CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 20688 depositata il 9 agosto 2018
diritto societario – revisione – collegio sindacale – sanzioni
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
1. Con atto di opposizione ai sensi dell’art. 195 co. 4 0 e ss. D.Igs. 58/98 notificato in data 14 ottobre 2013, CG lamentava:
1°) la nullità della delibera Consob n. 18640 del 28 agosto 2013 per violazione dell’art. 195 2° TUF in ragione della violazione del principio del contraddittorio e della distinzione fra funzioni istruttorie e funzioni decisorie con riguardo alla mancata comunicazione della relazione conclusiva;
2°) l’insussistenza delle violazioni contestate ai sindaci istanti:
3°) la stessa insussistenza delle violazioni da parte della società, la cui prova grava unicamente sulla Consob che, invece, aveva fondato le sue conclusioni su mere congetture, in particolare con riguardo alla natura delle operazioni di acquisizione delle partecipazioni in A. e F. che rientravano nell’oggetto sociale e nell’attività ordinaria della società nonché nei piani strategici e di sviluppo;
4°) l’insussistenza del denunciato mancato rispetto delle Linee … guida per la Corporate Governance e delle previsioni di cui all’art. 8 del Codice di autodisciplina;
5°) l’insussistenza di violazioni dell’art. 2391 c.c. da parte del dottor M.;
6°) l’insussistenza della mancanza di indipendenza del sindaco dottor VG;
ed ha chiesto che la Corte di Appello di Milano sospendesse, in via cautelare, l’esecuzione della delibera opposta; in via preliminare, accertasse e dichiarasse che il provvedimento opposto è stato emesso in violazione del principio del contraddittorio e, quindi, dichiarasse la nullità ovvero l’annullamento ovvero la revoca della delibera della Consob n. 18640 emessa in data 28 agosto 2013 e notificata in data 4 settembre 2013 con la quale sono state applicate le sanzioni amministrative di cui all’art. 193 comma 3 lett. a) nei confronti dell’opponente, in qualità di sindaco della KR spa nonché nei confronti degli altri componenti il Collegio sindacale e della società stessa; in via principale, dichiarasse l’illegittimità e/o infondatezza del provvedimento opposto e, per l’effetto, revocasse o annullasse o comunque rendesse privo di effetto il detto provvedimento e dichiarasse che nulla è dovuto dall’opponente per le pretese sanzionatorie della Consob; in via subordinata disponesse comunque la irrogazione della sola sanzione pecuniaria con esclusione della pubblicazione del provvedimento sul bollettino della Consob, rideterminandone l’ammontare nel minimo edittale di euro 25.000,00.
2. Nella resistenza della Consob che si è costituita chiedendo la reiezione del ricorso, raccolto il parere del P.M. sia sull’istanza di sospensione sia nel merito – di rigetto dell’istanza di sospensione e delle domande dell’opponente -, e concesso termine a parte opponente per replicare alla memoria Consob, la Corte d’Appello di Milano con decreto dell’Il aprile 2014 rigettava l’opposizione.
2.1. In primo luogo era disattesa l’eccezione di nullità della delibera per violazione dell’art. 195 co. 2° TUF per lesione del principio del contraddittorio e della distinzione fra funzioni istruttorie e funzioni decisorie, per non avere la Consob comunicato la relazione conclusiva dell’USA.
Ad avviso della Corte d’Appello si doveva aderire all’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione a sezioni unite che, con sentenza n. 20935 del 19 dicembre 2009, è giunta a negare la fondatezza del rilievo osservando che il principio del contraddittorio deve pur sempre modellarsi in concreto, in funzione, cioè, dello stato in cui si trova la procedura al momento dell’acquisizione delle ulteriori prove, e non implica affatto, di per sé, la necessità della relativa assunzione alla costante presenza della parte.
La descrizione che la stessa parte opponente offriva dello svolgersi del procedimento – al quale aveva attivamente partecipato – dimostrava come nessuna violazione del principio del contradditorio fosse stata posta in essere dalla Consob.
2.2 Quanto al merito dell’opposizione, rilevava che la Consob aveva svolto verifiche con riferimento a due operazioni aventi ad oggetto l’acquisizione, da parte di KR spa delle società A. srl e F. srl realizzate tra il mese di dicembre 2011 ed il mese di gennaio 2012 ed aveva contestato, all’esito, all’opponente, nonchè all’Avv. MG, al Dott. VG e alla KR spa, violazioni dell’art. 149, comma 1 del D. Lgs n. 58/98 (Tuf), chiedendo ai sensi dell’art. 195 comma 1 del Tuf l’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 193, comma 2, lett. a), del citato decreto, in relazione:
– alla violazione dei doveri di vigilanza imposti ai sindaci dalla legge e dall’atto costitutivo (art. 149 comma 1 lett. a) del TUF) relativamente al rispetto:
a) della disciplina procedurale e di trasparenza informativa, ex art. 2391-bis c.c. e del Regolamento Consob n. 17221 del 12 marzo 2010, prevista per le operazioni con parti correlate di maggiore rilevanza;
b) dell’art. 2391 comma 1 c.c. per la sussistenza di interessi per conto proprio dell’amministratore delegato dottor Marco M.;
c) delle disposizioni di cui all’art. 148 TUF in relazione ai requisiti di indipendenza dei sindaci con riguardo alla specifica posizione del sindaco dottor VG;
– alla mancata vigilanza “sulle modalità di concreta attuazione delle regole di governo societario previste da codici di comportamento redatti da società di gestione di mercati regolamentati o da associazioni di categoria, cui la società, mediante informativa al pubblico, dichiara di attenersi” (art. 149 comma 1 lett. c-bis) TUF), relativamente al rispetto:
a) delle linee guida per la Corporate Governance adottate in attuazione del codice di Autodisciplina cui la Società aveva dichiarato di aderire, con riguardo alla omessa verifica del rispetto delle competenze sulle materie oggetto di riserva al Consiglio di Amministrazione nonché del limite massimo della delega ad operare conferita all’AD dottor M.:
b) delle previsioni contenute nell’art. 8 del Codice di Autodisciplina, cui la società aveva dichiarato di aderire, relativamente alla situazione di mancanza di indipendenza del sindaco dottor VG.
Secondo la decisione gravata le contestazioni mosse dall’opponente non erano fondate.
La KR spa – holding di partecipazioni quotata sul MTA, avente ad oggetto un’attività prevalentemente finanziaria, di controllo e di marketing strategico per le società facenti parte del gruppo dalla stessa controllato, operante nei settori della produzione di energia da fonte solare e da cogenerazione nonché dell’impiantistica – all’epoca dei fatti stava vivendo un momento di difficoltà finanziaria e patrimoniale e aveva adottato un Piano di Risanamento che prevedeva un aumento del capitale sociale in opzione destinato al suo riequilibrio, la rimodulazione del debito bancario e commerciale, la chiusura dei principali contenziosi in corso e la realizzazione di nuovi investimenti da finanziare attraverso la cessione di assets ed il reperimento di nuove risorse finanziarie (cfr. Prospetto informativo pubblicato il 26.11.2011).
Tra il dicembre 2011 e il gennaio 2012, la società aveva acquisito l’intero capitale sociale delle società A. srl e F. srl mediante due operazioni aventi ad oggetto ciascuna l’acquisizione del 50% del capitale sociale delle due società e due contestuali cessioni di credito, ciascuna per un corrispettivo pari a complessivi euro 9.950.000,00, in favore l’una di N. srl e l’altra di F.I. srl, operazioni che consentivano l’ingresso della società in un settore a lei sconosciuto, quale quello idroelettrico, da finanziare con le risorse provenienti dalla sottoscrizione dell’aumento di capitale sociale previsto dal Piano di Risanamento e pari ad euro 19.900.000,00.
La prima operazione, realizzata il 27 dicembre 2011, ha avuto ad oggetto l’acquisizione del 50% del capitale sociale di A. srl e F. da M. srl e la contestuale cessione a N. (all’epoca correlata di KR spa) del credito che M. vantava nei confronti di KR spa; cessione che poggiava sull’acquisto, che M. aveva concluso lo stesso 27 dicembre 2011, di una partecipazione pari al 10% del capitale sociale di Orione srl (partecipata all’epoca dei fatti da N. al 35%, da IP al 15% – quest’ultima società indirettamente controllata, tramite F.I., dall’AD dottor M. -, da Trafalgar spa al 30%, da M. al 10% e da A. srl al 10% nonché proprietaria tramite Calcinere srl della centrale idroelettrica “Calcinere”) per euro 7.700.000,00, di titolarità della N.. Il residuo importo pari ad euro 2.450.000,00 – pari alla differenza tra il prezzo dell’acquisizione da parte di KR spa e la cessione del credito – sarebbe stato regolato da separati accordi contrattuali in relazione “alla possibile modifica dell’assetto proprietario di una società partecipata da entrambe anche in relazione a possibili sinergie tra i soci”: questo è quanto risultava dalla lettera 29.2.2012 sottoscritta dal dottor VG, sindaco della KR spa nonché A.U. della N., socio al 25% di A.A srl – che partecipava interamente la N. -, consigliere della stessa A.A srl, A.U. di Argo srl e di Giano srl, società controllate da N. (cfr. bilancio al 31.12.2010), A.U. di Orione (partecipata da N.) e sindaco effettivo di Trafalgar, che partecipava Orione al 30% dal 10. 7.2009.
Detta acquisizione era stata decisa, conclusa ed eseguita dal Dott. M. – detentore del 66,643 % delle azioni ordinarie con diritto di voto della KR spa tramite le controllate F.I. srl e MT Holding S.p.A. nonché AD della società dal 9 febbraio 2011 – al quale erano stati attribuiti i poterì di amministrazione, nel limite di spesa di euro 10.000.000,00 – con la sola esclusione dei poteri riservati per legge e per statuto alla competenza del CdA e con la facoltà di compimento degli atti a lui delegati oltre il limite di spesa e/o il valore sopra indicato a firma congiunta con almeno uno degli altri due ammnistratori.
Inoltre, solo nella riunione consiliare del 10 gennaio 2012 – quindi ad operazione oramai conclusa – il dottor M. aveva informato il Cda rappresentando anche la volontà di portare a compimento l’intera operazione mediante l’acquisizione del residuo 50% del capitale sociale delle società A. e F., acquisizione conclusa il 16 gennaio 2012 dallo stesso dottor M. in forza della delega attribuitagli, su sua proposta, dal CdA e per il prezzo di euro 9.950.000,00 pagato mediante cessione pro soluto del credito vantato dalla cedente A. in favore di F.I.. Il rapporto sottostante a tale cessione era costituito dall’acquisto di una partecipazione pari al 10% in Orione da parte della A. conclusa lo stesso 16 gennaio 2012 al prezzo di euro 7.500.000,00 e la differenza pari ad euro 2.450.000,00 sarebbe stata regolata da separati accordi contrattuali (cfr. lettera F.I. 6.3.2012).
Osservava il decreto gravato che la stessa società di revisione Deloitte, con lettera 10.2.2012 indirizzata al Collegio Sindacale, aveva chiesto delucidazioni in merito alle due operazioni di cui sopra mettendo in risalto le correlazioni e i collegamenti tra le varie società (“profili di correlazione sembrerebbero emergere dall’esame delle informazioni sin qui acquisite”), le cointeressenze in esse del dottor M., del sindaco effettivo VG e del sindaco supplente Riccardo Gianetti (… identità dei soci ultimi di M. srl, N. srl e A. srl, … ), l’utilizzo dei proventi dell’aumento di capitale in realtà destinati al risanamento, l’assenza di ogni perizia da parte di terzi a supporto della congruità del prezzo.
La successiva relazione in data 27 aprile 2012 aveva poi evidenziato profili di criticità e di inadeguatezza delle perizie richieste e redatte dopo il compimento delle operazioni (il dottor M. e il CdA avevano giustificato la loro mancata richiesta prima delle operazioni di acquisizione del capitale sociale delle società con la necessità di portare a termine la trattativa in tempi molto ristretti), l’impossibilità di chiarire se le dette operazioni avessero le caratteristiche di “operazioni con parti terze”, “la mancata svalutazione delle partecipazioni di almeno euro 3.600 migliaia con riferimento al primo 50% di tali partecipazioni iscritto in bilancio al 31 dicembre 2011”.
Inoltre, a proposito della convenienza economica dell’acquisizione delle società A. e F., si era rivelata senza prospettive l’offerta irrevocabile della parte correlata IP (della quale il dottor M. era amministratore nonché azionista di controllo tramite la partecipazione detenuta in F.I. Gmbh per una quota pari al 99,93% del capitale sociale) – asseritamente formulata nella riunione consiliare del 10 gennaio 2012 ma non risultante dal verbale – di rilevare le partecipazioni delle due società acquisite ad un prezzo maggiore di euro 600.000,00 rispetto al prezzo pagato dalla KR spa. La stessa KR spa, nel Documento Informativo relativo ad operazioni di maggiore rilevanza con parti correlate, aveva specificato l’assenza di garanzie a supporto di tale operazione, soggetta al rischio di inadempimento, mentre la IP aveva poi chiesto di posticipare i termini di perfezionamento dell’offerta al fine di poter disporre delle risorse necessarie oppure di poter regolare la cessione non in contanti ma in natura.
Ad avviso della Corte distrettuale le conclusioni della Consob erano frutto di una corretta valutazione dei fatti, dovendosi escludere che si trattasse di mere congetture.
Infatti, l’esame della documentazione e la conseguente ricostruzione dei fatti consentivano di ritenere appurata la “configurazione unitaria dell’acquisizione totalitaria”, in quanto si trattava di acquisizione avvenuta mediante due operazioni poste in essere tra il 27 dicembre 2011 e il 16 gennaio 2012, in prossimità della chiusura di esercizio, ed in relazione all’intero capitale sociale delle società A. e F., operanti in un settore diverso e titolari di centrali idroelettriche, e con il pagamento del corrispettivo mediante la contestuale cessione di crediti che non trovavano causa in rapporti preesistenti ma che sono sorti contestualmente a ciascuna delle due operazioni di acquisizione delle società e di cessione del credito, e che hanno avuto ad oggetto l’acquisto da parte di M. e A. di partecipazioni (ciascuna pari al 10%) nella società Orione, di proprietà di N. e di F.I..
Era quindi evidente che l’acquisizione delle quote e la cessione dei crediti erano logicamente e temporalmente connesse, ed era da escludere che tale connessione fra i diversi negozi giuridici fosse semplicemente “occasionale”, trattandosi piuttosto di operazioni espressione di un unico, unitario disegno con un unico determinato obiettivo, ancorchè realizzato attraverso più operazioni.
Artefice di tale complessa operazione era poi l’AD dott. M. (portatore di un evidente interesse proprio), che aveva agito senza interessare il Cda, ed oltre i limiti della propria delega.
In tal senso andava esclusa la correttezza del rilievo di parte opponente secondo cui, per potersi parlare di unitarietà dell’operazione ai fini dell’operatività delle regole di trasparenza informativa e di correttezza sostanziale e procedurale delle operazioni con parti correlate di cui al Regolamento Consob sulle OPC attuativo dell’art. 2391 bis c.c., sarebbe dovuto sussistere un “collegamento negoziale” propriamente inteso fra i diversi contratti posti in essere, rilevando il solo fatto di avere dissimulato, mediante una solo apparente frammentazione, un unico quadro negoziale del complessivo valore di euro 19.900.00,00.
Il decreto poi sottolineava come il M. era controllante della KR spa attraverso la partecipazione indiretta in F.I. (società cessionaria del credito) per il tramite di F.I. Gmbh della quale era socio unico, ma ciò nonostante, questi non si era astenuto dall’operazione e non ne aveva investito il CdA e non aveva notiziato gli altri amministratori e il collegio sindacale dell’interesse all’operazione.
2.3 Quanto alla mancanza di indipendenza del sindaco VG, il materiale istruttorio aveva evidenziato gli interessi di natura patrimoniale che lo legavano al M.. In particolare: il VG era sindaco di KR spa nonché A.U. di Orione e di N. – società quest’ultima controllata da A.A al cui capitale sociale lo stesso VG partecipava nella misura del 25%;
il 20 luglio 2001 N. aveva ceduto il 25% del capitale sociale di Orione a IP e IL (società parti correlate da KR spa e indirettamente controllate dal dott. M. attraverso F.I. Gmbh di cui era socio e amministratore);
N. e F.I. erano parti correlate di KR spa e azioniste di Orione di cui detenevano rispettivamente il 35% e il 25%.
Emergeva quindi, come sottolineato anche dalla società di revisione, la fondatezza dei rilievi sollevati dalla Consob in merito alla posizione del dottor VG secondo quanto disposto dall’art. 148 3° co. lett c) TUF e dall’art. 8 del codice di autodisciplina.
Inoltre, l’asserita mancata contestazione dell’esistenza di rapporti patrimoniali tra il dottor VG e il dottor M. per avere la Consob fatto riferimento espresso a quelli intercorrenti tra “il sig. VG … e l’Emittente ed il suo controllante, era facilmente superabile richiamando principi consolidati quali la necessità che non muti il fatto sulla base del quale viene irrogata una sanzione, ancorchè dello stesso fatto possa essere data una ricostruzione o una valutazione o una definizione giuridica diverse e ciò a garanzia del diritto di difesa.
2.4 Andava confermata anche la correttezza della contestazione in ordine all’omessa vigilanza sull’osservanza delle “linee guida per la Corporate Governance”, in quanto non era stata riferita dal M. alcuna ragione di motivata urgenza, nel corso della riunione consiliare del 10 gennaio 2012, con riguardo all’operazione posta in essere il 27 dicembre 2011 e ciò nonostante si era fatto rilasciare la delega relativa al compimento dell’ulteriore operazione compiuta il 16 gennaio 2012.
Solo nella riunione consiliare del 23 gennaio 2012 – ad operazione compiuta e a fronte dei rilievi della società di revisione – il dottor M. aveva dato conto delle modalità delle trattative e della conclusione dell’operazione.
A fronte di tale situazione il Collegio sindacale era rimasto inerte, non avendo chiesto chiarimenti o cercato di acquisire informazioni o altre notizie nel corso della riunione consiliare del 10 gennaio 2012 nonostante tutte le criticità dell’operazione, mentre solo nella riunione del 23 febbraio 2012 – ad operazione completata e solo a seguito sia della segnalazione della società di revisione sia della richiesta di informazioni ex 115 TUF – si era attivato chiedendo chiarimenti dei quali però si era poi limitato solo a prendere atto.
Non aveva evidenziato il conflitto di interessi in cui versava il dottor M. nè la mancanza della dovuta indipendenza del dott. VG nonostante le loro posizioni e i loro interessi in comune fossero facilmente verificabili, con la conseguenza che doveva reputarsi che il Collegio sindacale avesse omesso di esercitare compiutamente il suo potere dovere di controllo, oltretutto in una fase particolarmente importante e delicata della società ove l’attenzione e la diligenza dovevano essere superiori.
2.5 Infine veniva disatteso anche il motivo di opposizione concernente la quantificazione della sanzione ai sensi dell’art. 11 della legge n. 689/1981, ritenendosi che, fermi restando i limiti minimi e massimi edittali, la Consob avesse tenuto conto, nella determinazione della sanzione per ciascuna violazione contestata, dei criteri di cui al richiamato art. 11 legge 689/1981 applicando sanzioni differenti ai diversi soggetti, in tal modo diversificando le loro responsabilità in ragione del ruolo ricoperto, della gravità della violazione, dell’elemento soggettivo.
3. Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso CG sulla base di 5 motivi. La Consob ha resistito con controricorso. Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa fase. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.
4. Con il primo motivo di ricorso si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 195 co. 2 TUIF e degli artt. 97, 111 e 117 Cost. e della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, nonché la violazione del principio del contraddittorio del procedimento sanzionatorio dinanzi alla Consob.
Si rileva che erroneamente la Corte d’Appello ha disatteso l’eccezione di nullità del procedimento per la mancata comunicazione all’opponente delle conclusioni dell’ufficio USA, facendosi richiamo a quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 20935/2009, in quanto deve tenersi conto dei recenti sviluppi della giurisprudenza della Corte EDU nonché della giurisprudenza del Consiglio di Stato, che impongono di dover rimeditare quanto in precedenza affermato in punto di rispetto del principio del contraddittorio. A tal fine si richiama quanto sostenuto dalla Corte europea nella sentenza Grande Stevens del 4 marzo 2014 e le successive decisioni del massimo organo di giustizia amministrativa, in ordine alla legittimità del regolamento sanzionatorio adottato dalla Consob ed applicato nella fattispecie.
In sostanza si rileva che il procedimento de quo, come rimodellato dalla legge n. 262/2005 e dalle successive delibere della Consob nn. 15131 e 15086 del 2005, mentre riserva alla Commissione il potere decisionale in merito alla proposta di sanzione, assegna l’attività istruttoria propedeutica agli Uffici interni della stessa Commissione, essendo in particolare affidata la fase decisoria propedeutica all’Ufficio Sanzioni Amministrative.
La relazione di quest’ultimo, che viene trasmessa alla Commissione per l’adozione del provvedimento finale, non è comunicata agli interessati né risulta possibile per questi presentare deduzioni, con la conseguenza che si palesa la violazione del principio del contraddittorio, della conoscenza degli atti istruttori e della separazione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie.
Tali doglianze erano state poste a fondamento dell’opposizione e sono state liquidate dalla Corte d’Appello con il richiamo ai principi affermati in generale dalle Sezioni Unite di questa Corte in tema di sanzioni amministrative (Cass. S.U. n. 20395/2009), per i quali i principi del diritto di difesa e del giusto processo sono riferibili unicamente al procedimento giurisdizionale e non anche al procedimento amministrativo, ancorchè destinato all’applicazione di sanzioni amministrative. Assume il ricorrente che l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite andrebbe rivisto alla luce dei principi affermati dalla Corte EDU nella sentenza del 4 marzo 2014 (Grande Stevens/Italia ricorso n. 18640/2010), che sebbene in relazione al procedimento sanzionatorio di cui all’art. 187 septies TUIF, avrebbe rilevato la violazione di una serie di garanzie procedimentali, quali il diritto a conoscere la proposta dell’Ufficio Sanzioni, la possibilità di essere sentiti ovvero di far sentire delle persone informate sui fatti da parte della Consob, ovvero la possibilità di partecipare alla seduta in cui la Consob procede all’irrogazione della sanzione.
Per l’effetto, si chiede, in riforma di quanto statuito dalla Corte di merito, di accertare l’illegittimità del procedimento sanzionatorio, con la conseguente cassazione del decreto impugnato.
Giova, in primo luogo, premettere che il procedimento sanzionatorio per cui è causa è finalizzato all’applicazione delle sanzioni amministrative di cui all’art. 193 co. 3 TUIF, mentre il procedimento sanzionatorio, in relazione al testo normativo all’epoca vigente, era quello disciplinato dall’art. 195 del TUIF che al secondo comma prevedeva che ” Il procedimento sanzionatorio e’ retto dai principi del contraddittorio, della conoscenza degli atti istruttori, della verbalizzazione nonche’ della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie”.
Orbene, poste tali puntualizzazioni in tema di disciplina applicabile, il motivo in esame è infondato.
Ed, invero, deve richiamarsi l’orientamento espresso da questa Corte, anche dopo l’intervento della CEDU invocato da parte ricorrente, per il quale in relazione alle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla CONSOB diverse da quelle di cui all’art. 187 ter TUF, sulle quali si è espressamente pronunciata la richiamata sentenza Grande Stevens, non è possibile la loro equiparazione, quanto a tipologia, severità, incidenza patrimoniale e personale, a quelle appunto irrogate dalla CONSOB per manipolazione del mercato, sicché esse non hanno la natura sostanzialmente penale che appartiene a queste ultime, né pongono, quindi, un problema di compatibilità con le garanzie riservate ai processi penali dall’art. 6 CEDU, agli effetti, in particolare, della violazione del “ne bis in idem” tra sanzione penale ed amministrativa comminata sui medesimi fatti (cfr. Cass. Sez. 1, 30/06/2016, n. 13433; Cass. Sez. 1, 02/03/2016, n. 4114; Cass. Sez. 2, 24/02/2016, n. 3656, tutte in rapporto a Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia).
La questione ha poi trovato adeguato approfondimento nelle motivazioni di Cass. n. 25141/2015, alle quali il Collegio ritiene di dover dare continuità, che ha appunto affermato che il procedimento sanzionatorio di cui all’art. 195 TUF, non viola l’art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, perché questo esige solo che, ove il procedimento amministrativo sanzionatorio non offra garanzie equiparabili a quelle del processo giurisdizionale, l’incolpato possa sottoporre la questione della fondatezza dell’accusa penale” a un organo indipendente e imparziale, dotato di piena giurisdizione, come la disciplina nazionale gli consente di fare tramite l’opposizione alla corte d’appello (cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia).
In tal senso si veda anche Cass. n. 1205/2017 che, in risposta alla deduzione del ricorrente secondo cui l’articolazione del procedimento sanzionatorio dinanzi alla CONSOB soffrirebbe una ingiustificabile cessazione dell’interlocuzione consentita all’interessato proprio alle soglie della fase decisionale, quando l’interesse allo svolgimento delle proprie ragioni è massimo, non essendogli data la possibilità di formulare deduzioni sulla proposta dell’Ufficio Sanzioni (che non gli viene trasmessa), nè tantomeno essendo ammesso ad una qualsivoglia forma di contraddittorio dinanzi alla Commissione, nel richiamare i principi già a suo tempo esposti dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 20935 del 2009, in tema di rispetto del principio del contraddittorio, ha ritenuto che gli stessi vadano mantenuti fermi, nonostante le indicazioni offerte dalla Corte EDU con la sentenza 4 marzo 2014 Grande Stevens c. Italia.
Infatti, depone a favore di tale soluzione la circostanza che nella medesima sentenza, sulla scorta della pregressa giurisprudenza della stessa Corte EDU, si è precisato che le carenze di tutela del contraddittorio che caratterizzino un procedimento amministrativo sanzionatorio non consentono di ritenere violato l’art. 6 della Convenzione EDU quando il provvedimento sanzionatorio sia impugnabile davanti ad un giudice indipendente ed imparziale, che sia dotato di giurisdizione piena e che conosca dell’opposizione in un procedimento che garantisca il pieno dispiegamento del contraddittorio delle parti (punti 138 e 139).
Per l’effetto, anche a voler sostenere che le sanzioni irrogate dalla Consob, pur qualificate come amministrative, abbiano, alla stregua dei criteri elaborati dalla Corte EDU, natura sostanzialmente penale (il che non è per quelle oggetto di disamina nella fattispecie, attesa la diversa gravità rispetto a quelle irrogate ai sensi dell’art. 187 ter, dovendosi a tal fine tenere conto anche dell’assenza di sanzioni accessorie e della mancata previsione di una confisca obbligatoria elementi questi che invece erano presenti nella fattispecie scrutinata dalla Corte EDU nel precedente richiamato), deve ritenersi che l’assoggettamento del provvedimento sanzionatorio applicato dall’autorità amministrativa (anche all’esito di un procedimento, in ipotesi, non connotato dalle garanzie del contraddittorio) ad un sindacato giurisdizionale pieno, di natura tendenzialmente sostitutiva, attuato attraverso un procedimento conforme alle prescrizioni dell’art. 6 della Convenzione, esclude che il procedimento amministrativo sia illegittimo, in relazione ai parametri fissati dall’art. 6 della Convenzione, e che la successiva fase giurisdizionale determini una sorta di sanatoria di tale originaria illegittimità, dovendosi più correttamente opinare nel senso che il procedimento amministrativo, pur non offrendo esso stesso le garanzie di cui all’art. 6 della Convenzione, risulta all’origine conforme alle prescrizioni di detto articolo, proprio perchè è destinato a concludersi con un provvedimento suscettibile di un sindacato giurisdizionale pieno, nell’ambito di un giudizio che assicura le garanzie del giusto processo.
Nel caso in esame l’impugnabilità delle deliberazioni sanzionatorie adottate dalla CONSOB davanti alla Corte di appello territorialmente competente, e cioè dinanzi ad un giudice indipendente ed imparziale, dotato di giurisdizione piena e davanti al quale è garantita la pienezza del contraddittorio e la pubblicità dell’udienza implica la legittimità dello stesso procedimento sanzionatorio e l’infondatezza del motivo in esame (cfr. da ultimo Cass. n 770/2017, ai sensi della quale anche nel caso di sanzioni amministrative, che abbiano natura sostanzialmente penale, la garanzia del giusto processo, ex art. 6 della CEDU, può essere realizzata, alternativamente, nella fase amministrativa – nel qual caso, una successiva fase giurisdizionale non sarebbe necessaria – ovvero mediante l’assoggettamento del provvedimento sanzionatorio – adottato in assenza di tali garanzie – ad un sindacato giurisdizionale pieno, di natura tendenzialmente sostitutiva ed attuato attraverso un procedimento conforme alle richiamate prescrizioni della Convenzione, il quale non ha l’effetto di sanare alcuna illegittimità originaria della fase amministrativa giacché la stessa, sebbene non connotata dalle garanzie di cui al citato art. 6, è comunque rispettosa delle relative prescrizioni, per essere destinata a concludersi con un provvedimento suscettibile di controllo giurisdizionale).
Nè, infine, sotto altro aspetto, nel presente giudizio possono rilevare le affermazioni svolte nelle pronunce del Consiglio di Stato (in particolare quella n. 1596/15) in ordine alla illegittimità del procedimento sanzionatorio della CONSOB (v., ancora, il citato precedente di questa Corte n. 8210 del 2016), tanto più che dette valutazioni non si sono tradotte in alcuna statuizione di annullamento del regolamento contenente la previgente disciplina del procedimento sanzionatorio CONSOB, giacchè il decisum della sentenza del Consiglio di Stato n. 1596/15 si risolve in una declaratoria di inammissibilità del ricorso delle parti private per carenza di interesse.
5. Il secondo motivo di ricorso denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 97, 111 e 117 Cost. e dell’art. 6 § 1 della CEDU, con la violazione del giusto processo.
Nel richiamare quanto affermato dalla menzionata sentenza Grande Stevens in punto di illegittimità del procedimento sanzionatorio, si lamenta altresì che non sia stata celebrata, a seguito dell’opposizione, un’udienza pubblica, posto che il procedimento dinanzi alla Corte d’Appello si è svolto in camera di consiglio, sentito il Pubblico Ministero.
A tal fine si sollecita questa Corte a sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 195 menzionato, in relazione all’art. 117 Cost., per la violazione del menzionato art. 6 § 1 della CEDU e degli artt. 97 e 111 Cost.
Le superiori considerazioni in ordine alla legittimità del procedimento sanzionatorio attesa la garanzia offerta dal controllo di legittimità dell’operato dell’Autorità indipendente in sede giurisdizionale, danno contezza altresì dell’infondatezza del motivo proposto.
A tal fine vaga il richiamo a quanto di recente affermato da questa Corte nella sentenza n. 1658/2017, nella quale si è appunto ribadito che, ai fini del rigetto delle analoghe doglianze del ricorrente, risultava decisivo il rilievo che le deliberazioni sanzionatorie adottate dalla CONSOB sono impugnabili davanti alla Corte di appello territorialmente competente e non è dubitabile che la Corte d’appello debba essere considerata, alla stregua dei parametri indicati dalla stessa sentenza Grande Stevens, un giudice indipendente ed imparziale, dotato di giurisdizione piena e davanti al quale è garantita la pienezza del contraddittorio e la pubblicità dell’udienza.
In tal senso, valga altresì considerare che, oltre a non emergere la natura sostanzialmente penale delle sanzioni in concreto irrogate (attesa anche la mancanza di sanzioni accessorie particolarmente afflittive, che ragionevolmente hanno indotto la Corte EDU ad optare per la natura sostanzialmente penale delle sanzioni di cui all’art. 187 ter TUF), manca la concreta allegazione dello specifico pregiudizio al diritto di difesa che lo svolgimento camerale dell’opposizione abbia determinato in danno del ricorrente, emergendo piuttosto che questi abbia potuto pienamente sviluppare le proprie deduzioni difensive, sottoponendo alla Corte distrettuale gli argomenti a suo dire idonei a confutare la correttezza dell’operato della Consob, senza che quindi la carenza del requisito della pubblicità appaia idoneo a tradursi in un vizio tale da cagionare la nullità del provvedimento impugnato.
Ne consegue altresì che la questione di legittimità costituzionale prospettata dal ricorrente si palesa come manifestamente infondata.
5.1. Nella memoria ex art. 378 c.p.c. il ricorrente pone altresì la questione dell’incidenza dello ius superveniens più favorevole, evidenziando che nelle more l’art. 193 co. 3 lett. a), sulla base della quale è stata irrogata la sanzione in esame, è stato modificato con l’art. 5 del D. Lgs. N. 72 del 2015, prevedendosi che oggi la sanzione applicabile vada da un minimo di C 10.000,00 ad un massimo di € 1.500.000,00, laddove la previgente disposizione prevedeva un minimo di € 25.000,00 ed un massimo di € 2.500.000,00.
Si sostiene pertanto che in applicazione del principio del favor rei, occorrerebbe tenere conto della norma sopravvenuta più favorevole, suscettibile di portare ad una riduzione della sanzione applicata.
Si aggiunge altresì che l’art. 6 del citato D. Lgs. N. 72 del 2015 ha espressamente stabilito che alle violazioni commesse prima della data di entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla Consob e dalla Banca d’Italia (i nuovi Regolamenti) si continuano ad applicare le norme previgenti, sottolineandosi che tale disposizione, in quanto volta espressamente ad escludere l’applicazione del principio della lex mitior, sarebbe in contrasto con la stessa legge delega la quale aveva richiesto al legislatore delegato di valutare l’estensione di tale principio anche ai casi di modifica della disciplina vigente al momento in cui è stata commessa la violazione.
Si ritiene quindi che tale omessa considerazione sarebbe in contrasto con gli artt. 76 e 77 Cost. e con l’art. 117 Cost. per la violazione della norma interposta rappresentata dalla CEDU, che in relazione alle sanzioni aventi carattere sostanziale penale impone di dover fare applicazione della norma sopravvenuta più favorevole.
Infine si sostiene che la previsione sarebbe anche in contrasto con l’art. 3 Cost. per la violazione del principio di ragionevolezza, sollecitandosi quindi questa Corte a sollevare, se del caso, questione di legittimità costituzionale della norma che ha escluso l’applicazione del diritto sopravvenuto alle violazioni commesse in epoca anteriore alla sua entrata in vigore.
La censura è priva di fondamento.
Ed, invero, in disparte la considerazione che il ricorso non contiene motivi espressamente diretti a censurare la determinazione della sanzione ad opera dei giudici di merito, e che quella in concreto applicata risulta rientrare nelle previsioni quantitative della norma sopravvenuta, la doglianza si palesa infondata alla luce della ribadita impossibilità di attribuire alla sanzione de qua carattere sostanzialmente penale alla luce dei principi CEDU.
Ne deriva che tale affermazione mina alla radice l’intero impianto argomentativo del ricorrente, che evidentemente presuppone la qualificazione in termini sostanziali penali della sanzione de qua.
La negazione di tale carattere, e la riaffermazione del carattere strettamente amministrativo dell’illecito oggetto del procedimento in esame, comportano che debba farsi applicazione del tradizionale principio di questa Corte ( cfr. ex multis Cass. n. 29411/2011) per il quale in tema di sanzioni amministrative, i principi di legalità, irretroattività e di divieto dell’applicazione analogica di cui all’art. 1 I. 24 novembre 1981 n. 689, comportano l’assoggettamento della condotta illecita alla legge del tempo del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore più favorevole, sia che si tratti di illeciti amministrativi derivanti da depenalizzazione, sia che essi debbano considerarsi tali “ah origine”, senza che possano trovare applicazione analogica, attesa la differenza qualitativa delle situazioni considerate, gli opposti principi di cui all’art. 2, commi 2 e 3, c.p., i quali, recando deroga alla regola generale dell’irretroattività della legge, possono, al di fuori della materia penale, trovare applicazione solo nei limiti in cui siano espressamente richiamati dal legislatore.
Con specifico riferimento poi alle previsioni di cui al D. Lgs. n. 72/2015, si veda anche Cass. n. 4114/2016, che ha affermato che in materia di intermediazione finanziaria, le modifiche alla parte V del d.lgs. n. 58 del 1998 apportate dal d.lgs. n. 72 del 2015 si applicano alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni di attuazione adottate dalla Consob, in tal senso disponendo l’art. 6 del medesimo decreto legislativo, sicchè non è possibile ritenere l’applicazione immediata della legge più favorevole, atteso che il principio cd. del “favor rei”, di matrice penalistica, non si estende, in assenza di una specifica disposizione normativa, alla materia delle sanzioni amministrative, che risponde, invece, al distinto principio del “tempus regit actum”. Né tale impostazione viola i principi convenzionali enunciati dalla Corte EDU nella sentenza 4 marzo 2014 (Grande Stevens ed altri c/o Italia), secondo la quale l’avvio di un procedimento penale a seguito delle sanzioni amministrative comminate dalla Consob sui medesimi fatti violerebbe il principio del “ne bis in idem”, atteso che tali principi vanno considerati nell’ottica del giusto processo, che costituisce l’ambito di specifico intervento della Corte, ma non possono portare a ritenere sempre sostanzialmente penale una disposizione qualificata come amministrativa dal diritto interno, con conseguente irrilevanza di un’eventuale questione di costituzionalità ai sensi dell’art. 117 Cost.
Trattasi peraltro di conclusioni che sono confortate anche dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, la quale con la pronuncia n. 193 del 20/7/2016, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689, impugnato, in riferimento agli artt. 3, 117, primo comma, Cost., 6 e 7 CEDU, nella parte in cui — nel definire il principio di legalità che consente di irrogare sanzioni amministrative solo in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione e nei casi e per i tempi ivi considerati — non prevede l’applicazione della legge successiva più favorevole agli autori degli illeciti amministrativi. In tal senso ha osservato che la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha enucleato il principio di retroattività della legge penale meno severa, non ha mai avuto ad oggetto il complessivo sistema delle sanzioni amministrative, bensì singole e specifiche discipline sanzionatorie che, pur qualificandosi come amministrative ai sensi dell’ordinamento interno, siano idonee ad acquisire caratteristiche punitive alla luce dell’ordinamento convenzionale. L’invocato intervento additivo risulta travalicare l’obbligo convenzionale e disattende la necessità della preventiva valutazione della singola sanzione come convenzionalmente penale. Nel quadro delle garanzie apprestato dalla CEDU, come interpretate dalla Corte di Strasburgo, non si rinviene l’affermazione di un vincolo di matrice convenzionale in ordine alla previsione generalizzata, da parte degli ordinamenti interni dei singoli Stati aderenti, del principio di retroattività della legge più favorevole, da trasporre nel sistema delle sanzioni amministrative. Né sussiste un analogo vincolo costituzionale poiché rientra nella discrezionalità del legislatore, nel rispetto del limite della ragionevolezza, modulare le proprie determinazioni secondo criteri di maggiore o minore rigore. Il differente e più favorevole trattamento riservato ad alcune sanzioni, come quelle tributarie e valutarie, trova fondamento nelle peculiarità che caratterizzano le rispettive materie e non può trasformarsi da eccezione a regola, coerentemente con il principio generale di irretroattività della legge e con il divieto di applicazione analogica delle norme eccezionali (artt. 11 e 14 delle preleggi). Trattasi peraltro di considerazioni che trovano riscontro anche nella più recente decisione della Corte Costituzionale n. 43 del 2017, che nel ritenere infondate infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 30, comma 4, l. 11 marzo 1953, n. 87, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 25, comma 2, e 117, comma 1, quest’ultimo in relazione agli artt. 6 e 7 CEDU, nella parte in cui non prevede la propria applicabilità alle sentenze irrevocabili con le quali è stata inflitta una sanzione amministrativa qualificabile come “penale” ai sensi del diritto convenzionale, ha ribadito che anche per le sanzioni qualificate come amministrative dal diritto interno, ma suscettibili nell’ottica convenzionale di essere individuate come aventi carattere penale, non è possibile reputare automaticamente estese alle stesse le garanzie che l’ordinamento statuale riserva alle sole sanzioni penali così come qualificate dall’ordinamento interno, palesandosi quindi legittima la differente applicazione delle regole in tema di ius superveniens favorevole in relazione agli illeciti amministrativi, anche laddove siano qualificabili come penali in base alle norme CEDU.
Le superiori considerazioni consentono quindi di affermare che, proprio in ragione della esclusione della natura penale delle sanzioni in esame, non si profila il vizio di eccesso di delega ( tenuto conto che la legge in questione affidava al legislatore delegato una valutazione autonoma in merito all’opportunità di estendere il principio del favor rei a seguito della novella, valutazione che però, in assenza di una sanzione qualificabile come penale, non imponeva a rime obbligate la sua attuazione), né appare configurabile la dedotta violazione degli artt. 117 e 3 Cost., dovendosi quindi disattendere la richiesta di sollevare la questione di legittimità costituzionale, da ritenere peraltro manifestamente infondata proprio alla luce della motivazioni del precedente della Consulta sopra indicato.
6. Il terzo motivo di ricorso denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2391 bis c.c. e del Regolamento della Consob n. 17221 del 12 marzo 2010, artt. 2 e 5, con la conseguente erronea irrogazione delle sanzioni previste dall’art. 149 co. 1 lett. a) e lett. c-bis) del TUF, per omessa vigilanza in ordine ad operazioni con parti correlate.
Nel rimandare quanto alle premesse in fatto alla ricostruzione delle vicende operata nella parte espositiva della presente sentenza, il motivo assume che in realtà non sarebbe intervenuto nessun contratto tra la società quotata ed una parte correlata, in quanto le acquisizioni delle quote della A. e della F. erano avvenute ad opera della società quotata, senza la partecipazione di parti correlate; ancora la cessione di quote della società Orione alla M. ed alla A. vedevano come protagoniste società terze e società che costituivano una parte correlata della KR spa S.p.A., ma non direttamente quest’ultima; infine la cessione pro soluto dei crediti vantati dalle cedenti le quote della A. e della F. in favore delle società che avevano a loro volta ceduto una quota delle società Orione, vedeva il coinvolgimento sempre di parti correlate e di società terze, ma mai della – società quotata.
In assenza di un diretto coinvolgimento della società quotata e delle parti correlate in un unico contratto, ed in carenza di un collegamento negoziale, risulterebbe quindi erronea la pretesa della Consob, ritenuta invece legittima dal decreto gravato, di assoggettare la vicenda alla disciplina di cui all’art. 2391 bis c.c., essendo invece necessaria a tal fine l’esistenza di un vero e proprio collegamento negoziale.
Apparirebbe altresì erroneo il richiamo alla nozione del “disegno unitario” sposata dalla decisione gravata, posto che tale figura è contemplata nel Regolamento Consob attuativo della disciplina di cui all’art. 2391 bis c.c., solo all’art. 5 co. 2, ma al fine di assoggettare alla disciplina delle operazioni con parti correlate operazioni tra loro omogenee, che pur non qualificabili singolarmente come operazioni di maggiore rilevanza, superino, cumulativamente considerate, le soglie di rilevanza dettate dall’art. 4 co. 1 lett. a) dello stesso Regolamento.
Il motivo è infondato.
L’art. 2391 bis c.c., introdotto dall’art. 12 del D. Lgs. n. 310 del 2004, prevede, per le società che fanno ricorso al capitale di rischio, la seguente disciplina:
Gli organi di amministrazione delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio adottano, secondo princìpi generali indicati dalla Consob, regole che assicurano la trasparenza e la correttezza sostanziale e procedurale delle operazioni con parti correlate e li rendono noti nella relazione sulla gestione; a tali fini possono farsi assistere da esperti indipendenti, in ragione della natura, del valore o delle caratteristiche dell’operazione.
I principi di cui al primo comma si applicano alle operazioni realizzate direttamente o per il tramite di società controllate e disciplinano le operazioni stesse in termini di competenza decisionale, di motivazione e di documentazione. L’organo di controllo vigila sull’osservanza delle regole adottate ai sensi del primo comma e ne riferisce nella relazione all’assemblea.
La finalità della norma è chiaramente quella di approntare una regolamentazione idonea a preservare evidenti esigenze di trasparenza sia all’interno che all’esterno della società, in presenza di fenomeni connotati potenzialmente da una situazione di conflitto di interesse, ed in ragione del compimento di operazioni che, proprio per la presenza di parti correlate, possono essere piegate agli interessi di coloro che gestiscono la società a detrimento degli investitori.
In tale ottica si prevede una regolamentazione in gran parte affidata all’integrazione tramite il potere normativo secondario della Consob, che assicuri la correttezza sostanziale e procedurale delle operazioni con parti correlate, con una complessità procedimentale che risulta graduata a seconda delle caratteristiche delle operazioni, anche in ragione delle eventuali ragioni di urgenza che possono connotare l’agire delle società, assegnando tuttavia un ruolo centrale alla preventiva approvazione delle operazioni di maggiore rilevanza da parte di un comitato consultivo composto da amministratori indipendenti, con un parere che, per quanto non vincolante, consente all’assemblea di poter a sua volta esprimersi, sempre in maniera non vincolante, circa la fattibilità dell’operazione, rimettendo in tal modo alla discrezione degli amministratori il suo compimento, e chiamando quindi in causa la loro responsabilità, ma nel rispetto della competenza in capo all’organo di amministrazione in merito alle scelte ritenute strategiche per la società.
In attuazione della delega contenuta nella norma esaminata, la Consob, dopo oltre cinque anni è intervenuta con il Reg. n. 17221 del 12.3.2010, come successivamente modificato, cui ha fatto seguito una Comunicazione esplicativa n. 10078683 del 24.9.2010, con il quale ha fornito una regolamentazione dettagliata sia per quanto concerne la previa individuazione delle “operazioni” interessate dalla norma, sia per quanto concerne la qualificazione di “parti correlate”, occorrendo a tal fine avere riguardo a quanto previsto nell’allegato 1 al regolamento.
Poste tali doverose premesse, ed avuto riguardo alla ricostruzione in fatto operata dalla Consob nella delibera opposta, e sostanzialmente confermata dalla Corte distrettuale, appare evidente, ed è riconosciuto da parte dello stesso ricorrente, che le società che hanno provveduto a cedere alla M. ed alla A., contestualmente all’acquisizione dei pacchetti societari della A. e della F. ad opera della KR spa dalle predette cedenti, sono soggetti rientranti nella nozione di parte correlate, quale individuata dall’Allegato 1 al predetto Regolamento Consob.
Del pari deve poi ritenersi che, attesa l’entità economica dell’operazione di acquisizione dell’intera partecipazione societaria della A. e della F., le singole acquisizioni del 27/12/2011 e del 16/1/2012, anche singolarmente considerate, sono suscettibili di essere qualificate in termini di operazioni di maggiore rilevanza ai sensi dell’art. 4 co. 1 lett. a) del Regolamento in questione.
La tesi del ricorrente che vorrebbe sottrarre le vicende oggetto di causa ad una lettura unitaria, intese quali segmenti di una complessa vicenda idonea a consentire l’acquisizione della titolarità delle società A. e F., con la partecipazione nell’operazione di parti correlate, che contestualmente all’acquisizione provvedevano ad alienare alle cedenti delle partecipazioni societarie in altre società, assicurando poi che il loro credito fosse soddisfatto in parte mediante la cessione pro soluto del credito vantato dalla M. e dalla A. scaturente dalla cessione in favore della KR spa, si risolve nella sostanza in una indebita sollecitazione a questa Corte a procedere ad un non consentito diverso accertamento dei fatti. La Corte di merito, con dovizia di argomentazioni ha correttamente valorizzato una serie di indici cronologici (la rapida successione delle alienazioni e la contestualità tra le operazioni che vedevano coinvolte la KR spa, le parti correlate e le società terze) e funzionali (la finalità di conseguire in breve tempo l’intero capitale sociale delle società ritenute strategiche nel settore idroelettrico, in vista del rilancio dell’attività della società quotata), che inducevano a ravvisare la sussistenza di una trama unica dietro le varie articolazioni negoziali.
In tal senso, ed a conferma della correttezza dell’inquadramento operato dai giudici di merito, valga anche il riferimento contenuto nelle missive del 29/2/2012 a firma del dott. VG e del 6/3/2012 sottoscritta dalla F.I., secondo cui le differenze di valore esistente tra il credito ceduto alle parti correlate ed il controvalore del pacchetto della società Orione trasferito alle cedenti il credito, sarebbe stato regolato mediante non meglio precisati e separati accordi contrattuali, dal contenuto del tutto indeterminato, in quanto legati a variabili del tutto ipotetiche, come possibili modifiche dell’assetto societario ovvero possibili sinergie tra i soci.
La ricostruzione in fatto operata dal decreto gravato non appare quindi censurabile, tanto meno in punto di diritto, non potendosi ritenere erroneo il richiamo alla nozione di disegno unitario per avvincere in una valutazione globale le varie transazioni intervenute.
Pertanto, appare frutto di una lettura assolutamente restrittiva e non condivisibile delle norme in esame la tesi sostenuta dal ricorrente secondo cui la nozione de qua troverebbe riconoscimento nella disciplina delle operazioni con parti correlate solo nella previsione di cui all’art. 5 co. 2 del Regolamento Consob che consente di valutare unitariamente distinte operazioni che, invece, singolarmente considerate non rientrerebbero nella definizione di operazioni di maggiore rilevanza.
Ed, invero, in questo caso la norma si giustifica al fine di evitare l’elusione del limite quantitativo previsto per le operazioni di maggiore rilevanza, che i consigli di amministrazione o i consigli di gestione delle società devono rispettare nel loro potere di autoregolamentazione, ai sensi delle previsioni di cui all’Allegato 3 del Regolamento Consob, mediante il frazionamento di operazioni che però vedano il compimento palese di operazioni con parti correlate.
Il caso in esame, invece si prospetta, proprio come confermato dalla lettura atomistica che invece propone il CG, per una articolazione dell’operazione che incide non solo sull’elemento oggettivo delle operazioni ( essendosi proceduto a frazionare in due diversi momenti temporali l’acquisto della totalità delle quote delle società A. e F., sebbene a distanza di meno di un mese), ma anche sotto il profilo soggettivo, separando negozialmente le operazioni che vedono il coinvolgimento della società quotata da quelle che invece vedono coinvolte le parti correlate, ancorchè il risultato economico perseguito dalla prima (acquisizione della totalità della titolarità delle predette società) sia stato conseguito tramite la separata, ma contestuale cessione delle quote della società Orione e la cessione dei crediti, e grazie al necessitato coinvolgimento delle parti correlate.
In presenza di un evidente obiettivo di aggiramento delle norme di garanzia e trasparenza predisposte dall’art. 2391 bis c.c., risulta quindi illusoria la pretesa di richiedere necessariamente l’esistenza di un collegamento negoziale per inquadrare la complessa vicenda nella disciplina de qua, in quanto proprio il ricorso al collegamento negoziale avrebbe una portata autoaccusatoria circa l’intento elusivo dell’operazione in esame.
Infine, non deve trascurarsi, come correttamente evidenziato dalla difesa della Consob, che nell’interpretazione e corretta applicazione delle definizioni dettate dal Regolamento, come appunto precisato dall’art. 3.1 dell’Allegato 1 al Regolamento, occorre avere riguardo alla sostanza del rapporto e non semplicemente alla sua forma giuridica.
La puntuale disamina delle interrelazioni esistenti tra i vari soggetti coinvolti, e la corretta ricostruzione della dinamica complessiva della vicenda impongono quindi di ritenere che la soluzione della Corte d’Appello si sia pienamente conformata al menzionato criterio interpretativo, deponendo quindi in definitiva per l’infondatezza del motivo di ricorso in esame.
7. Il quarto motivo di ricorso denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 148 co. 3 del TUF e di conseguenza l’erronea applicazione delle sanzioni previste dall’art. 149 del medesimo testo normativo.
Si deduce che erroneamente è stata contestata la violazione del dovere di rilevare la mancanza di indipendenza del sindaco VG, ai sensi dell’art,. 148 co. 3 lett. c) e dell’art. 8 del L. codice di autodisciplina.
Si sostiene che la corretta interpretazione delle norme doveva spingere a valorizzare solo il rapporto direttamente intercorrente tra il sindaco, come persona F.I.ca, e le società controllate, controllanti ovvero sottoposte a comune controllo, mentre dal punto di vista oggettivo, non rilevavano tutti i possibili rapporti, ma solo quelli inquadrabili nelle nozioni di rapporti di lavoro autonomo o subordinato ovvero in altri rapporti di natura patrimoniale o professionale aventi però carattere continuativo.
Pertanto rapporti puntuali e non continuativi, quali compravendite societarie ovvero ipotesi nelle quali è l’amministratore ad essere dipendente del sindaco (come avvenuto nel caso in esame, laddove il VG partecipava ed amministrava società che controllavano società che a loro volta controllavano società di cui il M. era amministratore) non consentivano di ritenere configurata la fattispecie espressiva della carenza di indipendenza del sindaco.
Il motivo è infondato.
A noma dell’art. 148 comma 3 del TUF, non possono essere eletti sindaci e, se eletti, decadono dall’ufficio: a) coloro che si trovano nelle condizioni previste dall’articolo 2382 del codice civile; b) il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori della società, gli amministratori, il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori delle società da questa controllate, delle società che la controllano e di quelle sottoposte a comune controllo; c) coloro che sono legati alla società od alle società da questa controllate od alle società che la controllano od a quelle sottoposte a comune controllo ovvero agli amministratori della società e ai soggetti di cui alla lettera b) da rapporti di lavoro autonomo o subordinato ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale o professionale che ne compromettano l’indipendenza.
In relazione alla vicenda in esame viene in rilievo nello specifico la previsione di cui alla lettera c) che precede, laddove il rapporto tra sindaco e società controllate ovvero amministratori di queste ultime, tale da compromettere l’indipendenza del primo, è individuato in senso ampio, comprensivo di qualsivoglia rapporto patrimoniale o professionale, sebbene non connotato dal carattere della continuità, che invece risulta richiesto dall’art. 2399 c.c. per le società non quotate in borsa.
Già tale primo elemento differenziatore della fattispecie risulta idoneo a confutare la correttezza dell’interpretazione restrittiva che parte ricorrente intende offrire della norma, di modo che la complessiva formulazione del motivo appare nella sostanza risolversi in una non consentita censura di fatto, mirando, pur a fronte di una attenta e puntuale ricostruzione delle vicende societarie che coinvolgono a vario titolo il VG ed il M., a contestare la valutazione riservata al giudice di merito, circa l’idoneità dei rapporti che coinvolgono i predetti a minare l’indipendenza del primo nell’esercizio delle funzioni di controllo nella società, di cui il secondo era all’epoca dei fatti Amministratore Delegato.
8. Il quinto motivo denunzia la violazione e falsa applicazione del criterio applicativo 8.C.1 del Codice di autodisciplina, e di conseguenza l’errata applicazione delle sanzioni irrogate, in punto di omesso rilievo della carenza del requisito di indipendenza del sindaco VG.
Si deduce che in base al richiamato Codice di autodisciplina l’obbligo di informare il mercato dell’assenza dei requisiti di indipendenza dei sindaci è previsto solo nell’ambito della revisione annuale sicchè si rivela erronea la decisione di confermare la sanzione in parte qua.
Il motivo va disatteso.
Ed, invero, deve osservarsi che al ricorrente è stata contestata anche la violazione dell’art. 149 co. 1 lett. c-bis del TUF, il quale prevede che il collegio sindacale debba vigilare anche sulle modalità di concreta attuazione delle regole di governo societario previste da codici di comportamento redatti da società di gestione di mercati regolamentati o da associazioni di categoria, cui la società, mediante informativa al pubblico, dichiara di attenersi, sicchè solo in tale prospettiva potrebbe porsi la verifica della corretta applicazione delle previsioni di cui al richiamato codice di autodisciplina, in quanto previsioni integrative del precetto della norma sanzionatoria, e ciò pur trattandosi di disposizioni promananti da un soggetto privato, e come tali non riconducibili in sé al novero delle previsioni normative suscettibili di poter essere invocate ai fini della denunzia del vizio di cui all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.
Tuttavia anche in tale diversa prospettiva deve escludersi che possa ravvisarsi una violazione della previsione de qua.
Ed, invero, va in primo luogo ricordato che la sanzione irrogata è prevista dall’art. 193 TUF co. 3 per l’omissione delle comunicazioni di cui al comma 3 dell’art. 149, comunicazioni che vanno indirizzate, e senza indugio, alla Consob, non appena i sindaci si avvedano di irregolarità riscontrate nell’attività di vigilanza, tra le quali deve includersi anche il riscontro del venir meno dei requisiti di indipendenza di alcuni dei sindaci.
Non è invece prevista una specifica sanzione per la violazione dell’art. 8, i cui principi, espressi al punto 8.P.1. appaiono assolutamente in linea con quanto emerge dalle norme del TUF (ribadendosi che i sindaci debbano agire con autonomia ed indipendenza, anche nei confronti degli azionisti che li hanno eletti). Inoltre è evidente che la comunicazione annuale di cui al criterio interpretativo 8.C.1, richiamato dal CG, mira a soddisfare non già l’esigenza di tempestiva allerta della Consob, in relazione alla quale si correla la sanzione amministrativa irrogata, quanto l’esigenza di trasparenza del mercato, sicchè il rispetto dell’informazione al pubblico, secondo la cadenza temporale prevista dal richiamato codice di autodisciplina, non esime di per sé il sindaco dall’adempimento dello specifico obbligo imposto invece dall’art. 149 TUF nei confronti della Consob.
Anche tale motivo deve quindi essere disatteso
9. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
10. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese che liquida in complessivi € 4.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
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