Corte di Cassazione sentenza n. 21647 depositata il 5 settembre 2018
FATTI DI CAUSA
1. — Il Tribunale di Treviso, con sentenza del 18 gennaio 2017, dichiarava il fallimento di SI s.r.l..
2. — La pronuncia era impugnata avanti alla Corte di appello di Venezia, la quale respingeva il gravame con sentenza resa il 2 maggio 2017.
3. — Contro quest’ultima decisione la società dichiarata fallita ha proposto un ricorso per cassazione basato su due motivi. Resistono con controricorso la curatela fallimentare e il creditore istante Fallimento LB s.r.l..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. — Col primo motivo vengono lamentati violazione e falsa applicazione dell’art. 1 l. fall. (r.d. n. 267/1942). Deduce la ricorrente che, con specifico riguardo al dato dimensionale della consistenza dell’attivo patrimoniale, debba aversi riguardo al triennio che precede la manifestazione dell’insolvenza; in tal senso aveva errato la Corte di merito nel ritenere ininfluente la circostanza per cui l’unico cespite immobiliare della società era stato acquistato nel 2005.
Il motivo è infondato.
Come è noto, il c.d. decreto correttivo (d.lgs. n. 169/2007) ha modificato il parametro dimensionale dato dall’ammontare degli investimenti e lo ha sostituito con quello, legislativamente definito, dell’attivo patrimoniale, adottando, così, in luogo di un criterio di incerta definizione, altro criterio di giudizio, maggiormente certo, il quale, come sottolineato dalla Relazione illustrativa / consente di far riferimento alla precisa elencazione contenuta nell’art. 2424 c.c. (sul punto Cass. 19 ottobre 2010, n. 22150).
Il concetto di attivo patrimoniale deve dunque desumersi dall’art.2424 c.c., sicché ricomprende le immobilizzazioni, l’attivo circolante, le attività finanziarie non costituenti immobilizzazioni, i ratei e i risconti.
Ne discende che, per quanto qui interessa, deve verificarsi se l’attivo patrimoniale, integrato dalle richiamate voci (tra cui sono ricompresi, quali immobilizzazioni materiali, terreni e fabbricati) e documentato dai bilanci degli ultimi tre esercizi anteriori alla proposizione della domanda di fallimento, abbia ecceduto la soglia di legge: infatti, per l’esonero dalla fallibilità dell’imprenditore commerciale, ai fini del computo del triennio cui fa riferimento l’art. 1, comma 2, lett. a), l. fall., nel testo modificato dal d.lgs. n. 169 del 2007 cit., per la determinazione dell’attivo patrimoniale occorre aver riguardo agli ultimi tre esercizi antecedenti alla data del deposito dell’istanza di fallimento (Cass. 14 gennaio 2016, n. 501; Cass. 27 maggio 2015, n. 10952). Tale accertamento è stato compiuto dalla Corte di merito, la quale è pervenuta alla conclusione che nel periodo indicato l’attivo fosse, nel suo complesso, di gran lunga superiore a tale limite.
L’assunto della società ricorrente, secondo cui non potrebbe tenersi conto del cespite immobiliare, in quanto acquistato diversi anni prima rispetto ai tre esercizi cui si riferiscono i bilanci prodotti (2013, 2014 e 2015) è palesemente privo di fondamento, come correttamente rilevato dalla Corte di appello. Infatti, proprio la necessità di individuare le entità patrimoniali dell’attivo attraverso i criteri dettati dall’art. 2424 c.c. spiega come sia del tutto irrilevante il momento dell’acquisto del cespite da parte della società: quel che conta è, piuttosto, l’esistenza, nel patrimonio della società stessa, al momento della registrazione delle singole poste di bilancio, di un bene materiale suscettibile di utilizzo durevole (da qualificarsi, cioè, come immobilizzazione).
Non è del resto conferente, sul punto, il richiamo ad alcuni precedenti di questa Corte e, segnatamente, alla massimata Cass. 23 marzo 2012, n. 4738. Infatti, tali pronunce riguardano la previsione dell’art. 1 l. fall. nelle versione anteriore a quella introdotta col decreto correttivo del 2007, in cui erano considerati fallibili gli imprenditori e gli esercenti un’attività commerciale in forma individuale o collettiva che avessero effettuato investimenti nell’azienda per un capitale di valore superiore a 300.000,00. In assenza di indicazioni testuali contenute nella norma, si era posta la questione se tali investimenti fossero da prendere in considerazione al momento della costituzione dell’impresa o nel corso di un qualsiasi esercizio sociale, o se invece, in analogia con quanto previsto dall’ art. 1, comma 2, alla lett. b), l’indagine dovesse essere limitata agli ultimi tre anni di attività: soluzione, questa, che si poi fatta preferire rispetto alle altre. Tale giurisprudenza non è tuttavia spendibile con riferimento al testo dell’art. 1 l. fall., per come novellato dal d.lgs. n. 169/2007: e ciò in quanto la condizione di cui alla lett. a) dell’art. 1, risultante dall’intervento correttivo testé menzionato, non coincide con quella prevista dal d.lgs. n. 5/2006 ed è suscettibile di univoca individuazione sulla base del dato letterale («attivo patrimoniale») e del referente normativo costituito dal cit. art. 2424 c.c..
2. — Il secondo mezzo censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 5 l. fall.. Sostiene la ricorrente che erano opponibili alla curatela del Fallimento LB alcune compensazioni, le quali avevano data certa: solo ove a seguito della definizione delle controversie introdotte per l’accertamento delle dette compensazioni fosse risultato un credito della controparte, quest’ultima avrebbe potuto intraprendere l’azione fallimentare verso essa SI. La ricorrente contesta, poi, che l’insolvenza potesse desumersi dalle iscrizioni ipotecarie o dall’esposizione bancaria corrente, dal momento che nella fattispecie non si ravvisava alcuna incapacità della fallita di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni.
Il motivo non merita accoglimento.
Anzitutto la Corte di Venezia ha preso in considerazione il credito vantato dal Fallimento LB ai soli fini della verifica della legittimazione attiva del predetto — profilo, questo, non investito da specifica censura in questa sede —, mentre, ai fini dell’accertamento dell’insolvenza, il medesimo giudice distrettuale ha conferito rilievo ad altre circostanze: le iscrizioni pregiudizievoli, l’incapacità, da parte della fallita, di onorare debiti di esiguo ammontare; la sua decadenza dal beneficio del termine con riguardo al rimborso di un mutuo ipotecario; l’ammontare dei debiti iscritti in bilancio (€ 289.904,00, a fronte di crediti per €: 198.589,00).
Peraltro, la deduzione incentrata sulle ipotizzate compensazioni (che per la ricorrente sarebbero tali da escludere la sua esposizione debitoria nei confronti del Fallimento LB) appare carente di specificità e sufficiente chiarezza; non si vede, del resto, come attribuire alla deduzione medesima il connotato della decisività, visto che l’opponibilità dei richiamati documenti al supposto debitore non costituisce un dato acquisito giudizialmente, come pare riconoscere la stessa istante (pag. 12 del ricorso).
Per il resto, la Corte di appello ha dato conto di uno stato di impotenza funzionale e non transitoria della ricorrente quanto al soddisfacimento delle obbligazioni inerenti all’impresa e il giudizio in tal modo espresso si sottrae al sindacato di legittimità (Cass. 27 marzo 2014, n. 7252, che fa salva la censura per vizio motivazionale, oggi non più ammessa, salvo che per il caso di anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, consistente nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile»: Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053 e Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054; peraltro, nel presente giudizio vizi siffatti non sono stati nemmeno denunciati).
3. — Il ricorso va dunque rigettato.
4. — Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei due controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per ciascuno di essi, in € 5.000,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in € 100,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
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