Corte di Cassazione sentenza n. 22142 depositata il 13 luglio 2022
omessa pronuncia – effettuate nell’esercizio di impresa le cessioni di beni e le prestazioni di servizi agli associati, ove rese verso il pagamento di un corrispettivo o di uno specifico contributo supplementare
FATTI DI CAUSA
1. L’Associazione M. ricorre, con quattro motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe che ha rigettato l’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza della C.t.p. di Forlì-Cesena che, a propria volta, aveva rigettato, previa riunione, i ricorsi avverso gli avvisi di accertamento, per gli anni di imposta 2002 e 2003, con ii quali era stato recuperato a tassazione, ai fini Irap, Irpeg ed Iva il maggior reddito derivante dall’esercizio di attività commerciale.
2. L’Ufficio riteneva che l’Associazione, pur avendo lo scopo di promuovere attività culturali, artistiche e ricreative, svolgeva vera e propria attività commerciale; che, pertanto, non poteva essere considerata ente non commerciale ai fini della determinazione del reddito di impresa; che quest’ultimo andava accertato secondo i criteri ordinari. Per l’effetto, rettificava la dichiarazione ai fini Irpeg, Irap ed Iva.
3. La C.t.r., confermando la sentenza di primo grado, riteneva che l’Associazione ricorrente avesse perso la qualifica di ente non commerciale in quanto ricorrevano, per gli anni 2002 e 2003, le condizioni previste dall’art. 149, comma 2, d.P.R. 22 dicembre 1986, n.149 in ragione di quanto accertato dalla Guardia di Finanza in merito ai ricavi ed ai costi dell’attività commerciale in rapporto a quella istituzionale.
4. La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denunzia, in relazione all’art. 360, primo comma, 4, cod. proc. civ. la nullità della sentenza per omessa pronuncia.
In particolare, la ricorrente denuncia l’omessa pronuncia sul motivo di appello spiegato avverso la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto legittimo il ricorso da parte dell’Ufficio ai poteri di cui all’art. 55 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, pur in mancanza dei presupposti di legge e, nella specie, del presupposto della mancata presentazione della dichiarazione annuale, sebbene, in vigenza del regime agevolato di cui alla legge 16 dicembre 1991, n. 398, fosse esonerata per legge dal presentarla.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denunzia, in relazione all’art.360, primo comma, n.5, cod. proc. civ. l’insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio.
In particolare, la ricorrente assume che dalla motivazione resa non si evince il ragionamento logico giuridico che ha condotto la C.t.r. a ritenere sussistenti gli indici di cui all’articolo 149 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e a ritenere gli elementi addotti non idonei a giustificare l’inapplicabilità della presunzione di cui alla citata disposizione.
3. Con il terzo motivo la ricorrente denunzia, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ. la violazione e/o falsa applicazione degli 143, 148, 149 (già 108, 111, 111-bis) d.P.R. n. 917 del 1986.
In particolare, la ricorrente assume che la sentenza, nella parte in cui ha ritenuto esistenti le condizioni per la perdita della qualifica di ente non commerciale, si pone in contrasto con le norme sopra richiamate, come interpretate dalla giurisprudenza di legittimità, in quanto non ha tenuto conto che i parametri di cui all’articolo 111-bis, comma 2, d.P.R. n. 917 del 1986 costituiscono meri indici di commercialità e che nella verifica sulla loro ricorrenza devono escludersi i valori riconducibli alle, così dette, attività decommercializzate ex artt. 108 e 111 d.P.R. n. 917 del 1986.
4. Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente denunzia, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ. la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39 P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 95 d.P.R. n. 917 del 1986.
In particolare, la ricorrente ritiene la sentenza viziata nella parte in cui, anche ritenendo l’Associazione «ente commerciale», ha determinato il reddito d’impresa, in via analitica, senza considerare tutte le voci in entrata ed in uscita; considerando in uscita le sole spese relative all’acquisto di merci per l’erogazione dei servizi di bar e ristorazione ai soci e «senza tener conto delle altre spese risultanti dal rendiconto economico e finanziario approvato dai soci» che dovevano essere ammesse in deduzione in quanto «effettivamente sussistenti ed inerenti».
5. Il primo motivo di ricorso è infondato.
5.1 Per giurisprudenza costante di questa Corte, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile per la soluzione del caso concreto; tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa dell’attore, deponendo per l’implicita pronunzia di rigetto dell’eccezione, sicché il relativo mancato esame può farsi valere, non già quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul procedimento (art. 112 proc. civ.), bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla decisività del punto di cui sarebbe stato pretermesso l’esame (Cass. 06/11/2020, n. 24953).
5.2 il motivo di appello si fondava sul presupposto che all’Associazione M. fosse applicabile, nei periodi di imposta in questione, il regime agevolato di cui alla legge n. 398 del 1981 e che, conseguentemente, la medesima non fosse tenuta alla dichiarazione Iva.
La sentenza impugnata ha implicitamente escluso la ricorrenza di tale presupposto, ritenendo, invece, sussistenti tutti gli elementi di cui all’art. 149 d.P.R. n° 917 del 1996 per la perdita della qualifica di ente non commerciale in ragione del quale l’Associazione avrebbe potuto avvalersi del regime agevolato. Tale statuizione contiene l’implicita decisione sull’insussistenza dei requisiti per usufruire dell’invocato regime e sulla conseguente legittimità del ricorso ai poteri di cui all’art. 55 d.P.R. n. 633 del 1972.
6. Il secondo motivo – da delibarsi, ratione temporis, in ragione dell’art. 360, primo comma, 5 cod. proc. civ., nel testo anteriore alle modifiche di cui al d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 07 agosto 2012, n. 134 – ed il terzo motivo, da trattarsi congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.
6.1 La ricorrente censura la sentenza impugnata, sia sotto il profilo dell’insufficiente motivazione che della violazione di legge, nella parte in cui ha ritenuto sussistenti i presupposti di cui all’art. 149 d.P.R. n. 917 del 1986, sebbene i parametri ivi indicati fossero meri indici della perdita di detta qualità e senza motivare sulla loro sussistenza, sugli elementi a prova contraria addotti, su quanto allegato in ordine alla necessità di escludere i valori riconducibli alle c.d. attività decommercializzate ex 108 e 111 d.P.R. n. 917 del 1986.
Evidenzia, in particolare, che con l’atto di appello aveva contestato che la C.t.p. era incorsa in errore in quanto aveva considerato a) attività commerciale l’attività di somministrazione bevande svolte a favore degli associati mentre le medesime dovevano ritenersi decommercializzate; b) non aveva valutato la documentazione prodotta che portava ad escludere la sussistenza degli indici di cui all’art. 149 d.P.R. n. 917 del 1986.
6.2 L’art. 149 (già 111-bis) d.P.R. n. 917 del 1986 stabilisce che, indipendentemente dalle previsioni statutarie, l’ente perde la qualifica di ente non commerciale qualora eserciti prevalentemente attività commerciale per un intero periodo d’imposta ed indica specificamente una serie di parametri cui ancorare il giudizio in ordine a detta qualificazione.
Con particolare riferimento agli enti non commerciali aventi natura associativa, l’art. 148 (già 111) d.P.R. n. 917 del 1986, esclude che sia considerata commerciale – e, dunque, rilevante ai fini della determinazione dei redditi realizzati – l’attività svolta nei confronti degli associati o partecipanti, in conformità alle finalità istituzionali dall’ente associativo, a meno che non si tratti di cessioni e prestazioni di servizio resi agli associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto (e salvo che non si tratti di prestazioni di servizi non rientranti nell’art. 2195 cod. civ. rese in conformità alle finalità istituzionali dell’ente senza specifica organizzazione e verso pagamento di corrispettivi che non eccedono i costi di diretta imputazione); in questo caso i relativi corrispettivi concorreranno alla formazione del reddito complessivo come componenti del reddito di impresa o come redditi diversi secondo che le relative operazioni presentino carattere di abitualità o di occasionalità.
6.3 Come già ritenuto da questa Corte, dalla riferita ricostruzione normativa consegue che deve distinguersi la questione relativa alla qualificazione dell’ente da quella relativa alla qualificazione delle attività poste in essere dall’ente, ai fini fiscali, quali commerciali o non commerciali (cfr. Cass. 14/12/2021, n. 39789, Cass. 26/09/2018, n. 22939).
6.4 Quanto all’esercizio dell’attività di ristoro, elemento dirimente è la qualificazione della medesima come attività commerciale o In via generale, sono considerate effettuate nell’esercizio di impresa le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte da associazioni che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale; per le altre associazioni, invece, sono considerate effettuate nell’esercizio di impresa le cessioni di beni e le prestazioni di servizi agli associati, ove rese verso il pagamento di un corrispettivo o di uno specifico contributo supplementare.
In via eccezionale, è esclusa la qualificazione di prestazione fatta nell’esercizio di attività commerciale delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi a condizione che siano effettuate in conformità alle finalità istituzionali. La possibilità di usufruire dell’agevolazione di cui all’art. 148 (già 111) d.P.R. 917 del 1986 deriva, infatti, dal concorso di due circostanze: a) dall’esclusione della qualificazione dell’attività svolta come attività commerciale, in ragione dell’affinità e strumentalità della stessa con i fini istituzionali (esclusione questa non ravvisabile nel caso di specie); b) dallo svolgimento dell’attività unicamente in favore dei soci.
In ragione di questo quadro normativo solo le prestazioni ed i servizi che realizzano le finalità istituzionali, senza specifica organizzazione e verso il pagamento di corrispettivi che non eccedono i costi di diretta imputazione, non vanno considerate come compiute nell’esercizio di attività commerciale e, quindi, come non imponibili, mentre ogni altra attività espletata dagli stessi soggetti deve ritenersi rientri nel regime impositivo (Cass. 13/06/2018, n. 15474).
6.5 Con riferimento al caso specifico, questa Corte ha chiarito, con indirizzo largamente condiviso, che l’attività di bar con somministrazione di bevande verso pagamento di corrispettivi specifici, svolta da un circolo culturale, anche se effettuata ai propri associati, non rientra in alcun modo tra le finalità istituzionali del circolo e deve, dunque, ritenersi ai fini del trattamento tributario, attività di natura commerciale (Cass. 13/06/2018, n. 15474; Cass. 30/11/2012, n. 21406).
6.6 Ciò premesso, la CTR ha fatto buon governo dei principi espressi, avendo valorizzato, se pure in maniera sintetica, per almeno due esercizi, la ricorrenza dei parametri di cui all’art. 149 cit. e, in particolare, la prevalenza della attività commerciale rispetto a quella associativa che riteneva non sufficientemente documentata ed assolutamente episodica.
Le censure mosse dalla ricorrente, volte a qualificare come non commerciale l’attività di somministrazione di cibo e bevande, per un verso non colgono la ratio decidendi sottesa alla sentenza impugnata, ovvero la valutazione, conforme ai principi sopra esposti, di prevalenza dell’attività commerciale rispetto a quella istituzionale e, per altro verso, si risolvono in un’istanza di nuova valutazione delle prove acquisite, preclusa in sede di legittimità.
7. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.
La ricorrente si duole dell’illegittima esclusione di costi fiscalmente deducibili. Tuttavia, non ha riportato in ricorso, per le parti rilevanti, gli atti difensivi dei gradi di merito, né ha fatto alcuno specifico richiamo ai medesimi, onde permettere a questa Corte di valutare la fondatezza della censura proposta con riferimento a ciascuno dei costi la cui valutazione sarebbe stata omessa. Per altro il motivo, se pure declinato in termini di violazione di legge, si risolve in una richiesta di nuovo esame dell’accertamento impugnato quanto ai costi ritenuti «effettivamente sussistenti e certamente inerenti»
8. In conclusione, il ricorso deve essere complessivamente rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.500,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.