Corte di Cassazione sentenza n. 21944 depositata il 2 settembre 2019
Professionisti – Commercialista – Fattispecie
FATTI DI CAUSA
La V., società avente ad oggetto lo svolgimento dell’attività di agenzia di viaggi, nel periodo compreso tra il febbraio del 1996 e l’agosto del 1998, aveva affidato a D.G.L. l’incarico di curare la corretta tenuta delle proprie scritture contabili, in particolare ai fini dell’adempimento degli obblighi di legge in materia di imposta sul valore aggiunto (IVA) dopo la cessazione del rapporto, era emerso che D.G.L. aveva commesso vari errori nella tenuta della contabilità; In particolare, non aveva tenuto conto del diverso regime fiscale previsto dall’art. 74 ter del D.P.R. 26.1 p. 1972 n. 633 per le prestazioni erogate dalle agenzie di viaggi, a seconda che il servizio sia reso nella veste di mero Intermediario (c.d. agenzia dettagliante), ovvero di produttore od acquirente di viaggi in nome proprio ma per conto dei clienti (c.d. tour operatori).
In conseguenza dei suddetti errori, la V. aveva pagato negli anni 1996-1998 a titolo di IVA somme superiori a quelle effettivamente dovute. Concludeva, pertanto, chiedendo la condanna della convenuta al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dei fatti sopra descritti, danni indicati in due diverse voci: le somme pagate in eccesso a titolo di imposta; le somme erogate ad altro professionista incaricato di revisionare l’attività svolta dalla convenuta.
D.G.L. si costituiva regolarmente, eccependo: la nullità della citazione, per omessa indicazione dei fatti costitutivi della pretesa; di non aver affatto ricevuto dall’attrice l’incarico di curare la contabilità, ma solo quello più limitato di registrare le fatture acquisti e calcolare l’imposta da versare in base ai dati comunicatile dalla stessa V.; pertanto, non avendo il compito di registrare le fatture di vendita, non poteva accertare quali fossero soggette al regime IVA ordinario, e quali al regime agevolato D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 74 ter; che in ogni caso la V. era priva dell’autorizzazione a svolgere l’attività di intermediazione, e di conseguenza non avrebbe potuto beneficiare del regime agevolato ex art. 74 ter D.P.R. cit.. Chiedeva, perciò, il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la condanna dell’attrice al risarcimento del danno per lite temeraria, ex art. 96 c.p.c..
Il Tribunale accoglieva la domanda dell’attrice chiarendo che era stata dimostrata l’esistenza del contratto d’opera, che l’eccezione della mancata autorizzazione per svolgere attività di intermediazione era nuova e, dunque, non andava esaminata; vi era prova del danno consistente nella maggiore somma che la società V. Viaggi era stata chiamata a sborsare per adempiere le pretese tributarie non dovute.
Avverso questa sentenza interponeva appello la Dott.ssa D.G.L. per più motivi con i quali si censuravano le ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata.
Si costituiva la società V. Viaggi chiedendo il rigetto dell’appello.
La Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 3659 del 2014, accoglieva l’appello e riformando la sentenza impugnata respingeva la domanda di V. Viaggi e la condannava al pagamento delle spese dell’intero giudizio. Secondo la Corre distrettuale l’eccezione secondo cui la società V. Viaggi non avrebbe potuto giovarsi del regime agevolato D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 74 ter perché mancava dell’autorizzazione a svolgere attività di intermediazione era stata avanzata tempestivamente sin dall’atto di costituzione e risposta. L’eccezione era fondata e, dunque, la Dott.ssa D.G.L. aveva correttamente svolta la sua attività professionale senza creare alcun danno alla società V. Viaggi.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta dalla società V. Viaggi sas. con ricorso affidato a quattro motivi. D.G.L. ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. In via preliminare, va rigettata l’eccezione di difetto di legittimazione della V. Viaggi sas di C.R. ex art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione al combinato disposto degli artt. 75 e 100 c.p.c. e art. 182 c.p.c., conseguente nullità della procura conferita in tutti i gradi del giudizio non ultimo del giudizio di cassazione, dato che la società V. Viaggi di C.R. & Co sas. dal 2004 non esisteva più avendo ceduto l’Azienda e la stessa denominazione della Società a D.S..
1.1. Ai sensi della normativa di cui agli artt. 2558-2560 c.c. il cessionario non subentra nei contratti stipulati dal cedente aventi natura personale e tra questi va ricompreso il contratto d’opera intercorso tra la società cedente e il professionista a cui era affidata la tenuta della contabilità della società cedente, dato che il contratto d’opera vede come preponderante la componente umana e professionale rispetto a quella economica. E di più, sempre a mente della normativa richiamata non si trasferiscono alla società cessionaria i contratti già esauriti e le azioni giudiziali relative a rapporti contrattuali intercorsi tra società cedente e terzi, già esauriti (nel caso in esame, il contratto, di cui si dice, era cessato di essere nell’agosto del 1998).
Pertanto, nel caso di specie, dovendo considerare che il preteso credito risarcitorio era sorto ancor prima della cessione, cioè prima del 1 giugno 2004, trattandosi di danni subiti per versamento di maggiore imposte per gli anni 1997 e 1998, la legittimazione ad agire giudizialmente per far accertare l’inadempimento del contratto d’opera intercorso tra la società V. Viaggi di C.R. & co sas e la Dott.ssa D.G.L. spettava alla società V. Viaggi di C.R.. Il giudizio de quo, dunque, è
stato correttamente instaurato dalla V. Viaggi di C.R. e correttamente è stato continuato dalla stessa davanti alla Corte di cassazione.
2. La società V. Viaggi lamenta:
a) Con il primo motivo di ricorso, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1, 3 e 74 ter ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 Omessa o insufficiente, contraddittoria o illogica motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Secondo la ricorrente la Corte distrettuale trascurando i risultati della CTU ha ritenuto insussistente l’inadempimento della Commercialista per asserita mancanza dell’autorizzazione L. n. 217 del 1983, ex art. 9, non considerando che nel caso in esame quella autorizzazione non era necessaria. L’Iva, in ogni caso, doveva essere computata diminuendi il corrispettivo dovuto all’Agenzia dei costi sostenuti per le cessioni di beni e prestazioni dei servizi come previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74 ter, comma 2 nonché dagli artt. 1 e 3 dello stesso decreto.
b) Con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 168 e 183 c.p.c., L. n. 217 del 1983, art. 9 e D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1 e 74 ter. Omessa o insufficiente, contraddittoria o illogica motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 Secondo la ricorrente la Corte distrettuale avrebbe errato nel ritenere che l’eccezione relativa alla insussistenza dell’autorizzazione, di cui si dice,fosse stata avanzata con l’atto di costituzione e risposta dalla Commercialista, non considerando che la difesa della Commercialista, essenzialmente, era fondata sull’assenza di un contratto d’opera e solo, subordinatamente, veniva eccepito che, comunque, la società V. Viaggi, non aveva diritto all’Iva agevolata prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74 ter perché mancava l’autorizzazione richiesta dalla L. n. 127 del 1983, art. 9.
c) Con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1, 3 e 74 ter. Come introdotto e modificato dal D.P.R. n. 24 del 1990, art. 3, dal D.Lgs. n. 313 del 1997 e dal D.Lgs. n. 56 del 1998 nonché dalla L. n. 217 del 1983, art. 9. Omessa o insufficiente, contraddittoria o illogica motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 Secondo la ricorrente fino al 30 giugno 1998 e anche successivamente, per applicare il regime Iva di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74 ter non era richiesta l’autorizzazione di cui si dice. Sarebbe insufficiente, contraddittoria e comunque illogica la motivazione laddove erroneamente si ritiene che il regime L. n. 633 del 1972, ex art. 74 ter necessiti di un’autorizzazione.
d) Con il quarto motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74 ter. Omessa o insufficiente, contraddittoria o illogica motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 La ricorrente si duole del fatto che la Corte distrettuale abbia ritenuto che il regime Iva D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 74 ter fosse speciale ovvero prevedesse una riduzione aliquota in assenza di ogni tassativa previsione normativa al riguardo. Comunque, avrebbe errato la Corte distrettuale nell’aver equiparato le Agenzie di Viaggio (nel caso specifico la società V.) a quelle che organizzano gite turistiche ritenendo che l’autorizzazione fosse necessaria solo per questi ultimi.
La motivazione sul punto, sarebbe omessa, insufficiente, contraddittoria o illogica in quanto il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74 ter, non definirebbe affatto speciale il regime fiscale dell’agenzia di viaggi e non prevederebbe neppure un’aliquota agevolata o più ridotta rispetto al regime ordinario, perché, sempre secondo la ricorrente, l’aliquota IVA negli anni 1997 e 1998 era del 19% sia per il regime ordinario sia per il regime di cui all’art. 74 ter più volte citato.
1.1. Per priorità logica va esaminato il secondo motivo del ricorso ed è inammissibile. Nel caso in esame, la ricorrente lamenta che la Corte distrettuale abbia omesso di considerare che la parte convenuta aveva attribuito in sede di appello rilevanza primaria a fatti che in un primo momento erano stati indicati incidenter tantum e, dunque, ammettendo un mutamento della domanda, in sede di appello. Epperò, la ricorrente finisce con il denunciare un error in procedendo indicandolo come un vizio di omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione, non tenendo conto che è indiscusso nella giurisprudenza anche di questa Corte che, “in materia di vizi in procedendo non è consentito alla parte interessata di formulare in sede di legittimità la censura di omessa motivazione, in quanto spetta alla Corte di cassazione accertare se vi sia stato o meno il denunciato vizio di attività, attraverso l’esame diretto degli atti, indipendentemente dall’esistenza o dalla sufficienza e logicità dell’eventuale motivazione del giudice di merito sul punto” (Cass. n. 7620 del 2001).
1.1.2. Inammissibile è anche la censura formulata con lo stesso motivo e relativa alla parte della sentenza che ha ritenuto che l’eccezione della mancanza di autorizzazione all’esercizio dell’intermediazione in capo alla V. fosse contenuta nella comparsa di risposta, non tenendo conto che l’interpretazione degli atti e dei dati processuali è una tipica attività istituzionalmente riservata al Giudice del merito.
Nel caso in esame, la Commercialista con la propria comparsa di costituzione e di risposta aveva esaurientemente esposto, come ha avuto modo di chiarire la Corte distrettuale, la propria difesa a fronte della domanda della società V. Viaggi, formulando subordinatamente diverse eccezioni, per altro, tra loro compatibili. La Commercialista, come ammette la stessa ricorrente, ha in primo luogo contrapposto alla domanda della società V. Viaggi, la mancanza di un contratto d’opera e, in subordine, ammesso pure che venisse accertata l’esistenza di un contratto, comunque, la società V. Viaggi non aveva subito alcun danno dall’attività della Commercialista, perché non avendo, la società V. Viaggi, l’autorizzazione di cui alla L. n. 217 del 1983, art. 9, non poteva pretendere un calcolo agevolato, diverso da quello effettuato, dell’Iva che avrebbe dovuto versare. Pertanto, correttamente la Corte distrettuale ha avuto modo di rilevare la palese erroneità della sentenza del Tribunale “(….) che dopo aver dato conto della tempestiva costituzione in giudizio della D.G. e della proposizione in quella sede dell’eccezione relativa al difetto di autorizzazione amministrativa (prescritta dalla L. n. 217 del 1983, art. 9) che aveva impedito alla V. Viaggi di valersi del regime fiscale speciale previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74 ter, ha ritenuto inammissibile l’eccezione in discorso per tardività (…)”.
1.2. In parte infondato ed in parte inammissibile è il primo motivo. Infondato nella parte in cui viene denunciata una violazione di legge ed è inammissibile nella parte in cui viene denunciato un vizio di motivazione della sentenza.
a) Pur tralasciando di evidenziare che la censura non coglie l’effettiva ratio decidendi, va qui considerato che l’Agenzia di viaggio per beneficiare del regime di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74 ter, comma 2 deve essere abilitata, innanzitutto, all’esercizio della sua attività e, quindi, deve avere l’autorizzazione di cui alla L. n. 217 del 1983, art. 9 (che abilita, appunto, all’esercizio). Sarebbe, infatti, estremamente illogico che il legislatore da una parte vieta di esercitare l’attività senza autorizzazione e nello stesso tempo consente, sempre in assenza di autorizzazione di fruire del regime di cui all’art. 74 ter, appena citato. Pertanto, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, l’autorizzazione di cui si dice rappresenta nel sistema della normativa richiamata il presupposto necessario per applicare il più agevolato metodo di calcolo dell’Iva previsto dalla stessa normativa di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74 ter.
b) Inammissibile è il profilo del motivo relativo ad un vizio di motivazione ostandovi il nuovo art. 360 c.p.c., n. 5. Invero, nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non è più configurabile il vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo, come detto, solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4) (Cass. n. 13928 del 06/07/2015). Nel caso specifico poi l’inadempimento della Commercialista che la ricorrente indica quale fatto non esaminato risulta considerato valutato dalla Corte distrettuale il cui accertamento ha guidato la ratio della decisione assunta.
1.3. In parte infondato ed in parte inammissibile è anche il terzo motivo. a) Infondato, per quanto non assorbito dal motivo precedente, perché, contrariamente, a quanto sostenuto dalla ricorrente, la L. n. 217 del 1983, art. 9 sarebbe stato abrogato unitamente a tutta la legge solo nel 2001 con la L. n. 135 del 2001 a sua volta abrogata dal recente codice del turismo (D.Lgs. n. 79 del 2011). Epperò, la normativa di cui si dice, che prevedeva la necessità di un’autorizzazione regionale per applicare il calcolo interessati dal presente giudizio e cioè negli anni 1996-1998. 51, b) Inammissibile è il profilo relativo ad un vizio di motivazione ostandovi il nuovo art. 360 c.p.c., n. 5 per le ragioni di cui si è già detto in precedenza. Senza dire che nel caso specifico l’insussistenza dell’obbligo dell’autorizzazione per fruire dell’agevolazione dell’IVA che la ricorrente indica quale fatto non esaminato, non solo non è un fatto, comunque, risulta considerata e valutata dalla Corte distrettuale il cui accertamento ha guidato la ratio della decisione assunta.
1.4. Inammissibile ed, in parte, infondato è anche il quarto motivo.
a) L’eccezione relativa alla circostanza che la V. non fosse equiparabile ad un organizzatore di gite turistiche, è eccezione nuova, proposta inammissibilmente, per la prima volta nel giudizio di cassazione dato che non risulta, dalla sentenza impugnata, né risulta che nel giudizio di merito si sia discusso di tale evenienza e la ricorrente non indica quando e dove abbia svolta tale eccezione. E’ ius receptum che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio. Il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito.
b) Sotto altro aspetto, il motivo è infondato perché non coglie la ratio decidendi che non è rappresentata da una isolata locuzione sulla identificazione del regime, quanto, piuttosto, sul fatto che l’Agenzia era priva di autorizzazione, con la conseguenza che veniva meno l’inadempimento del professionista.
In definitiva, il ricorso va rigettato e la ricorrente in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 c.p.c. condannata a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che vengono liquidate con il dispositivo. Il Collegio dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso condanna la ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente, le spese del presente giudizio di cassazione che liquida, in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% del compenso ed accessori come per legge; dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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