Corte di Cassazione sentenza n. 21311 depositata il 5 luglio 2022
valido l’avviso di accertamento che non menzioni le osservazioni del contribuente – elusione fiscale e di abuso del diritto – vizio di mancata pronuncia su una eccezione di merito
FATTI DI CAUSA
1. L’Agenzia delle Entrate notificava il 22 marzo 2010 avvisi di accertamento per le annualità 2003, 2005, 2006 e 2007 sul presupposto di indebita deduzione costi, in quanto privi dei requisiti di certezza, inerenza e determinatezza perché riferiti ad operazioni artatamente poste in essere per lo scopo di conseguire indebiti vantaggi fiscali. Per i soli anni 2006 e 2007 invece si era operata una rettifica della perdita riportata dall’anno 2005.
Di fatto la società ELDA aveva stipulato contratto di prestiti di azioni con società portoghesi residenti sull’isola di Madera ed i costi dedotti si riferivano a commissioni nei confronti della società ceca DFD, che sarebbero scattate al raggiungimento di un certo importo di utili realizzati e in tal caso sarebbero state superiori agli stessi utili fino al raggiungimento di una soglia massima.
Per l’Ufficio l’operazione costituiva un disegno fraudolento volto al conseguimento di risparmio fiscale.
Intanto i movimenti di denaro (per la riscossione degli utili e la corresponsione alla DFD delle commissioni) sarebbero avvenuti tramite una banca svizzera rendendo impossibile all’amministrazione finanziaria indagini approfondite.
Inoltre l’unica attività delle due società portoghesi risultava consistere nella partecipazione a una società con sede nelle Isole Vergini, e le stesse erano interamente partecipate dalla società DFD beneficiaria della commissione.
Il contratto di prestito azionario era stato stipulato al di fuori di ogni logica imprenditoriale, in quanto pur “scommettendosi” su una elevata redditività delle società in termini di utili, al momento della stipula la ELDA non avrebbe avuto alcuna notizia sull’andamento economico, mentre la controparte DFD era come detto addirittura partecipante totalitaria delle stesse, e poiché i contratti vennero conclusi rispettivamente nel novembre 2003 e nell’agosto 2005, pertanto in prossimità della chiusura dell’esercizio, la stessa era evidentemente già a conoscenza del risultato economico.
A fronte dunque di una perdita sostanzialmente certa, l’unica ragione dell’operazione non poteva che essere costituita dal notevole risparmio fiscale conseguito, considerevolmente superiore alla perdita costituita dalla differenza negativa fra utili distribuiti e commissione asseritamente corrisposta.
2. La contribuente proponeva impugnazione degli avvisi davanti alla CTP di Bergamo, la quale con sentenza 12 aprile 2011 respingeva i ricorsi. Essa quindi interponeva appello davanti alla CTR la quale, con la sentenza in epigrafe, respingeva l’appello ritenendo raggiunta la prova della natura elusiva delle operazioni descritte, osservando come per configurare la stessa non fosse necessario un comportamento fraudolento, bastando un uso improprio, ingiustificato o deviante dello strumento giuridico che consente di eludere il regime fiscale. Inoltre i termini per l’accertamento, denunciati come decorsi con riguardo all’anno 2003, erano in realtà oggetto di raddoppio ai sensi dell’art.43, 3° comma, d. P.R. 29/09/1973, n. 600, richiamando il contenuto della sentenza Corte Cost. n. 247 del 2011.
3. Avverso la pronuncia viene proposto dalla ELDA ricorso in cassazione affidato a dodici motivi, cui l’Agenzia resiste con controricorso.
4. Con memoria 13 maggio 2022 la ricorrente ha altresì richiesto, in via subordinata rispetto all’accoglimento dei motivi di ricorso, l’applicazione dello jus superveniens, rappresentato dall’art.15 del d.l. n.158 del 2015, norma più favorevole nell’applicazione delle sanzioni irrogate rispetto a quella all’epoca vigente, art.7 d. Lgs. n. 471 del 1997.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo del ricorso ELDA denunzia violazione e falsa applicazione dell’art.43 d.P.R. 29/09/1973, n. 600, 331 cod. proc. , 3 del d. lgs. 10/03/2000, n.74, in relazione all’art.360, primo comma num.3, cod. proc. civ.
In particolare lamenta come la sentenza d’appello abbia erroneamente ritenuto sufficiente per la proroga dei termini di accertamento prevista dall’art. 43 cit., l’invio della denuncia e il riscontro di un’ipotesi di reato e non la sussistenza dell’obbligo di denuncia riscontrabili ai sensi dell’art.331 cod. proc. pen., come stabilito dalla sentenza Corte Cost. n. 247 del 2011
2. Con il secondo motivo la stessa denuncia insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo in relazione all’art.360, primo comma, num.5, cod. proc. civ.
In particolare la CTR avrebbe insufficientemente motivato in ordine all’accertamento del fatto se sussistesse l’obbligo di procedere alla denuncia di reato ai sensi dell’art.331 cod. proc. pen.
3. Con il terzo motivo la contribuente denuncia omesso esame circa un fatto decisivo in relazione all’art.360, num.5, cod. proc. civ., e particolarmente l’obbligo di procedere a denuncia ai sensi dell’art.331 cod. proc. pen.
4. Col quarto motivo si denuncia violazione dell’art.112 cod. proc. civ in relazione all’art.360, primo comma, num.4, cod. proc.
In particolare si denuncia omessa pronuncia sui motivi preliminari d’appello (inerenti la violazione da parte degli avvisi di accertamento dell’art. 12 Statuto del contribuente, relativo al diritto a veder valutate le osservazioni al processo verbale; palese contraddittorietà della motivazione dell’avviso; violazione dei doveri di imparzialità, buona fede e collaborazione da parte dell’Amministrazione finanziaria).
5. Con il quinto motivo, subordinato al precedente, si denuncia violazione dell’art.132, 1° comma, num.4, cod. proc. civ. 118 disp att. cod. proc. civ., in relazione all’art.360, num.4, cod. proc. civ., formulato per l’ipotesi in cui la pronuncia sia intesa contenuta nella frase “per le motivazioni suesposte l’appello deve essere rigettato” e nella parte in cui stabilisce che “ogni altra eccezione è rigettata in quanto restante assorbita da quanto prefato”, allegando allora l’assoluto difetto di motivazione.
6. Con il sesto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art.37-bis del d.P.R. n.600/1973, in relazione all’art. 360, num.3, avendo la CTR ritenuto che le operazioni di prestito di azioni rientrino nel campo applicativo del citato art.37-bis senza individuare le ragioni per cui il risparmio d’imposta sarebbe indebito.
7. Con il settimo motivo si denuncia insufficiente motivazione ai sensi dell’art.360, primo comma num.5, cod. proc. civ., in ordine all’accertamento del fatto se l’operazione di prestito delle azioni abbia consentito di conseguire un risparmio fiscale indebito.
8. Con l’ottavo motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art.360, primo comma 5, cod. proc. civ., consistente nell’accertamento se il risparmio di imposta che si sarebbe conseguito fosse indebito.
9. Con il nono motivo si denuncia insufficiente motivazione in relazione all’art.360, primo comma num.5, cod. proc. civ., nella parte in cui si è escluso che il negozio di prestito di azioni persegua valide ragioni economiche.
10. Con il decimo motivo si denuncia omesso esame circa un fatto decisivo ai sensi dell’art.360, primo comma num.5, cod. proc. civ., riproponendosi sotto tal profilo le stesse censure di cui al motivo precedente.
11. Con l’undecimo motivo si denuncia violazione dell’art.112 cod. proc. civ., in relazione all’art.360, primo comma num.4, cod. proc. civ., per omessa pronuncia in ordine al motivo d’appello formulato in subordine secondo il quale i maggiori imponibili IRPEG e IRES per i periodi 2003 e 2005 devono essere ridotti dell’ammontare dei dividendi inclusi.
12. Col duodecimo motivo, spiegato in via subordinata rispetto al precedente, si denuncia violazione degli artt. 132, 1° comma, num.4, cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art.360, primo comma, 4, cod. proc. civ., per l’ipotesi in cui fosse ritenuta superata la censura di difetto di motivazione dall’espressione usata dal giudice d’appello “per le motivazioni suesposte…l’appello…deve essere rigettato…ogni altra eccezione…è rigettata in quanto restante assorbita da quanto prefato”
13. Il primo motivo è infondato. Al fine del raddoppio dei termini è sufficiente la sussistenza di indizi del reato, e non è necessaria né l’effettiva denuncia penale (Cass. 28/06/2019, n.17586), né tantomeno rileva l’esito dei relativi procedimenti penali, essendo in particolare sufficiente la sussistenza del fumus del reato affinché scatti il relativo obbligo (Cass. pen VI, 24/05/1978, n.14195), essendo poi riservato all’autorità giudiziaria la verifica dei relativi
14. Il secondo motivo è inammissibile perché riferito alla formulazione della disposizione dell’art.360, comma 1, num.5, abrogata e non applicabile alla fattispecie.
15. il terzo motivo ripropone inammissibilmente sotto il profilo dell’omesso esame la stessa censura proposta con il primo motivo.
16. Il quarto motivo è infondato. Infatti “In tema di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, è valido l’avviso di accertamento che non menzioni le osservazioni del contribuente ex art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, atteso che, da un lato, la nullità consegue solo alle irregolarità per le quali sia espressamente prevista dalla legge oppure da cui derivi una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la produzione di ogni effetto e, dall’altro lato, l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare tali osservazioni, ma non di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo” (ex plurimis 31/03/2017, n.8378).
D’altronde va ricordato il principio espresso da questa Corte, e qui ribadito, in base al quale «In materia di elusione fiscale e di abuso del diritto, l’avviso di accertamento soddisfa l’obbligo di motivazione quando, in ragione della necessaria trasparenza e della possibilità di un immediato controllo dell’attività della Pubblica Amministrazione, pone il contribuente nella condizione di conoscere esattamente la pretesa impositiva, in punto di “an” e di “quantum debeatur”, mediante la chiara e puntuale indicazione delle operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti e, inoltre, non sono giustificate da valide ragioni extrafiscali non marginali, quali, per esempio, le operazioni, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente.» (Cass. 13/05/2021 n. 12853).
Circa poi l’omessa pronuncia relativamente alla pretesa contraddittorietà degli avvisi, denunciata dal ricorrente, va rilevato come la CTR sia passata all’esame di merito relativamente al contenuto della motivazione dell’accertamento, e pertanto ha implicitamente ritenuto superate le censure circa l’assenza dei requisiti formali degli stessi, proposte dal ricorrente, fra cui appunto anche la relativa e asserita contraddittorietà. Ciò esclude quindi l’omessa pronuncia in quanto “ Non ricorre il vizio di mancata pronuncia su una eccezione di merito sollevata in appello qualora essa, anche se non espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa dell’attore, deponendo per l’implicita pronunzia di rigetto dell’eccezione medesima, sicché il relativo mancato esame può farsi valere non già quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul procedimento (art. 112 c.p.c.), bensì come violazione di legge e difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla decisività del punto non preso in considerazione” (Cass. 06/11/2020, n.24953).
17. Il quinto motivo risulta assorbito da quanto osservato relativamente all’ultima parte del quarto motivo.
18. Il sesto motivo è infondato.
In effetti la fattispecie in esame ha ad oggetto la stipula di un contratto denominato stock lending agreement tra la odierna ricorrente e la società̀ ceca DFD, che consiste in un prestito di titoli contro pagamento di una commissione (fee) e contestuale costituzione da parte del mutuatario di una garanzia. Come già chiarito da questa Corte, « I vantaggi che il contratto di stock lending consente di conseguire al soggetto che presta i titoli vanno individuati nella possibilità di beneficiare di margini reddituali senza assumere ulteriori rischi di mercato rispetto a quelli già presenti in portafoglio, mantenendo inalterata la flessibilità nella gestione dell’investimento senza ostacolare in alcun modo le scelte operative. Autorevole dottrina, occupandosi dell’argomento, ha posto in rilievo che la fattispecie in esame è di norma caratterizzata dall’assenza di qualsiasi alea contrattuale in ordine al versamento della commissione, ben sapendo le parti sin dalla conclusione del contratto che il prestatario dovrà pagare la fee, sia che l’importo di tale commissione sarà più o meno equivalente al valore dei dividendi distribuiti. Si è, pertanto, ritenuto che, sul piano civilistico, l’operazione sia sostanzialmente «neutrale» per il prestatario che ottiene unicamente un vantaggio fiscale, che gli deriva dalla intassabilità dei dividendi riscossi e dalla integrale deducibilità della commissione versata al prestatore.» (Cass. 13/04/2021, n. 9628).
Nella specie la pronuncia ha ritenuto congruamente motivato il “p.v.c.” ed in effetti si hanno due operazioni con cui viene ceduto“ in affitto” da parte della partecipante totalitaria, quasi a fine esercizio, un pacchetto azionario con un contratto che riconosce all’affittante ed a carico dell’affittuaria (la società contribuente) una commissione superiore ai (prevedibili) utili, creando così per quest’ultima i presupposti per un ingente risparmio d’imposta senza alcuna logica diversa, neppure sotto forma di alea (emptio spei). Né si rintraccia nelle 138 pagine del ricorso alcuna giustificazione economica plausibile di tutto ciò.
Né ancora si reperisce in quale espressione legislativa o per qual verso la norma in commento presupponga anche l’ulteriore requisito della “disapprovazione” da parte dell’ordinamento del vantaggio conseguito.
Essendo poi evidente come il motivo prosegua nella sua illustrazione con il tentativo di qualificare alcuni degli oneri finanziari come deducibili, così come di affermare che le commissioni troverebbero contropartita nella loro inclusione nell’ambito dell’imponibile della società DFD, ciò configura aspetti meramente fattuali non denunciabili in sede di legittimità.
Piuttosto spetta al giudice la determinazione della norma in base alla quale si deve giudicare la singola fattispecie, l’operazione in esame deve essere traguardata ai sensi del combinato disposto degli artt. 109, comma 8, ed 89 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. Infatti, in fattispecie analoga, questa Corte ha già ritenuto, con orientamento consolidato da una serie di pronunce conformi, che «In tema di imposte sui redditi, l’operazione di “stock lending”, ossia di prestito di azioni, che preveda, a favore del mutuatario, il diritto all’incasso dei dividendi dietro versamento al mutuante di una commissione (corrispondente, o meno, all’ammontare dei dividendi riscossi) realizza il medesimo fenomeno economico dell’usufrutto di azioni, senza che rilevi, ai fini tributari, che in un caso si verta su un diritto reale e, nell’altro, su un diritto di credito, sicché è soggetta ai limiti previsti dall’art. 109, comma 8, del d.P.R. n. 917 del 1986, restando il versamento della commissione costo indeducibile.» (Cass. 12/05/2017, n. 11872; conformi Cass. 28/09/2020, n. 20424; Cass. 23/03/2021, n. 8061; Cass. 13/04/2021, n. 9628; Cass. 09/06/2021, n.16145; Cass. 24/02/2022, n.6276). Nella formulazione vigente ratione temporis , il comma 8 dell’art. 109 d.P.R. n. 917 del 1986 dispone: « In deroga al comma 5 non è deducibile il costo sostenuto per l’acquisto del diritto d’usufrutto o altro diritto analogo relativamente ad una partecipazione societaria da cui derivino utili esclusi ai sensi dell’articolo 89». Come è stato evidenziato nei citati precedenti, l’usufrutto di azioni è un’ operazione finanziaria con la quale viene concesso il diritto a percepire i dividendi distribuiti da un’altra società, a fronte di un corrispettivo comprensivo del valore attuale dei flussi futuri di utili. Il cedente, pertanto, percepisce anticipatamente l’entità del dividendo sotto forma di corrispettivo per la cessione dell’usufrutto e il cessionario inscrive in bilancio, nell’attivo patrimoniale immateriale, il corrispondente onere. Il predetto comma 8 dispone l’indeducibilità tributaria del costo così sostenuto, quando vengano in rilievo partecipazioni societarie da cui derivino utili esclusi da tassazione, individuando un parallelismo tra la deducibilità del costo dell’usufrutto su azioni ed imponibilità dei dividendi derivanti dalla sottostante partecipazione. Anche nel contratto di stock lending, come nell’usufrutto di azioni, il trasferimento (temporaneo) della titolarità del diritto a percepire il dividendo si associa ad un costo, rappresentato dalla commissione. Il fenomeno, ad un’analisi economica e giuridico-tributaria oggettiva e sostanziale, è dunque lo stesso, senza che assuma rilievo, ai fini tributari (gli unici che qui rilevano, non essendovi la necessità di una declinatoria civilistica sul contratto), la circostanza che nell’un caso si verta su un diritto reale e, nell’altro, in un diritto di credito, anche perché la stessa disposizione citata si riferisce letteralmente «ad altro diritto analogo», senza ulteriori connotazioni, « sicché non va intesa come meramente confinata ai soli diritti reali (interpretazione che, del resto, avrebbe una valenza abrogatoria), non deponendo in tal senso né la lettera, né lo spirito della disposizione», per cui l’interpretazione adottata non realizza alcuna impropria estensione analogica del dettato della norma (Cass. n. 11872 del 2017, cit.). Pertanto la “commissione” per l’operazione di stock lending deve ritenersi indeducibile così come quanto versato dall’usufruttuario per l’acquisto del relativo diritto. Né vi è motivo per discostarsi dalle precedenti pronunce di questa Corte citate.
Per tali ragioni, e stante l’applicabilità del disposto dell’art.109 cit., non rileva che l’Amministrazione non abbia seguito il procedimento richiesto dall’art. 37-bis per la contestazione al contribuente di fattispecie elusive.
19. Il settimo motivo è inammissibile perché riferito alla formulazione della disposizione dell’art.360, comma 1, n.5, abrogata e non applicabile alla fattispecie.
20. L’ottavo motivo è del pari inammissibile riproponendo lo stesso ritenuto vizio sotto l’apparenza dell’attuale dizione dell’art.360, n.5, cod. proc. civ.
21. Il nono motivo è inammissibile perché riferito alla formulazione della disposizione dell’art.360, comma 1, n.5, abrogata e non applicabile alla fattispecie.
22. Il decimo motivo è del pari inammissibile riproponendo lo stesso ritenuto vizio di cui al motivo precedente sotto l’apparenza dell’attuale dizione dell’art.360, n.5, cod. proc. civ.
23. L’undecimo motivo è infondato in quanto le ragioni della domanda subordinata risultano motivate, seppur implicitamente, attraverso quelle stesse che hanno giustificato la reiezione della domanda principale.
24 Il duodecimo motivo risulta assorbito da quanto osservato al precedente motivo.
25 A questo punto il Collegio ritiene di rilevare, sulla base della specifica eccezione sollevata dalla parte, circa la sopravvenienza di lex mitior, rappresentata dal d. l. 24/09/2015, n.158, che all’art.15 determina, rispetto alla disciplina applicata di cui all’articolo 7 del Lgs. n. 471 del 1997, una minore sanzione, passata dal cento al novanta per cento della maggior imposta accertata.
In proposito può farsi applicazione del principio espresso da questa Corte (Cass.16/09/2020, n.19286) in base al quale “In tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, le modifiche apportate dall’art. 15 del d.lgs. n. 158 del 2015 al d.lgs. n. 471 del 1997 non operano in modo generalizzato in senso favorevole al reo, con la conseguenza che la mera affermazione di uno “ius superveniens” migliorativo non rende automaticamente la sanzione irrogata illegale, in mancanza della specifica deduzione dell’applicabilità – in concreto – di una sanzione tributaria inferiore a quella comminata. (Nella specie, la S.C. ha accolto la richiesta subordinata di applicazione dello “ius superveniens”, avendo la società ricorrente trascritto nella memoria lo stralcio dell’avviso di accertamento dal quale risultava la violazione accertata e la sanzione in concreto applicata e avendo altresì rideterminato il “nuovo” minimo edittale da irrogare, corrispondente al 90 per cento della maggior imposta dovuta)”.
Orbene nella specie nella memoria depositata in data 13 maggio 2022 la ricorrente ha non solo specificamente invocato la norma più favorevole, ma ha altresì trascritto gli avvisi di accertamento dai quali risulta la sanzione in concreto applicata e indicato il nuovo minimo edittale, corrispondente appunto al novanta per cento della maggior imposta.
26. In definitiva i motivi di ricorso risultano tutti infondati, ma in relazione all’eccepito jus superveniens, la sentenza dev’essere cassata con rinvio alla CTR in diversa composizione, cui viene altresì demandata la determinazione delle spese del presente giudizio.
P. Q. M.
La Corte
Cassa la sentenza impugnata limitatamente alle sanzioni irrogate con l’atto impositivo, rigettando nel resto il ricorso.
Dispone il rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, cui demanda altresì la determinazione delle spese di lite del presente giudizio.
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