Corte di Cassazione sentenza n. 21873 depositata il 28 ottobre 2016
PROCESSO TRIBUTARIO – NOTIFICA DI ATTI PROCESSUALI NON ANDATA A BUON FINE PER RAGIONI NON IMPUTABILI AL NOTIFICANTE – RIATTIVARE IL PROCESSO NOTIFICATORIO
Svolgimento del processo
L’agenzia delle entrate ha notificato il 10 novembre 2006 avviso di accertamento alla T&G s.r.l., rettificando la dichiarazione relativa all’anno di imposta 2003, formulando 17 rilievi indicati con le lettere da a) a p), e richiedendo maggiori IRPEG, IRAP e IVA; veniva inoltre contestata la corretta applicazione dell’IVA del margine su importazioni di veicoli.
Il ricorso avanzato dalla s.r.l. è stato accolto parzialmente dalla commissione tributaria provinciale di Frosinone, annullando i rilievi da e) a m).
Adita in sede di appello dalla contribuente e di appello incidentale dall’agenzia, la commissione tributaria regionale del Lazio – sezione staccata di Latina – ha accolto parzialmente l’impugnazione della società, rigettando quello dell’ufficio, ritenendo legittimo il solo rilievo p), annullati gli altri e dichiarando non rilevante, alla luce delle considerazioni svolte, l’esame delle questioni in tema di IVA del margine in relazione al commercio di veicoli usati.
Avverso la decisione di appello l’agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione su tre motivi.
La società intimata non svolge difese.
Motivi della decisione
1. – Deve darsi anzitutto atto della ritualità della notificazione del ricorso per cassazione. A fronte del deposito della sentenza in data 31 dicembre 2010, l’agenzia delle entrate risulta infatti aver effettuato tentativo di notifica ex art. 55 I. n. 69 del 2009 con invio di raccomandate in data 14 febbraio 2012 sia nel domicilio eletto presso il difensore che presso la sede dell’intimata, luoghi peraltro coincidenti in Roma via G. Marconi 440, dai quali entrambi, al pervenimento il 16 febbraio 2012, risultavano trasferimenti; in data 5 marzo l’avvocatura dello stato richiedeva nuova notifica all’u.n.e.p., che vi provvedeva con consegna – sempre allo stesso predetto indirizzo (ciò che conferma peraltro la non imputabilità dell’omessa notifica) – a segretaria del difensore domiciliatario in data 6 marzo 2012. A corroborare la ritualità della notifica, l’avvocatura erariale ha depositato documentazione camerale e del consiglio dell’ordine dei dottori commercialisti da cui si evincono le predette coincidenti sedi della società e recapito del difensore. Essendo stata effettuata richiesta di notifica prima che fosse decorso il termine lungo per l’impugnazione, deve ritenersi impedita ogni decadenza in applicazione dell’indirizzo, cui va data continuità, espresso da ultimo dalle sez. un. con sentenza n. 14594 del 2016, secondo cui in caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 cod. proc. civ., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa (v. anche ad es. sez. lav., n. 6846 e 21154 del 2010, sez. 3, n. 19986 del 2011, sez. 6-3, n. 24641 del 19/11/2014).
2. – Preliminarmente l’agenzia ha dichiarato con il ricorso di intendere prestare acquiescenza, stanti i documenti acquisiti al processo, alla sentenza oggetto di gravame quanto ai rilievi di cui ai punti a), b), c), d), e), f) e m), impugnandola solo in ordine ai rilievi n) e o) (primo e secondo motivo) nonché g), j) e k) (terzo motivo).
3. – Con il primo motivo l’agenzia – in ordine ai rilievi n) e o) – denuncia violazione e falsa applicazione da parte della sentenza impugnata dell’art. 654 cod. proc. pen. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 cod. proc. civ. Sostiene che – avendo la sentenza impugnata, condividendo le argomentazioni di altra sentenza di tribunale penale, concernente un legale rappresentante, non raggiunta la prova del necessario spessore per ritenere le società Embassy Motors s.r.l. e Car Import- Export s.r.l. quali “cartiere” emittenti fatture per operazioni inesistenti di compravendite di autoveicoli, il riconoscimento dei cui costi e relativa IVA l’avviso di accertamento aveva negato – essa si è posta in contrasto con l’interpretazione dell’art. 654 cod. proc. pen. cit. accolta da questa corte, secondo cui il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza assolutoria in materia di reati fiscali, ma deve procedere a un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli altri elementi di prova acquisti.
4. – Con il secondo motivo l’agenzia – sempre in ordine ai rilievi n) e o) – denuncia motivazione insufficiente circa il fatto controverso e decisivo del giudizio relativo all’essere le predette società “cartiere” rispetto alla T&G s.r.l. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5 cod.proc.civ. Sostiene che – avendo la sentenza impugnata, come detto, condiviso le argomentazioni di altra sentenza emessa in sede penale, la stessa non ha tenuto conto delle ampie argomentazioni, trascritte in ricorso, offerte dall’ufficio in sede di appello incidentale, senza spiegare le ragioni per le quali sarebbe condivisibile la sentenza del tribunale penale e senza indicare quali fossero gli elementi probatori forniti dalle parti che la decisione gravata dichiarava di aver valutato.
5. – I motivi, che possono trattarsi congiuntamente stante la stretta interdipendenza delle questioni sollevate, sono fondati. Deve rilevarsi, anzitutto; come in ordine ai rilievi n) e o) la sentenza impugnata abbia così motivato: “n) in relazione a tale punto la commissione, valutati tutti gli elementi probatori forniti dalie parti, non può che condividere le argomentazioni del tribunale di Cassino che ha assolto, sia pure ex art. 530 II comma c.p.p., il Terenzio, atteso che “pur in presenza di un compendio indiziario di un qualche rilievo in ordine alla natura di società “cartiera” dell’emittente Embassy Motors s.r.l. non è stata attinta prova dotata dello spessore richiesto dal sistema in relazione agli specifici rapporti intrattenuti con la beneficiaria dei documenti che si assumono ideologicamente falsi (la Terenzio Group s.r.l.)”; o) analoghe considerazioni vanno svolte in merito al presente punto, atteso che non risulta certa la prova in ordine alla configurabilità della s.r.l. Car Import-Export come mera società “cartiera”. Ciò posto, va richiamato che, nell’interpretazione dell’art. 654 cod. proc. pen., questa corte (v. sez. 5 n. 10945 del 2005, n. 5720 p del 2007, n. 3724 del 2010, n. 19786 del 2011, n. 8129 del 2012 e n. 10578 del 2015) si attiene al principio di diritto – da cui non vi è ragione per discostarsi nel caso di specie – per cui, tenuto conto che detto art. 654 aveva portata modificativa dell’art. 12 del D.L. n. 429 del 1982 (convertito nella legge n. 516 del 1982), poi espressamente abrogato dall’art. 25 del d.lgs. n. 74 del 2000, l’efficacia vincolante del giudicato penale non opera nel processo tributario, poiché in questo, da un lato, vigono limiti in materia di prova posti dall’art. 7, comma quarto, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Pertanto, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 cod. proc. civ.), deve, in ogni caso, procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio. In tal senso, la casistica anzidetta mostra la configurabilità di responsabilità fiscale qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario.
6. – A tale principio non risulta, dunque, si sia attenuta la commissione regionale nel pronunciare l’impugnata sentenza, considerato che, ¡ da un lato, pur affermando essere stati “valutati tutti gli elementi probatori forniti dalle parti” (motivazione questa meramente apparente, in quanto non risulta da essa, neppure in estrema sintesi, la natura e l’oggetto degli elementi esaminati tra quelli forniti dalle parti), la decisione espressamente opera, senza alcuna effettiva comparazione tra elementi probatori ai fini anzidetti, una “relatio” alle “argomentazioni del tribunale di Cassino che ha assolto, sia pure ex art. 530 II comma c.p.p., il Terenzio” (sentenza di cui in nessun modo risulta, peraltro, il passaggio in giudicato); dall’altro, che con ogni evidenza – in luogo di tener conto come detto della diversità degli standard probatori nel processo tributario e in quello penale – si è traslato nel primo lo standard del secondo, addirittura citando il passaggio rilevante della decisione penale sostanzialmente ispirato al criterio della certezza oltre ogni ragionevole dubbio (“pur in presenza di un compendio indiziario di un qualche rilievo in ordine alla natura di società “cartiera” dell’emittente Embassy Motors s.r.l. non è stata attinta prova dotata dello spessore richiesto dal sistema in relazione agli specifici rapporti intrattenuti con la beneficiaria dei documenti che si assumono ideologicamente falsi (la Terenzio Group s.r.l.)”; la sentenza richiamava poi tale passaggio anche per i rapporti concernenti la Euro Car Import-Export s.r.l.)- Ne risultano, ad un tempo, la denunciata violazione di legge e il pure lamentato vizio motivazionale su fatto controverso e decisivo.
7. – Con il terzo motivo l’agenzia – in ordine ai rilievi g), j) e k) – denuncia motivazione insufficiente circa i fatti controversi e decisivi del giudizio relativi all’essere stati o meno sostenuti i costi per spese Telepass e Viacard, per canoni leasing e per acquisto di oggetti in oro e bottiglie di grappa, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5 cod. proc. civ. Sostiene che – avendo la sentenza impugnata adottato una motivazione meramente apparente circa i predetti rilievi – non sarebbero stati in alcun modo considerati i dettagliati motivi di gravame dell’ufficio, trascritti in ricorso.
8. – Anche tale motivo è fondato, dovendo riqualificarsi il vizio espressamente censurato, di apparenza della motivazione, ai sensi del parametro di cui n. 4 – e non del n. 5 (come indicato in ricorso) – dell’art. 360 co. 1 cod. proc. civ.
9. – Con la sentenza impugnata, dandosi atto che “l’ufficio ha chiesto la modifica della sentenza in relazione a tali punti con conseguente riconoscimento della legittimità del proprio operato”, i giudici di merito hanno deciso sulla base della seguente motivazione: “si osserva che la statuizione di primo grado, pur se sintetica, appare condivisibile e per alcuni capi fondata su documentazione non contestata; pertanto ad essa la commissione si riporta dato che la loro fondatezza non risulta inficiata dai motivi d’appello dell’ufficio, consistenti in argomentazioni valutative non suffragate da elementi probatori”. A fronte di ciò, l’agenzia lamenta la mancata esposizione delle ragioni che hanno indotto il giudice del gravame ad aderire alla tesi dei primi giudici, disattendendo le questioni prospettate dalla ricorrente.
10. – Osserva in argomento la corte che, come recentemente affermato dalle sez. un. (n. 642 del 2015), nel processo civile ed in quello tributario la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte, di altri atti processuali o di precedenti provvedimenti giudiziari, senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità né dei contenuti né delle modalità espositive.
Ciò posto, non può tuttavia essere considerata “motivazione” la mera adesione acritica alla decisione di primo grado, in particolare quando, come nel caso di specie, la relativa valutazione non sia nemmeno enunciata nel provvedimento (cfr. in termini, recentemente, sez. 5, n. 20648 del 2015 e, precedentemente, n. 12542 del 2001), essendosi la commissione limitata a “riportarsi” alla prima sentenza, senza neppure sintetizzarla, e meramente affermando che le sue conclusioni, parzialmente documentate senza indicare le fonti, non erano scalfite dalle censure dell’agenzia. Non costituisce infatti “motivazione” della sentenza il mero richiamo ad un atto di parte o del giudice di un’istanza precedente, dovendo il giudice fornire, anche sinteticamente, le ragioni per le quali la tesi condivisa è preferibile alla tesi avversa, sussistendo in caso contrario la nullità della sentenza per carenza di motivazione.
Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, la carenza nell’impianto motivazionale della sentenza di alcuno dei momenti logici necessari configura un “vulnus” al principio generale secondo cui tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati, ai sensi dell’art. 111 Cost., co. 6, vizio che può spaziare, secondo la gravità, dall’insufficienza logica ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo anteriore alle modifiche apportate dal d.l. n. 83 del 2012 all’art. 54, co. 1, lett. b, convertito in I. n. 134 del 2012), fino alla totale difformità della sentenza dal modello legale per assenza dell’indicato requisito essenziale, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4, cod. proc. civ. in relazione all’art. 132, co. 2, n. 4 cod. proc. civ. e art. 118, co. 1 disp. att. cod. proc. civ. (cfr. sez. 5, n. 12664 del 2012 e sez. 1, n. 28663 del 2013).
Nel caso di specie non solo non viene, neppure sommariamente, riportato il contenuto dell’atto cui la sentenza fa rinvio, ma manca ogni indicazione, seppur sintetica, delle ragioni per le quali si è ritenuto di condividere la tesi dei primi giudici, rendendosi impossibile apprezzare l’iter logico-giuridico posto a fondamento della decisione di appello.
Ne deriva la mera apparenza di motivazione rilevante come omissione di essa con conseguenziale nullità della sentenza per “errar in procedendo” ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4, cod. proc. civ.; motivazione non correggibile da questa corte (cfr. ad es. sez. 1, n. 28663 del 2013, cit., e Sez. Lav. n. 23989 del 2014), trattandosi di questioni che richiedono ulteriori accertamenti in fatto.
11. – Alla cassazione della sentenza da disporsi in accoglimento dei tre motivi segue il rinvio alla Commissione tributaria del Lazio – sezione staccata di Latina, in diversa composizione, affinché si attenga all’indicato principio di diritto e rinnovi l’esame della controversia fornendo più congrua motivazione, nonché regoli le spese anche del giudizio dì legittimità.
P.Q.M.
Accoglie i tre motivi di ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla commissione tributaria regionale del Lazio – sezione staccata di Latina, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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