osservatosi in dottrina, l’art. 20 d. lgs. n. 472/1997 costituisce norma generale in tema di decadenza e prescrizione delle sanzioni tributarie o, più precisamente, disciplina unitaria della decadenza, come della prescrizione dei crediti derivanti dall’irrogazione di sanzioni tributarie, affidata a una specifica norma di legge. Il legislatore ha mantenuto l’impostazione tradizionale in tema di prescrizione di sanzioni (già disciplinata dall’art. 17, comma 1, della L. 7 gennaio 1929, n. 4, che prevedeva la prescrizione quinquennale della riscossione delle «pene pecuniarie»), assoggettando la prescrizione delle sanzioni tributarie a una disciplina autonoma rispetto ai crediti nascenti dal rapporto tributario.

5. Diversamente, l’art. 24 d. lgs. n. 472/1997 non prevede una espressa norma che disciplini la prescrizione (o decadenza) dei crediti nascenti da sanzioni, ma si limita a disporre che per la riscossione delle sanzioni (in fase esecutiva e non di accertamento) si applicano le disposizioni sula riscossione dei tributi cui la violazione si riferisce.

6. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in caso di notifica di cartella esattoriale avente ad oggetto crediti per sanzioni non fondata su una sentenza passata in giudicato, il termine di prescrizione entro il quale va fatta valere l’obbligazione tributaria per sanzioni è quello quinquennale, così come previsto dall’art. 20, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997 (Cass., Sez. VI, 8 marzo 2022, n. 7486; Cass., Sez. VI, Cass., Sez. V, 22 luglio 2011, n. 16099), decorrendo la prescrizione dall’iscrizione a ruolo del credito e cioè dall’emissione dell’atto di irrogazione della (allora) soprattassa (Cass., Sez. V, 7 novembre 2011, n. 20600). Tale principio è stato ribadito dalle menzionate Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. U., n. 23397/2016, cit.), secondo cui le sanzioni, soggette a prescrizione quinquennale, possono al più beneficiare dell’effetto dell’allungamento delle prescrizioni brevi in forza dell’actio iudicati a termini dell’art. 2953 cod. civ.; principio, questo, radicato nella giurisprudenza di questa Corte, che ha ritenuto esaustiva la disciplina prescrizionale di diritto speciale dell’art. 20 d. lgs. n. 472/1997, stante il carattere speciale dell’illecito tributario (Cass., Sez. V, 2 ottobre 2000, n. 12989).

7. Questa disciplina speciale della prescrizione in materia di sanzioni tributarie è stata ritenuta conforme al sistema e alle norme di contabilità pubblica, ove si è osservato che la disciplina speciale rispetto a quella di diritto comune trova «fondamento nei vincoli di competenza del bilancio della Stato, in forza dei quali l’amministrazione finanziaria deve potere, almeno per grandi linee, programmare e prevedere per ciascun anno il gettito fiscale ed i tempi della riscossione, tenendo conto anche delle proprie risorse di uomini e mezzi (bilancio di previsione)» (Cass., Sez. U., 10 dicembre 2009, n. 25790; conf. Cass., Sez. V, 9 agosto 2016, n. 16730). Di converso, come osservato in dottrina, la generalizzata durata quinquennale obbedisce anche a esigenze di certezza e di tutela del contribuente, in ordine ai tempi di irrogazione della sanzione stessa.

8. Soccorre sul tema, inoltre, l’interpretazione data dallo stesso Ufficio nella Circolare Ministero delle Finanze del 10 luglio 1998 n. 180, secondo cui il diritto alla riscossione delle sanzioni, quali che siano gli atti di contestazione o di irrogazione, si prescrive nel termine di cinque anni («il diritto alla riscossione della sanzione irrogata si prescrive nel termine di cinque anni»). Il regime prescrizionale, in quanto generalizzato per qualunque provvedimento sanzionatorio, non può, pertanto, essere limitato alle sole sanzioni non contestuali all’atto impositivo e costituisce principio generale dell’ordinamento. Né si ravvisa sul tema alcun contrasto nella giurisprudenza di questa Corte.

9. Il terzo motivo è infondato. A differenza delle sanzioni relative a violazioni tributarie, che si nutrono di una disciplina speciale in ambito tributario, la prescrizione degli interessi che accedono a obbligazioni tributarie è regolata – secondo la giurisprudenza largamente prevalente di questa Corte – da una norma di diritto comune quale l’art. 2948, n. 4, cod. civ., secondo cui l’obbligazione relativa agli interessi riveste natura autonoma rispetto al debito principale e soggiace al generalizzato termine di prescrizione quinquennale fissato dalla suddetta disposizione (Cass., Sez. VI, 14 settembre 2022, n. 27055; Cass., Sez. VI, 28 aprile 2022, n. 13258; Cass., Sez. VI, 8 marzo 2022, n. 7486; Cass., Sez. VI, 24 gennaio 2022, n. 1980; Cass., Sez. V, 3 ottobre 2021, n. 31283; Cass., Sez. V, 15 ottobre 2020, n. 22351; Cass., Sez. V, 10 luglio 2020, n. 20955; Cass., Sez. V, 27 novembre 2019, n. 30901; Cass., Sez. VI, 25 luglio 2014, n. 17020; Cass., Sez. V, 14 marzo 2007, n. 5954; in termini analoghi Cass., Sez. II, 27 novembre 2009, n. 25047; Cass., Sez. III, 21 marzo 2013, n. 7127).

10. Il ricorrente chiede una rivisitazione di questo indirizzo. Osserva in memoria come la disciplina tributaria in materia di interessi abbia natura speciale e appaia più «frammentata» rispetto a quella di diritto comune, che già conosce separatamente gli interessi corrispettivi e quelli moratori. Osserva, il ricorrente, che in materia tributaria vi sono diverse categorie di interessi, quali:

– gli interessi da ritardato pagamento delle imposte sino alla consegna dei ruoli al concessionario (art. 20 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600);

– gli interessi di mora per ritardato pagamento delle somme iscritte a ruolo decorrenti dalla notifica della cartella di pagamento (art. 30 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602);

– gli interessi di mora in materia di imposta di registro (art. 55, comma 4, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131);

– gli interessi da ritardato pagamento per liquidazione automatica e controllo formale (art. 2 d. lgs. 18 dicembre 1997, n. 462, disciplinati dall’art. 6 d. MEF 21 maggio 2009, per delegificazione operata dall’art. 1, comma 150, l. 24 dicembre 1997, n. 244) e gli interessi da rateizzazione (art. 3, comma 3-bis d. lgs. n. 462/1997). Da questa frammentarietà della disciplina degli interessi in materia tributaria, differenziata in funzione della fonte dell’obbligazione principale (scadenza della data di pagamento dell’obbligazione tributaria, consegna dei ruoli all’agente della riscossione, natura speciale dell’imposta di registro, procedimento di liquidazione dell’imposta), il ricorrente intende, in primo luogo, enucleare una disciplina speciale della prescrizione in materia tributaria, sganciata dalla disciplina ordinaria e, in secondo luogo, ritiene di estrarre il principio secondo cui la prescrizione degli interessi è omologa a quella del tributo cui essi accedono; per cui, ove i tributi siano soggetti alla prescrizione ordinaria (come i tributi erariali), anche l’obbligazione degli interessi dovrebbe essere assoggettata alla medesima disciplina prescrizionale.

11. Il ricorrente, inoltre, sottolinea sotto quest’ultimo profilo come nella stessa giurisprudenza di questa Corte si siano ravvisati in alcuni casi gli estremi per l’applicazione della prescrizione ordinaria in materia di interessi, ove si è ritenuto che la prescrizione quinquennale, prevista dall’art. 2948, n. 4, cod. civ. viene applicata ai soli interessi accessori a una obbligazione principale di natura periodica o di durata, laddove in caso di interessi dovuti per una prestazione unitaria o, comunque eseguibile uno actu, si applicherebbe la prescrizione decennale ordinaria (Cass., Sez. V, 16 settembre 2005, n. 18432, seguita acriticamente da Cass., Sez. V, 20 maggio 2021, n. 13815);

giurisprudenza (rimasta comunque isolata) applicata da questa Corte anche in tema di interessi da ritardato pagamento del prezzo dell’appalto ai sensi dell’art. 33 e ss. pro tempore d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 (Cass., Sez. III, 1° luglio 2005, n. 14080, Cass., Sez. I, 9 ottobre 2012, n. 17197, Cass., Sez. I, 3 novembre 2016, n. 22276).

12. Le argomentazioni del ricorrente non appaiono convincenti, risultando gli assunti di parte ricorrente (differenziazione del regime prescrizionale in ragione della fonte degli interessi e omologazione della disciplina della prescrizione degli interessi a quella del capitale) estranei alla stessa disciplina di diritto comune, da cui conviene prendere le mosse. La norma di cui all’art. 2948, n. 4, cod. civ. prevede che si prescrivono in cinque anni «gli interessi e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi». La norma relativa alla prescrizione degli interessi è, pertanto, norma speciale rispetto alla prescrizione della sorte capitale e si applica a tutte le categorie di interessi. Rilevante appare, in proposito, la circostanza che la norma non distingue, in linea di principio, il regime della prescrizione in ragione della natura o della fonte degli interessi. La rilevanza di una disciplina unitaria della prescrizione dell’obbligazione di interessi appare significativa, in considerazione del fatto che il codice civile conosce diverse categorie di interessi, quali gli interessi corrispettivi, dovuti in caso di debiti liquidi ed esigibili (Cass., Sez. I, 16 giugno 2020, n. 11655), gli interessi moratori, quale corrispettivo del ritardato adempimento (Cass., Sez. I, 5 maggio 2022, n. 14214) e gli interessi compensativi, diretti a compensare il pregiudizio subito dal creditore per mancato godimento di beni o servizi (Cass., Sez. I, 5 ottobre 2022, n. 28930), quali quelli previsti dall’art. 1499 cod. civ. (Cass., Sez. VI, 14 maggio 2018, n. 11605).

13. Una analoga impostazione del legislatore si rinviene in tema di collocazione nel grado ipotecario. L’art. 2855, secondo comma, cod. civ., dispone che la collocazione privilegiata ipotecaria opera «qualunque sia la specie di ipoteca», collocando nello stesso grado gli «interessi dovuti»; che si tratti, pertanto, di interessi prodotti da capitale di ipoteche iscritte su fonte volontaria (dove gli interessi sul capitale sono di natura corrispettiva), o di ipoteche giudiziali, derivanti da provvedimenti giurisdizionali (dove gli interessi prodotti sono di natura moratoria), vi è sempre collocazione privilegiata sul ricavato del bene liquidato, quale che sia la natura, corrispettiva o moratoria, dell’interesse prodotto (Cass., Sez. III, 28 luglio 2014, n. 17044).

14. Deve, pertanto, ritenersi che il legislatore non abbia adottato (a livello di principio) una disciplina selettiva della prescrizione dell’obbligazione di interessi, introducendone una disciplina unitaria applicabile alle diverse categorie di interessi (corrispettivi quelli propri del diritto commerciale e moratori quelli del tradizionale diritto civile), indipendentemente dalla fonte e dalla natura degli stessi. Il che appare conforme a quel fenomeno giuridico frutto della codificazione del 1942, investigato da antica dottrina come commercializzazione del diritto privato, che aveva inteso estendere al diritto privato istituti propri del diritto commerciale, armonizzando e unificando le relative originarie e distinte discipline.

15. La generalizzata applicazione della disciplina della prescrizione quinquennale agli interessi risponde, peraltro, a una più risalente ragione storica (e di più antica codificazione) – come osservatosi in dottrina – che era quella di sganciare la riscossione dell’obbligazione «accessoria» degli interessi da quella del capitale. Benché le due prestazioni (capitale e interessi) appaiano omogenee (entrambe essendo prestazioni pecuniarie) e benché la prestazione degli interessi scaturisca dall’obbligazione pecuniaria, l’obbligazione di interessi si aggiunge alla originaria prestazione in sorte capitale e aggrava la posizione del debitore. Per le obbligazioni scadute di questa obbligazione accessoria il legislatore ha, tuttavia, inteso liberare il debitore in termini più rapidi rispetto all’obbligazione principale, differenziando il periodo di esigibilità dell’obbligazione accessoria e dando maggiore tutela al debitore attraverso l’introduzione di una disciplina prescrizionale più breve di quella ordinaria. Echi di tale più rapida estinzione dell’obbligazione degli interessi rispetto all’obbligazione principale si rinvengono, ad esempio, in tema di regole legali di imputazione del pagamento (art. 1194 cod. civ., che prevede la preventiva imputazione del pagamento a estinzione del debito prima agli interessi e poi al capitale), quale conseguenza automatica del pagamento, inteso quale estinzione satisfattiva dell’obbligazione pecuniaria (Cass., Sez. I, 20 maggio 2005, n. 10692).

16. Del tutto avulso dalla giurisprudenza di questa Corte appare, inoltre, l’assunto secondo cui la prescrizione dell’obbligazione degli interessi risulti agganciata a quella dell’obbligazione in sorte capitale.

Questa Corte ritiene – in conformità a quanto osservatosi in dottrina – che il carattere dell’accessorietà dell’obbligazione degli interessi attiene unicamente all’aspetto genetico di tale obbligazione, la quale sorge unitamente all’obbligazione principale e, conseguentemente, cessa con l’estinzione dell’obbligazione principale stessa. Tuttavia, una volta sorta l’obbligazione di interessi (per effetto del sorgere dell’obbligazione principale), il flusso produttivo di interessi vive di vita propria in virtù della sua progressiva maturazione; man mano che maturano, gli interessi vanno a costituire una obbligazione autonoma e rimangono indipendenti dall’obbligazione principale dalla quale sono sorti, per cui possono essere suscettibili «di autonome vicende rispetto all’obbligazione tributaria configurata a carico del contribuente» (in termini, Cass., Sez. U., 14 luglio 2022, n. 22281; conf. Cass., Sez. VI, 18 marzo 2022, n. 8892; Cass., Sez. V, 30 settembre 2019, n. 24295, Cass., Sez. VI, n. 17020/2014, cit.; Cass., Sez. I, 22 marzo 2012, n. 4554; Cass., Sez. V, 15 giugno 2011, n. 13080; Cass., Sez. V, 14 marzo 2007, n. 5954; Cass., Sez. V, 18 agosto 2004, n. 16123).

17. La conclusione che si trae è che la disciplina della prescrizione, che attiene alla fase in cui gli interessi, in quanto sorti già separati dal capitale, vengono a maturazione, deve necessariamente essere risolta in base al principio dell’autonomia, con la conseguenza che il termine prescrizionale è quello quinquennale stabilito dall’art. 2948, n. 4, cod. civ. il quale prescinde sia dalla tipologia degli interessi, sia dalla natura dell’obbligazione principale.

18. Non appare, invero, enfatizzabile l’argomento secondo cui gli interessi sarebbero soggetti a prescrizione quinquennale solo se l’obbligazione principale fosse di natura periodica o di durata e non anche ove gli interessi siano dovuti per una prestazione dovuta in unica soluzione o uno actu. La formulazione della norma di cui all’art. 2948, n. 4, cod. civ. evidenzia, invero, come la prescrizione dell’obbligazione degli interessi sia affiancata, ai fini della prescrizione, a quella delle altre prestazioni di cui alla medesima disposizione («gli interessi e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi»), ma non sia sovrapponibile a queste ultime.

L’utilizzo della congiunzione «e» lascia intendere come la disciplina della prescrizione quinquennale riguarda gli interessi in quanto tali e viene ad affiancarsi a quella delle prestazioni periodiche, con la quale non può essere confusa.

19. La periodicità dell’obbligazione degli interessi, per il vero, non attiene alla sorte capitale dalla quale gli interessi scaturiscono, ma al meccanismo di produzione del flusso finanziario, legato alla maturazione degli stessi in ragione del decorrere del tempo; solo in tal senso (e non anche in ragione della natura della sorte capitale dalla quale scaturiscono e dalla quale si separano nel momento in cui l’obbligazione del capitale è insorta) gli interessi possono essere accomunati alle altre prestazioni periodiche.

20. Se questo è il quadro che si trae dalla disciplina ordinaria, deve dedursi che, stante l’assenza di norme speciali in materia tributaria, a differenza che per le sanzioni, la stessa conclusione debba trarsi per la prescrizione degli interessi che sorgono in materia tributaria. Né si evidenziano particolari ragioni sistematiche che consentano di differenziare la disciplina della prescrizione delle diverse categorie di interessi che sorgono dalle varie fattispecie tributarie previste dalla legge. Deve, pertanto, riconfermarsi la maggioritaria e consolidata giurisprudenza di questa Corte che applica la prescrizione quinquennale agli interessi in materia tributaria.

21. In accoglimento del primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio al giudice a quo, per la trattazione delle questioni rimaste assorbite (come deduce il ricorrente in memoria), nonché per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo, rigetta gli ulteriori motivi, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, in diversa composizione, anche per la regolazione e la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.