Corte di Cassazione sentenza n. 21249 depositata il 5 luglio 2022
abuso del diritto – contraddittorio endoprocedimentale
FATTI DI CAUSA
1. La F. s.r.l., in persona del l.r.p.t, e Franco G., Claudio G., Lucio G., M.E., Marisa G., il primo in proprio e tutti in qualità di eredi di Bruno G. hanno proposto ricorso, con nove motivi, contro l’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto (di seguito C.t.r.), n. 1048/06/2016, pronunciata il 20 settembre 2016, depositata il 4 ottobre 2016 e non notificata, che ha accolto l’appello dell’ufficio, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa degli avvisi di accertamento per maggiore Irpef dell’anno di imposta 2007.
2. Con la sentenza impugnata la C.t.r., dopo aver richiamato la sentenza 24823/2015 delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo la quale non sussiste, in materia di tributi non armonizzati, un generale obbligo di contraddittorio endoprocedimentale a carico dell’amministrazione, riteneva che, nel caso di specie, effettivi beneficiari dei dividendi derivanti dalla F. S.p.A. fossero i componenti della famiglia G., i quali li percepivano attraverso una società lussemburghese (s.a. F.), che era un mero schermo ed era indirettamente controllata dalla stessa famiglia G..
3. Secondo i giudici di appello, il versamento di 800.000,00 euro alla società francese Aupem Sefli, successivo all’accreditamento dei dividendi, non era una dimostrazione sufficiente del mancato accreditamento dei dividendi ai sigg. G.; pertanto gli atti impositivi e quelli di irrogazione delle sanzioni erano legittimi e non sussistevano cause di non punibilità ex art.6 d.lgs. n. 472/1997.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 Con il primo motivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., i ricorrenti denunziano la nullità della sentenza impugnata per la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, di cui all’art.112 cod. proc. civ., a causa dell’omessa pronuncia sulla doglianza relativa al fatto che, anche nei casi di abuso del diritto, l’ufficio deve seguire il procedimento di cui all’art.37 bis d.P.R. 29 settembre 1973 n.600.
1.2 Con il secondo motivo, i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione dell’art.37 bis P.R. 29 settembre 1973 n.600 e del principio del contraddittorio anticipato, di cui agli artt.53 e 97 Cost. e 41 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
Secondo i ricorrenti, infatti, una contestazione di abuso del diritto impone all’amministrazione finanziaria l’obbligo del contraddittorio preventivo, con il conseguente obbligo di una specifica motivazione nell’avviso di accertamento in ordine alle giustificazioni fornite dal contribuente.
1.3 Con il terzo motivo, i ricorrenti denunziano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, di cui all’art.112 proc. civ., a causa dell’omessa pronuncia sulla doglianza relativa all’insussistenza dei presupposti dell’abuso del diritto.
Secondo i ricorrenti, i giudici di appello non hanno esaminato i tre elementi che integrano l’abuso del diritto (consistenti nell’utilizzo distorto di strumenti giuridici, nel difetto di ragioni economicamente apprezzabili e nell’ottenimento di indebiti vantaggi fiscali), omettendo di pronunciarsi sulle ragioni dei contribuenti, che, ritenute assorbite dal giudice di primo grado, erano state riproposte in appello per contrastare l’impugnazione dell’ufficio.
In particolare, i ricorrenti affermano di aver dedotto che la società lussemburghese F. s.a. era stata costituita nel 1996 per assecondare le esigenze di sviluppo internazionale della famiglia G.; che la F. nel 1997 aveva acquisito la società spagnola C.F., nel 2001 aveva costituito la società francese F.F. ed aveva acquisito la società tedesca F.G., nel 2002 aveva acquisito dalla multinazionale francese L. la società AS.; che l’attività della holding aveva portato ad un incremento del fatturato, da 11 milioni nel 1996 a 15 milioni nel 2007, e che i dividendi distribuiti dalla F. alla F. s.a. nel 2007, pari ad euro 1.800.000,00, erano stati riutilizzati per aiutare la controllata francese AS., che si trovava in difficoltà finanziarie.
Pertanto, la società non poteva ritenersi un mero schermo, nè vi sarebbero stati indebiti vantaggi fiscali nella distribuzione dei dividendi alla holding lussemburghese, poiché, altrimenti, la F. li avrebbe direttamente versati alla AS., con identica possibilità di applicazione dell’art.27 bis d.P.R. n.600/1973.
1.4 Con il quarto motivo, i ricorrenti denunziano, in relazione all’art. 360, primo comma, 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per la violazione dell’art.36, comma 2, n.4, d.lgs. 31 dicembre 1992 n.546, e dell’art.118 disp. att. cod. proc. civ., a causa di una motivazione solo apparente sulla sussistenza degli unici due elementi (il fatto che la F. s.a. sarebbe stata una società veicolo e che i beneficiari effettivi dei dividendi sarebbero stati i componenti della famiglia G.) su cui l’ufficio ha fondato la contestazione dell’abuso del diritto.
Secondo i ricorrenti, i giudici di appello non avrebbero motivato in ordine alle ragioni per le quali hanno ritenuto che la sola funzione della F. s.a. sarebbe stata quella di <<ammassare i vari dividendi al fine di farli confluire nella società svizzera il cui unico scopo è quello di corrisponderli ai reali beneficiari evitando la normale tassazione>>.
1.5 Con il quinto motivo, i ricorrenti denunziano, in relazione all’art. 360, primo comma, 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, di cui all’art.112 cod. proc. civ., a causa dell’omessa pronuncia sulla doglianza relativa alla violazione dell’art.27, primo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n.600.
Secondo i ricorrenti la C.t.r. non si è pronunciata sulla questione, sollevata fin dal primo grado di giudizio dai contribuenti, secondo cui l’Agenzia avrebbe dovuto notificare gli avvisi di accertamento anche alle persone fisiche detentori di partecipazioni non qualificate, essendo soggetto passivo di imposta il sostituito e non il sostituto.
1.6 Con il sesto motivo, i ricorrenti denunziano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, di cui all’art.112 proc. civ., a causa dell’omessa pronuncia sulla doglianza relativa alla violazione degli artt. 1, 44 e ss. d.P.R. 22 dicembre 1986 n.917 (T.u.i.r.).
Secondo i ricorrenti, la C.t.r. non si è pronunciata sulla doglianza dei contribuenti, secondo cui i componenti della famiglia G. non potevano identificarsi con gli effettivi beneficiari dei dividendi.
1.7 Con il settimo motivo, i ricorrenti denunziano, in relazione all’art. 360, primo comma, 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, di cui all’art.112 cod. proc. civ., a causa dell’omessa pronuncia sulla doglianza relativa alla carenza di potere dell’ufficio, che non poteva disconoscere una struttura societaria ubicata all’estero, che non mirava esclusivamente ad ottenere vantaggi fiscali.
1.8 Con l’ottavo motivo, i ricorrenti denunziano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, di cui all’art.112 proc. civ., a causa dell’omessa pronuncia sulla doglianza relativa alla violazione, nei confronti dei soci Bruno e Franco G., detentori di partecipazioni qualificate, dei principi del contraddittorio preventivo.
1.9 Con il nono motivo, i ricorrenti denunziano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per la violazione dell’art.36 lgs. 31 dicembre 1992 n.546, dell’art.132 cod. proc. civ. e dell’art.118 disp. att. cod. proc. civ., a causa della motivazione solo apparente sull’esclusione della necessità di disapplicare le sanzioni per le obiettive situazioni di incertezza normativa.
2.1 Il primo, il secondo e l’ottavo motivo, che vanno esaminati congiuntamente in quanto connessi, sono fondati e vanno accolti.
Con tali motivi, invero, i contribuenti deducono, sotto il profilo dell’omessa pronuncia e della violazione di legge, la questione del mancato rispetto dell’obbligo del contraddittorio preventivo nei confronti della società F.a.r.t. s.r.l. e dei soci Bruno e Franco G., detentori di partecipazioni qualificate.
Invero, come rilevato dal giudice di appello, che si è pronunciato sul punto, in tema di imposte dirette, non si rinviene un principio generale che imponga il contraddittorio preventivo con il contribuente, mentre per i tributi armonizzati, l’applicazione di tale principio rimane subordinato alla cd. prova di resistenza, nel senso che il contribuente deve assolvere all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e dimostrare di non aver proposto un’opposizione meramente pretestuosa.
Come le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito, <<in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito>> (Cass. S.U. n.24823/2015).
Tuttavia, nel caso in cui l’ufficio finanziario intenda contestare fattispecie elusive, indipendentemente dalla riconducibilità o meno delle stesse alle ipotesi analiticamente contemplate dall’art. 37 bis, comma 3, d.P.R. n. 600/73, è tenuto a richiedere preventivamente chiarimenti al contribuente e ad osservare il termine dilatorio di sessanta giorni, prima di emettere l’atto accertativo, che dovrà essere specificamente motivato anche in ordine alle osservazioni, chiarimenti, giustificazioni, eventualmente fornite dal contribuente, risultando inficiato dal vizio di nullità l’atto impositivo emesso in difformità da detto modello procedimentale.
Questa Corte, in numerose pronunce, ha ritenuto la diretta applicabilità alla concreta fattispecie di abuso del diritto del procedimento di accertamento impositivo disciplinato dal comma 4 dell’art.37 – bis d.P.R. n.600/1973, che, in caso di difformità dal modello legale, commina espressamente la sanzione di nullità dell’atto di accertamento.
Anche la Corte Costituzionale, con la sentenza n.132 del 2015, ha ritenuto che, in base al diritto vivente, non fosse fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 37- bis, comma 4, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, censurato in relazione agli artt. 3 e 53 Cost., in quanto il principio antielusivo <<non impedisce, con riguardo alle fattispecie non riconducibili all’art. 37 bis del d.P.R. in esame, che debba essere instaurato il previo contraddittorio tra l’amministrazione finanziaria e il contribuente, né esclude che il vizio del contraddittorio richiamato produca la nullità dell’atto impositivo>>.
Pertanto, deve concludersi nel senso che, anche prima dell’entrata in vigore dell’art. 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente – che, introdotto dall’art. 1, comma 5, d.lgs. n. 128 del 2015, non si applica alla fattispecie in esame -, l’amministrazione finanziaria, che intenda contestare le fattispecie elusive, anche se non riconducibili alle ipotesi espressamente contemplate dall’art.37 – bis d.P.R. n.600/1973, è tenuta, a pena di nullità dell’atto impositivo, a richiedere preventivamente chiarimenti al contribuente e ad osservare il termine dilatorio di sessanta giorni, prima di emettere l’atto accertativo, che dovrà essere specificamente motivato anche in ordine alle osservazioni, chiarimenti, giustificazioni, eventualmente fornite dal contribuente (sul punto vedi Cass. Sez. 5, Sentenza n. 406 del 2015, §3.9; conf. Sez. 5, Sentenza n. 25759 del 2014; vedi anche Sez. 6/5, Ordinanze n. 9346 e n. 9347 del 2020; Sez. 5, Sentenze n. 18466 del 2017 e n. 16546 del 2019; cfr. in motivazione Sez. U, Sentenza n. 24823 del 2015, § 4.2 e 5).
Nel caso di specie, la C.t.r. avrebbe dovuto rilevare la nullità dell’avviso di accertamento, essendo pacifico che esso contestava ai contribuenti una fattispecie di abuso del diritto e non era stato preceduto dalle garanzie procedimentali di cui all’art. 37 bis citato.
L’accoglimento del primo, secondo ed ottavo motivo comportano l’assorbimento dei rimanenti.
La Corte cassa la sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito, accoglie il ricorso dei contribuenti, compensando le spese dei precedenti gradi di giudizio.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo, il secondo e l’ottavo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo dei contribuente; compensa le spese del doppio grado del giudizio di merito; condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento in favore dei ricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.000,00, per compensi, oltre il 15% per spese generali, euro 200,00 per esborsi ed accessori di legge.
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