Corte di Cassazione sentenza n. 20765 depositata il 17 agosto 2018
FATTI DI CAUSA
1. La Corte di Appello di Firenze ha accolto l’appello di RD e BK, lettori di madrelingua, divenuti collaboratori esperti linguistici, avverso la sentenza del Tribunale di Pisa che aveva rigettato la domanda, proposta nei confronti dell’Università di Pisa, volta ad ottenere il pagamento delle differenze retributive maturate dal 1° novembre 1994 al 2 ottobre 2007 e la condanna dell’Università alla regolarizzazione della posizione contributiva previdenziale.
2. La Corte territoriale ha osservato che con sentenza del 15 novembre 2002 n. 1399, passata in giudicato, il Tribunale di Lucca, in sede di rinvio ex art. 392 cod. proc. civ., aveva accolto la domanda di rideternninazione del trattamento retributivo, proposta dai lettori ai sensi dell’art. 36 cost., ed aveva ritenuto congruo parametrare la retribuzione all’intero stipendio spettante al ricercatore confermato a tempo definito. Ha precisato che la Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso proposto avverso detta sentenza, aveva evidenziato che per il periodo anteriore al 10 gennaio 1994 non doveva essere applicato il d.l. n. 2/2004 perché il Tribunale aveva rispettato il trattamento economico minimo previsto dal legislatore.
3. Il giudice di appello ha ritenuto che in forza del precedente giudicato le appellanti fossero divenute titolari di un trattamento economico individuale di miglior favore, salvaguardato dalla normativa succedutasi nel tempo. Ha precisato al riguardo che in occasione della sottoscrizione dei contratti di collaborazione linguistica gli ex lettori ebbero cura di precisare che non intendevano rinunciare al contenzioso all’epoca pendente ed ha aggiunto che detta riserva si giustificava anche alla luce del disposto dell’art. 4 del d.l. n. 120/1995, che prevede la conservazione dei diritti acquisiti nei precedenti rapporti.
4. La Corte territoriale ha ritenuto inapplicabile alla fattispecie l’art. 26, comma 3, della legge n. 240/2010, perché al momento di entrata in vigore della norma di interpretazione autentica le appellanti non avevano alcun giudizio in corso avendo già conseguito la determinazione giudiziale in via definitiva della loro giusta retribuzione.
5. Infine la Corte di appello ha respinto l’eccezione di prescrizione, perché il quinquennio era stato interrotto dagli atti elencati in motivazione, ed ha condannato l’Università al pagamento degli interessi e della rivalutazione monetaria in considerazione della natura privatistica del rapporto di lavoro.
6. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Università di Pisa sulla base di dodici motivi, contrastati da RD e BK, le quali hanno proposto ricorso incidentale sulla base di un’unica censura. L’INPS si è costituito con controricorso, senza nulla osservare e rimettendosi alle valutazioni di questa Corte. L’Università e le ricorrenti incidentali hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo l’Università denuncia «violazione e/o falsa applicazione del giudicato esterno Trib. Lucca 1339/02 e dell’art. 2909 c.c. in riferimento anche all’art. 36 cost.; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4 dei dd.II. 510 e 588/94 (poi d.l. 21/4/95 n. 120, convertito con modificazioni dalla legge 236/95 che di tutti fa salvi gli effetti) nella parte in cui rinviano al CCNL per la determinazione del contenuto degli eventuali obblighi di esclusiva dei collaboratori esperti linguistici, anche in riferimento all’art. 1374 c.c.; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 51, comma 80, del C.C.N.L. 1994-1997 comparto Università che ha disciplinato detti obblighi e tuttora li disciplina». Premesso che il giudicato può essere direttamente interpretato dal giudice di legittimità, la ricorrente rileva che il Tribunale di Lucca, ai fini del giudizio di adeguatezza della retribuzione, aveva valutato non solo la qualità e quantità del lavoro prestato, ma anche il vincolo di esclusiva che i lettori erano tenuti ad assicurare e su detto vincolo aveva fondato il riconoscimento dell’intero trattamento economico attribuito al ricercatore confermato a tempo definito. Aggiunge che, al contrario, i collaboratori esperti linguistici, sulla base della normativa di legge e contrattuale, possono svolgere altre prestazioni di lavoro, senza necessità di autorizzazione, avendo solo un onere di comunicazione all’amministrazione. La Corte territoriale, pertanto, avrebbe dovuto considerare che il giudicato non poteva riguardare anche il periodo successivo nel quale era cambiato un dato essenziale posto a fondamento della decisione.
2. La seconda censura denuncia la violazione delle norme di legge e di contratto richiamate nel primo motivo oltre che degli artt. 1230, 1321, 1372 cod. civ., dell’art. 1 del d.l. n. 2/2004, dell’art. 26 della legge n. 240/2010. L’Università sostiene, in sintesi, che il rapporto instaurato con il collaboratore esperto linguistico è del tutto distinto da quello di lettorato, perché diversamente disciplinato sul piano normativo e perché subordinato al superamento di una selezione. Ciò comporta che il giudicato formatosi in relazione al primo dei due autonomi rapporti non può spiegare i suoi effetti anche per il periodo successivo e a tal fine non può riconoscersi rilievo alcuno alla riserva formulata al momento della sottoscrizione del nuovo contratto. Aggiunge la ricorrente che in ogni caso quest’ultimo costituisce una sopravvenienza che pone un limite all’ultrattività del giudicato, sia per il venir meno dell’obbligo di esclusiva, sia perché per i collaboratori esperti linguistici la contrattazione collettiva ha dettato una compiuta regolamentazione degli aspetti economici e normativi del rapporto.
3. Con il terzo ed il quarto motivo, congiuntamente trattati, la ricorrente si duole della violazione degli artt. 1230, 1324, 1362, 1372 cod. civ., dei d.l. 510 e 588 del 1994, della legge n. 236/1995, nonché degli artt. 116 e 132 cod. proc. civ., perché la Corte territoriale non poteva escludere l’animus novandi facendo leva su atti unilaterali, atteso che l’indagine sulla volontà di novare deve essere condotta in relazione ad entrambe le parti del rapporto ed al loro comune comportamento. Aggiunge la ricorrente che le “riserve” erano finalizzate solo a chiarire che la sottoscrizione del nuovo contratto non implicava rinuncia al ricorso pendente e, quindi, non avevano la finalità di intervenire sul nuovo rapporto, precludendone la validità o l’efficacia normativa. Precisa ancora, in replica a quanto sostenuto nel giudizio di merito dalle attrici, che i contratti stipulati non potevano essere posti nel nulla dalla intervenuta conversione del rapporto di lettorato, con il quale si ponevano legislativamente in continuità «cui si annettono le varie guarentigie derivanti dalle sentenze della Corte di giustizia».
4. La quinta critica addebita alla sentenza impugnata la «violazione dell’art. 1230 c.c. nella parte in cui esclude l’animus novandi rispetto ai contratti come CEL sulla base della mancata transazione novazione delle questioni controverse relative al periodo di lettorato». Evidenzia la ricorrente che fisiologicamente la novazione determina la successione di due rapporti ed è destinata ad operare ex nunc non ex tunc, con la conseguenza che nessuna rilevanza può avere la circostanza che in occasione della stipula del nuovo contratto la parte non abbia rinunciato alle pretese derivanti dal precedente rapporto.
5. Il sesto motivo denuncia la «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4 dd.ll. 510 e 588/94 e della legge 236/05, nonché degli artt. 2077 e 2103 c.c.». L’Università rileva la contraddittorietà della sentenza impugnata, che da un lato valorizza la riserva per escludere l’efficacia novativa del nuovo rapporto, dall’altro fa salvi i diritti quesiti proprio valorizzando la normativa dettata per il contratto di collaborazione. Aggiunge che la Corte territoriale ha errato nell’interpretare la legge n. 236/1995 ed i decreti legge che l’hanno preceduta, perché il legislatore, al fine di ottemperare alla pronuncia resa dalla Corte di Giustizia, aveva voluto solo salvaguardare l’anzianità maturata dai lettori ed a quest’ultima va riferita l’espressione «conserva i diritti acquisiti in relazione ai precedenti rapporti». Precisa ancora che nel rapporto di lavoro non è interdetto al legislatore e alle parti stipulanti contratti collettivi di modificare, anche in peius la posizione di una delle parti, perché può parlarsi di diritto quesito solo con riferimento a situazioni che siano entrate a far parte del patrimonio del lavoratore, come nel caso di corrispettivi di prestazioni già rese e non in presenza di situazioni future o in via di consolidamento.
6. Con la settima censura la ricorrente si duole della «violazione dell’art. 112 c.p.c. nella parte in cui la sentenza ha fatto salvi gli effetti del giudicato del Tribunale di Lucca facendo leva sulla salvezza dei diritti quesiti di cui alla legge n. 236/95 nonostante gli attori abbiano fatto valere i pretesi effetti espansivi del giudicato anteriore senza mai qualificare quel trattamento come diritto quesito». Sostiene l’Università che a fondamento della domanda le appellanti avevano unicamente dedotto l’effetto espansivo del giudicato sino all’anno 2004, sicché la Corte non poteva modificare la causa petendi.
7. L’ottavo motivo insiste nel denunciare la violazione della normativa che nel tempo ha regolato il rapporto fra l’Università e collaboratori esperti linguistici e ribadisce che, sulla base delle considerazioni espresse negli altri motivi, al momento dell’entrata in vigore del d.l. n. 2/2004 non vi era alcun trattamento di miglior favore da far salvo, perché ormai il rapporto era regolato dalla contrattazione collettiva. Non poteva, pertanto rivivere, per effetto del richiamato dl., il giudicato invocato dalle attrici.
8. La violazione della legge n. 63/2004, come interpretata autenticamente dall’art. 23, comma 3, della legge n. 240/2010, degli artt. 2909, 2077 e 2103 c.c., degli artt. 36 e 97 Cost. è dedotta con la nona critica, con la quale si sostiene, in estrema sintesi, che il trattamento più favorevole al quale si riferisce la legge n. 63/2004 va sempre mantenuto nei limiti della proporzionalità, tanto più che, considerata la modestia dell’orario di lavoro, una volta venuto meno l’obbligo di esclusiva una retribuzione sganciata dall’orario di lavoro non avrebbe alcun fondamento ontologico e costituzionale.
9. Con il decimo motivo, articolato in più punti, l’Università si duole della «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4 della legge 63/2004 per come interpretata dalla legge 240/2010, art. 26, 30 comma, nella parte in cui la Corte ha ritenuto che la disciplina non fosse applicabile alla causa e quindi non ha dichiarato l’estinzione del giudizio da detta norma prevista o, comunque, non ha rigettato la domanda». La ricorrente sostiene che la normativa sopravvenuta non poteva essere ritenuta inapplicabile solo perché esisteva un giudicato fra le parti, atteso che detto giudicato si riferiva solo al rapporto di lettorato e non aveva impedito che si instaurasse una nuova controversia, nella quale assumeva rilievo la legge 63/2004, invocata dalle ricorrenti, ossia la disposizione interpretata autenticamente dalla legge del 2010. La Corte territoriale, pertanto, avrebbe dovuto dichiarare estinto il giudizio o respingere nel merito la domanda perché, alla luce della legge di interpretazione autentica, anche qualora si considerasse il parametro stipendiale del ricercatore al 100%, così come affermato dalla sentenza del Tribunale di Lucca, non ci sarebbero differenze retributive da riconoscere in favore delle originarie ricorrenti. Precisa al riguardo l’Università di avere sempre applicato la legge n. 63/2004 in termini più favorevoli rispetto a quanto poi precisato dal legislatore, avendo tenuto conto del parametro indicato in modo “dinamico” e non limitandosi a salvaguardare l’eventuale differenza rispetto al trattamento previsto dalla contrattazione collettiva nazionale e di ateneo attraverso il riconoscimento di un assegno ad personam.
10. L’undecimo motivo addebita alla sentenza impugnata la «violazione e falsa applicazione dell’art. 429 c.p.c. e dell’art. 22 comma 36 della legge 724/1994, come risultante anche dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 459/2000 e, in quanto richiamato, dell’art. 16, comma 6, della legge n. 412 del 1991 e del d.m. 352/1998, nella parte in cui ha ritenuto di condannare l’Università al cumulo tra rivalutazione ed interessi calcolati sulla somma periodicamente rivalutata». La ricorrente richiama giurisprudenza di questa Corte per sostenere che il divieto di cumulo è legato alla natura del datore di lavoro sicché non rileva la qualificazione in termini di diritto privato del rapporto intercorrente con i collaboratori esperti linguistici.
11. La medesima rubrica è anteposta al dodicesimo motivo, con il quale l’Università evidenzia che ai sensi del d.m. 352/1998 interessi e rivalutazione devono essere calcolati non sul capitale lordo bensì sulla somma al netto delle ritenute fiscali e delle trattenute previdenziali.
12. Il ricorso incidentale denuncia, con un unico motivo, la nullità del procedimento e della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. perché la Corte fiorentina ha omesso di statuire sulla domanda, proposta in primo grado e reiterata in appello, «relativa al mantenimento a regime del trattamento economico del ricercatore confermato a tempo definito nella misura del 100%, nonostante l’effettuazione di 385 ore».
13. Non è fondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla controricorrenti. Nel giudizio di legittimità è consentito alla parte prospettare nuovi profili di difesa o chiedere l’applicazione di una disciplina non considerata dal giudice di merito, anche se non invocata nel giudizio in cui fu pronunciata la sentenza impugnata, a condizione che la questione giuridica non comporti alcuna modificazione dei termini della controversia nei suoi aspetti fattuali e, quindi, non implichi nuovi e diversi accertamenti di fatto ( Cass. n. 10195/2014; Cass. n. 26906/2014; Cass. 20556/2016). Non sono, quindi, inammissibili i motivi con i quali l’Università ricorrente, per censurare la ritenuta ultrattività del giudicato, fa leva sulla normativa dettata dal d.l. n. 120/1995 e dai contratti collettivi per il Comparto Università succedutisi nel tempo, posto che le censure prospettano una questione giuridica, ossia quella della resistenza del giudicato al sopravvenire di una normativa che abbia diversamente disciplinato il rapporto intercorrente fra le parti, e si fondano sul raffronto fra le due discipline, non già sulle diverse modalità di svolgimento di fatto del rapporto stesso. Al riguardo va precisato che non possono essere estesi alla fattispecie i principi affermati da questa Corte in merito agli oneri di produzione e prova del contratto collettivo di diritto comune, perché il legislatore, pur definendo «di diritto privato» il rapporto di lavoro intercorrente fra l’Università ed il collaboratore linguistico, ne ha affidato la disciplina alla contrattazione collettiva, con un meccanismo di rinvio non dissimile da quello previsto per l’impiego pubblico contrattualizzato dall’art. 2 del d.lgs. n. 29/1993, vigente all’epoca della decretazione d’urgenza. La contrattazione intervenuta a disciplinare il rapporto è, infatti, quella per il personale del Comparto Università, stipulata ai sensi del richiamato d.lgs. n. 29/1993 e poi del d.lgs. n. 165/2001, sicché trovano applicazione i medesimi principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. nn. 21558 e 23329 del 2009) in relazione alla particolare natura del contratto collettivo di diritto pubblico, derivante dal peculiare procedimento formativo, dal regime di pubblicità, dalla sottoposizione a controllo contabile della compatibilità dei costi previsti.
14. Ha carattere pregiudiziale, rispetto a quello delle altre censure, l’esame del decimo motivo del ricorso principale, nella parte in cui assume che la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare estinto il giudizio ex art. 26, comma 3, della legge n. 240/2010. Il motivo è infondato. Le Sezioni Unite di questa Corte con la recente sentenza n. 19164/2017, in continuità con l’orientamento già espresso da Cass. nn. 10452 e 19190 del 2016, hanno evidenziato che la previsione processuale si pone in stretta correlazione con la disciplina delle pretese sostanziali, sicché non devono essere dichiarati estinti tutti i processi intentati dagli ex lettori nei confronti delle università, ma solo quelli nei quali rilevi il nuovo assetto dato dal legislatore alla materia, senza che ne derivi una vanificazione dei diritti azionati. E’, quindi, imprescindibile che la pretesa fatta valere in giudizio sia esattamente coincidente con quanto stabilito dalla norma di interpretazione autentica in merito alla quantificazione del trattamento economico spettante agli ex lettori. L’esegesi della disposizione, infatti, deve essere orientata alla salvaguardia del diritto di azione, costituzionalmente garantito, sicché l’estinzione può operare solo «in ragione, del pieno riconoscimento a favore degli ex lettori di madrelingua straniera del bene della vita al quale i medesimi aspirano con la proposizione del contenzioso» ( Corte Cost. n. 38/2012). Nella fattispecie, al contrario, gli originari ricorrenti, assumendo di essere stati destinatari di un trattamento di miglior favore rispetto a quello previsto dalla legge n. 63/2004, come interpretata autenticamente dalla legge n. 240/2010, rivendicano differenze retributive ulteriori, il che impedisce, sulla base dei principi sopra richiamati, l’estinzione del giudizio, in quanto questa si risolverebbe in un’ingiustificata lesione del diritto di azione.
15. L’esame delle altre censure deve necessariamente essere preceduto dalla ricostruzione, nei suoi passaggi essenziali, dell’evoluzione del quadro normativo, resa necessaria da plurime pronunce della Corte di Giustizia, intervenuta a sanzionare lo Stato Italiano per violazione del Trattato che, nel testo all’epoca vigente, all’art. 48 (poi trasfuso nell’art. 39 e successivamente riprodotto nell’art. 45 della versione consolidata pubblicata in G.U.U.E. 26.10.2012) faceva divieto di trattamenti discriminatori, fondati sulla nazionalità, fra lavoratori degli Stati membri.
15.1. Come è noto l’annosa vicenda dei lettori di lingua straniera ha inizio con l’entrata in vigore dell’art. 28 del d.p.r. 11 luglio 1980 n. 382, che, sottraendo il rapporto di lettorato dal regime di diritto pubblico, prevedeva che i rettori potessero assumere, con contratto di diritto privato di durata non superiore all’anno accademico, lettori di madrelingua straniera «in relazione ad effettive esigenze di esercitazione degli studenti che frequentano i corsi di lingue» e stabiliva che le prestazioni ed i corrispettivi dovessero essere determinati dal consiglio di amministrazione dell’università, al quale era imposto solo un limite massimo, individuato nel livello retributivo iniziale del professore associato a tempo definito.
15.2. Con sentenze del 30 maggio 1989 ( in causa C- 33/88 Allué) e del 2 agosto 1993 (in causa C – 259/91 Allué) la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ritenne detta normativa contraria all’art. 48 del Trattato, nella parte in cui stabiliva che i contratti tra università e lettori di lingua straniera non potessero protrarsi oltre l’anno, sicché il legislatore è intervenuto a disciplinare nuovamente la materia, inizialmente con una serie di decreti legge non convertiti e reiterati (a partire dal d.l. 21 dicembre 1993 n. 530), e poi con il d.l. 21 aprile 1995 n. 120, convertito con modificazioni nella I. 21 giugno 1995 n. 236 che ha fatto anche salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti legge non convertiti. Con questa disciplina, tuttora vigente, si è stabilito che le Università possono assumere, compatibilmente con le risorse disponibili nei propri bilanci, «con contratto di lavoro subordinato di diritto privato a tempo indeterminato, ovvero, per esigenze temporanee, con contratto a tempo determinato» «collaboratori ed esperti linguistici di lingua madre, in possesso di laurea o titolo universitario straniero adeguato alle funzioni da svolgere». E’ stato, poi, previsto che l’entità della retribuzione, il regime di impegno e gli eventuali obblighi di esclusività dovessero essere fissati, «fino alla stipulazione del primo contratto collettivo», dai consigli di amministrazione delle università in sede di contrattazione decentrata. Infine il legislatore, dopo avere affermato il principio della necessità della selezione pubblica finalizzata all’assunzione, per ottemperare al giudicato della Corte di Giustizia, ha stabilito che dovessero essere assunti prioritariamente «i titolari dei contratti di cui all’art. 28 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980 n. 382, in servizio nell’anno accademico 1993-1994, nonché quelli cessati dal servizio per scadenza del termine dell’incarico salvo che la mancata rinnovazione sia dipesa da inidoneità o da soppressione del posto», precisando che «il personale predetto… conserva i diritti acquisiti in relazione ai precedenti rapporti».
15.3. Con la sentenza 26 giugno 2001, in causa c – 212/99, la Corte di Giustizia ha nuovamente censurato lo Stato italiano per non «aver assicurato il riconoscimento dei diritti quesiti agli ex lettori di lingua straniera, divenuti collaboratori linguistici, riconoscimento invece garantito alla generalità dei lavoratori nazionali». La Corte, adita dalla Commissione delle Comunità ai sensi dell’art. 226 del Trattato, ha osservato che, pur a fronte di una legislazione nazionale volta a garantire la conservazione dei diritti quesiti, l’esame delle prassi amministrative e contrattuali in essere presso sei università italiane aveva fatto emergere situazioni discriminatorie ( punti da 31 a 34), non giustificabili con il richiamo all’autonomia degli enti pubblici interessati. Ha, poi, aggiunto che il principio della necessaria conservazione dei diritti quesiti maturati dagli ex lettori nei rapporti precedenti, diritti garantiti dalla legge n. 230/1962 in caso di conversione del contratto a termine, non poteva essere eluso facendo leva sulla non comparabilità delle situazioni a confronto, derivante per gli ex lettori dalla necessità della selezione pubblica. Ciò perché entrambe le discipline prevedono «allo scopo di tenere in considerazione l’esperienza professionale dei lavoratori, la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti di lavoro a tempo indeterminato, garantendo la conservazione dei diritti quesiti maturati nell’ambito dei rapporti di lavoro precedenti» (punti 28 e 29).
15.4. Si è avuto successivamente un nuovo intervento del legislatore nazionale che, al fine di dare esecuzione alla sentenza – e con riferimento alle Università italiane ivi considerate – con il d.l. 14 gennaio 2004 n. 2, art. 1, convertito con modificazioni nella l. 5 marzo 2004 n. 63, ha previsto che «ai collaboratori linguistici, ex lettori di madrelingua straniera delle Università degli Studi della Basilicata, di Milano, di Palermo, di Pisa, di Roma “La Sapienza” e “l’Orientale” di Napoli, già destinatari di contratti stipulati ai sensi del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28, abrogato dal D.L. 21 aprile 1995, n. 120, art. 4, comma 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 giugno 1995, n. 236, è attribuito, proporzionalmente all’impegno orario assolto, tenendo conto che l’impegno pieno corrisponde a 500 ore, un trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data di prima assunzione, fatti salvi eventuali trattamenti più favorevoli; tale equiparazione è disposta ai soli fini economici ed esclude l’esercizio da parte dei predetti collaboratori linguistici, ex lettori di madre lingua straniera, di qualsiasi funzione docente».
15.5. Nei confronti della Repubblica Italiana è stata avviata, con ricorso del 4 marzo 2004, una procedura finalizzata all’irrogazione di sanzioni per l’inosservanza di obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione europea, avendo la Commissione delle Comunità europee ritenuto che l’Italia non avesse dato piena esecuzione alla citata decisione del 26 giugno 2001. Con sentenza 18 luglio 2006, in causa C-119/04, la Corte di Giustizia CE ha accertato l’inadempimento dei suddetti obblighi, limitatamente alla situazione esistente prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 2 del 2004, escludendone, invece, la permanenza all’esito del nuovo intervento normativo del legislatore nazionale. Ha ritenuto, infatti, che gli elementi offerti dalla Commissione non consentissero di esprimere un giudizio di inadeguatezza dei parametri utilizzati per la ricostruzione della carriera degli ex lettori, tanto più che il legislatore nazionale aveva fatto salvi i trattamenti più favorevoli ( punti da 35 a 39).
15.6. Con l’art. 26, comma 3, della legge n. 240 del 2010 il legislatore ha interpretato il citato d.l. n. 2 del 2004, precisando che « in esecuzione della sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee 26 giugno 2001, nella causa C – 212/99, ai collaboratori esperti linguistici, assunti dalle università interessate quali lettori di madrelingua straniera, il trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, in misura proporzionata all’impegno orario effettivamente assolto, deve essere attribuito con effetto dalla data di prima assunzione quali lettori di madrelingua straniera a norma dell’articolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, sino alla data di instaurazione del nuovo rapporto quali collaboratori esperti linguistici, a norma dell’articolo 4 del decreto-legge 21 aprile 1995, n. 120, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1995, n. 236. A decorrere da quest’ultima data, a tutela dei diritti maturati nel rapporto di lavoro precedente, i collaboratori esperti linguistici hanno diritto a conservare, quale trattamento retributivo individuale, l’importo corrispondente alla differenza tra l’ultima retribuzione percepita come lettori di madrelingua straniera, computata secondo i criteri dettati dal citato decreto-legge n. 2 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 63 del 2004, e, ove inferiore, la retribuzione complessiva loro spettante secondo le previsioni della contrattazione collettiva di comparto e decentrata applicabile a norma del decreto-legge 21 aprile 1995, n. 120, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1995, n. 236. ».
15.7. Anche la norma di interpretazione autentica richiama, al pari dell’art. 4 del d.l. n. 120/1995, la contrattazione collettiva di comparto che già con l’art. 51 del CCNL 21.5.1996, richiamata la decretazione di urgenza, aveva compiutamente disciplinato il rapporto intercorrente con i collaboratori esperti linguistici, stabilendone le mansioni, l’orario di lavoro, il trattamento retributivo fondamentale, quantificato in £ 22.000.000 annui lordi ( per 500 ore effettive annue) ed in £ 44.000 orarie. L’art. 22 del CCNL 13 maggio 2003 aveva, poi, previsto che in sede di contrattazione integrativa di Ateneo sarebbe stata data « applicazione alla sentenza della Corte di Giustizia Europea del 26.1.2001 nella causa C – 212/99, relativa agli ex lettori di lingua straniera rientranti in tale sentenza, attraverso la definizione di una struttura retributiva per la categoria dei CEL che riconosca l’esperienza acquisita» ed aveva precisato che a tal fine sarebbe stata considerata «come decorrenza iniziale dell’anzianità la data di stipula del primo contratto di lavoro ex art. 28 d.p.r. 382/80 e/o come CEL ex art. 4 della legge n. 236/195 ( o precedenti normative)…».
15.8. Il quadro normativo e contrattuale, sopra delineato nei suoi tratti essenziali, è rimasto immutato con l’entrata in vigore della legge 20.11.2017 n. 167 che, all’art. 11, in relazione alla procedura EU Pilot 2079/11/EMPL, avviata dalla Commissione Europea il 22.12.2014, ha previsto uno stanziamento straordinario di fondi, da utilizzare, previa adozione con decreto ministeriale di uno schema tipo di contratto, in sede di contrattazione collettiva integrativa di ateneo, finalizzata «al superamento del contenzioso in atto e a prevenire l’instaurazione di nuovo contenzioso nei confronti delle università statali italiane da parte degli ex lettori di lingua straniera, già destinatari di contratti stipulati ai sensi dell’articolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382».
16. Ciò premesso rileva il Collegio che la prima questione che si pone, logicamente preliminare rispetto a quella dell’interpretazione del giudicato e delle norme di legge che hanno garantito la conservazione dei «diritti acquisiti» ( d.l. n. 120/1995) e di «eventuali trattamenti più favorevoli» ( d.l. n. 2/2004), è quella relativa all’incidenza, rispetto all’individuazione della normativa applicabile, delle sentenze passate in giudicato che, in epoca antecedente o anche successiva all’abrogazione dell’art. 28 del d.P.R. n. 382/1980, hanno disposto, sulla base dei principi affermati dalla Corte di Lussemburgo, la conversione dei rapporti di lettorato da tempo determinato a tempo indeterminato ed hanno, come nella fattispecie, determinato anche la «giusta» retribuzione spettante ai lettori ex art. 36 Cost. (la sentenza del Pretore di Pisa del 17.1.1995, pur respingendo la domanda di adeguamento retributivo, aveva dichiarato la nullità dei termini apposti ai contratti di lettorato e disposto la conversione in rapporti a tempo indeterminato e su detto capo della decisione si è formato giudicato). Le controricorrenti, infatti, per resistere ai motivi di gravame sostengono che «il successivo sopravvenire della sentenza di accertamento del tempo indeterminato…, ha travolto la stipula del contratto da CEL » e fondano anche su detto argomento la loro pretesa di vedere disciplinato il rapporto, quanto agli aspetti economici, dalle statuizioni contenute nella sentenza n. 1399/2002 del Tribunale di Lucca, pronunciata in sede di rinvio disposto da questa Corte con la sentenza n. 12346/1999. Il contrasto sorto nella giurisprudenza di questa Corte, evidenziato nell’ordinanza di rimessione n. 26935/2016, è stato recentemente risolto dalle Sezioni Unite che, con sentenza n. 19164/2017, hanno affermato che la continuità normativa e l’analogia tra la posizione degli ex lettori di lingua straniera e quella dei collaboratori linguistici non consente di configurare una sorta di ruolo ad esaurimento per il rapporto di lettorato, sicché, anche qualora l’ex lettore abbia ottenuto l’accertamento della sussistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato in ragione della nullità della clausola di durata, va comunque applicata la disciplina dettata per i collaboratori esperti linguistici. Le Sezioni Unite hanno escluso l’eccepita nullità, per assenza di causa, del contratto di lavoro individuale stipulato ai sensi della nuova normativa ed hanno precisato che, pur a fronte di un rapporto unitario ed ininterrotto, le parti possono modificare il regolamento pattizio perché nel rapporto di lavoro, che è un rapporto di durata, si può parlare di diritti quesiti solo in relazione a prestazioni già rese o ad una fase già esaurita. In tal modo è stato superato il diverso orientamento espresso da quelle decisioni, richiamate dalla difesa delle controricorrenti, che avevano affermato, quanto al parametro retributivo, l’ultrattività del precedente giudicato, escludendo l’applicazione della normativa dettata dalla decretazione di urgenza, ritenuta non applicabile ai rapporti a tempo indeterminato sorti sulla base della disciplina previgente.
17. Da dette preliminari considerazioni discende la fondatezza dei primi due motivi di ricorso, nella parte in cui addebitano alla Corte territoriale di non avere tenuto conto della sopravvenienza di una nuova normativa, di fonte legale e contrattuale, che aveva diversamente disciplinato le obbligazioni scaturenti dal rapporto, obbligazioni delle quali il Tribunale di Lucca aveva tenuto conto ai fini della determinazione della «giusta retribuzione». Occorre premettere che il giudice di legittimità è tenuto ad accertare l’esistenza e la portata del giudicato con cognizione piena, che si estende anche al riesame degli atti del processo ed alla diretta loro valutazione ed interpretazione, anche mediante accertamenti di fatto, indipendentemente dalla motivazione della sentenza impugnata. Ciò in ragione della riconosciuta natura pubblicistica dell’interesse al rispetto del giudicato; della ritenuta indisponibilità per le parti dell’autorità di quest’ultimo; della ravvisata identità dell’operare dei due tipi di giudicato, interno ed esterno; della inclusione delle correlative questioni nella sfera delle questioni di diritto piuttosto che in quella delle questioni di fatto. Si è conseguentemente affermato, e va qui ribadito, che costituendo l’interpretazione del giudicato operata dal giudice del merito non un apprezzamento di fatto ma, una quaestio la stessa è sindacabile, in sede di legittimità, non per il mero profilo del vizio di motivazione, ma nella più ampia ottica della violazione di legge e gli eventuali errori di interpretazione del giudicato rilevano quali errori di diritto ( Cass. S.U. n. 24664/2007; Cass. n. 21200/2009; Cass. n. 24749/2014; Cass. n. 24952/2015; Cass. n. 5043/2017).
17.1. Egualmente consolidato è nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui « in ordine ai rapporti giuridici di durata ed alle obbligazioni periodiche che eventualmente ne costituiscano il contenuto, com’è nel caso del rapporto di lavoro subordinato e delle conseguenti obbligazioni retributive, il giudice pronuncia con accertamento su una fattispecie attuale, ma con conseguenze destinate ad esplicarsi anche in futuro. Pertanto, l’autorità del giudicato impedisce il riesame di questioni già risolte con il provvedimento definitivo, che esplica la sua efficacia anche nel tempo successivo alla sua emanazione, venendo meno soltanto a fronte di sopravvenienze, di fatto o di diritto, che mutino il contenuto materiale del rapporto o ne modifichino il regolamento » (Cass. S.U. n. 13916/2006; Cass. n. 15493/2015; Cass. n. 10156/2017; Cass. n. 1502/2018; Cass. n. 5555/2018). La portata precettiva della decisione, intangibile quanto ai diritti già maturati, esplica i suoi effetti per il futuro rebus sic stantibus, ossia a situazione normativa e fattuale immutata, sicché a fronte di sopravvenienze che riguardino le premesse della precedente statuizione « il giudice del merito che ritenga preclusa l’indagine in virtù del giudicato applica erroneamente la regula iuris sottesa all’art. 2909 c.c.» ( Cass. n. 10156/2017 che richiama Cass. n. 13921/2013, Cass.n. 7981/2016 e Cass. n. 26922/2016).
17.2. Di detti principi non ha tenuto conto la Corte territoriale che, nell’affermare l’ultrattività del trattamento economico riconosciuto in favore degli ex lettori dalla sentenza del Tribunale di Lucca n. 1339/2002 non ha considerato che l’equiparazione piena al ricercatore confermato a tempo definito è stata disposta, pur a fronte di una prestazione per un orario complessivo annuale di 352 ore, valorizzando l’obbligo di esclusiva, contrattualmente stabilito. Osservava, infatti, il Tribunale, sulla base di quanto statuito da questa Corte con la sentenza n.12346/1999 ( che nel cassare la precedente decisione del Tribunale di Pisa aveva osservato che: Non risulta, tra l’altro, che il Tribunale abbia tenuto conto della circostanza che í lettori contrattualmente non avrebbero potuto svolgere altra attività lavorativa, in base alle disposizioni all’epoca vigenti – circostanza questa pure dedotta dai ricorrenti e rilevante ai fini della sufficienza della retribuzione. Tale elemento sarebbe stato rilevante, ai fini della dedotta sufficienza della retribuzione), che i lettori erano tenuti per contratto «a svolgere il proprio lavoro con vincolo di esclusività; dunque se è vero che il loro impegno orario settimanale era limitato, non avevano però la facoltà di impiegare il notevole tempo libero a disposizione per reperire ed esercitare altra attività lavorativa». E’, poi, indubbio che il Tribunale abbia limitato la statuizione «dalla data di decorrenza del rapporto alla data di scadenza prevista nei contratti sottoscritti per l’anno accademico 1993/1994», aggiungendo che in relazione al periodo successivo «il rapporto è disciplinato in maniera esaustiva dal d.l. 21/4/1995 n. 120 il quale all’art. 4 non soltanto ha disposto l’abrogazione del più volte menzionato art. 28 del d.p.r. 382/80 ma ha stabilito a decorrere dal 10 gennaio 1994 una completa regolamentazione sia normativa che economica del rapporto di lavoro dei collaboratori ed esperti linguistici di lingua madre». Infatti le parti collettive, in forza della delega conferita dal legislatore, con l’art. 51 del CCNL 21.5.1996, oltre a fissare retribuzione e orario minimo di lavoro (stabilito in 250 ore annue) hanno anche stabilito che ai collaboratori «è consentito previa comunicazione all’amministrazione, l’esercizio di altre prestazioni di lavoro che non arrechino pregiudizio alle esigenze di servizio e non siano incompatibili con le attività istituzionali dell’amministrazione stessa». E’, quindi, venuto meno l’obbligo di esclusiva e la possibilità di svolgere altre attività, sia pure nei limiti previsti dallo stesso contratto, è stata evidentemente considerata dalle parti collettive nella quantificazione del trattamento economico, accompagnata dalla previsione di un monte ore minimo di ore lavorative. Si è, dunque, in presenza di una sopravvenienza inerente la disciplina del rapporto, idonea ad impedire alla decisione di estendere i suoi effetti anche per il futuro.
18. E’ fondato anche il sesto motivo, nella parte in cui addebita alla sentenza impugnata di avere errato nell’interpretazione dell’art. 4, comma 3, del d.l. n. 120/1995 lì dove prevede che il collaboratore esperto linguistico «conserva i diritti acquisiti in relazione ai precedenti rapporti». Hanno osservato, infatti, le Sezioni Unite di questa Corte che non appartiene alla categoria dei diritti quesiti l’ammontare della retribuzione percepita nel corso del rapporto di lettorato, perché «nell’ambito del rapporto di lavoro sono configurabili diritti quesiti, che non possono essere incisi dalla contrattazione collettiva in mancanza di uno specifico mandato o di una successiva ratifica da parte dei singoli lavoratori, solo con riferimento a situazioni che siano entrate a far parte del patrimonio del lavoratore subordinato, come nel caso dei corrispettivi di prestazioni già rese, e non invece in presenza di quelle situazioni future o in via di consolidamento, che sono frequenti nel contratto di lavoro, da cui scaturisce un rapporto di durata con prestazioni ad esecuzione periodica o continuativa, autonome tra loro e suscettibili come tali di essere differentemente regolate in caso di successione di contratti collettivi.» (Cass. S.U. 21972/2017). La disposizione normativa, pertanto, è stata interpretata alla luce di quanto statuito dalla Corte di Giustizia con le sentenze richiamate al punto n. 15, e la garanzia della conservazione dei diritti maturati nella precedente fase del rapporto è stata limitata « a tutti quegli istituti contrattuali che valorizzano l’anzianità di servizio e quindi, in sostanza, la classe di stipendio di riferimento, gli scatti biennali contrattualmente previsti, i parametri di calcolo del trattamento di fine rapporto (T.F.R.) e con riferimento ai profili concernenti la contribuzione previdenziale.». Il principio di diritto, sebbene affermato in un giudizio nel quale veniva in rilievo non il rapporto di lettorato ex art. 28 d.P.R. n. 382/1980, bensì la diversa tipologia di contratto di lettorato disciplinato dall’art. 24 della legge n. 62/1967, deve trovare applicazione nella fattispecie, perché ai lettori di scambio è stata ritenuta applicabile la medesima normativa invocata dalle controricorrenti, dettata dal d.l. n. 120/1995. Va al riguardo sottolineato che la nozione di diritto quesito accolta dalle Sezioni Unite coincide con quella indicata dalla Corte di Lussemburgo, che con la sentenza 26.7.2001, in causa C – 212/99, ha precisato che «se i lavoratori beneficiano in forza della legge n. 230 della ricostruzione della loro carriera per quanto riguarda aumenti salariali, anzianità e versamento da parte del datore di lavoro dei contributi previdenziali fin dalla data della loro prima assunzione, gli ex lettori di lingua straniera, divenuti collaboratori linguistici, devono altresì beneficiare di una ricostruzione analoga con effetti a decorrere dalla data della loro prima assunzione» ( punto 30). Ha, quindi, errato la Corte territoriale nel ritenere che l’estensione del giudicato al periodo successivo all’anno accademico 1993/1994, potesse fondarsi sulla clausola di salvaguardia contenuta nel d.l. n.10/1995.
19. Peraltro il legislatore, a seguito della richiamata sentenza della Corte di Giustizia del 26.7.2001, è intervenuto nuovamente a disciplinare la ricostruzione della carriera degli ex lettori divenuti collaboratori linguistici e con il d.l. n. 2/2004, oltre a prevedere che «con effetto dalla data di prima assunzione» dovesse essere assicurato il trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito «tenendo conto che l’impegno pieno corrisponde a 500 ore», ha «fatti salvi eventuali trattamenti più favorevoli». Con la successiva legge di interpretazione autentica ha, poi, chiarito che detto trattamento deve essere assicurato «sino alla data di instaurazione del nuovo rapporto quali collaboratori esperti linguistici» e che «a decorrere da quest’ultima data, a tutela dei diritti maturati nel rapporto di lavoro precedente, i collaboratori esperti linguistici hanno diritto a conservare, quale trattamento retributivo individuale, l’importo corrispondente alla differenza tra l’ultima retribuzione percepita come lettori di madrelingua straniera, computata secondo i criteri dettati dal citato decreto legge n. 2 del 2004, e, ove inferiore, la retribuzione complessiva loro spettante secondo le previsioni della contrattazione collettiva..». Il decreto legge n. 2/2004, a differenza del d.l. 120/1995, si riferisce espressamente al trattamento economico ed indica un parametro per l’intera ricostruzione della carriera, salvaguardando eventuali trattamenti più favorevoli, parametro che la Corte di Giustizia ha ritenuto adeguato anche in considerazione della clausola di salvaguardia (sentenza 18.7.2006 causa C-119/04 punto 38). Nel caso di specie, pertanto, ai fini dell’applicazione della norma in commento, rileva che, per effetto della sentenza n. 1399/2002 del Tribunale di Lucca, alle controricorrenti fosse stato attribuito, pur a fronte del pacifico svolgimento di sole 352 ore di lavoro annue, la medesima retribuzione corrisposta ai ricercatori confermati a tempo definito, poiché detto trattamento, che riguarda il periodo interessato dalla ricostruzione della carriera disposta dal legislatore, si risolve nel riconoscimento di una retribuzione oraria di importo maggiore rispetto a quella prevista dal decreto legge, e, quindi, in quanto di miglior favore, deve essere conservato sulla base della clausola di salvaguardia contenuta nello stesso decreto. Non può essere condivisa l’interpretazione prospettata dall’Università ricorrente secondo la quale, una volta esclusa l’ultrattività del giudicato, lo stesso non poteva rivivere a seguito dell’entrata in vigore della nuova normativa. Quest’ultima, infatti, oltre a porre rimedio agli effetti, negativi per i lettori, che aveva prodotto la discrezionalità concessa alle Università dall’art. 28 del d.P.R. n. 382/1980 nella quantificazione del trattamento retributivo ( la norma, infatti, prevedeva solo un parametro massimo di commisurazione della retribuzione), ha voluto escludere qualsiasi reformatio in peius nel passaggio fra il rapporto di lettorato e quello di collaborazione linguistica, salvaguardando il livello economico acquisito alla data di sottoscrizione del nuovo contratto. A detti fini, pertanto, la retribuzione giudizialmente riconosciuta con sentenza passata in giudicato deve essere equiparata a quella concordata in sede contrattuale, che poteva essere di miglior favore rispetto al criterio indicato dal legislatore, atteso che l’art. 28 indicava come parametro massimo di commisurazione il livello retributivo iniziale del professore associato a tempo definito. D’altro canto che nel giudizio sulla configurabilità o meno di un trattamento di miglior favore si debba tener conto del rapporto fra ore lavorate e retribuzione si desume anche dalla motivazione della sentenza 26.6.2001 della Corte di Giustizia (alla quale il d.l. n. 2/2004 ha dato attuazione) con la quale è stata censurata la condotta tenuta dall’Università Orientale di Napoli in quanto «benché lo stipendio degli ex lettori sia stato aumentato, il numero di ore di lavoro da prestare annualmente è altresì aumentato, la qual cosa ha avuto l’effetto di ridurre il livello della loro retribuzione oraria» ( punto 32). Sono, dunque, infondati l’ottavo ed il nono motivo del ricorso principale.
20. La conservazione del trattamento più favorevole, peraltro, opera nei limiti fissati dalla legge di interpretazione autentica e, quindi, non comporta il definitivo “aggancio” alla retribuzione piena prevista per i ricercatori confermati a tempo definitivo, in relazione agli sviluppi contrattuali successivi alla stipula del contratto di collaborazione linguistica. Il legislatore, infatti, ha chiarito la questione, obiettivamente incerta, del rapporto fra la previsione contenuta nel d.l. n. 2/2004 e la disciplina dettata dalla contrattazione collettiva, a ciò autorizzata dal d.l. n. 120/1995, precisando che a far tempo dalla sottoscrizione del contratto di collaborazione linguistica l’eventuale trattamento più favorevole viene conservato a titolo individuale nella misura corrispondente alla differenza fra quanto percepito a detta data come lettore di madrelingua straniera, ai sensi del richiamato d.l. n. 2/2004, e la retribuzione dovuta al collaboratore linguistico sulla base della contrattazione collettiva nazionale e decentrata. In tal modo il legislatore, da un lato, ha impedito che il passaggio dal lettorato alla collaborazione linguistica potesse risolversi in una reformatio in peius del livello retributivo raggiunto, dall’altro ha ribadito la specificità propria del collaboratore linguistico, non equiparabile al docente, specificità che giustifica la differenziazione retributiva rispetto a quest’ultimo ed il conferimento del potere alle parti collettive di individuare la retribuzione proporzionata alla qualità e quantità della prestazione, a prescindere dal raffronto con il trattamento economico riservato al personale docente. Si tratta, sostanzialmente, di un assegno ad personam, non dissimile da quello in passato garantito nell’impiego pubblico contrattualizzato in caso di mobilità e da quello che le parti collettive avevano previsto con l’art. 51 del CCNL 21.5.1996 per consentire ai collaboratori esperti linguistici assunti prima della stipula dello stesso contratto di conservare il trattamento più favorevole concordato a livello di Ateneo. E’, quindi, fondato in parte qua il decimo motivo del ricorso principale che addebita alla Corte territoriale di avere liquidato le differenze retributive senza tener conto della legge di interpretazione autentica.
21. Vanno accolti anche l’undecimo ed il dodicesimo motivo di ricorso. Il Collegio intende dare continuità all’orientamento già espresso da questa Corte che, pronunciando in fattispecie sovrapponibile a quella oggetto di causa, ha evidenziato che «la pronuncia di accoglimento della Corte costituzionale n. 459 del 2000, per la quale il divieto di cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi non opera per i crediti retributivi dei dipendenti privati, ancorché maturati dopo il 31 dicembre 1994, non può trovare applicazione per i dipendenti privati di enti pubblici non economici (nella specie, lettori di lingua dell’Università degli studi), per i quali ricorrono, ancorché i rapporti di lavoro risultino privatizzati, le “ragioni di contenimento della spesa pubblica” che sono alla base della disciplina differenziata secondo la “ratio decidendi” prospettata dal Giudice delle leggi.» ( Cass. 10.1.2013 n. 535 e Cass.5.7.2011 n. 14705). Una volta valorizzata, ai fini dell’individuazione della normativa applicabile, la natura pubblica del datore di lavoro e ritenuto operante il divieto di cumulo, deve trovare applicazione il d.m. n. 352/1998 con il quale è stato adottato il «regolamento recante i criteri e le modalità per la corresponsione degli interessi legali e della rivalutazione monetaria per ritardato pagamento degli emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale a favore dei dipendenti pubblici e privati in attività di servizio o in quiescenza delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del d.legislativo 3 febbraio 1993, n. 29.». Il comma 2 dell’art. 3 del richiamato d.m. prevede che «gli interessi legali o la rivalutazione monetaria sono calcolati sulle somme dovute, al netto delle ritenute previdenziali, assistenziali ed erariali». Le Sezioni Unite di questa Corte, con la recente sentenza n. 14429/2017 hanno escluso «ragioni di contrasto tra la norma delegante (art. 22, comma 36, della legge n. 724 del 1994) e quella delegata (art. 3, comma 2, del d.m. n. 352 del 1998), atte ad ipotizzare una disapplicazione di quest’ultima, tanto più che la prima richiama il meccanismo già previsto dall’art. 16, comma 6, della legge n. 412 del 1991 e rimette all’autorità amministrativa il compito di individuare i criteri e le modalità di applicazione del divieto di cumulo». Hanno, inoltre, evidenziato che la disposizione tiene conto delle esigenze di contenimento della spesa pubblica e dei vincoli imposti alla contrattazione di comparto e decentrata, esigenze che vengono in rilievo anche nella fattispecie, sebbene si discuta di rapporto qualificato dal legislatore di diritto privato.
22. In via conclusiva vanno accolti, nei limiti indicati in motivazione, il primo, il secondo, il sesto, il decimo, l’undicesimo e il dodicesimo motivo del ricorso principale e vanno dichiarati assorbiti il terzo, il quarto, il quinto ed il sesto motivo del ricorso principale nonché il ricorso incidentale. Devono essere, invece, rigettati l’ottavo ed il nono motivo nonché l’eccezione di estinzione del giudizio, riproposta nel decimo motivo. La sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo che procederà ad un nuovo esame, provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità ed attenendosi ai principi di diritto che, sulla base delle considerazioni svolte nei punti da 16 a 21, di seguito si enunciano: a) la continuità normativa e l’analogia tra la posizione degli ex lettori di lingua straniera e quella dei collaboratori linguistici non consente di configurare una sorta di ruolo ad esaurimento per il rapporto di lettorato, sicché, anche qualora l’ex lettore abbia ottenuto l’accertamento della sussistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato in ragione della nullità della clausola di durata, va comunque applicata la disciplina dettata per i collaboratori esperti linguistici dalla data di sottoscrizione del contratto stipulato ai sensi del d.l. n. 120/1995; b) nei rapporti giuridici di durata l’autorità del giudicato esplica efficacia anche nel tempo successivo alla sua emanazione a condizione che non si verifichino sopravvenienze, di fatto o di diritto, che mutino il contenuto materiale del rapporto o ne modifichino il regolamento, sicché, quanto agli ex lettori divenuti collaboratori linguistici, l’ultrattività del giudicato relativo alla «giusta retribuzione» è impedita qualora la statuizione si fondi anche sull’obbligo di esclusiva imposto al lettore, obbligo non previsto dal CCNL 21.5.1996 per i collaboratori esperti linguistici; c) nell’ambito del rapporto di lavoro sono configurabili diritti quesiti, che non possono essere incisi dalla contrattazione collettiva, solo con riferimento a situazioni che siano già entrate a far parte del patrimonio del lavoratore subordinato, per cui l’art. 4 del d.l. n. 120/1995, convertito dalla l. n. 236/1995, si interpreta nel senso che al momento della sottoscrizione del contratto di collaborazione linguistica doveva essere riconosciuta all’ex lettore l’anzianità di servizio maturata in forza dei contratti stipulati ai sensi dell’art. 28 d.P.R. n. 382/1980 ai fini dell’applicazione degli istituti contrattuali che valorizzano l’anzianità medesima ed ai connessi profili previdenziali; d) il d.l. n. 2/2004, convertito dalla l. n. 63/2004, per ottemperare alla sentenza della Corte di Giustizia del 26.6.2001 in causa C – 212/99, ha previsto un criterio di ricostruzione a fini economici della carriera degli ex lettori da valere a far tempo dalla data di prima assunzione, ma ha fatto salvo il trattamento di miglior favore e tale deve ritenersi il riconoscimento, nella specie ottenuto in via giudiziale, di una retribuzione oraria, per il lavoro svolto come lettore, superiore a quella ottenuta applicando il criterio indicato dal richiamato d.l. n. 2/2004; e) la conservazione del trattamento di miglior favore previsto dal d.l. n. 2/2004 opera nei limiti precisati dall’art. 26, comma 3, della legge n. 240/2010 sicché dalla data di sottoscrizione del contratto in qualità di collaboratore esperto linguistico all’ex lettore va attribuita la differenza, a titolo di assegno personale, fra la retribuzione determinata ai sensi del d.l. n. 2/2004, eventualmente maggiorata per effetto della clausola di salvaguardia, ed il trattamento retributivo previsto dalla contrattazione collettiva di comparto e decentrata, restando escluso che la retribuzione stessa possa rimanere agganciata, anche per il periodo successivo alla stipula del contratto di collaborazione, alle dinamiche contrattuali previste per i ricercatori confermati a tempo definito; f) la pronuncia di accoglimento della Corte costituzionale n. 459 del 2000 non si estende ai dipendenti di enti pubblici non economici, ai quali si applica il divieto di cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi, ancorché i rapporti di lavoro risultino qualificati di «diritto privato», in quanto sussistono le ragioni di contenimento della spesa pubblica che sono alla base della disciplina differenziata, secondo la ratio decidendi prospettata dal Giudice delle leggi; g) ai sensi del d.m. n. 352/1998, art. 3, gli interessi legali o la rivalutazione monetaria, dovuti in caso di ritardato pagamento di emolumenti di natura retributiva ai dipendenti pubblici e privati delle pubbliche amministrazioni, vanno calcolati sulla sorte capitale al netto delle ritenute previdenziali, assistenziale ed erariali.
La fondatezza del ricorso principale e l’assorbimento dell’incidentale rendono non applicabile l’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla l. n. 228/2012.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale nei termini di cui in motivazione, assorbito il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione.
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