Corte di Cassazione sentenza n. 21874 depositata il 28 ottobre 2016
TRIBUTI – IRES, IRAP ED IVA – AVVISO DI ACCERTAMENTO – OPERAZIONI POSTE IN ESSERE CON PAESI A FISCALITA’ PRIVILEGIATA
Ritenuto in fatto
1. La società Z.T. SRL ha proposto ricorso per cassazione su otto motivi avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, sez. distaccata di Messina, indicata in epigrafe, con la quale è stato confermato l’ n. RJE030101686 notificatole a titolo di IRES, IRAP ed IVA del 2004 per recupero di: a) costi ritenuti indeducibili ai sensi art. 110, commi 10 e 11 del TUIR, in quanto relativi ad operazioni poste in essere con paesi a fiscalità privilegiata (c.d. paesi black list: Cina, Hong Kong) e non separatamente indicati in dichiarazione; b) infedele produzione della documentazione in risposta al questionario per divergenze tra i campi RF34 e RF54 e quanto risultante dall’interrogazione al sistema informativo dell’Amministrazione; c) indebita detrazione IVA in violazione dell’art. 19 del DPR n. 633/1972.
2. Il giudice di appello, dopo aver ricordato che nel caso in esame si era in presenza di un accertamento analitico-contabile, ai sensi dell’art. 39, comma 1, del DPR n. 600/1973, con cui si contestava la violazione dell’art. 110, comma 11, del TUIR, e dell’art. 54 del DPR n. 633/1972, affermava che l’inosservanza della previsione relativa alla separata indicazione degli ammontari richiesti in deduzione, riscontrata dall’Ufficio nella dichiarazione dei redditi, anche se non idonea ad integrare una violazione sostanziale, legittimava la mancata notifica dell’avviso previsto dall’art. 110, comma 11, del TUIR, di guisa che l’avviso di accertamento non era viziato.
Quanto al disconoscimento della deducibilità dei componenti negativi di reddito per inosservanza dell’art. 110, comma 11, del TUIR, la CTR osservava che, ai fini della contestazione formulata dall’Ufficio, la distinzione tra le “imprese estere” e le “operazioni” da queste ultime poste in essere, incontestabilmente, in paesi a regime fiscale agevolato non appariva dirimente, in quanto una volta riscontrato la mancata separata indicazione dei relativi ammontari dedotti nella dichiarazione dei redditi, l’applicazione delle esimenti, e quindi del ripristino della deducibilità delle spese, avrebbe potuto conseguire solo all’assolvimento dell’onere probatorio posto a carico del contribuente, onere non assolto poiché la dichiarazione sostitutiva dì certificazione prodotta dalla contribuente non poteva costituire prova idonea e sufficiente ad esonerarla da dimostrare con documenti quanto ivi asserito e solo in parte rispondente al dettato legislativo.
3. La Agenzia ha replicato con controricorso e la società ha depositato memoria ex art. 378 cpc.
Considerato in diritto
1.1. Con il primo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 110, comma 11, del DPR n. 917/1986 (art. 360, comma 1, n. 3. cpc), per avere errato la CTR nel ritenere che il mancato rispetto della disposizione che prevede l’obbligo per l’Amministrazione di far precedere l’emissione dell’avviso di accertamento da un avviso con il quale viene concesso al contribuente termine di giorni novanta per fornire eventuali prove a suo favore, fosse privo di conseguenze sulla legittimità dell’atto.
1.2. Con il secondo motivo è denunciata la contraddittoria motivazione per avere la CTR dato rilièvo, nella soluzione della controversia, prima all’individuazione del domicilio fiscale delle ditte fornitrici e poi, contraddittoriamente, al paese di origine delle merci, in maniera non comprensibile (art. 360, comma 1, n. 5, cpc).
1.3. Con il terzo e il quarto motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 110, commi 10 e 11, del DPR n. 917/1986 (art. 360, comma 1, n.3, cpc) per avere ritenuto la CTR che dovesse darsi rilievo, per l’applicazione della norma, al luogo dove le operazioni erano state poste in essere e non, invece, al domicilio fiscale delle imprese cedenti e per aver ritenuto che la prova a carico del contribuente prescindesse dalla individuazione del domicilio fiscale dei soggetti con cui aveva intrattenuto rapporti.
1.4. Con il quinto ed il sesto motivo è denunciata la omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo (art. 360, comma 1, n. 5), individuato in un caso nella circostanza, provata a dire della ricorrente, che il maggior numero delle operazioni commerciali erano state svolte con società residenti in paesi a regime fiscale non agevolato, e nell’altro nelle ragioni per cui la documentazione prodotta non è stata ritenuta sufficiente.
1.5. Con il settimo motivo è denunciata la violazione del combinato disposto dell’art. 1, comma 301, della L. n. 296/2006 e degli artt. 53 e 3 della Cost. (art. 360, comma 1, n. 3, cpc) per avere la CTR ritenuto di non poter estendere al caso di specie la disciplina dell’art. 1, comma 301, della L. n. 296/2006, ritenendo ancora efficace la precedente formulazione dell’art. 110 del TUIR.
1.6. Con l’ottavo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 19 del DPR n.633/1972, in relazione all’art. 17 della Sesta Direttiva del Consiglio CEE n. 77/388 del 17.05.1977 – oggi art. 168 della Direttiva n. 2006/112/CE (art. 360, comma 1, n. 3, cpc), per avere la CTR ritenuto legittima la rettifica erariale fondata sulla negazione del diritto di detrazione dell’IVA, in ragione del mancato adempimento dell’obbligo di separata indicazione nella dichiarazione dei redditi.
2.1. Il primo motivo ed il settimo motivo sono fondati, possono essere trattati congiuntamente per connessione e vanno accolti, con assorbimento di tutti gli altri motivi.
2.2. Invero, alla stregua della recente giurisprudenza di legittimità, alla quale si intende dare seguito, l’abolizione del previgente regime di indeducibilità dei costi relativi ad operazioni commerciali intercorse con soggetti domiciliati in Paesi a fiscalità privilegiata (c.d. black list), prevista dall’art. 1, commi 301, 302 e 303 della L. n. 296/2006, ha carattere retroattivo, sicché la deducibilità risulta subordinata solo alla prova dell’operatività dell’impresa estera contraente e della effettività della transazione commerciale, mentre la separata indicazione di detti costi è degradata ad obbligo di carattere formale, passibile unicamente di sanzione amministrativa (cfr. Cass. n. 6205/2015 e tra le ultime Cass. nn. 11933/2016, 14076/2016).
2.2. Tanto premesso, va ricordato che l’art. 110, commi 10 e 11, del DPR n. 916/1986, nel testo vigente all’epoca dei fatti, così recitava: «10. Non sono ammessi in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori non appartenenti all’Unione europea aventi regimi fiscali privilegiati. Si considerano privilegiati i regimi fiscali di Stati o territori individuati, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, in ragione del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia, ovvero della mancanza di un adeguato scambio di informazioni, ovvero di altri criteri equivalenti. 11. Le disposizioni di cui al comma 10 non si applicano quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che le imprese estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione. L’Amministrazione, prima di procedere all’emissione dell’avviso di accertamento d’imposta o di maggiore imposta, deve notificare all’interessato un apposito avviso con il quale viene concessa al medesimo la possibilità di fornire, nel termine di novanta giorni, le prove predette. Ove l’Amministrazione non ritenga idonee le prove addotte, dovrà darne specifica motivazione nell’avviso di accertamento. La deduzione delle spese e degli altri componenti negativi di cui al comma 10 è comunque subordinata alla separata indicazione nella dichiarazione dei redditi dei relativi ammontari dedotti»
2.3. Alla interpretazione della normativa in esame, così come ricostruita, consegue che, essendo stata retroattivamente degradata la separata indicazione degli ammontari in dichiarazione ad onere formale, sostanzialmente distinto, la previsione contenuta nell’ultima parte del comma 11 (La deduzione delle spese e degli altri componenti negativi di cui al comma 10 è comunque subordinata alla separata indicazione nella dichiarazione dei redditi dei relativi ammontari dedotti), non stabilisce una condizione preliminare ed assoluta di deducibilità, la cui mancata ricorrenza diviene assorbente rispetto all’accertamento in concreto delle ulteriori circostanze di fatto, previste in via alternativa tra loro, sempre dal cit. comma 11, con funzione di esimenti e della cui prova è onerato il contribuente (la prova che le imprese estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione), come ritenuto erroneamente dalla CTR a fondamento della sua pronuncia.
2.4. La mancanza della separata indicazione degli ammontari non è pertanto assorbente rispetto alla mancata instaurazione del contraddittorio, di cui è onerata l’Amministrazione, normativamente previsto anche al fine di consentire al contribuente di dare prova della eventuale sussistenza delle esimenti, né va valutata in via preliminare rispetto al legittimo sviluppo procedimentale dell’azione amministrativa.
2.5. Ciò chiarito, va confermato il principio già espresso da questa Corte sulle conseguenze della mancata instaurazione del contraddittorio, secondo il quale “In tema di reddito d’impresa, l’Amministrazione finanziaria, prima di procedere all’emissione di un atto impositivo nei confronti del contribuente che compie operazioni commerciali con imprese aventi sede in Stati a fiscalità privilegiata (c.d. Paesi “black list”), è tenuta, ai sensi dell’art. 110, comma 11, del d.P.R. n. 917 del 1986, a notificargli un apposito avviso concedendogli la possibilità di fornire, nel termine di novanta giorni, la prova che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione, pena l’annullamento, in sede contenziosa, dell’atto emesso “ante tempus” per violazione del contraddittorio procedimentale.” (Cass. n.20033/2015), principio fondato, con condivisi argomenti, sulle considerazioni sviluppate dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 18184/2013 in tema di conseguenze dell’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni previsto dall’art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000.
2.6. Nel caso di specie la CTR ha accertato in fatto che l’avviso concedente il termine dilatorio di novanta giorni non era stato inviato alla contribuente, pur traendone conseguenze errate.
Tale accertamento di fatto, alla luce degli argomenti svolti, appare determinante e comporta la illegittimità dell’avviso di accertamento emesso ante tempus e la emenda della sentenza impugnata.
2.8. Di contro appare privo di pregio l’assunto dell’Agenzia, la quale pur contestando di esservi tenuta, ha ribadito in controricorso di avere spontaneamente provveduto ad inviare un questionario assimilabile all’avviso. Invero ciò contrasta con quanto accertato in fatto dalla CTR, che implicitamente ha escluso l’assimilabilità del questionario – di cui pure ha tenuto conto nello sviluppo motivazionale – all’avviso preventivo, accertamento non attinto da alcuna censura.
3.1. In conclusione il ricorso va accolto sui motivi primo e settimo, assorbiti gli altri; la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa va decisa con l’accoglimento del ricorso originario.
3.2. Considerata la novità della questione e l’intervento della giurisprudenza sopra richiamata in epoca successiva alla proposizione del ricorso, si ritiene che sussistano giusti motivi per compensare tra le parti le spese di lite per tutte le fasi del giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso sui motivi primo e settimo, assorbiti gli altri;
cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso;
spese di lite compensate per tutte le fasi del giudizio.