Corte di Cassazione sentenza n. 21302 depositata il 5 luglio 2022
motivazione apparente – mancata valutazione delle prove e/o indizi – ritenuta ridotta per dividendi società estere
FATTI DI CAUSA
1. La T. Finance s.a. (di seguito TIF) ha proposto ricorso, con sette articolati motivi, contro l’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza n. 100 della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara (di seguito C.t.r.), pronunciata il 23 novembre 2017, depositata il 5 febbraio 2018 e non notificata, che ha accolto l’appello dell’ufficio, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa del diniego di rimborso parziale dell’imposta sostitutiva sui dividendi deliberati da T. S.p.A. nel 2009, per la quale era stata calcolata l’aliquota del 27 per cento, ai sensi dell’art.27, terzo comma, d.P.R. n.600/1973, nettamente superiore all’aliquota dell’1,375 per cento, prevista sui dividendi distribuiti a società italiane (data dall’applicazione dell’aliquota Ires del 27,5 per cento alla quota imponibile di dividendi, pari al 5 per cento degli stessi).
2. Con la sentenza impugnata la C.t.r., dopo aver richiamato la disciplina prevista dall’art.165 d.P.R. n.917/1986 (che riconosce al contribuente il diritto di scomputare, a determinate condizioni, dall’imposta italiana relativa ad un reddito prodotto all’estero le imposte aventi caratteristiche similari a quella italiana, ma pagate a titolo definitivo nello Stato estero), ha affermato che <<il credito per le imposte assolte all’estero da parte del soggetto italiano spetta al verificarsi del duplice presupposto: similitudine (con le imposte previste in Italia per quel reddito) e definitività (entro i termini per la presentazione della dichiarazione dei redditi in Italia)>>. Secondo il giudice di appello, l’estratto conto prodotto dalla contribuente era una rappresentazione analitica di una serie di operazioni in entrata e in uscita, mentre il credit advice era la rappresentazione di una singola operazione di accreditamento del dividendo rispetto al quale veniva richiesta la restituzione della maggiore imposta versata. Pertanto, la C.t.r. riteneva che, nelle controversie concernenti il rimborso di un credito, in cui gravava sul contribuente — che rivestiva nel processo la qualità di attore in senso sostanziale — l’onere di allegare e provare i fatti a fondamento della richiesta, l’estratto conto non costituiva prova di definitivo incasso del dividendo, cosicché l’Ufficio non poteva rimborsare la ritenuta (nel caso di specie di E. 1.280.440,93), mancando il credit advice o il modello C.U.P.E. Inoltre, la C.t.r. rilevava che dalla documentazione prodotta non si ricavava che il soggetto percipiente i dividendi, “The bank of New York Mellon” con sede in Bruxelles, come risultava dal modello C.U.P.E., era effettivamente stato nominato global custodian di L.B. (di seguito L.). Invero, la contribuente aveva prodotto solo un accordo relativo alla O.I. e non alla T.F. s.a. ed aveva richiamato il Commentario Modello Ocse, privo di qualsivoglia valore probatorio. Infine, secondo la C.t.r., la tesi dell’appellata di ritenere dovuto il pagamento previsto dall’art. 10, comma 4, lett. b), a prescindere dall’avvenuto assoggettamento ad imposizione in Lussemburgo dei dividendi in questione, oltre a non poter essere condivisa, rafforzava il convincimento che in realtà non si fosse verificata alcuna doppia imposizione. Riteneva la C.t.r. che i contenuti della sentenza emessa dalla Corte di Giustizia Europea CE n. 540/2007 erano stati recepiti correttamente dall’Amministrazione Finanziaria, giusta Circolare n. 32/2011, in cui erano state fissate le condizioni soggettive ed oggettive per ottenere il rimborso; infatti, qualora i soggetti UE beneficiari dei dividendi non possedevano i requisiti previsti per l’applicazione della Direttiva madre-figlia, di cui all’art. 27-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, secondo la C.t.r. trovava applicazione il regime “ordinario” e la misura della ritenuta ridotta, da applicare in sede di esame delle istanze di rimborso relative ai dividendi erogati prima del 1° gennaio 2008, per effetto dell’aliquota di imposta Ires vigente prima del 1° gennaio 2008, pari all’1,65 per cento.
3. Le parti hanno depositato memorie.
4. Parte ricorrente ha chiesto la discussione orale, ai sensi dell’art.23, comma 8 bis, d.l. 28 ottobre 2020 n.137.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la ricorrente denunzia la nullità della sentenza impugnata per difetto assoluto di motivazione in violazione degli artt.1, secondo comma, e 36, secondo comma, n.4, d.lgs. 31 dicembre 1992 n.546, 132, secondo comma, n.4, cod. proc. civ.,e 118 disp. att. cod. proc. civ.
Secondo la ricorrente, la sentenza impugnata sarebbe fondata su di una ricostruzione fattuale e premesse logico giuridiche avulse dalla fattispecie dedotta in giudizio.
Con specifico riferimento ai profili probatori, i giudici si sarebbero limitati ad affermare la non idoneità della documentazione a dimostrare la qualifica di The Bank of New York Mellon come sub-custode di L., senza esplicitare le ragioni della decisione.
Inoltre, i giudici di appello avrebbero richiamato l’art.10, comma 4, lett. B), senza indicare il corpo normativo al quale appartiene e che, se riferito, come sembrerebbe dal contesto, alla Convenzione Italia Lussemburgo contro la doppia imposizione, non sarebbe pertinente alla questione oggetto di giudizio, cioè alla effettiva tassazione dei dividendi in Lussemburgo come presupposto per il riconoscimento del credito.
2.1 Con il secondo motivo, la ricorrente denunzia la falsa applicazione degli artt. 3 e 165 d.P.R. 22 dicembre 1986 n.917 (T.u.i.r.), in materia di rimborso di imposte assolte all’estero da soggetti residenti in Italia, norma che secondo la società non è invocabile nel caso di specie.
2.2 La ricorrente lamenta anche la violazione del principio di non contestazione, in violazione dell’art.115 cod. proc. civ., essendo pacifico, nel caso in esame, che la società contribuente, residente in Lussemburgo, abbia chiesto il rimborso della ritenuta subita a titolo di imposta con l’aliquota del 27 per cento, nella sua qualità di soggetto non residente, ex 27 terzo comma d.P.R. n.600/1973, sui dividendi di fonte italiana, che si assumono percepiti per l’anno 2009.
3.1 Con il terzo motivo, la ricorrente denunzia la nullità della sentenza impugnata nella parte in cui i giudici di appello hanno ritenuto che la contribuente non avesse dimostrato l’effettivo incasso dei dividendi, individuando l’avviso di accredito sul conto ed il modello C.U.P.E. come unici documenti idonei a comprovare la suddetta circostanza, in violazione dell’art.116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
3.2 La sentenza risulterebbe altresì nulla in quanto emessa in violazione degli artt.1, secondo comma, e 36, secondo comma, n.4, d.lgs. 30 dicembre 1992 n.546, 132, secondo comma, n.4, cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., in quanto la C.t.r. non avrebbe palesato le ragioni poste a base della sua decisione.
3.3 Inoltre, la decisione sul punto sarebbe censurabile anche ai sensi dell’art.360, primo comma, 5, cod. proc. civ., in quanto la C.t.r. avrebbe omesso l’esame di un fatto decisivo, che è stato oggetto di discussione tra le parti, consistente nella circostanza che le azioni T., che hanno dato luogo alla distribuzione dei dividendi nel 2009, erano depositate presso L. in virtù di regolare contratto di custodia e che i dividendi erano stati definitivamente incassati nel 2010 all’esito di un’azione giudiziaria, che aveva anche riconosciuto a L. un corrispettivo.
Sul punto, la ricorrente deduce che le azioni T. di sua proprietà erano detenute in custodia presso L. e che aveva prodotto in giudizio il master custody agreement (contratto di custodia), sottoscritto nel 2000 tra L. ed O.I. S.A., società lussemburghese fusa per incorporazione in TIF (come dimostrato dall’estratto della Camera di Commercio lussemburghese, pure allegato). Al riguardo, la società ha richiamato, riproducendola nei propri atti, la norma lussemburghese che disciplina gli effetti della fusione per incorporazione (l’art.274, legge 10 agosto 1915), rilevando che la predetta norma sancisce il principio (peraltro analogo a quello dettato dall’art. 2504-bis cod. civ.), per cui la società incorporante succede a titolo universale nei rapporti giuridici riferibili alla società incorporata. Su queste basi, la società ha rilevato che il contratto sottoscritto da O.I. S.A. ha continuato a produrre effetti, a seguito della fusione, nei suoi confronti. Il rapporto di custodia esistente, nel 2009, tra L. e TIF risulterebbe peraltro confermato, dal punto di vista documentale, non solo dalla dichiarazione dell’administrator di L., ma anche dai bilanci al 31 dicembre 2009 e al 31 dicembre 2010 di TIF, che riportavano l’incasso dei dividendi in questione.
Secondo la ricorrente, la sentenza impugnata ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento in capo alla società del rimborso richiesto, rilevando che il contratto di custodia dei titoli prodotto in giudizio è sottoscritto da L. con O.I. S.A. e non con TIF, così aderendo alla tesi dell’Agenzia, secondo cui, a seguito della fusione per incorporazione dell’originario contraente, il predetto contratto non avrebbe prodotto effetti nei confronti della società incorporante, e non sarebbe quindi idoneo a dare dimostrazione della detenzione delle azioni da parte di L. in qualità di custode.
Invece, secondo la ricorrente, una corretta interpretazione dell’art. 274, legge (lussemburghese) 10 Agosto 1915, avrebbe dovuto indurre i giudici del gravame a rilevare l’infondatezza della tesi dell’Agenzia, secondo cui la fusione non avrebbe determinato l’effetto di una successione universale della società incorporante in tutti i rapporti giuridici e negoziali della società incorporata.
Di conseguenza, la C.t.r. avrebbe dovuto concludere che il contratto di custodia sottoscritto tra L. e O.I. S.A. ha continuato a produrre effetti, a seguito della fusione, in capo a TIF, risultando così idoneo a dimostrare che, al momento della distribuzione dei dividendi, le azioni T. erano detenute da L. in qualità di custode per conto della società contribuente.
3.4 La ricorrente deduce, inoltre, che la sentenza è in parte qua viziata per violazione dell’art. 112, cod, proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nell’avere affermato l’inidoneità del contratto di custodia sottoscritto da O.I. S.A. a dimostrare l’esistenza di un rapporto di custodia tra la società e L., attribuendo rilievo all’assenza di valore probatorio del Commentario al Modello OCSE (asseritamente) richiamato da TIF. Così decidendo, i giudici avrebbero assunto alla base della decisione il rinvio, invero mai operato dalla società, a (non meglio precisate parti) del predetto documento, e per l’effetto, si sarebbero pronunciati su una questione (il valore probatorio del Commentario al Modello OCSE) mai stata oggetto di discussione tra le parti, così rendendo una decisione affetta da “extra petizione”.
4.1 Con il quarto motivo, la ricorrente denunzia la nullità della sentenza impugnata per difetto assoluto di motivazione, emessa in violazione degli artt.1, secondo comma, e 36, secondo comma, n.4, d.lgs. 30 dicembre 1992 n.546, 132, secondo comma, n.4, cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
Secondo la ricorrente, la sentenza di seconde cure è nulla in quanto i giudici del gravame hanno richiamato la tesi (peraltro erroneamente attribuita alla società), secondo cui sarebbe dovuto il pagamento “previsto dall’art. 10, comma 4, lett b)”, senza indicare in alcun modo il corpo normativo al quale appartiene la citata disposizione, ed in un contesto in cui, anche volendo riferire detto articolo, in ragione dell’argomento trattato, alla Convenzione Italia-Lussemburgo, art. 10 della citata Convenzione, esso non reca alcuna lett. b) al quarto comma, ed il comma richiamato fa riferimento ad una questione, quella dell’attribuzione dei dividendi alla stabile organizzazione, del tutto diversa da quella esaminata dai giudici (cioè, l’effettiva tassazione dei dividendi in Lussemburgo come presupposto per il riconoscimento del credito).
5.1 Con il quinto motivo, la ricorrente denunzia, in subordine, la nullità della sentenza nella parte in cui i giudici del gravame hanno affermato l’insussistenza del diritto al rimborso in ragione del rigetto della tesi, attribuita alla società, secondo cui “il “pagamento previsto dall’art. 10, comma 4, lett. b)” sarebbe dovuto a prescindere dalla verifica circa l’effettivo assoggettamento ad imposizione dei dividendi in Lussemburgo.
Ebbene, così decidendo, i giudici del gravame sarebbero incorsi in una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in quanto la citata disposizione prescrive al giudice il dovere di pronunciarsi su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa. Nel caso in giudizio il predetto dovere non potrebbe ritenersi assolto dai giudici di appello, avendo i medesimi pronunciato, ritenendo di non condividerla, su una tesi, attribuita alla società, ma da quest’ultima invero mai prospettata nel corso del giudizio di merito.
I giudici del gravame avrebbero fondato il disconoscimento del rimborso richiesto da TIF (anche) sull’affermata insussistenza dei presupposti per l’applicazione della ritenuta nella misura prevista dall’art. 10, secondo comma, della Convenzione Italia-Lussemburgo, così ponendo a fondamento della propria decisione una norma diversa da quella invocata dalla società a fondamento della richiesta di rimborso, e recante un regime impositivo diverso da quello di cui è chiesta l’applicazione.
6.1 In ulteriore subordine, con il sesto motivo, la ricorrente denunzia l’illegittimità della sentenza nella parte in cui i giudici hanno ricondotto il rimborso richiesto dalla società alla disciplina recata dall’art. 10, secondo comma, della Convenzione Italia-Lussemburgo. Secondo la ricorrente, la sentenza è in parte qua viziata per falsa applicazione dell’art. 10, secondo comma, Convenzione Italia- Lussemburgo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. Invero, la società aveva chiesto il rimborso della ritenuta alla fonte su dividendi italiani, deducendo l’illegittimità del prelievo eccedente rispetto alla misura prevista dall’art. 27, comma 3-ter, d.P.R. n. 600/1973, vale a dire dalla norma domestica che ha recepito il principio, sancito dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, per cui i dividendi corrisposti a società residenti in uno Stato dell’Unione europea devono essere assoggettati ad un prelievo fiscale che non può essere superiore a quello gravante sui dividendi corrisposti a società residenti in Italia (pena la violazione dei principi unionali di libertà di stabilimento e libera circolazione dei capitali di cui la stessa risulta espressione). Pertanto, il disconoscimento della sussistenza del diritto al rimborso non può essere legittimamente fondato sulla presunta insussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’aliquota convenzionale.
7.1 Con il settimo motivo, la ricorrente denunzia la nullità della sentenza impugnata nella parte in cui i secondi giudici hanno richiamato, a fondamento del rigetto dell’istanza di rimborso, i requisiti soggettivi ed oggettivi per l’applicazione della ritenuta nella misura prevista dall’art. 27, comma 3-ter, d.P.R. n. 600/1973, così come delineati in linea generale dalla prassi dell’Amministrazione La sentenza, secondo la ricorrente, è in_parte qua viziata, in quanto emessa in violazione dell’art. 115, primo comma, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
Invero, l’Agenzia non aveva fondato il diniego di rimborso su profili diversi da quelli relativi alla prova dell’effettivo incasso dei dividendi, non avendo mai contestato la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art.27, comma 3-ter, d.P.R. n. 600/1973.
8. Il primo motivo è fondato e va accolto, con conseguente assorbimento dei rimanenti, poiché la sentenza impugnata risulta viziata da motivazione meramente apparente.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che <<la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture>> (Cass. S.U. n. 22232/2016).
Invero, è pacifico tra le parti che la società ricorrente, in applicazione dell’art.27, co. 3, d.P.R. n.600/1973, aveva chiesto il rimborso dell’imposta sostitutiva sui dividendi deliberati negli anni 2007, 2008 (definiti in corso di causa) e 2009 dalla T. S.p.A. A fronte della richiesta della contribuente, che aveva impugnato il diniego tacito dell’amministrazione finanziaria, l’Agenzia delle entrate si era costituita in giudizio, riconoscendo il rimborso per le annualità 2007 e 2008 ed evidenziando, per la sola annualità 2009, che la società non aveva prodotto documentazione idonea a comprovare la sussistenza dei presupposti per procedere all’erogazione del richiesto rimborso, cioè, in particolare, la prova dell’effettiva percezione dei dividendi.
La C.t.r. riteneva che la società non avesse fornito adeguata prova della percezione dei dividendi, <<non essendo sufficiente la sola indicazione del credito nella dichiarazione>>, né il semplice estratto conto, <<che è una rappresentazione analitica di una serie di operazioni in entrata ed in uscita >>, in assenza del credit advice o del modello C.U.P.E.
Nella motivazione adottata si evince la confusione nella quale incorre la C.t.r, riferendosi all’insufficienza dell’esposizione del credito in dichiarazione, con evidente riferimento al meccanismo del credito di imposta, che non sembra in discussione nella fattispecie in esame.
Inoltre, il giudice di appello non spiega perché l’estratto conto non sarebbe idoneo a dimostrare l’effettiva percezione dei dividendi, limitandosi ad un’affermazione genericamente descrittiva della funzione del documento.
Sempre sotto il profilo probatorio in ordine all’effettiva percezione dei dividendi, la C.t.r. ha anche affermato che, dalla documentazione agli atti, non vi era prova che The Bank of New York Mellon, che risultava essere il soggetto percipiente dal modello C.U.P.E., fosse stata nominata global custodian di L.. Il giudice, però, non chiarisce quale sia la documentazione depositata dalla parte contribuente, né perché non costituisse prova idonea in ordine alla custodia.
Sul punto, la società ricorrente sostiene di aver prodotto una dichiarazione dell’administrator di L., già allegata all’istanza di rimborso, in cui si affermava che The Bank of New York Mellon era stata nominata custode di tutti i beni di L., comprese le azioni T., nonché il contratto di custodia dei titoli in oggetto intercorso tra L. ed Olivetti s.a., poi incorporata in TIF, l’estratto conto ed il modello C.U.P.E. (in cui, come si è detto, The Bank of New York Mellon risultava essere il soggetto percipiente), i bilanci della TIF al 31 dicembre 2009 ed al 31 dicembre 2010, nei quali si dava atto dell’incasso dei dividendi e del loro importo.
Tale documentazione non risulta in alcun modo esaminata dalla C.t.r. che non ha chiarito le ragioni per cui ha ritenuto che la prova prodotta dalla società non fosse sufficiente a dimostrare l’effettiva percezione dei dividendi.
Sotto altro profilo, anche le premesse logico giuridiche della decisione impugnata sono del tutto avulse dalla fattispecie dedotta in giudizio.
I giudici di appello hanno richiamato l’art.10, comma 4, lett. B), senza indicare il corpo normativo al quale appartiene e che, se riferito, come sembrerebbe dal contesto, alla Convenzione Italia Lussemburgo contro la doppia imposizione, non si attaglia alla questione oggetto di giudizio.
Inoltre, la C.t.r. afferma, contraddittoriamente con quanto sostenuto in precedenza, che qualora i soggetti UE beneficiari dei dividendi non possedevano i requisiti previsti per l’applicazione della Direttiva madre-figlia, di cui all’art. 27-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, trovava applicazione il regime “ordinario” e la misura della ritenuta ridotta, da applicare in sede di esame delle istanze di rimborso relative ai dividendi erogati prima del 1° gennaio 2008, per effetto dell’aliquota di imposta Ires vigente prima del 1° gennaio 2008, pari all’1,65 per cento.
Tuttavia, tale affermazione rimane del tutto teorica, priva di alcun collegamento alla fattispecie concreta ed ai richiami normativi precedentemente effettuati.
Invero, la società aveva chiesto il rimborso della ritenuta alla fonte sui dividendi italiani, deducendo l’illegittimità del prelievo eccedente rispetto alla misura prevista dall’art. 27, comma 3-ter, d.P.R. n. 600/1973, vale a dire dalla norma domestica che ha recepito il principio, sancito dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, per cui i dividendi corrisposti a società residenti in uno Stato dell’Unione europea devono essere assoggettati ad un prelievo fiscale che non può essere superiore a quello gravante sui dividendi corrisposti a società residenti in Italia (pena la violazione dei principi unionali di libertà di stabilimento e libera circolazione dei capitali di cui la stessa risulta espressione).
Ciò in quanto, con la legge finanziaria del 2008, in attuazione del parere motivato della Commissione della Comunità europea n.C(2006) 2544 del 28 giugno 2006, in adeguamento della disciplina nazionale della tassazione dei dividendi alla normativa europea, è stata prevista una ritenuta ridotta (con l’aliquota dell’1,375 per cento), qualora gli utili siano corrisposti a società o enti soggetti ad imposta sul reddito negli stati membri dell’Unione.
Inoltre, contrariamente a quanto affermato dalla C.t.r. nel caso in esame, si deve rilevare che <<per beneficiare della ritenuta ridotta, gli enti e società esteri devono essere soggetto passivo ai fini della locale imposta sul reddito delle società, ma tale condizione va interpretata come “assoggettabilità” di carattere generale ad imposizione, soddisfatta da tutte quelle società “potenzialmente” soggette all’Ires, indipendentemente dalla circostanza che “godono, di fatto, di agevolazioni comunque compatibili con la normativa comunitaria” (in tal senso anche Circolare della Agenzia delle entrate 32/E dell’8 luglio 2011)>> (Cass. n. 5152/2022).
Per quanto fin qui detto, in accoglimento del primo motivo, assorbiti gli altri, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla C.t.r. dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i rimanenti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.