Corte di Cassazione sentenza n. 21407 depositata il 30 agosto 2018
FATTI DI CAUSA
Nel 2006 PL convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Bergamo, il Patronato A. per sentirne dichiarare la responsabilità, previo accertamento della negligenza con cui sarebbe stata condotta, da parte del convenuto, una pratica pensionistica e per sentirlo, conseguentemente, condannare al risarcimento del danno asseritamente patito e quantificato in 62.786,44 euro.
Il PL sostenne di essere stato male informato e consigliato e, quindi, indotto a dimettersi dal posto di lavoro sull’erroneo presupposto di poter godere della pensione di anzianità dal 1° gennaio 2005 mentre l’INPS aveva rigettato la domanda di pensionamento sul rilievo che il relativo diritto sarebbe maturato solo nell’ottobre del 2017, salvo il pagamento delle somme relative ai contributi necessari per fruire del ricongiungimento di altra anzianità contributiva. Dedusse altresì l’attore che, nel corso del 2005, aveva proposto nuova domanda di pensionamento accolta dall’INPS con effetto dal 1° gennaio 2006, previo versamento della somma già richiesta, maggiorata degli interessi.
Il Patronato A. si costituì in giudizio chiedendo il rigetto integrale delle domande proposte dall’attore per carenza dei fondamentali presupposti soggettivi ed oggettivi della presunta responsabilità, nonché per insufficienza di prova in relazione al lamentato danno.
Il Tribunale di Bergamo accolse le domande attoree e di conseguenza condannò il convenuto al risarcimento, in favore dell’attore, dei danni liquidati in euro 42.747,45, oltre interessi calcolati come indicato nella motivazione di quella sentenza, nonché alle spese di lite e di c.t.u..
Avverso tale sentenza propose appello il Patronato A., cui resistette il PL che propose, altresì, appello incidentale, chiedendo la condanna dell’appellato agli ulteriori danni non liquidati con la sentenza di primo grado.
Con sentenza n. 256 del 2016 la Corte di Appello di Brescia rigettò sia l’appello principale che quello incidentale e confermò integralmente la sentenza di primo grado, compensando le spese del procedimento di secondo grado.
Per la cassazione di detta pronuncia il Patronato A. ha proposto ricorso, basato su quattro motivi e illustrato da memoria.
L’intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata.
2. Con il primo motivo, lamentando «la carenza dei presupposti oggettivi della responsabilità da fatto illecito», il ricorrente, riportate le doglianze proposte con l’appello (con cui aveva contestato l’accertamento, da parte del Tribunale, dei presupposti oggettivi della responsabilità, sostenendo che difettasse la prova del fatto che l’appellato aveva posto a base del danno lamentato, del nesso di causalità e del preteso danno), censura la sentenza impugnata per aver la Corte di merito: 1) ritenuto attendibile e di per sé sufficiente e idonee a comprovare l’errato consiglio del Patronato a dimettersi entro la fine del 2004 due comunicazioni inviate all’assistito; 2) comprovato il danno sulla base del fatto che era stata accertata la diminuzione patrimoniale conseguente al periodo successivo alle dimissioni sino alla maturazione dei requisiti pensionistici; 3) provato il nesso causale sulla base di quanto dichiarato dalla figlia del PL, pur mancando nella documentazione in atti qualunque elemento da cui poter desumere che le dimissioni erano state consigliate. Assume, inoltre, il ricorrente che, in relazione alla sussistenza del danno, la decisione si baserebbe su prove presuntive.
2.1. Il motivo é inammissibile, in quanto con lo stesso si pongono questioni di fatto già sottoposte al vaglio della Corte di merito e si tende, in sostanza, ad una rivalutazione del merito, non consentita in questa sede. Si osserva, altresì, che ben può il Giudice fondare il suo convincimento sulla base di prove presuntive.
3. Con il secondo motivo, lamentando la carenza dei presupposti soggettivi della responsabilità da fatto illecito, il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver la Corte di merito ritenuto sussistente l’«elemento soggettivo sulla base di argomentazioni superficiali e prive di ogni rigore giuridico», ignorando che non sarebbe stato dimostrato che le dimissioni fossero scaturite da istruzioni date dal patronato e che non sarebbe stato provato alcun errore nella conduzione della pratica, non considerando che la prestazione fornita dal gt patronato sarebbe di mezzi e non di risultati e che l’assistito era pienamente consapevole di ciò, come si evincerebbe dalla dichiarazione dallo stesso sottoscritta e non disconosciuta in giudizio.
3.1. Il secondo motivo è inammissibile per le medesime considerazioni già espresse in relazione al primo mezzo al § 2.1., primo periodo.
4. Con il terzo motivo si deduce «omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sull’attribuzione della responsabilità».
4.1. Sono inammissibili le censure motivazionali proposte con il mezzo all’esame, evidenziandosi al riguardo che, essendo la sentenza impugnata in questa sede stata pubblicata in data 29 marzo 2016, nella specie trova applicazione l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nella formulazione novellata dal comma 1, lett. b), dell’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella legge 7 agosto 2012, n. 134.
Alla luce del nuovo testo della richiamata norma del codice di rito, non è più configurabile il vizio di insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4) del medesimo art. 360 cod. proc. civ. (Cass., ord., 6/07/2015, n. 13928; v. pure Cass., ord., 16/07/2014, n. 16300) e va, inoltre, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., ord., 8/10/2014, n. 21257). E ciò in conformità al principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8053 del 7/04/2014, secondo cui la già richiamata riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia — nella specie all’esame non sussistente, essendo la decisione impugnata motivata, del che sembra essere ben consapevole anche il ricorrente (v. ricorso/ p. 12, ultimo capoverso) — si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.
Le Sezioni Unite, con la richiamata pronuncia, hanno pure precisato che l’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., così come da ultimo riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
5. Con il quarto motivo, lamentando «l’erronea liquidazione delle spese legali», si censura la sentenza impugnata per non aver la Corte di merito accolto le doglianze proposte in appello con riferimento alla mancata compensazione delle spese di primo grado, pur avendo il Tribunale solo parzialmente accolto la domanda (essendo stata la domanda di risarcimento dei danni accolta per l’importo di euro 42.747,35, inferiore rispetto alla pretesa attorea di euro 62.786,44), con conseguente mancata applicazione dei principi di cui agli artt. 91 e 92 cod. proc. civ..
5.1. Il motivo non può essere accolto.
A prescindere dal rilievo che neppure risulta riportata testualmente la domanda così come formulata in primo grado dall’attore, con conseguente difetto di specificità della censura all’esame, sotto tale profilo, va, comunque, evidenziato che, in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa; pertanto, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi (Cass. 19/06/2013, n. 15317; Cass., ord., 31/03/2017, n. 8421; v. anche Cass. 31/01/2014, n. 2149).
Rientrando la facoltà di disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti nel potere discrezionale del giudice di merito, questi non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione (Cass., sez. un., 15/07/2005, n. 14989; v., per quanto utile, anche Cass. 2/07/2008, n. 18173; Cass. 02/09/2004, n. 17763; Cass.11/11/1996, n. 9840).
Infine, si rileva che in tema di spese processuali, l’identificazione della parte soccombente è rimessa al potere discrezionale del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità (Cass. 16/06/2003, n. 9631; Cass. 7 aprile 2000, n. 4371).
6. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
7. Non vi è luogo a provvedere per le spese del giudizio di cassazione nei confronti dell’intimato, non avendo lo stesso svolto attività difensiva in questa sede.
8. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso,a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
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