Corte di Cassazione sentenza n. 20491 depositata il 30 luglio 2019
Accertamento – Contabilità antieconomica – Sussiste
FATTI DI CAUSA
L’odierno ricorrente L.V., titolare di un’attività di ristorazione destinata prevalentemente all’attività di pizzeria, veniva sottoposto ad attività di accertamento dei redditi con redazione di Processo Verbale di Costatazione (PVC), per effetto di verifica induttiva finalizzata all’accertamento di maggiori ricavi in relazione all’anno d’imposta 2009, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, lett. d). I maggiori ricavi accertati importavano la notificazione dell’avviso n. (omissis), avente ad oggetto ulteriori tributi per Irpef, Iva, Irap ed accessori.
Il contribuente contestava l’accertamento innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Benevento, la quale accoglieva il ricorso ritenendo che l’Amministrazione finanziaria non avesse assicurato prova della ricorrenza dei presupposti di legge perché potesse procedersi ad un accertamento analitico-induttivo.
La sentenza pronunciata dai giudici di primo grado era gravata dall’Amministrazione finanziaria da impugnativa innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, la quale riformava la decisione. La CTR riteneva legittimo il ricorso, da parte dell’Ente impositore, all’accertamento analitico-induttivo, essendo rilevabile l’antieconomicità della gestione dell’attività, ed attendibile il calcolo del maggior reddito effettuato dall’Agenzia, da ritenersi correttamente quantificato sul fondamento di dati contabili forniti dallo stesso contribuente.
Avverso la decisione della Commissione Tributaria Regionale ha proposto ricorso per cassazione il contribuente, affidandosi ad un unico, articolato, motivo di ricorso. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Occorre preliminarmente rilevare che il 12.4.2019, in data successiva allo svolgimento della camera di consiglio e pertanto alla decisione della causa, il ricorrente ha depositato atto di rinuncia al ricorso. In proposito occorre però rilevare come l’attività che il difensore può utilmente svolgere, in relazione a procedura da trattarsi con il rito camerale, trova il proprio limite nella data fissata per la decisione della controversia (Cass. SU, 16.7.2008, n. 19514, Cass. sez. I, 29.7.2014, n. 17187). Ne discende che, in ordine alla dichiarata rinuncia al ricorso, non vi è luogo a provvedere, essendo stata tardivamente proposta.
Tanto premesso:
1.1. – il ricorrente contesta ad un tempo, nel suo unico motivo di ricorso, la violazione degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c., e la connessa insufficienza ed illogicità della motivazione, nonché l’omesso esame su punti decisivi della controversia; e, ancora, la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) in combinato disposto con l’art. 38 dello stesso decreto e con il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54. Censura, inoltre, la violazione dell’art. 345 c.p.c., nonché il difetto di “motivazione per sua evidente illogicità e quindi irrazionalità”; infine critica l'”ingiustizia manifesta” della decisione impugnata (ric., p. 3).
2.1. – Con il suo motivo di ricorso l’impugnante propone in realtà una pluralità di critiche eterogenee della impugnata sentenza della CTR, che censura sia in ordine alla violazione di legge che al vizio di motivazione.
Il ricorrente, innanzitutto, afferma di ribadire “pedissequamente i motivi di inammissibilità dell’appello” (ric., p. 3) proposto dall’Agenzia delle Entrate, esposti innanzi alla Commissione Tributaria Regionale campana, ma non ha cura di riprodurli, almeno in sintesi, ed in relazione a tale profilo il ricorso è pertanto inammissibile. Soltanto per completezza, pertanto pare opportuno segnalare che la CTR ha esaminato analiticamente le censure proposte dall’odierno ricorrente nel grado di appello del giudizio, fornendo una chiara motivazione delle ragioni che inducevano a ritenere le sue critiche non fondate (in part. cfr. sent. CTR, p. 3 s.), e proponendo argomenti che l’impugnante, in questa sede, non ha avuto cura di contestare specificamente.
Inoltre, trattandosi di sentenza pubblicata in data posteriore all’11.9.2012, la denuncia del difetto di motivazione, formulata secondo il previgente testo, è inammissibile, atteso che il vigente testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 consente di censurare esclusivamente l’omesso esame di fatti storici decisivi per il giudizio, e non profili di generico difetto della motivazione.
In secondo luogo l’impugnante sottolinea che i giudici di primo grado avevano ritenuto non integrati elementi che inducessero a ritenere legittimo l’accertamento analitico induttivo effettuato dall’Amministrazione finanziaria, sul fondamento dei Processi Verbali di Costatazione del 19.8.2011 e del 22.9.2011, mentre la CTR aveva accolto gli argomenti proposti dall’Agenzia per giustificare il ricorso al metodo di accertamento prescelto, ma sul fondamento di “motivi nuovi”, proposti al “Collegio del gravame, in palese violazione dei principi del giusto procedimento amministrativo … e del divieto di nuovi motivi in appello” (ric., p. 3).
Invero, la tesi che l’Amministrazione finanziaria abbia proposto in sede di gravame nuovi motivi rimane meramente affermata dal ricorrente. Quest’ultimo, infatti, nel meglio chiarire la propria critica spiega che la CTP aveva ritenuto inadeguata la mera insufficienza del reddito prodotto, da parte di un’attività di ristorazione aperta soltanto l’anno precedente, per giustificare il ricorso ad un accertamento induttivo. La CTR, invece, ha ritenuto che l’antieconomicità della gestione fosse un elemento di per sé sufficiente, pur in presenza di scritture contabili formalmente regolari, a legittimare il ricorso all’accertamento induttivo. La stessa ricostruzione delle vicende dei gradi di merito operata dal ricorrente, pertanto, induce a ritenere infondata la critica proposta, perché non ricorre l’esame di nuovi motivi nel corso del grado d’appello, bensì una diversa valutazione giuridica, da parte del giudice del gravame, degli stessi fatti già oggetto di esame da parte del giudice di primo grado.
In particolare, la CTR ha evidenziato che il calcolo della redditività dell’impresa era stato effettuato proprio sul fondamento di dati emergenti dalla sua contabilità, ed i risultati conseguiti non erano stati sottoposti a critica dal contribuente “né in sede di constatazione né in sede di impugnativa… il dato dell’antieconomicità della gestione derivava direttamente dalle scritture contabili” (sent. CTR, p. 1). Del resto, il giudice di secondo grado non ha mancato di sottolineare che “dalle fatture … si era rilevato l’acquisto di un quantitativo di farina (500 Kg.) del tutto insufficiente a coprire il quantitativo di pizze somministrate che, secondo quanto dichiarato dal contribuente, costituiva il 45% dei ricavi”, da tanto dovendo desumersi “la mancata contabilizzazione di acquisto di quantitativi di farina” (sent. CTR, p. 4). Merita pure di essere segnalato, in proposito, un dato evidenziato in corso di causa, e pure in controricorso, dall’Agenzia delle Entrate. L’attività di pizzeria oggetto di verifica, infatti, aveva dichiarato nell’anno 2009 un reddito pari ad Euro 9.961,00, “visibilmente inadeguati a remunerare – quanto meno – il lavoro dei tre soggetti impiegati … dipendenti regolarmente assunti” (contoric., p. X). In sostanza, ha ritenuto la CTR che, in presenza di una contabilità d’impresa formalmente corretta ma inattendibile, e di una accertata antieconomicità della gestione, l’Ente impositore abbia correttamente proceduto alla verifica induttiva del reddito. Merita di essere ricordato che la decisone assunta dalla CTR non si discosta dai principi espressi in materia da questa Corte di legittimità, peraltro anche recentemente ribaditi, secondo cui “in tema di accertamento dei redditi di impresa, anche in presenza di scritture formalmente corrette, qualora la contabilità possa considerarsi complessivamente inattendibile, è legittimo il ricorso al metodo analitico-induttivo, D.P.R. n. 600 del 1973 ex art. 39, comma 1, lett. d), sulla base di elementi che consentano di accertare in via presuntiva maggiori ricavi” (cfr. Cass. sez. V, nn. 32129/2018, 27552/2018, 8923/2018).
In definitiva il ricorrente, anziché sottoporre a critica specifica le ragioni della decisione assunta dalla Commissione Tributaria Regionale campana, si limita a riproporre le proprie ricostruzioni alternative dei fatti oggetto del giudizio ed a manifestare la propria condivisione con la valutazione espressa dai giudici di primo grado, i quali avevano accolto le sue tesi, anziché concentrarsi nella critica delle ragioni esposte dai giudici di secondo grado, che quelle stesse tesi avevano invece motivatamente disatteso. Il ricorso introdotto, pertanto, risulta in larga parte inammissibile, e per il resto è infondato. Deve, perciò, essere respinto.
Le spese di lite seguono la soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso proposto da L.V., e condanna il ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente Agenzia delle Entrate, delle spese di lite del presente giudizio di cassazione, che liquida in complessivi 2.200,00 Euro, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.
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