Corte di Cassazione sentenza n. 21015 depositata il 23 agosto 2018
Rilevato che:
Avendo SI S.r.l. ottenuto dal Tribunale di Roma decreto ingiuntivo n. 10697/2008 nei confronti di H. S.p.A. per il pagamento di “servizi amministrativi” per l’importo di € 135.783,73, la società ingiunta si opponeva, eccependo tra l’altro la nullità del contratto stipulato con una società di capitali pur avendo come oggetto l’attività “protetta” da eseguire da iscritti all’Albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili;
SI S.r.l. insisteva nella pretesa e il Tribunale, con sentenza del 6 settembre 2011, accoglieva l’opposizione. SI S.r.l. proponeva appello, cui controparte resisteva, e che la Corte d’appello di Roma rigettava con sentenza del 19 ottobre 2016.
SI S.r.l. ha proposto ricorso, articolato in due motivi, da cui si difende con controricorso H. S.p.A. Nelle more SI S.r.l. è stata incorporata in N.A.D. S.r.l., che si è costituita con nuovo difensore riportandosi al ricorso e contestualmente depositando tempestiva memoria.
Considerato che:
1.1 II primo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 2231 c.c., 2 I. 1815/1939, 1 d.lgs. 139/2005 e 1 1068/1953.
Per stabilire se sussiste nullità ex articolo 2231 c.c. la ricorrente osserva che è necessario verificare se la prestazione rientra nelle attività riservate ad una determinata categoria professionale, tenendo conto che, al di fuori delle attività riservate agli iscritti agli albi, vige il principio generale della libertà del lavoro autonomo e della impresa di servizi; e l’attività di verifica e revisione di una contabilità non rientrerebbe tra quelle riservate, analogamente ai servizi in materia fiscale, come quelli svolti dai CAF. Ai sensi poi degli articoli 33 Cost., 43 e 49 Trattato CEE non sarebbero riservate a determinate categorie professionali l’assistenza e la consulenza in materia fiscale che sarebbero state nel caso in esame pattuite; non riservate sarebbero pure le altre attività riepilogate dal giudice d’appello nella sentenza.
1.2 II richiamo ai dati normativi, a ben guardare, opera una schermatura di quello che è il reale contenuto del motivo in esame: a fronte dell’accertamento fattuale ben motivato dalla Corte d’appello nella sentenza impugnata, che si spende proprio sull’effettivo oggetto della controversia, cioè sulla concreta natura delle attività di cui era stato chiesto il corrispettivo – attività che la corte territoriale è giunta a concludere essere proprie dei commercialisti e/o degli esperti contabili, così da confermare la nullità del contratto in cui erano state pattuite -, il motivo propone una valutazione alternativa dei dati fattuali, così inammissibilmente perseguendo dal giudice di legittimità un terzo grado di merito.
2. Il secondo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 1218, 1224, 2222 ss. e 2697 c.c., nonché, ex articolo 360, primo comma, n.4 c.p.c., nullità della sentenza.
Lamenta il motivo che il giudice d’appello non ha riconosciuto alcun compenso neppure per quelle attività effettuate che non sarebbero “protette”, per la quale invece il compenso sarebbe spettato, in quanto il lavoro autonomo o di impresa di servizi deve essere remunerato. Si illustrano pertanto le attività che giustificherebbero il corrispettivo, osservando che, pur riconoscendo il loro svolgimento, il giudice d’appello le definisce “un semplice corollario”, laddove comunque anche l’attività materiale, corollario di attività intellettuale, deve sempre essere pagata.
Anche questo motivo persegue inequivocamente un’inammissibile valutazione alternativa attinente ad un accertamento fattuale, qui relativo alla natura autonoma – e quindi non meramente accessoria, che conduce all’assorbimento nell’attività principale, come ritenuto dal giudice d’appello – di determinati servizi, proponendo, d’altronde, in tale valutazione alternativa una dissezione del tutto artificiosa nelle attività eseguite per tentare di sciogliere dall’accessorietà quelle che il giudice di merito ha reputato attività materiali imprescindibilmente connesse e finalizzate a quelle “protette” (v. motivazione della sentenza impugnata, pagina 6: nel caso in esame l’attività demandata aveva “il carattere professionale” dal momento che “l’attività intellettuale doveva ritenersi nettamente prevalente su quella materiale (i servizi di domiciliazione, di segreteria, esecuzione di pagamenti vari, attività di assistenza e preparazione ad assemblee di organi societari) che ne costituiva un semplice corollario volto a rendere più efficiente il servizio finale”).
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione a controparte delle spese processuali, liquidate come da dispositivo. Sussistono ex articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2012 i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di € 5600, oltre a € 200 per gli esborsi, al 15% per spese generali e agli accessori di legge. Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di 5 contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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