CORTE DI CASSAZIONE sentenza n. 21292 depositata il 29 agosto 2018
RILEVATO
che, con la sentenza depositata il 12.11.2009, la Commissione Tributaria Regionale delle Marche, in riforma della pronuncia n. 220/02/2006 della Commissione Tributaria Provinciale di Ancona, ha dichiarato non applicabile la disposizione prevista dall’art. 15 della legge n. 289/2002 da parte della ES srl con riguardo al processo verbale di constatazione, redatto in data 22.6.2001 per maggiori importi IVA, IRPEG e IRAP per l’anno 1999, sull’assunto che, nei confronti dell’Amministratore unico di detta società, era stato disposto il rinvio a giudizio per illeciti tributari penalmente rilevanti per gli anni 1998 e 1999 e che andava ribadita una sostanziale inscindibilità dell’identica persona fisica del legale rappresentante di una società, nella veste di richiedente il condono per detta società, e di quella di fruitore del conseguente effetto estintivo penale;
che, avverso tale decisione, ha proposto ricorso per cassazione la ES srl affidato a due motivi;
che l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso;
che il PG, nella persona della dott.ssa Luisa De Renzis, ha formulato richieste concludendo per il rigetto del ricorso;
CONSIDERATO
che, con il ricorso per cassazione, si censura: 1) la violazione o falsa applicazione dell’art. 15 comma 1 legge 27.12.2002 n. 289, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cpc, perché, a differenza di quanto ritenuto dalla CTR, i limiti di applicabilità della definizione prevista dal citato art. 15 non potevano operare allorquando, pur coincidendo nella medesima persona fisica la figura del soggetto autore delle violazioni sancite nel D.Igs. n. 74/2000 e quella del contribuente richiedente l’agevolazione prevista dalla legge n. 289/2002, tuttavia erano da considerarsi distinte ed autonome a causa della differente titolarità e natura delle loro posizioni rivestite, come per esempio, nel caso di legale rappresentante di una società di capitale; 2) la violazione der’art. 2909 cc e dell’art. 324 cpc, perché, nella sentenza del GUP del Tribunale di Ancona, pronunciata in data 22.12.2004 e divenuta definitiva, prodotta solo in questa sede di legittimità, la suddetta questione era stata risolta nel senso dell’autonomia della figura dell’autore della violazione per cui era stato promosso processo penale rispetto a quella del contribuente;
che il primo motivo non è fondato essendosi la CTR attenuta ai principi enunciati in sede di legittimità (cfr. da ultimo Cass. 18.12.2014 n. 26810; Cass 24.9.2014 n. 20088) secondo cui non è necessario che l’indagato/imputato ed il soggetto, a cui è preclusa la definizione agevolata, coincidano, tenuto conto che il reato è sempre contestato ad una persona fisica mentre l’esclusione della definizione agevolata può riguardare anche le società;
che, pertanto, la condizione ostativa al condono, nel caso in esame, si applica non solo se vi sia piena coincidenza tra il soggetto indagato/imputato ed il soggetto contribuente, che si realizza quando la medesima persona fisica rivesta entrambe le posizioni, ma anche se tali soggetti non coincidano, come avviene se il reato tributario contestato al titolare persona fisica di un organo societario ridondi, per gli effetti economici fiscali che dallo stesso derivano, a vantaggio dell’ente societario (dotato di autonoma personalità giuridica) cui l’organo appartiene (cfr. Cass. n. 19862/2012; n. 21795/2012; n. 8324/2012);
che il secondo motivo è parimenti infondato: invero, in primo luogo va rilevato che il giudicato formatosi in sede penale, in particolare sulla questione dell’autonomia della figura dell’autore della violazione, nei cui confronti era stata esercitata l’azione penale, rispetto a quella del contribuente, come da argomentazione del GUP di Ancona nella sentenza pronunciata in data 22.12.2004, non può spiegare alcun effetto nella presente controversia trattandosi di problematica riguardante “l’interpretazione giuridica di norme” che esula dall’ambito applicativo dell’art. 654 cpp e resta, pertanto, circoscritta nell’alveo del giudizio in cui è stata adottata, senza che possa costituire un limite all’esegesi esercitata da altro giudice; in secondo luogo, deve sottolinearsi che, in ogni caso, in materia di contenzioso tributario, nessuna automaticità di “cosa giudicata” può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di f reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti di prova posti dall’art. 7 comma 4 del D.Igs n. 546/92 e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna (cfr. da ultimo Cass. 28.6.2017 n. 16262; Cass n. 8129/2012);
che, alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente, in virtù del criterio della soccombenza, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità;
che, in considerazione della data di notifica e di iscrizione a ruolo del ricorso per cassazione (anteriore al 31.1.2013), non si applica il disposto di cui all’art. 13 comma 1 quater DPR n. 115/2002 nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 7.500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.