Corte di Cassazione sentenza n. 20613 del 28 giugno 2022
principio di non contestazione – doppia conforme ai sensi dell’art. 348-ter cod. proc. civ. – IVA – prestiti o i distacchi di personale di una controllante presso la sua controllata – il vizio di motivazione può riguardare solo una questione di fatto – produzione documentale in grado di appello
Fatti di causa
Dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: la società F.P., con sede in Finlandia, aveva richiesto il rimborso dell’iva relativo a costi sostenuti dalla propria società controllata per il personale distaccato presso la medesima controllante; l’Agenzia delle entrate aveva parzialmente rigettato l’istanza, sia in quanto l’acquisto di prestazioni rese dal dipendente della società controllata mancava di strumentalità, inerenza ed afferenza con l’attività esercitata dalla contribuente, sia perchè non risultava che le due società avessero concluso un contratto sottostate all’emissione delle fatture e fonte dell’obbligo di rimborso dei costi del personale distaccato, sia, infine, in quanto il rimborso non poteva essere riconosciuto per il solo costo del personale; avverso il provvedimento di parziale diniego la società aveva proposto ricorso che era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Pescara; avverso la pronuncia del giudice di primo grado la società aveva proposto appello.
La Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che: tenuto conto di quanto previsto dalla legge n. 67/1988 nonché della giurisprudenza interna e dalla normativa interna ed unionale, sebbene il distacco di personale costituisca una prestazione di servizi, in quanto tale astrattamente destinata ad essere assoggettata ad iva, tuttavia tale regola generale non può trovare applicazione nel caso in cui il distaccatario si sia limitato a rimborsare al distaccante il solo costo del personale, sicchè il riconoscimento di un corrispettivo maggiore o minore comporta la sottoponibilità ad iva dell’intero importo pattuito; era carente e tardiva la prova offerta dalla società contribuente in ordine alla natura delle prestazioni fatturate, tenuto conto del fatto che la società non aveva dato riscontro alle richieste dell’amministrazione finanziaria di produrre copia dei contratti da cui evincere il riaddebito del costo del personale con presunta percentuale di ricarico e che una parte della documentazione era stata prodotta tardivamente, in violazione dell’art. 58, d.lgs. n., 546/1992.
La società ha quindi proposto ricorso, illustrato con successiva memoria, per la cassazione della sentenza affidato a quindici motivi di censura.
L’Agenzia delle entrate ha depositato atto denominato “di costituzione”, con il quale ha dichiarato di costituirsi al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dott. Giuseppe Locatelli, ha depositato le proprie conclusioni scritte, con le quali ha chiesto l’accoglimento del dodicesimo motivo, inammissibili il primo, secondo e terzo, assorbiti i restanti.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo del ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., nel testo precedente la modifica di cui al di. n. 83/2012, per omessa o insufficiente motivazione su un punto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nella violazione o falsa applicazione da parte della sentenza di primo grado dell’art. 2697, cod. civ., nonché degli artt. 115 e 167, cod. proc. civ..
In particolare, evidenzia parte ricorrente che in sede di appello aveva contestato la decisione del giudice di primo grado che aveva ritenuto che non risultava provato che tra la società controllata e la controllante esistesse un contratto sottostante le operazioni fatturate che potesse giustificare l’addebito dei costi oggetto di fatturazione, prospettando, sotto tale profilo, la violazione dell’art. 2697, cod. civ. e degli artt. 115 e 167, cod. proc. civ., in quanto l’amministrazione finanziaria non aveva contestato la sussistenza dello scambio di corrispondenza da cui evincere la esistenza dell’accordo. Evidenzia, quindi, parte ricorrente, che la pronuncia censurata non si è pronunciata sulla questione sicchè sarebbe illegittima per omessa motivazione.
Il motivo è inammissibile.
Invero, lo stesso denuncia il vizio di motivazione secondo il regime di cui al previgente art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., non più applicabile alla fattispecie, atteso che, con riguardo alla piena operatività nel giudizio di cassazione in materia tributaria del nuovo testo della suddetta previsione, questa Corte (Sez. Un., 8053- 8054/2014) ha precisato che: “Le disposizioni sul ricorso per cassazione, di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, circa il vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed i limiti d’impugnazione della “doppia conforme” ai sensi dell’art. 348-ter cod. proc. civ., u.c., si applicano anche al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, atteso che il giudizio di legittimità in materia tributaria, alla luce del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62 non ha connotazioni di specialità. Ne consegue che il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3-bis, quando stabilisce che “le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546”, si riferisce esclusivamente alle disposizioni sull’appello, limitandosi a preservare la specialità del giudizio tributario di merito“.
Con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., per omesso esame di un fatto controverso e decisivo oggetto di discussione tra le parti, consistente nella violazione o falsa applicazione da parte della sentenza di primo grado dell’art. 2697, cod. civ., nonché degli artt. 115 e 167, cod. proc. civ.
il motivo è inammissibile.
Lo stesso, invero, denuncia il vizio di motivazione, secondo la nuova previsione di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., con riferimento ad una questione di diritto, cioè la mancata pronuncia sulla violazione dell’art. 2697, cod. civ., dell’art. 115 e 167, cod. proc. civ., mentre, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il vizio di motivazione può riguardare solo una questione di fatto (Cass. Sez. Un., n. 5745/2015).
Con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., in relazione all’art. 112, cod. proc. civ., per non avere pronunciato sulla violazione dell’art. 2697, cod. civ., e degli artt. 115 e 167, cod. proc. civ., in relazione alle risultanze documentali non oggetto di specifica contestazione da parte dell’amministrazione finanziaria che, invero, attestavano l’esistenza di un accordo tra le parti relativo al riaddebito del costo del personale distaccato con un ricarico del quindici per cento.
In particolare, parte ricorrente lamenta che il giudice del gravame non si è pronunciato sul motivo di appello con il quale aveva impugnato la decisione del giudice di primo grado che aveva ritenuto mancante la prova del rapporto sottostante le fatture nonostante il fatto che l’amministrazione finanziaria non avesse contestato le mail prodotte sin dal primo grado inerenti alla prova in esame.
Il motivo è infondato.
Il giudice del gravame si è pronunciato sulla rilevanza probatoria degli elementi di prova prodotti dalla contribuente ed ha ritenuto che gli stessi erano in parte carenti ed in parte tardivi.
La valutazione in ordine alla carenza della prova documentale prodotta dalla ricorrente già dinanzi al giudice di primo grado è ostativa alla configurazione che, ora, parte ricorrente intende prospettare in ordine alla rilevanza della medesima, sicchè deve logicamente ritenersi che il giudice del gravame abbia escluso l’operatività, nel caso di specie, del principio di non contestazione quale declinazione del principio della natura non controversa dei fatti non contestati.
Va, peraltro, osservato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il principio di non contestazione ha per oggetto i fatti storici sottesi a domande ed eccezioni, e non può, quindi, riguardare, come nel caso in esame, prima ancora che, comunque inammissibilmente, documenti (Cass. civ., 21 giugno 2016, n. 12748), le eventuali conclusioni ricostruttive concernenti, pertanto, la valutazione degli stessi (Cass. civ., 21 dicembre 2017, n. 30744). In sostanza, non può ritenersi che la produzione delle email possa condurre a ritenere applicabile il principio di non contestazione in ordine alla sussistenza dell’effettivo rapporto contrattuale esistente tra le parti, sia perché il principio non può trovare applicazione con riferimento ai documenti sia in quanto sarebbe comunque necessario procedere ad una attività di interpretazione dei suddetti documenti, in contrasto con il principio che sottende il venire meno dell’onere della prova nel caso di non contestazione della controparte.
Con il quarto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 35, legge n. 67/1988, nonché dell’art. 2697, cod. civ., degli artt. 115 e 167, cod. proc. civ., per avere ritenuto che, in caso di distacco di personale, l’applicabilità della disciplina interna presuppone che il distaccatario riversi al distaccante una somma maggiore o minore rispetto al costo del personale, mentre, nel caso in cui l’importo sia pari al costo, lo stesso non sarebbe assoggettato ad iva e, dunque, non sussisterebbe alcun diritto al rimborso.
Il motivo è fondato.
Sul punto, occorre dato atto che, nelle more del giudizio, è intervenuta la Corte di Giustizia con la sentenza 11 marzo 2020, in C-94/19, San Domenico Vetraria Spa, la quale ha stabilito che la Sesta Dir. 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, art. 2, punto 1, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto- base imponibile uniforme, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una legislazione nazionale, nella specie proprio la L. n. 67 del 1988, art. 8, comma 35, in base alla quale non sono ritenuti rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale di una controllante presso la sua controllata, a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo, a patto che gli importi versati dalla controllata a favore della società controllante, da un lato, e tali prestiti o distacchi, dall’altro, si condizionino reciprocamente.
Quel che è, quindi, rilevante, facendo applicazione del suddetto principio, è il fatto che la prestazione di servizi, come definita dalla Sesta Dir., art. 2, punto 1, (che si specchia nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3), sia da ritenere onerosa, e quindi imponibile, condizione che ricorre ove sia ravvisabile un nesso di corrispettività tra servizio reso e somma ricevuta, anche in mancanza di lucratività (Cass. civ., 19 luglio 2021, n. 20589), mentre è irrilevante l’importo del corrispettivo, ossia che sia pari, superiore o inferiore ai costi che il soggetto passivo ha sostenuto nell’ambito della fornitura della sua prestazione.
Sotto tale profilo, non correttamente il giudice del gravame ha ritenuto che, nel caso in cui l’importo del corrispettivo sia superiore o inferiore al costo del personale, le operazioni fatturate relative al riaddebito di costi per prestiti di personale distaccato non siano assoggettabili ad iva, con conseguente legittimità del diniego di rimborso, qualora sia riversato solamente il rimborso del relativo costo.
Come detto, è irrilevante l’importo del corrispettivo, dovendosi, invece, porre l’attenzione sulla onerosità o meno della prestazione, profilo non tenuto in considerazione dal giudice del gravame, incorrendo, in tal modo, nella violazione di legge.
Con il quinto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 35, legge n. 67/1988, nonché dell’art. 2697, cod. civ., per avere ritenuta necessaria una specifica forma ad probationem ovvero ad substantiam dell’accordo volto al riaddebito dei costi per il personale maggiorato della percentuale di ricarico del cinque per cento.
Le considerazioni espresse in sede di esame del terzo motivo di ricorso comportano l’assorbimento del presente motivo: non è, invero, rilevante la prova del maggior costo corrisposto (come invece richiesto dal giudice del gravame), quanto la sussistenza di un rapporto di onerosità delle prestazioni.
Con il sesto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., nel testo precedente la modifica di cui al di. n. 83/2012, per omessa o insufficiente motivazione, su un punto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nella violazione del principio di distribuzione dell’onere di prova in ordine alla sussistenza della percentuale di ricarico in capo alla contribuente.
Il motivo è inammissibile per le medesime considerazioni espresse in sede di esame del primo motivo di ricorso.
Con il settimo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., per omesso esame di un fatto controverso e decisivo oggetto di discussione tra le parti, consistente nella distribuzione dell’onere di prova relativo alla sussistenza della percentuale di ricarico.
il motivo è inammissibile.
Lo stesso, invero, denuncia il vizio di motivazione, secondo la nuova previsione di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., con riferimento ad una questione di diritto, cioè l’inosservanza del regime relativo alla distribuzione dell’onere della prova, mentre, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il vizio di motivazione può riguardare solo una questione di fatto (Cass. Sez. Un., n. 5745/2015).
Con l’ottavo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., in relazione all’art. 112, cod. proc. civ., per non avere pronunciato sulla violazione dell’art. 2697, cod. civ., in relazione alla distribuzione dell’onere probatorio relativo alla sussistenza della percentuale di ricarico in capo alla contribuente.
Con il nono motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 2697, cod. civ., per avere implicitamente posto a carico della contribuente l’onere di provare l’identità del costo del personale con l’importo fatturato.
Le considerazioni espresse in sede di esame del quarto motivo comportano l’assorbimento dei presenti motivi di ricorso.
Per ragioni di ordine logico sistematico, si ritiene di dovere esaminare il dodicesimo motivo di ricorso con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 2697, cod. civ., e dell’art. 58, d.lgs. n. 546/1992, per avere erroneamente ritenuto che la produzione in appello dei contratti comprovanti la natura delle prestazioni fosse da considerarsi inammissibile.
Il motivo è fondato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in materia di produzione documentale in grado di appello nel processo tributario, alla luce del principio di specialità espresso dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, in forza del quale, nel rapporto fra norma processuale civile ordinaria e norma processuale tributaria, prevale quest’ultima, non trova applicazione la preclusione di cui all’art. 345, cod. proc. civ., comma terzo, (nel testo introdotto dalla L. n. 69 del 2009), essendo la materia regolata dal cit. d.lgs., art. 58, comma 2, che consente alle parti di produrre liberamente i documenti anche in sede di gravame, sebbene preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado (Cass. civ., 21 ottobre 2021, n. 29470).
La pronuncia del giudice del gravame non è conforme al suddetto
principio, avendo ritenuto, non correttamente, che fosse inammissibile la produzione in appello di nuove prove non prodotte nel precedente grado di giudizio.
L’accoglimento del presente motivo comporta l’assorbimento: del decimo motivo, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., testo previgente, per omessa o insufficiente motivazione su un punto controverso e decisivo relativo alla produzione in appello di nuovi documenti; dell’undicesimo, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., nuovo testo, per omessa o insufficiente motivazione su un punto controverso e decisivo relativo alla produzione in appello di nuovi documenti.
Con il tredicesimo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., testo previgente, per omessa o insufficiente motivazione sul punto controverso e decisivo consistente nella illegittimità della sentenza di primo grado che ha confermato il provvedimento di diniego viziato da contraddittoria motivazione.
Con il quattordicesimo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., nuovo testo, per omessa o insufficiente motivazione sul punto controverso e decisivo consistente nella illegittimità della sentenza di primo grado che ha confermato il provvedimento di diniego viziato da contraddittoria motivazione.
Con il quindicesimo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., in relazione all’art. 112, cod. proc. civ., per non avere pronunciato sulla questione di illegittimità della sentenza di primo grado per omessa motivazione relativa alla contraddittoria motivazione del provvedimento di diniego.
I motivi, che possono essere esaminati unitariamente, sono inammissibili.
Ed invero, con riferimento al tredicesimo e quattordicesimo motivo, valgono le medesime considerazioni espresse in sede di esame del primo e secondo motivo.
Con riferimento al quindicesimo motivo, si osserva che, in realtà, la valutazione del merito della controversia implica, logicamente, una pronuncia implicita sulla questione della non contraddittorietà intrinseca del provvedimento di diniego.
In conclusione, sono fondati il quarto e dodicesimo motivo, inammissibili il primo, secondo, sesto, settimo, tredicesimo, quattordicesimo e quindicesimo, infondato il terzo, assorbiti il quinto, ottavo, nono, decimo e undicesimo, con conseguente accoglimento del ricorso per i motivi accolti e cassazione della sentenza con rinvio alla Commissione tributaria regionale anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il quarto e dodicesimo motivo, inammissibili il primo, secondo, sesto, settimo, tredicesimo, quattordicesimo e quindicesimo, infondato il terzo, assorbiti il quinto, ottavo, nono, decimo e undicesimo, cassa la sentenza censurata e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.
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