Corte di Cassazione sentenza n. 22679 depositata il 20 luglio 2022

prova per presunzioni –  prova del diritto alla deduzione di costi è a carico del contribuente – in tema di sanzioni amministrative non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato

FATTI DI CAUSA

La Commissione tributaria regionale di Firenze, con la sentenza n. 1883/2014, depositata il 30.09.2014, ha parzialmente riformato la sentenza n. 11/1/12 della Commissione tributaria provinciale di Prato che aveva rigettato i ricorsi riuniti proposti dalla S. Costruzioni Generali srl in liquidazione e dalla T. spa, in qualità di consolidante, avverso avvisi di accertamento per l’anno 2004, notificati nel 2010, a seguito di pvc del 21.12.2009.

Con avviso n. T8T08T100973/2010 era stato accertato in capo alla S. l’indebita deduzione dei seguenti costi: euro 500.000,00, fatturati nel 2005 dalla capogruppo T. (fattura n. 287 del 21.6.2005), non sufficientemente documentati in quanto la fattura non rispettava l’art. 21 d.P.R. n. 633 del 1972 ed erano fondati su scrittura non avente data certa;

euro 695.424,27 in fattura n. 8/2004 esente iva ex art. 15 comma n. 3 d.P.R. n. 633 del 1972, per oneri di urbanizzazione versati al Comune di Montopoli Val D’Arno dalla S. per conto della Viareggio Immobiliare srl; secondo l’Ufficio, questi costi erano stati sostenuti in  realtà  dalla  T.,  cosicchè  quell’importo  era  stato

imputato  a corrispettivi  per servizi non meglio precisati  resi dalla S. a favore della stessa Viareggio Immobiliare.

Con altro avviso di accertamento n. T8T03Tl00969/2010 nei confronti della S. l’Ufficio aveva recuperato l’IVA sulla fattura relativa alla somma di € 695.424,27 di cui al precedente avviso nonchè IVA relativa ad altre tre fatture che non rispettavano l’art. 21 cit. e si riferivano a contratti che non avevano data certa.

Il giudice del gravame ha accolto l’appello limitatamente alla deducibilità dei costi per euro 500.000,00 di cui alla fattura n. 287/05 emessa dalla T. S.p.a nei confronti della S. S.r.l. in liquidazione, confermando per il resto la sentenza di prime cure.

Con atto notificato il 30.03.2015 le due società propongono ricorso per cassazione contro questa sentenza affidandosi ad otto motivi.

A sua volta l’Agenzia delle Entrate, con atto notificato il 31.03.2015, propone ricorso fondato su due motivi.

Ciascuna parte resiste con controricorso al ricorso dell’altra.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo le ricorrenti principali deducono, ex art. 360, primo comma n. 3, c.p.c. la violazione e falsa applicazione degli artt. 43, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973 e 57 comma 3, d.P.R. n. 633 del 1972 in relazione all’art. 331 c.p.p., non sussistendo i presupposti per il raddoppio dei termini di accertamento a seguito di reato.

In particolare, le ricorrenti osservano che secondo il processo verbale del 21 dicembre 2009 i verificatori avevano effettuato soltanto una segnalazione prudenziale, non essendo in grado di accertare se la T. spa avesse registrato la fattura n. 287/2005, ma non avevano riscontrato elementi oggettivi di reato che determinassero un obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p.; l’assenza di un reato è confermata dal fatto che il giudice d’appello aveva affermato la legittimità della deduzione del costo di euro 500.000,00.

1.1 – Il motivo è infondato. 

In tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e S7, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, nei testi applicabili ratione temporis, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione; come chiarito dalla Corte cost. nella sentenza n. 247 del 2011, in caso di denuncia presentata oltre li ordinari termini di decadenza o addirittura di accertamento compiuto senza denuncia, e sempre al fine di verificare l’uso pretestuoso del raddoppio dei termini,

«il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia a9ito con imparzialità», con la precisazione però che «il correlativo tema di prova – e, quindi, l’oggetto della valutazione da effettuarsi da parte del giudice tributario – è circoscritto al riscontro dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale e non riguarda l’accertamento del reato».

Nel caso di specie la sentenza dà atto che vi era stata una denuncia alla Procura della Repubblica di Pisa in data 21.12.2009, entro il termine stabilito per l’accertamento dagli artt. 43, comma 3, cit. e 57, comma 3, cit..

La denuncia è giustificata da quanto emerso in sede di verifica con riguardo, in particolare, alla fattura n. 287/2005: secondo la trascrizione contenuta nel controricorso dell’Agenzia (v. pag. 5), «l’entità del compenso forfetario, la genericità della descrizione delle prestazioni indicate in fattura e l’eterogeneità delle stesse», avevano indotto i verificatori a censurare l’operazione sotto il profilo della «trasparenza e chiarezza delle prestazioni eseguite e la certezza del costo». Gli elementi indicati potevano far ipotizzare il reato di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 I. n. 74 del 2000, nella versione applicabile ratione temporis.

2.- Con il secondo motivo si deduce, ex art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c. la violazione dell’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972 oltre che del principio di neutralità dell’IVA di cui alla direttiva 2006/112/CE.

Con il terzo motivo le ricorrenti deducono ex art. 360, comma primo n. 5, c.p.c., l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto della discussione tra le parti.

I due motivi, riguardanti il recupero dell’IVA sulle tre fatture di cui all’atto di accertamento n. T8T03T100969/2010 (n. 1/2004 della N.I., n. 3/2004 della S. srl di Pisa e n. 175/2004 della FIMEA Consulting srl), possono essere esaminati congiuntamente in quanto riguardano le medesime questioni.

Sotto i due diversi parametri normativi si invoca il diritto della ricorrente S. alla detrazione clell’IVA sulla base delle fatture indicate, relative a prestazioni rese e per le quali nel 2004 erano stati corrisposti i corrispettivi, non essendovi stata, oltretutto, contestazione di alcuna frode ai fini IVA; secondo i ricorrenti, l’apprezzamento di questi elementi avrebbe dovuto indurre il Giudice d’app1ello a dichiarare l’illegittimità del disconoscimento della detrazione dell’IVA..

2.1 – Il secondo motivo è infondato. 

Deve premettersi, con specifico riguardo all’IVA, che una volta evidenziati dall’Amministrazione finanziaria indizi di non verità della fattura, e, dunque, di non verità dell’operazione stessa o di non inerenza della destinazione del bene o servizio all’utilizzo per operazioni assoggettate ad IVA, spetta all’imprenditore dimostrare che la prestazione del bene o servizio è reale ed inerente all’attività svolta (Cass., n. 22130/2013; Cass., n. 27961/2021).

Seguendo questa impostazione, la CTR ha confermato il recupero a tassazione cogliendo le più evidenti anomalie evidenziate dagli accertatori: i contratti sottostanti alle citate fatture erano scaduti il 31.12.2003 e non erano stati rinnovati, le prestazioni indicate nel contratto di consulenza tra la S. Costruzioni Generali srl. e la S. srl apparivano una sovrapposizione di quelle contenute ne I contratto tra la T. e la S.T.I.C.E.A ..

Le ricorrenti non hanno fornito specifica prova del diritto alla detrazione, limitando le proprie difese ai dati documentali, che, oltretutto, presentano margini di incertezza e aspetti di irregolarità già rilevati dalla sentenza di prime cure (contratti privi di data certa e fatture con generiche indicazioni che non rispettavano l’art. 21 d.P.R. n. 633 del 1972).

2.2 – Le medesime questioni vengono riproposte sotto il paradigma dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. che, nella formulazione introdotta dall’art. 54 del l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legqe 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (C:ass., sez. U, n. 8053/2014; Sez. U, n. 19881/2014; n. 11892/2016).

Il motivo è inammissibile in quanto non riporta un «fatto storico», il cui esame è stato omesso ma censura il «convincimento» che il Giudice di merito si è formato, ex art. 116, comma 1 e 2′., c.p.c., in esito all’esame del materiale probatorio, e tende, in sostanza, a rimettere in discussione la decisione meritale, oltretutto conforme in entrambi i gradi precedenti.

3. – Con il quarto motivo – ex 360, comma primo n. 3, c.p.c.-si deduce la violazione degli artt. 85, 92 e 109 d.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), degli artt. 1, 3, 15, comma 1 n. 3, e 21 d.P.R n. 633/1972, anche in relazione al principio di cui all’art. 2697 cod. civ..

Con il quinto motivo si deduce, ex art. 360 n. 4 cp.p., la nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato in violazione dell’art. 112 c.p.c.

Anche questi motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, riguardando entrambi la fattura n.8/2004, emessa dalla S. Costruzioni Generali srl nei confronti della Viareggio Immobiliare srl per «addebito oneri comunali anticipati in Vs nome e conto» al Comune di Montopoli Val D’Arno.

L’Ufficio, accertato che quei costi erano stati sostenuti in realtà dalla T. e non dalla S. srl, aveva rettificato in diminuzione le rimanenze  finali  di  esercizio  e  aveva  imputato  quella  fattura  a corrispettivi per servizi non meglio precisati resi dalla S. a favore della Viareggio Immobiliare.

La sentenza impugnata ha confermato l’impostazione dell’Ufficio, evidenziando che era stata la T. «a richiedere in data 20.9.2004 l’emissione di assegni circolari per€ 695.424,27 intestati direttamente alla “Tesoreria Comunale Montopoli Val D’Arno” per il pagamento degli oneri di urbanizzazione», assegni consegnati alla S. srl e da questa materialmente consegnati alla Viareggio Immobiliare srl; quindi, conclude la sentenza, la S. srl non aveva sopportato alcun costo.

Con il quarto motivo le ricorrenti deducono che le risultanze istruttorie avrebbero dovuto condurre il giudice a riconoscere che era stata la S. srl a sostenere quel costo e, conseguentemente, a ritenere illegittime sia l’imputazione dell’importo a ricavi sia la riduzione delle rimanenze. Con il quinto motivo lamentano che questi profili avevano costituito motivo d’appello su cui la CTR non sii era pronunciata.

3.1 – Il quarto motivo è inammissibile perché la doglianza si colloca sul piano del giudizio di fatto demandato al giudice di merito, come tale incensurabile in cassazione se immune da vizi logico – giuridici (ex multis Cass., n. 26110/2015).

Oltretutto, gli elementi addotti a sostegno del motivo sono contraddetti dalle motivate risultanze dell’accertamento (trascritte a pagg. 9-11 del controricorso dell’Agenzia).

Le ricorrenti insistono nell’attribuire quel costo alla S.T.I.C. E.A., titolare del contratto d’appalto con la Viareggio Immobiliare srl, che avrebbe ricevuto i fondi necessari dalla capogruppo T. spa in forza di un rapporto di finanziamento risultante nella contabilità delle due società. L’Ufficio, peraltro, aveva motivatamente contestato proprio la correttezza della rappresentazione contabile dell’asserito finanziamento nella contabilità della S.: l’appostazione sul conto «varie di cantiere a soci e/finanziamento per € 695.424,27» era stata ritenuta non conforme ai principi contabili perchè al «finanziamento soci deve corrispondere una contropartita patrimoniale relativa ai conti “banca” o “cassa” a seconda delle modalità di finanziamento».

Ancora, le ricorrenti evidenziano la neutralità dell’operazione perché nel conto economico della S. le rimanenze finali relative a quel cantiere erano state aumentate di importo pari a quei costi ma l’Ufficio ha rilevato una indebita duplicazione di costi: l’operazione complessiva non era  stata <<neutra»  perchè il  pagamento di quegli oneri di urbanizzazione avevano incrementato anche le rimanenze finali della Viareggio Immobiliare srl, l’unico soggetto obbligato a sostenere quei costi: «lo stesso importo degli oneri di urbanizzazione  […] è stato contabilizzato come costo di esercizio nel conto “varie di cantiere” dell’anno 2004 di S.; ha incrementato il valore delle immobilizzazioni materiali della Viareggio Immobiliare; ha incrementato il valore delle rimanenze al 31 dicembre 2004 di STIG:A. ».

3.2 – Il quinto motivo è infondato perché, una volta ritenuta fondata l’impostazione dell’Ufficio, si devono intendere rigettate, anche se non espressamente esaminate, le diverse eccezioni e questioni incompatibili con quella statuizione, senza che ciò costituisca violazione dell’art. 112 c.p.c. (v. Cass., n. 459/2021; Cass., n. 7472/2017; Cass. n. 1539/2018; Cass. n. 24953/2020).

4. – Con il sesto motivo, si deduce -ex art. 360 n. 4 c.p.c.- la nullità della sentenza di appello per violazione dell’art. 36 4 d.lgs. n. 546 del 1992, per non aver la CTR motivato sulle ragioni in base alle quali si sono ritenute applicabili le sanzioni irrogate dall’Ufficio, pur avendo le ricorrenti eccepito la loro illegittimità sin dal primo grado.

Il motivo è infondato perché è sufficientemente chiaro dalla lettura della pronuncia che la sentenza ha confermato le sanzioni irrogate ritenendo che la loro motivazione trovasse fondamento nell’accertamento delle violazioni tributarie. In sostanza, nella misura in cui ha ritenuto legittime le violazioni finanziarie contestate con l’atto di accertamento, la sentenza impugnata ha, parimenti, ritenuto legittime le conseguenti sanzioni che sono state irrogate con l’atto di accertamento.

5. – Con il settimo motivo si deduce ex 360, comma 1, n. 3 c.p.c. la violazione dell’art. 8 d.lgs. n. 546 del 1992 de91i artt. 5 e 6 d.lgs. n. 472 del 1997 e dell’art. 10, comma 3, legge n. 212 del 200, ricorrendo ragioni che avrebbero dovuto escludere l’applicabilità delle sanzioni per insussistenza di colpa. Con riguardo al recupero IVA, sulle tre fatture relative a prestazioni di consulenza, i ricorrenti evidenziano che vi era stata una regolare tenuta della contabilità e che non sussiste un obbligo di registrazione delle scritture private prive di data certa; con riguardo al riaddebito di costi relativi alla Viareggio Immobiliare, adducono un legittimo affidamento sull’applicazione dell’art. 15, n. 3 d.P.R. n. 633 del 1972.

La doglianza è inammissibile, presentando profili di novità rispetto alla questione sollevata davanti al Giudice d’appello, secondo quanto risulta dalla sentenza, e comunque è infondata.

Va premesso che in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 5, applicando alla materia fiscale il principio sancito in generale dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 3, stabilisce che non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, essendo richiesta anche la consapevolezza del contribuente, cui deve potersi rimproverare di aver tenuto un comportamento, se non necessariamente doloso, quantomeno negligente. Questo può consistere ancl7e nella inosservanza di norme tributarie ed è sufficiente, quindi, la coscienza e della volontà, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa (o di un intento fraudolento), atteso che la norma pone una presunzione di colpa per l’atto vietato a carico di chi lo abbia commesso, lasciando a costui l’onere di provare di aver agito senza colpa (Cass. 22890/2006; 13068/2011; 4171/09; n. 2139/2020).

Nel caso in esame, in cui le sanzioni trovano la loro motivazione nei fatti contestati e accertati dalla sentenza, gli elementi indicati dalle ricorrenti che dovrebbero escludere la colpa non hanno alcun rilievo, a tacere del fatto che sono state rilevate comunque irregolarità contabili (si osservi il contenuto generico delle fatture in violazione dell’art. 21 d.P.R. n. 633 del 1972, la violazione dei principi contabili con riguardo all’operazione relativa alla Viareggio Immobiliare).

6. Con l’ottavo motivo si deduce, ex 360, comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 7, comma 4, d.lgs. n. 472/1997, richiamando le medesime ragioni addotte nel precedente motivo di impugnazione che avrebbero dovuto giustificare la riduzione delle sanzioni al minimo edittale.

La doglianza è inammissibile poichè attiene al concreto giudizio meritale sulla insussistenza delle condizioni richieste da tale disposizione legislativa (prima della modifica di cui all’art. 16, comma 1, lett. c), n. 2, D.Lgs.158/2015, con decorrenza dal l gennaio 2016).

7. – Con il ricorso incidentale l’Agenzia delle Entrate propone, invece, due motivi.

Con il primo motivo l’Agenza delle Entrate deduce, ex art. 360, comma 1 n. 3, c.p.p. la violazione di legige con riferimento all’art. 2704 c.c.,art. 109 d.P.R. n. 917 del 1986 e 21. d.P.R. n. 633 del 1972.

Con il secondo motivo deduce l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c ..

7.1 – E’ fondato il primo motivo, con cui l’Agenzia lamenta in sostanza il rispetto delle regole probatorie che governano l’accertamento dei costi deducibili, osservando che i giudici d’appello avevano trascurato gli elementi presuntivi evidenziati dal pvc, per dare rilevanza al contratto privo di data certa utilizzando argomenti illogici e contraddittori.

E’ bene premettere che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, «la prova del diritto alla deduzione di costi è a carico del contribuente e ciò sia con riferimento al criterio che chi afferma un fatto costitutivo di un diritto lo deve provare e sia con riferimento al criterio di vicinanza della prova» (Cass. n. 13943/2011; Cass. n. 4554/2010). Pertanto, «ove il contribuente assolva l’onere, a suo carico, di provare il fatto costitutivo del diritto alla deduzione dei costi o alla detrazione dell’IVA mediante la produzione delle fatture, l’Amministrazione finanziaria ne può dimostrare l’inattendibilità anche mediante presunzioni, sicché il giudice di merito deve prendere in considerazione il complessivo quadro probatorio al fine di verificare l’esistenza o meno delle operazioni fatturate, ivi compresi i fatti secondari indicati>> (Cass. n. 9958/2008; Cass. n. 219 ,3/2007; Cass. n. 2935/2015 Cass. n. 26802/2020).

Appare opportuno, inoltre, richiamare l’ulteriore principio di diritto riveniente dalla giurisprudenza di questa Corte secondo cui «in tema di prova per presunzioni, il giudice, posto che deve esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento» (Cass. n. 9108/2012).

Nel caso di specie, la CTR ha trascurato gran parte di elementi evidenziati dall’Ufficio per concentrarsi sulla scrittura privata 29.4.2003, peraltro priva di data certa, senza neppure valutare gli aspetti intrinseci di quell’atto, evidenziati nel pvc, che dovevano indurre  quantomeno a valutare con estrema attenzione l’idoneità probatoria dii quel documento. Dalla trascrizione del pvc contenuta nel ricorso incidentale (v. pagg. 4-5) emerge che l’Ufficio non aveva contestato soltanto la mancanza di data certa della scrittura, aveva rilevato anche la genericità delle indicazioni contenute nella fattura quanto alle prestazioni («controllo di gestione, analisi di sviluppo impresa – consulenza fiscale, supporto per la gestione dei crediti, trattazione con gli istituti bancari, consulenza per le registrazioni contabili – consulenza tributaria, assistenza legale, preparazione  documentazione,  consultazioni  generali  valutazione

controllo di potenziali acquirenti»), l’eterogeneità delle stesse, l’inutilità di alcune di esse in relazione all’oggetto sociale e ali concreto modus operandi della S. (era risultato, infatti, che la società non aveva nè beni strumentali propri nè dipendenti, non aveva mai svolto direttamente attività di costruzione e in teoria doveva occuparsi solo della gestione degli appalti e subappalti del Gruppo facente capo alla T. spa titolare del 95% del capitale sociale della S. ).

A ciò si aggiungeva la carenza di sufficiente documentazione rappresentata soltanto dalla scrittura privata denominata «Accordi per la ripartizione dei costi» in cui era previsto il compenso forfettario di euro 500.000,00 per una serie di prestazioni, indicate ancora una volta in maniera generica  («consulenza  fiscale», «controllo di gestione», «consulenza tributa ria», «messa a disposizione della struttura») e senza precise indicazioni sui criteri di ripartizione delle prestazioni contenute nell’accordo; con riguardo in particolare a quell’ultima prestazione, non veniva specificato  nè quali  res erano messe  a disposizione  nè  <<per quanto tempo e in che misura».

La sentenza impugnata ha del tutto trascurato questi elementi, erroneamente motivando che «quanto dedotto dall’Ufficio è peraltro sfornito di prova e si fonda su considerazioni generiche che contrastano con le risultanze di cui al contratto .. ». E’ caduta, poi, in una palese contraddizione laddove riconosce la mancanza di data certa del contratto ma contemporaneamente osserva che l’atto «appare effettivamente stipulato nella data indicata», motivando con mere congetture che non si fondano su fatti certi («..la stessa [data] è di poco successiva alla costituzione della S. ed è giustificata dal fatto che la società, anzichè formare una propria struttura interna, ha preferito avvalersi della T., che era una società già costituita e conosciuta»). Infine, la sentenza offre una motivazione illogica ed apodittica quando ritiene di superare la contestazione di incertezza e non determinabilità del costo osservando che «la T. costituì la S. appena si concretizzò la possibilità di acquisire appalti per la realizzazione di complessi immobiliari al fine di imputare alla nuova società tutti i diritti e le obbligazioni connesse alla realizzazione dei complessi immobiliari.. », senza spiegare come le finalità per cui la società fu costuita rendano certi e determinabili quei costi.

7.2 – Accolto il primo motivo, il secondo motivo risulta assorbito. 

8.- La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio al giudice a quo per nuovo esame che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte

rigetta il ricorso principale;

accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in rela:zione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio;

ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte delle ricorrenti principali dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13 se dovuto.