Corte di Cassazione sentenza n. 21956 depositata il 12 luglio 2022
TARSU/TIA – sanzioni amministrative – escluso che mancanza di motivazione l’omessa individuazione di tutte le fonti probatorie o delle indagini effettuate per rideterminare l’area, ben potendo tali indicazioni essere fornite nell’eventuale successiva fase contenziosa – l’ente impositore puà desumere l’estensione della superficie di riferimento per il calcolo della TARSU attraverso l’incrocio dei dati posseduti con quelli risultanti dai registri catastali
FATTI DI CAUSA
N.D. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale di Milano il 17 novembre 2014 n. 5987/11/2014, la quale, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di sei avvisi di accertamento per la TARSU/TIA relativa agli anni 2006, 2007, 2008, 2009, 2010 e 2011 in relazione ad abitazione di sua proprietà in Sondrio alla Frazione Colda, ha rigettato l’appello proposto dalla medesima nei confronti del Comune di Sondrio avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Sondrio il 15 luglio 2013 n. 24/03/2013, con compensazione delle spese giudiziali. La Commissione Tributaria Regionale ha confermato la decisione di prime cure, sul presupposto che: a) l’ente impositore aveva accertato una superficie pari a quella risultante dalle schede catastali con la riduzione dell’80°/o; b) la riduzione del 25°/o era stata applicata soltanto per l’anno 2006, ma non anche per gli anni successivi, essendo stata l’unica occupante l’immobile per tale periodo; c) le sanzioni amministrative erano state irrogate in una misura intermedia tra minimo e massino edittali; d) l’ente impositore aveva beneficiato del differimento dei termini di decadenza. Il ricorso è affidato a sette motivi. Il Comune di Sondrio è rimasto intimato. Con conclusioni scritte, il P.M. ha chiesto il rigetto del ricorso. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
MOTIVI DI RICORSO
1. Con il primo motivo, si denuncia nullità del procedimento per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per aver omesso di pronunciare sulle eccezioni della contribuente in ordine alla superficie imponibile dell’abitazione.
2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione o falsa applicazione degli 70, comma 2, e 71, comma 1, del D.L.vo 15 novembre 1993 n. 507, 1, comma 161, della Legge 27 dicembre 2006 n. 296, 20 del regolamento comunale e 3, comma 3, della Legge 27 luglio 2000 n. 212, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per aver erroneamente ritenuto che gli avvisi di accertamento fossero stati emanati nel rispetto dei termini di decadenza.
3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione o falsa applicazione degli 70 e 71, comma 1, del D.L.vo 15 novembre 1993 n. 507, 18, comma 2, del regolamento comunale, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per aver erroneamente ritenuto che la contribuente avesse l’onere di provare la diversa estensione della superficie imponibile.
4. Con il quarto motivo, si denuncia violazione o falsa applicazione degli 70 del D.L.vo 15 novembre 1993 n. 507 (nel testo novellato dall’art. 30 della Legge 30 dicembre 2004 n. 311), 1, comma 340, della Legge 30 dicembre 2004 n. 311 e 64 del D.L.vo 15 novembre 1993 n. 507, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per aver erroneamente ritenuto che l’ente impositore avesse accertato d’ufficio la superficie imponibile, sanzionando l’infedeltà o l’incompletezza della denuncia per inadempimenti non imputabili alla contribuente.
5. Con il quinto motivo, si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 18 della Legge 7 agosto 1990 n. 241 e 16 del regolamento comunale, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per aver erroneamente ritenuto che l’obbligo di denuncia originaria, di variazione o di cessazione vigesse soltanto per l’occupazione o la detenzione dei locali, ma non anche per la riduzione del tributo per l’unico occupante l’immobile.
6. Con il sesto motivo, si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 71, comma 1, del D.L.vo 15 novembre 1993 n. 507, 1, comma 340, della Legge 30 dicembre 2004 n. 311 e 19 del regolamento comunale, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per aver erroneamente ritenuto che l’ente impositore potesse irrogare le sanzioni amministrative alla contribuente, nonostante l’applicabilità d’ufficio della superficie maggiore tra quella denunciata e quella accertata con la riduzione in misura pari all’80%.
7. Con il settimo motivo, si denuncia violazione o falsa applicazione degli 70 del D.L.vo 15 novembre 1993 n. 507, 1, comma 162, della Legge 24 ottobre 2006 n. 269 e 7 della Legge 27 luglio 2000 n. 212, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per aver erroneamente ritenuto che l’avviso di accertamento fosse idoneamente motivato in relazione all’accertamento della maggiore superficie imponibile.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo, il terzo motivo, il quarto motivo ed il settimo motivo – la cui stretta ed intima connessione suggerisce l’esame congiunto, per la comune attinenza alla determinazione della superficie imponibile – sono infondati.
1.1 Anzitutto, la questione della superficie imponibile è stata puntualmente scrutinata dal giudice di appello, il quale ha adeguatamente illustrato le ragioni di adesione all’operato dell’ente impositore. A suo dire, infatti, «il Comune ha provveduto ad accertare d’ufficio, dopo alcuni incontri che non sono risultati essere chiarificatori circa la reale misura della superficie dell’unità immobiliare, una superficie lorda come e merge dalle schede catastali pari a mq. 211 procedendo alla tassazione di una superficie ridotta pari all’80% come previsto dall’art. 70 comma 3 D.Lgs. 507/93». Inoltre: «La contribuente ha poi avuto il tempo necessario per provare che la superficie corretta era quella da lei dichiarata (si sarebbe potuta avvalere ad esempio di apposita perizia tecnica. In mancanza di tutto ciò il Comune ha provveduto ad accertare una superficie pari a quella risultante dalle schede catastali riducendo poi la stessa come per legge all’80%. Sembrano inutili i tentativi effettuati dalla contribuente di affermare che la superficie calcolata dal Comune è eccessiva». Per cui, non si può ravvisare un’omessa pronunzia del giudice di appello sulla questione investita dal
1.2 Per il resto, si osserva che, in tema di TARSU , nel caso in cui la rettifica venga operata sulla base di una variazione di superficie o di tariffa o di categoria, deve ritenersi sufficiente l’indicazione della maggiore superficie accertata o della diversa tariffa o categoria ritenuta applicabile, elementi che, integrati con gli atti generali, quali le delibere comunali o altri regolamenti comunali – che non è necessario allegare, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, perché si rivolgono ad una pluralità indistinta, anche se determinabile ex post, di destinatari occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili (tra le tante: Sez. 5″, 23 ottobre 2006, n. 22804; Cass., Sez. 5″, 26 marzo 2014, n. 7044; Cass., Sez. 6″-5, 19 giugno 2018, n. 16165; Cass., Sez. 5″, 13 marzo 2019, n. 7437; Cass., Sez. 5″, 31 luglio 2019, n. 20620; Cass., Sez. 5″, 13 agosto 2020, n. 16996; Cass., Sez. 5″, 22 marzo 2021, n. 7952; Cass., Sez. 5″, 12 agosto 2021, n. 22755; Cass., Sez. 5″, 10 febbraio 2022, n. 4245) – risultano idonei a rendere intellegibili i presupposti di fatto e di diritto della pretesa tributaria, posta anche la semplicità del procedimento logico che in questi casi caratterizza la determinazione del tributo in esame, il cui ammontare viene determinato moltiplicando la tariffa, individuata sulla base della categoria, per la superficie tassata (Cass., Sez. 5″, 31 luglio 2019, n. 20620; Cass., Sez. 5″, 22 marzo 2021, n. 7952). Va, pertanto, escluso che possa essere censurata come mancanza di motivazione l’omessa individuazione di tutte le fonti probatorie o delle indagini effettuate per rideterminare l’area, ben potendo tali indicazioni essere fornite nell’eventuale successiva fase contenziosa, in cui l’ente impositore ha l’onere di provare l’effettiva sussistenza dei presupposti per l’applicazione del criterio prescelto ed il contribuente la possibilità di contrapporre altri elementi sulla base del medesimo criterio o di altri parametri (Cass., Sez. 5″, 31 luglio 2019, n. 20620; Cass., Sez. 5″, 13 agosto 2020, n. 16996).
1.3 Ciò posto, è pacifico che, in sede di accertamento per omessa denuncia della contribuente ex 71, comma 1, del D.L.vo 15 novembre 1993 n. 507, l’ente impositore possa desumere l’estensione della superficie di riferimento per il calcolo della TARSU attraverso l’incrocio dei dati posseduti con quelli risultanti dai registri catastali. Tale modus operandi è conforme alla previsione dell’art. 70, comma 3, del D.L.vo 15 novembre 1993 n. 507, nel testo novellato dall’art. 1, comma 340, della Legge 30 dicembre 2004 n. 311, il quale, nel disciplinare il contenuto delle “denunce” da parte dei contribuenti, ha disposto: «A decorrere dal 1 ° gennaio 2005, per le unità immobiliari di proprietà privata a destinazione ordinaria censite nel catasto edilizio urbano, la superficie di riferimento non può in ogni caso essere inferiore all’80 per cento della superficie catastale determinata secondo i criteri stabiliti dal regolamento di cui al d.P.R. 23 marzo 1998, n. 138; per gli immobili già denunciati, i Comuni modificano d’ufficio, dandone comunicazione agli interessati, le superfici che risultano inferiori alla predetta percentuale a seguito di incrocio dei dati comunali, comprensivi della toponomastica, con quelli dell’Agenzia del Territorio, secondo modalità di interscambio stabilite con provvedimento del direttore della predetta Agenzia, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Nel caso in cui manchino, negli atti catastali, gli elementi necessari per effettuare la determinazione della superficie catastale, i soggetti privati intestatari catastali, provvedono, a richiesta del Comune, a presentare all’ufficio provinciale dell’Agenzia del Territorio la planimetria catastale del relativo immobile, secondo le modalità stabilite dal regolamento di cui al decreto del Ministro delle Finanze 19 aprile 1994, n. 701, per l’eventuale conseguente modifica, presso il Comune, della consistenza di riferimento».
Le “Modalità di interscambio tra l’Agenzia delle Entrate e i Comuni dei dati inerenti la superficie delle unità immobiliari a destinazione ordinaria iscritte nel catasto edilizio urbano, ai sensi dell’articolo 14, comma 9, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214″ sono state stabilite con provvedimento reso dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate il 29 marzo 2013, prot. n. 39724/2013, che ha fatto rinvio (art. 3, comma 2) a “regole tecniche” pubblicate il 3 aprile 2013. Ai sensi dell’art. 2, comma 1, del citato provvedimento, l’Agenzia delle Entrate rende disponibili ai Comuni i dati relativi alla superficie catastale, determinata secondo criteri stabiliti dal regolamento di cui al D.P.R. 23 marzo 1998 n. 138, con riferimento alle unità immobiliari a destinazione ordinaria, iscritte in catasto e corredate di planimetria.
1.4 Posto che l’art. 70, comma 3, del L.vo 15 novembre 1993 507, quale integrato dall’art. 1, comma 340, della Legge 30 dicembre 2004 n. 311, ha onerato i contribuenti, con decorrenza dall’ 1° gennaio 2005, di dichiarare ai fini TARSU una superficie non inferiore all’80% della superficie catastale con riguardo a tutti gli immobili censiti nel catasto edilizio urbano, i Comuni hanno piena facoltà – in sede di attività di accertamento con riguardo agli immobili che sono stati già oggetto di una precedente denuncia – di attingere ai dati dell’Agenzia delle Entrate per la determinazione delle superfici tassabili e, in caso di denuncia di una misura inferiore alla predetta percentuale (ma altrettanto, a maggior ragione, in caso di omessa denuncia e di constatazione d’ufficio di una misura maggiore della predetta percentuale), di modificare d’ufficio la superficie stessa, dandone comunicazione agli interessati. Ovviamente, se la superficie da dichiarare è maggiore, la tassa dovrà essere assolta su quest’ultima, ovvero su quella effettiva. In concreto, i Comuni, dopo l’incrocio con i dati forniti dall’Agenzia delle Entrate, qualora si verifichino scostamenti fra le superfici dichiarate e quelle effettivamente da dichiarare, devono procedere d’ufficio all’emanazione di appositi avvisi di accertamento in rettifica (in termini: Cass., Sez. SA, 30 dicembre 2020, n. 29910).
In tal senso, peraltro, il Comune di Sondrio si è attenuto alle prescrizioni dettate in materia di “controlli” dall’art. 18, comma 1, del regolamento comunale, il quale consente di assumere presso altre amministrazioni pubbliche dati e notizie rilevanti nei confronti dei contribuenti.
Tuttavia, ogni altro profilo di censura involge una valutazione sull’apprezzamento delle risultanze istruttorie, che è assolutamente preclusa in sede di legittimità.
1.5 Nella specie, quindi, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del principio enunciato, avendo ritenuto – anche a fronte dell’inerzia della contribuente, di cui si è dato atto – che l’ente impositore aveva correttamente operato nella determinazione della superficie imponibile, in sede di accertamento per omessa denuncia, attraverso l’incrocio dei dati in proprio possesso con quelli in disponibilità dell’Agenzia delle Entrate, con riferimento alla superficie catastale dell’immobile (nella percentuale dell’80%).
2. Il secondo motivo è fondato nei limiti specificati in appresso, derivandone il parziale assorbimento del sesto motivo per quanto di ragione.
2.1 Com’è noto, l’art. 1, comma 161, della Legge 27 dicembre 2006 n. 296 (c.d. “legge finanziaria 2007”) prevede che: «Gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonché all’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati».
Inoltre, in forza dell’art. 1, comma 171, della Legge 27 dicembre 2006 n. 296, il regime introdotto dal precedente comma 161 non opera solo per i rapporti d’imposta sorti successivamente alla data di entrata in vigore della medesima legge, ma anche per quelli che, a tale data, risultano ancora pendenti. Ai tributi dovuti per annualità precedenti al 2007, per i quali, alla data dell’1 gennaio 2007, non è ancora intervenuta la decadenza in base alla disciplina previgente, si applica, dunque, il nuovo termine decadenziale (Cass., Sez. SA, 29 novembre 2016, n. 24187; Cass., Sez. SA, 23 giugno 2017, n. 15702; Cass., Sez. SA, 29 ottobre 2021, n. 30966).
Con tale disposizione, il legislatore ha sostituito i termini stabiliti dagli artt. 71 e 72 del D.L.vo 15 novembre 1993 n. 507 e, più in generale, ha provveduto ad unificare per i tributi comunali e provinciali la disciplina relativa all’attività di accertamento, dettando disposizioni comuni sulla notifica degli atti di accertamento e di riscossione, sulla nomina dei messi notificatori e l’esercizio delle relative funzioni, sui requisiti essenziali degli atti di accertamento e, per quello che qui interessa, individuando i termini, a pena di decadenza, per la notifica degli atti di accertamento e del primo atto di riscossione. In particolare, la norma sopra indicata subordina alla notifica di atto di accertamento, sia l’attività di rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli, o, anche, dei parziali o ritardati versamenti, sia l’attività svolta d’ufficio, in caso di omesse dichiarazioni o omessi versamenti. Tutti gli avvisi di accertamento devono essere notificati al contribuente in un unico termine, previsto a pena di decadenza, «entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati».
2.2 Tale normativa, tuttavia, non può applicarsi alla TARSU, nei casi in cui il Comune non abbia provveduto ad alcun accertamento del tributo che non costituisce atto prodromico ai fini dell’emissione della cartella esattoriale. Infatti, l’art. 71 del D.L.vo 15 novembre 1993 n. 507 prevede l’emissione dell’avviso di accertamento relativo alla TARSU soltanto nel caso in cui il contribuente non abbia presentato la denuncia prescritta dall’art. 70 del D.L.vo 15 novembre 1993 n. 507, oppure nel caso in cui l’ufficio ritenga che la denuncia presentata sia infedele od incompleta, mentre, qualora la denuncia sia stata presentata, l’ente impositore, ove ritenga di non contestarla, procede attraverso la notifica della cartella esattoriale senza previa emissione di alcun avviso di accertamento, guidando il tributo in base agli elementi dichiarati dallo stesso contribuente o a seguito di denuncia di variazione. Inoltre, l’art. 72, comma 1, del D.L.vo 15 novembre 1993 n. 507, consente al Comune – e, per esso, al gestore del servizio di smaltimento dei rifiuti – di procedere direttamente alla liquidazione della TARSU, senza necessità di adottare e notificare un avviso di accertamento, soltanto nei casi in cui la liquidazione avvenga sulla base di dati ed elementi già acquisiti, e non soggetti ad alcuna modificazione o variazione, in forza, pertanto, di un’operazione puramente automatica. La liquidazione diretta, proprio per il suo carattere di eccezionalità, richiede quindi, da un lato, l’identità dei dati utilizzati con quelli dell’anno precedente, dall’altro la stabilità o definitività degli stessi, nel senso che non devono essere né incerti né contestati. L’incertezza del dato utilizzato a seguito della contestazione dell’utente comporta, viceversa, la necessità dell’adozione dell’avviso di accertamento, dovendo l’amministrazione esplicitare, ai sensi dell’art. 70 del D.L.vo 15 novembre 1993 n. 507, le ragioni per cui ha ritenuto di discostarsi dai dati ed elementi indicati nella dichiarazione (Cass., Sez. SA, 30 ottobre 2015, n. 22248; Cass., Sez. SA, 28 settembre 2016, n. 19120; Cass., Sez. SA, 9 febbraio 2018, 3189; Cass., Sez. SA, 2 marzo 2018, n. 4967; Cass., Sez. SA, 19 agosto 2020, n. 17339; Cass., Sez. SA, 23 dicembre 2020, n. 29394; Cass., Sez. 6A-S, 26 novembre 2021, n. 37006; Cass., Sez. SA, 11 gennaio 2022, n. 535). Per cui, nessuna irregolarità può riscontrarsi nell’emanazione della cartella [come dell’ingiunzione] di pagamento in relazione alla dedotta carenza di un precedente avviso di accertamento che non era indispensabile (Cass., Sez. SA, 9 febbraio 2018, n. 3184; Cass., Sez. SA, 19 agosto 2020, n. 17339).
2.3 La disposizione che, in tema di TARSU, disciplina l’obbligo di denuncia, secondo la quale la denuncia dei locali ed aree tassabili va presentata al Comune «entro il 20 gennaio successivo all’inizio dell’occupazione o detenzione» (art. 70, comma 1, del D.L.vo 15 novembre 1993 507), impone di differenziare la detenzione o occupazione dei locali che sia in corso fin dall’inizio del periodo di imposta e, comunque, prima del 20 gennaio, dal caso in cui tale situazione si sia verificata in epoca successiva; nel primo caso il termine di decadenza decorre dall’anno corrente, nel secondo caso dal 20 gennaio dell’anno successivo (Cass., Sez. SA, 21 giugno 2016, n. 12795; Cass., Sez. SA, 3 novembre 2016, n. 22224; Cass., Sez. SA, 1 febbraio 2019, n. 3058; Cass., Sez. 6A-S, 29 aprile 2020, n. 8275; Cass., Sez. SA, 11 dicembre 2020, n. 28255; Cass., Sez. SA, 23 giugno 2021, n. 17874; Cass., Sez. SA, 24 giugno 2021, n. 18070).
La Corte ha posto in rilievo, al riguardo, il chiaro dettato normativo che fa riferimento al «20 gennaio successivo all’inizio dell’occupazione o detenzione», e non anche al 20 gennaio «dell’anno» successivo all’inizio dell’occupazione o detenzione, – ed ha rimarcato che laddove il legislatore avesse inteso postergare il momento dichiarativo «all’anno successivo» l’avrebbe espressamente previsto, così come è avvenuto, ad esempio, con l’art. 10, comma 4, del D.L.vo 30 dicembre 1992 n. 504, che, in tema di ICI, dispone che «i soggetti passivi devono dichiarare gli immobili posseduti nel territorio dello Stato, … entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui il possesso ha avuto inizio”» cioè l’anno successivo a quello oggetto di imposizione (Cass., Sez. SA, 3 novembre 2016, n. 22224).
2.4 Condividendone le argomentazioni, il collegio ritiene di dover dare continuità a quest’orientamento, che è nettamente prevalente nella più recente giurisprudenza di legittimità.
Per cui, si deve disattendere l’orientamento ormai minoritario di questa Corte, secondo il quale l’espressione «entro il 20 gennaio successivo all’inizio dell’occupazione o detenzione» riguarda, sempre e comunque, l’anno successivo a quello relativo alla tassa da pagare, con il corollario che, a prescindere dal momento in cui, nell’anno di riferimento, ha inizio l’occupazione (o detenzione), la denuncia deve essere presentata entro il 20 gennaio dell’anno successivo, iniziando a decorrere da tale data, per l’ente impositore, il termine di decadenza previsto dall’art. 1, comma 161, della Legge 27 dicembre 2006 n. 296 (Cass., Sez. SA, 30 ottobre 2018, n. 27578; Cass., Sez. 6″-5, 2 luglio 2018, n. 17219; Cass., Sez. 5″, 21 ottobre 2020, n. 22900).
2.5 Nel caso in disanima, il termine di decadenza per la emanazione dell’avviso di accertamento per omessa denuncia, che era fissato dall’art. 20, comma 1, del regolamento comunale (in conformità all’art. 71, comma 1, del D.L.vo 15 novembre 1993 n. 507) al «31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui la denuncia doveva essere presentata», era ancora pendente per l’anno 2006 al momento dell’entrata in vigore dell’art. 1, comma 161, della Legge 27 dicembre 2006 n. 296, che, pertanto, era applicabile alla fattispecie.
Inoltre, l’occupazione dell’immobile era già in corso al principio dell’anno 2006, sicché trattandosi di accertamento per omessa dichiarazione, il quinquennio rilevante, ai fini della decadenza, andava a scadere per i singoli avvisi di accertamento, al 31 dicembre 2011 (per l’anno 2006), al 31 dicembre 2012 (per l’anno 2007), al 31 dicembre 2013 (per l’anno 2008), al 31 dicembre 2014 (per l’anno 2009), al 31 dicembre 2015 (per l’anno 2010) ed al 31 dicembre 2006 (per l’anno 2011), a fronte della notifica fattane per tutti il 13 dicembre 2012.
Ne discende che la decadenza era ormai maturata soltanto con riguardo all’avviso di accertamento per l’anno 2006, che, pertanto, deve considerarsi affetto da nullità per il tardivo esercizio del potere impositivo. Come si è detto, tale esito comporta, altresì, l’assorbimento del sesto motivo per le sanzioni amministrative che accedono al medesimo avviso di accertamento.
3. Il quinto motivo è infondato.
3.1 Per quanto attiene alla riduzione di imposta per l’occupazione dell’immobile da parte di un’unica persona, si osserva che l’art. 66, commi 3, lett. a, 5 e 6, del D.L.vo 15 novembre 1993 n. 507 ha previsto la riducibilità della tariffa di un importo non superiore ad un terzo per il caso di «abitazioni con unico occupante», salvo l’obbligo del contribuente di denunciare (con la denuncia originaria, integrativa o di variazione) l’inizio (con effetto dall’anno successivo) e la cessazione (entro il 20 gennaio) dell’occupazione esclusiva (salvo il recupero, in caso di omissione, del tributo con decorrenza dall’anno successivo a quello di denuncia dell’uso della riduzione tariffaria).
Esercitando tale facoltà, l’art. 16, comma 1, lett. a, del regolamento comunale aveva disposto la riduzione della TARSU nella misura del 25% per le abitazioni con unico occupante. In assenza di ulteriori disposizioni sugli obblighi del contribuente di denunciare l’inizio o la cessazione dell’occupazione esclusiva, non poteva che applicarsi la disciplina dettata dall’art. 66, commi 5 e 6, del D.L.vo 15 novembre 1993 n. 507.
3.2 Nella specie, la sentenza impugnata è conforme al principio enunciato, avendo accertato che l’ente impositore aveva riconosciuto alla contribuente la riduzione del 25% per l’anno 2006, ma l’aveva revocata per gli anni successivi (cioè, dall’anno 2007 fino all’anno 2011) dopo aver accertato – in assenza di relativa denunzia – l’ingresso della figlia nel nucleo familiare della contribuente nel corso del medesimo anno 2006 (circostanza non contestata dalla ricorrente).
4. Il sesto motivo – per quanto sopravvive all’assorbimento derivante dal parziale accoglimento del secondo motivo (cioè, in relazione agli avvisi di accertamento per gli anni 2007, 2008, 2009, 2010 e 2011) – è infondato.
4.1 La censura attinge l’irrogazione delle sanzioni amministrative per l’omessa denuncia della superficie imponibile, dopo la modifica apportata all’art. 70, comma 3, del D.L.vo 15 novembre 1993 n. 507 dall’art. 1, comma 340, della Legge 30 dicembre 2004 n. 311, nella misura intermedia tra il minimo ed il massimo previsti dalla disposizione sanzionatoria.
Pertanto, una volta riconosciuta, come si è detto, l’insorgenza a carico dei contribuenti dell’obbligo di denunciare dall’1° gennaio 2005 le superfici risultanti in misura inferiore all’80% della misura catastale, la determinazione del quantum della sanzione amministrativa per l’omessa denuncia tra il minimo ed il massimo è rimessa alla discrezionalità dell’ente impositore nella commisurazione alla gravità del fatto concreto.
Al riguardo, è pacifico che, in tema di sanzioni amministrative pecuniarie, ove la norma indichi un minimo e un massimo della sanzione, spetta al potere discrezionale del giudice determinarne l’entità entro tali limiti, allo scopo di commisurarla alla gravità del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soggettivi. Peraltro, il giudice non è tenuto a specificare nella sentenza i criteri adottati nel procedere a detta determinazione, né la Corte di cassazione può censurare la statuizione adottata ove tali limiti siano stati rispettati e dal complesso della motivazione risulti che quella valutazione è stata compiuta (Cass., Sez. 5″, 17 aprile 2013, n. 9255; Cass., Sez. 5″, 27 dicembre 2018, n. 33495).
4.2 Nella specie, il giudice di appello ha valutato la correttezza dell’applicazione delle sanzioni amministrative in una misura intermedia tra il minimo ed il massimo di legge. Per cui, la contestazione di tale quantificazione involge una questione di merito, che non può essere sindacata dal giudice di legittimità.
5. Alla stregua delle suesposte argomentazioni, dunque, apprezzandosi la parziale fondatezza del secondo motivo ed il parziale assorbimento del sesto motivo per quanto di ragione, nonché l’infondatezza dei restanti motivi, il ricorso può trovare accoglimento entro i limiti predetti e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto in parte; non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, comma 1, ultima parte, cod. proc. civ., con pronuncia di accoglimento del ricorso originario della contribuente con limitato riguardo all’avviso di accertamento per la TARSU relativa all’anno 2006 e di conferma per il resto della sentenza impugnata.
6. Le spese dell’intero giudizio possono essere compensate in ragione della reciproca (ancorché parziale) soccombenza.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo nei limiti specificati in motivazione, dichiara il parziale assorbimento del sesto motivo per quanto di ragione e rigetta i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto nei limiti predetti e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario della contribuente con limitato riguardo all’avviso di accertamento per la TARSU relativa all’anno 2006 e conferma per il resto la sentenza impugnata; compensa le spese dell’intero giudizio.