CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 2231 depositata il 25 gennaio 2023
Lavoro – TFR – Fondo di Garanzia INPS – Natura previdenziale e non retributiva delle prestazioni a carico dell’INPS – Deposito del ricorso per decreto ingiuntivo in epoca antecedente al decesso del datore di lavoro – L. n. 297 del 1982, art. 2 – Inesistenza di un titolo esecutivo nei confronti del datore di lavoro insolvente – Decesso del datore di lavoro prima dell’emissione del decreto ingiuntivo – Rigetto
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 893 del 2016, ha rigettato l’impugnazione proposta dalle odierne ricorrenti avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato le domande volte ad ottenere la condanna dell’INPS (Gestione Fondo di Garanzia) al versamento di quanto maturato, a titolo di TFR, in qualità di dipendenti della “P.B.A.”, oltre accessori.
2. In entrambi i gradi di giudizio le domande delle dipendenti sono state rigettate per insussistenza del titolo esecutivo idoneo all’esperimento dell’esecuzione forzata nei confronti del datore di lavoro (B.A.) deceduto in data 5 maggio 2004, trattandosi di decreti ingiuntivi emessi, quanto alla dipendente D.A., in data successiva al decesso (il 13 maggio 2004, sicché l’inesistenza del decreto travolgeva anche l’esecuzione forzata) e, quanto alla dipendente L.M.P. (che ne aveva fatto richiesta ad oltre un anno dal decesso), nei confronti di soggetto inesistente e notificato, nelle forme dell’art. 477 cod.proc.civ., oltre un anno dalla morte, ad erede determinato e formalmente rinunciatario dell’eredità.
3. Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano ricorrono D.A. e L.M.P., con ricorso ulteriormente illustrato con memoria.
4. Resiste l’INPS con controricorso, ulteriormente illustrato con memoria.
Ragioni della decisione
5. Con il primo motivo, in riferimento alla D., si lamenta violazione degli artt. 633 e 643 cod.proc.civ., si rimarca l’avvenuto deposito del ricorso per decreto ingiuntivo (in data 22 aprile 2004) in epoca antecedente al decesso del datore di lavoro benché il decreto ingiuntivo fosse stato emesso in epoca successiva e si censura la decisione della Corte territoriale per avere valorizzato, agli effetti della pendenza della lite, la data della notificazione anziché quella del deposito del ricorso. Parte ricorrente assume di avere provveduto a richiedere la formula esecutiva (apposta 11 14.05.2004) e a notificare il decreto, con pedissequo atto di precetto, una prima volta il 28 maggio 2004, presso la sede dell’impresa individuale (con esito negativo, per trasferimento, senza che l’ufficiale giudiziario menzionasse il decesso) e, successivamente, presso la residenza dell’ingiunto, ex artt. 139 e 140 cod.proc.civ., alla quale aveva fatto seguito, con esito negativo, la richiesta di pignoramento mobiliare. La ricorrente assume la scoperta del decesso del datore di lavoro solo a conclusione dell’iter processuale e la prosecuzione dell’attività commerciale corroborata dal tentativo di notificazione, all’uopo richiamando Cass. n.5899/2002 per l’affermazione del principio della validità formale del titolo esecutivo nel caso di prosecuzione dell’attività commerciale da parte di una impresa individuale, pur in presenza del decesso del titolare.
6. Quanto alla L., analogamente si assume la valida formazione del titolo e la relativa notificazione direttamente agli eredi della B. e si rileva, in particolare, che il decreto ingiuntivo emesso in data 6 giugno 2005 era stato notificato, con pedissequo atto di precetto, il 7 luglio 2005, presso la sede aziendale, quindi, ex artt. 139 e 140 cod.proc.civ., presso la residenza il 20 luglio 2005; successivamente veniva notificato, ex art. 477 cod.proc.civ., nei confronti degli eredi, il decreto ingiuntivo emesso a seguito del deposito del ricorso, in data 17 giugno 2005, oltre un anno dal decesso della debitrice.
7. Con il secondo motivo le ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione degli artt. 633 e 643 cod.proc.civ. in correlazione con gli artt. 414-444 cod.proc.civ., per avere la Corte territoriale correlato la litispendenza alla data della notifica, successiva, per la D., al decesso del datore di lavoro, sebbene il ricorso fosse stato depositato in data antecedente, e per la Leo oltre un anno dopo la morte, nei confronti di eredi che avevano rinunciato all’eredità.
8. Le ricorrenti assumono che il procedimento monitorio azionato nella specie sia attratto dalla normativa speciale in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria alla stregua della quale la pendenza è determinata dal deposito del ricorso in cancelleria.
9. Con il terzo motivo le ricorrenti si dolgono di violazione e falsa applicazione degli artt. 1310, 2948, 2120 cod.civ., L. 297/1982 ed assumono che in riferimento ad altra dipendente, M.C., la domanda sia stata accolta nel primo grado di giudizio (proposta, in via monitoria, con ricorso depositato in data 28 luglio 2003 e notificato, con pedissequo atto di precetto, il 6 ottobre 2003). Sulla premessa della prescrizione dei crediti da lavoro in dieci anni, nel caso in cui intervenga una sentenza passata in giudicato, e della conversione del termine, da cinque a dieci anni anche in riferimento al decreto ingiuntivo per effetto dell’equiparabilità ad una sentenza passata in giudicato, assumono l’efficacia, per i cocreditori ex art. 1310 cod.civ., del decreto ottenuto dalla M. nei confronti del datore di lavoro, con idoneità ad interrompere la prescrizione (fino al 16 dicembre 2013, in riferimento a domanda amministrativa inviata in data 21 giugno 2011).
10. Da ultimo sostengono che il cedolino rilasciato dal datore di lavoro, con relativa indicazione del TFR ex art. 2120 c.c., costituisce in re ipsa titolo idoneo per il pagamento delle somme richieste e per l’intervento dell’INPS ex L. 297/1982.
11. Il ricorso è da rigettare.
12. Con il primo e il secondo motivo le ricorrenti si dolgono, in sintesi, che la Corte d’Appello abbia ritenuto inesistente il decreto ingiuntivo nonostante il ricorso fosse stato depositato quando l’ingiungenda era ancora in vita (prima ricorrente, secondo l’ordine di intestazione) e nonostante fosse anche stato ritualmente notificato agli eredi (seconda ricorrente).
13. Le censure non sono fondate.
14. Va premesso che questa Corte ha ormai consolidato il principio di diritto secondo cui le prestazioni erogate dal Fondo di garanzia gestito dall’INPS hanno natura previdenziale e non retributiva (così, tra le più recenti, Cass. n. 25016 del 2017 e numerose successive conformi): si tratta, infatti, di obbligazioni affatto autonome rispetto a quelle gravanti sul datore di lavoro e inserite nell’ambito di un rapporto assicurativo contributivo-previdenziale, ancorché nella loro misura coincidenti, per ciò che specialmente riguarda il TFR, con le obbligazioni di cui è debitore il datore di lavoro, di talché il loro sorgere è connesso ad un fatto costitutivo differente rispetto a quello che ne media la genesi nell’ambito del rapporto di lavoro.
15. Più precisamente, quanto al pagamento del TFR (rectius: della prestazione previdenziale modulata sul TFR spettante al lavoratore assicurato), tale fatto costitutivo consiste non già nella cessazione del rapporto di lavoro, ma nel verificarsi dei presupposti previsti dall’art. 2, legge n. 297 del 1982, che sono rispettivamente, da un lato, la verifica del credito del lavoratore mediante l’insinuazione al passivo del fallimento del datore di lavoro (art. 2, commi 2° ss.) e, dall’altro lato, qualora il datore di lavoro non sia soggetto alle disposizioni della legge fallimentare, il previo esperimento dell’esecuzione forzata per la realizzazione del credito, da cui risulti l’insufficienza, totale o parziale, delle garanzie patrimoniali del datore di lavoro stesso (art. 2, comma 50) .
16. Va rimarcato che nel sistema delineato dalla L. n. 297 del 1982, art. 2, il previo conseguimento di un titolo esecutivo nei confronti del datore di lavoro insolvente costituisce un presupposto non solo letteralmente, ma anche logicamente necessario, giacché l’accertamento giurisdizionale della misura del TFR dovuto in esito all’ammissione allo stato passivo ovvero la sua consacrazione in un titolo esecutivo conseguito nei confronti del datore di lavoro rappresentano la modalità necessaria per l’individuazione della misura stessa dell’intervento solidaristico del Fondo di garanzia, essendo l’ente previdenziale terzo rispetto al rapporto di lavoro inter partes ed essendo nondimeno la sua obbligazione modulata sul TFR maturato in costanza di rapporto di lavoro.
17. Nella vicenda all’esame la sequenza cronologica disegnata dal legislatore delle attività funzionali alla realizzazione dei diritti tutelati (v., fra le altre, Cass. n. 40178 del 2021), con onere per il lavoratore di procurarsi un titolo esecutivo e promuovere la conseguente azione esecutiva, si è arrestata, in limine, nonostante l’iniziativa del lavoratore, per l’inesistenza di un titolo esecutivo nei confronti del datore di lavoro insolvente il cui decesso, prima dell’emissione del decreto ingiuntivo, ha precluso la consacrazione, nel titolo esecutivo, della misura dell’intervento solidaristico del Fondo di garanzia, proprio in ragione della peculiare posizione dell’ente previdenziale, terzo rispetto al rapporto di lavoro inter partes.
18. Il titolo esecutivo, all’esito del procedimento monitorio, può formarsi solo nei confronti di soggetto idoneo ad essere destinatario del vincolo giuridico che promana dal provvedimento monitorio, in continuità con l’indirizzo di questa Corte per cui il decreto ingiuntivo pronunciato nei confronti di persona defunta al momento della pronuncia e, per essa, nei confronti degli eredi collettivamente ed impersonalmente, è giuridicamente inesistente e non nullo e, pertanto, non è possibile in base ad esso promuovere un’azione esecutiva (Cass. nn. 9526 del 1992 e 11536 del 2001).
19. La sentenza impugnata, uniformatasi al predetto principio è, pertanto, immune dalle censure svolte con i primi due mezzi di gravame.
20. Infine, il terzo motivo è in parte inammissibile, per il rilievo assorbente di risultare improntato su profili del tutto estranei agli snodi argomentativi della sentenza impugnata e alla ratio decidendi, e infondato in riferimento alla pretesa idoneità alla tutela solidaristica del Fondo di garanzia sulla scorta del solo cedolino rilasciato dal datore di lavoro recante indicazione del TFR, tesi smentita dagli argomenti svolti nei paragrafi che precedono in ordine agli elementi costitutivi della pretesa previdenziale azionata nei confronti del Fondo di garanzia.
21. Segue coerente la condanna alle spese, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna ciascuna ricorrente alla rifusione delle spese, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario del 15 per cento. Ai sensi dell’art.13,co.1-quater, d.P.R.n.115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico delle ricorrenti, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art.13,co. 1, se dovuto.
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