Corte di Cassazione sentenza n. 21872 depositata il 28 ottobre 2016

TRIBUTI – CONTROLLO AUTOMATIZZATO DELLA DICHIARAZIONE DEI REDDITI – CARTELLA DI PAGAMENTO EX ART. 36-BIS, DPR N. 600 DEL 1973 – DEFINIZIONE AGEVOLATA LITI PENDENTI EX ART. 16, LEGGE N. 289 DEL 2002

Svolgimento del processo

Il concessionario per la riscossione ha notificato a B.C., avvocato, cartella di pagamento per complessivi euro 8.039,68 per omesso versamento degli acconti e del saldo IRAP e per omesso versamento e minor credito IVA, nonché sanzioni e interessi per mancato adempimento del versamento relativo al secondo trimestre IVA; il tutto in base a controllo automatizzato effettuato sull’UNICO/2003 per l’anno di imposta 2002.

Il concessionario ha poi notificato al contribuente altra cartella di pagamento per complessivi euro 16.507,54 per omesso versamento degli acconti e del saldo IRAP, per omesso versamento IVA, per sanzioni e interessi per mancato adempimento del versamento relativo al primo, secondo e terzo trimestre IVA, nonché per mancato versamento addizionale regionale; il tutto in base a controllo automatizzato effettuato sull’UNICO/2004 per l’anno di imposta 2003. Il contribuente ha impugnato le cartelle innanzi alla commissione tributaria provinciale di Roma che, riuniti i due ricorsi, li ha rigettati.

La sentenza di primo grado è stata appellata dal contribuente ed è stata riformata dalla commissione tributaria regionale del Lazio in Roma, con decisione che, accogliendo l’appello, ha statuito il non sussistere del presupposto impositivo per l’IRAP, con “assorbimento di tutte le altre censure”.

Avverso la sentenza della commissione regionale propone ricorso per cassazione l’agenzia delle entrate, affidato a due motivi previa dichiarazione di acquiescenza alla sentenza impugnata limitatamente alla non debenza dell’IRAP, rispetto al quale il contribuente non svolge difese.

Avanzate dalla parte contribuente in data 12 marzo 2012 istanze telematiche di definizione delle liti pendenti in ordine alle due cartelle a norma dell’articolo 39, comma 12, del d.I. n. 98 del 2011, esse sono state rigettate con provvedimenti notificati il 3 ottobre 2012.

Avverso questi provvedimenti di diniego la parte contribuente propone impugnazione su un unico motivo, cui l’agenzia delle entrate resiste con controricorso.

I procedimenti riuniti sono trattati all’odierna udienza di discussione, in vista della quale entrambe le parti depositano memorie.

Motivi della decisione

1. – Il testo dell’articolo 39, comma 12, del D.L. n. 98/2011, come risultante dall’articolo 29, comma 16-bis, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, dispone che “al fine di ridurre il numero delle pendenze giudiziarie e quindi concentrare gli impegni amministrativi e le risorse sulla proficua e spedita gestione del procedimento di cui al comma 9 le liti fiscali di valore non superiore a 20.000 euro in cui è parte l’Agenzia delle entrate, pendenti alla data del 31 dicembre 2011 dinanzi alle commissioni tributarie o al giudice ordinario in ogni grado del giudizio e anche a seguito di rinvio, possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio, con il pagamento delle somme determinate ai sensi dell’articolo 16 della legge 27 dicembre 2002, n. 289”. La lettera c) del comma 12 dell’articolo 39 prevede anche la sospensione dei termini “… per la proposizione di ricorsi, appelli, controdeduzioni, ricorsi per cassazione, controricorsi e ricorsi in riassunzione, compresi i termini per la costituzione in giudizio”.

2. – Ciò posto, nel caso di specie, essendo il valore delle due liti, cumulate solo processualmente, ciascuna inferiore a euro 20.000 (anche a non voler tener conto dell’acquiescenza dell’ufficio in ordine alla non debenza dell’IRAP), le istanze di definizione avanzate durante la pendenza della lite sono state rigettate dall’ufficio con riferimento motivazionale, nel provvedimento, al punto 4.2 della circolare n. 48/E del 24 ottobre 2011, ove si fa menzione della non definibilità, in via generale e con alcune eccezioni, in ordine alle pretese scaturenti da atti meramente liquidativi, conseguenti a ruoli emessi per imposte e ritenute indicate dai contribuenti e dai sostituti d’imposta nelle dichiarazioni presentate, ma non versate. Secondo l’agenzia, al recupero delle imposte non versate non si provvede, infatti, mediante atto “impositivo” che presupponga la rettifica della dichiarazione, ma con atto di mera riscossione, ricognitivo di quanto indicato dal contribuente o dal sostituto nella dichiarazione.

3. – Al riguardo, va chiarito che come già affermato da questa corte (v. da ultimo sez. 6 – 5, n. 1295 del 2016) in tema di condono fiscale, rientrano nel concetto di lite pendente, con possibilità di definizione agevolata ai sensi dell’art. 16, comma 3, della I. n. 289 del 2002, le controversie relative a cartella esattoriale emessa ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, non preceduta da (precedenife atto di accertamento, la quale, come tale, è impugnabile non solo per vizi propri, ma anche per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva, trattandosi del primo e unico atto con cui la pretesa fiscale viene comunicata al contribuente.

Invero l’art. 39, comma 12, del d.l. n. 98/2011, per quel che concerne l’individuazione degli atti le cui liti sono definibili secondo la procedura descritta nel medesimo articolo, rinvia all’art. 16 della legge n. 289/2002 che, al comma 3, dà una definizione di lite pendente intendendo per tale “quella in cui è parte l’agenzia delle entrate] avente ad oggetto avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione, per i quali è stato proposto l’atto introduttivo del giudizio, nonché quella per la quale l’atto introduttivo sia stato dichiarato inammissibile con pronuncia non passata in giudicato”.

Ora, se è vero che la circolare n. 48 del 2011 dell’agenzia delle entrate ha assunto altra posizione in ordine alle cartelle notificate a seguito di controllo automatizzato di dichiarazioni, è anche vero che la giurisprudenza di questa corte è ferma nel ritenere che in caso di cartella di pagamento emessa ai sensi del d.p.r. n. 600 del 1973, art. 36 bis, l’atto non rappresenta la mera richiesta di pagamento di una somma definita con precedenti atti di accertamento, ma riveste anche natura di atto impositivo, trattandosi del primo ed unico atto con cui la pretesa fiscale è stata esercitata nei confronti del dichiarante, con conseguente sua impugnabilità, anche per contestare il merito della pretesa impositiva. Peraltro, questa Corte ha riaffermato (v. anche per richiami la sent. del 2016 cit.) che esulano dal concetto normativo di lite pendente e, quindi, dalla possibilità di definizione agevolata ai sensi dalla I. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, soltanto le controversie aventi ad oggetto provvedimenti di mera liquidazione del tributo, emanati senza il previo esercizio di un potere discrezionale dell’amministrazione, cioè senza accertamento o rettifica e senza applicazione di sanzioni, ciò che non è nel caso di specie.

4. – Su tali basi, non pare dubbio che le contestazioni mosse, anche alla luce della chiarita natura dell’atto, rendono definibile la lite, a prescindere dal fondamento delle contestazioni stesse.

5. – Va dunque accolta l’impugnazione dei provvedimenti di diniego di definizione, con assorbimento dell’esame del ricorso per cassazione e dichiarazioni di estinzione del giudizio, restando fermo il potere dell’amministrazione di verificare la correttezza del corrisposto e altri profili non investiti della disamina in sede giudiziaria (v. sez. 5 n. 22043 del 2006).

6. – Vanno alla luce della tipologia di decisione compensate le spese degli interi procedimenti riuniti.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso avverso i provvedimenti di diniego di condono di cui al procedimento riunito n.r.g. 28025-12 e dichiara estinto il procedimento riunito n.r.g. 28913-11; compensa le spese degli interi giudizi.