Corte di Cassazione sentenza n. 20960 del 1° luglio 2022

agevolazione fiscali – decadenza

Ritenuto in fatto

1. La Commissione tributaria di secondo grado di Bolzano, con sentenza n. 146/02/2015, depositata il 4/2/2015 confermava la decisione di primo grado che aveva accolto il ricorso della contribuente con avente ad oggetto l’avviso di liquidazione e irrogazione della sanzione con il quale l’amministrazione finanziaria revocava l’agevolazione prevista dall’art. 5 della legge n. 168 del 1982 richiesta dalla contribuente nell’atto compravendita registrato 1’11 settembre 2009, per mancata realizzazione dei lavori di recupero previsti da tale norma. In particolare, i giudici di merito rilevavano che l’art. 5 cit. non prevede alcun termine per la realizzazione dell’intervento di recupero e risanamento di talché il contribuente, per eseguire quanto precede, dispone dell’ordinario termine di prescrizione decennale di cui l’art. 2946 e. nella specie non è ancora decorso.

2. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per la cassazione della sentenza, svolgendo un solo motivo.

I3. l contribuente non si è costituito. 

Considerato in diritto

1. Con l’unico morivo di ricorso l’Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione, ex 360, comma primo, n. 3 c.p.c., dell’art. 5 della legge n. 168 del 1982 e dell’art. 76 d.P.R. n. 131 del 1986.

A parere della ricorrente i giudici di merito avrebbero erroneamente affermato che l’articolo 5 cit. non prevede alcun termine decadenziale per la realizzazione del piano di recupero; affermazione questa che si pone in aperto contrasto con la giurisprudenza di legittimità secondo cui il suo indicato intervento deve essere realizzato entro il termine di cui all’art. 76 del d.P.R. 131 del 1986 previsto per l’esercizio del potere di accertamento da parte dell’Ufficio, termine che decorre dal giorno della registrazione dell’atto.

2. il motivo è fondato. 

L’art. 5, comma primo, della legge n 168 del 1982, sancisce che «Nell’ambito dei piani di recupero di iniziativa pubblica, o di iniziativa privata purché convenzionati, di cui agli artt. 27 e seguenti della legge 5 agosto 1978, n. 457, ai trasferimenti di immobili nei confronti dei soggetti che attuano il recupero, si applicano le imposte di registro, catastali e ipotecarie in misura fissa>>

Ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro e di quelle ipotecarie e catastali in misura fissa è, dunque, richiesto soltanto che al momento della registrazione, sia dichiarata l’esistenza di due requisiti: uno oggettivo, che consiste nell’inserimento degli immobili nei piani di recupero; uno soggettivo, che consiste nella circostanza che l’acquirente sia uno dei soggetti che attuano il recupero.

La sussistenza dei citati requisiti deve essere accertata dall’Ufficio successivamente alla registrazione.

Circa l’effettiva attuazione del recupero da parte del soggetto che si impegna in tal senso, questo costituisce un evento futuro rispetto alla registrazione. Più precisamente, il contribuente, a pena di decadenza, deve realizzare l’intento dichiarato nell’atto di trasferimento entro il termine triennale previsto per l’esercizio del potere di accertamento dell’ufficio, ex art. 76 del citato d.P.R. n. 131 del 1986. Sul punto questa Corte (Cass. n. 18676 del 2016 (Rv. 641121 – 01) ha affermato il principio condiviso dal Collegio secondo cui «In tema di agevolazioni tributarie, i benefici fiscali previsti dal Vari. 5 della legge 22 aprile 1982, n. 168, consistenti nella misura fissa delle imposte di registro, ipotecarie e catastali in favore dell’acquirente dell’immobile inserito in un piano di recupero di iniziativa pubblica o privata convenzionato ed effettivamente attivato dal medesimo soggetto, possono essere conservati a condizione che il contribuente realizzi la finalità dichiarata nell’atto di acquisto entro il termine triennale di decadenza, stabilito (ex art. 74 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, poi art. 76 del d.P.R. 22 aprile 1986, n. 131) per l’esercizio del potere di accertamento dell’Ufficio. Di conseguenza, deve ritenersi che il detto termine decadenziale dall’azione dell’Ufficio inizi a decorrere dal momento in cui l’intento del contribuente sia rimasto definitivamente ineseguito e quindi giacché il termine a disposizione del contribuente non potrà essere più ampio di quello in sé previsto per i controlli al massimo dalla scadenza del triennio dalla registrazione dell’atto».

In  altri  termini,  il  beneficio  fiscale  richiesto  dal  contribuente  è  solo provvisoriamente concesso dalla legge al momento della registrazione dell’atto di trasferimento; di conseguenza, è onere del contribuente dimostrare, in seguito alla contestazione dell’Ufficio, i fatti che dimostrino il raggiungimento dello scopo, ossia l’effettiva realizzazione del recupero entro il predetto termine (art. 2697 c.c.). Questa Corte (Cass. n. 20259 del 2010) ha, poi, affermato che in ogni caso, il contribuente non perde il diritto ai benefici quando il superamento del termine medesimo sia dovuto a colpa degli uffici competenti nel rilascio della necessaria documentazione amministrativa; egli, in tal caso, deve provare di aver agito con adeguata diligenza e tempestività, al fine di conseguire la certificazione in tempo utile; fattispecie che non ricorre nel caso oggetto del presente scrutinio.

In applicazione di tali principi e tenuto conto del fatto che risulta incontroverso tra le parti che i lavori di recupero relativi all’atto di compravendita dell’l1.9.2009 non si erano conclusi alla data di emissione dell’avviso di liquidazione impugnato (25.5.2012) e, dunque, entro il termine di esercizio dell’azione di accertamento dell’Ufficio, risulta evidente l’errore di diritto in cui sono incorsi i giudici di merito laddove hanno ritenuto applicabile alla fattispecie il termine di decadenza ordinario di cui all’art. 2946 c.c.

2.1 Il ricorso deve, dunque, essere accolto e la sentenza impugnata cassata e non essendo necessari ulteriori accertamenti in punto di fatto, la controversia può essere decisa nel merito con il rigetto dell’originario ricorso della contribuente. 

3. Le spese dei gradi di merito vanno interamente compensate tra le parti, in ragione della peculiarità della questione trattata, mentre la parte soccombente è tenuta al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo. 

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso della contribuente.

Condanna parte soccombente al pagamento a favore dell’Agenzia delle entrate al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 2.300,00 oltre alle spese prenotate a debito.