Corte di Cassazione sentenza n. 23984 depositata il 2 agosto 2022
plusvalenza – determinazione e tassazione
– Rilevato che:
1. L’Agenzia delle Entrate, in data 16 dicembre 2009, notificava a Patrizi David, De Marchis Luciana, Patrizi Attilio ed alla società Gruppo PAC di D.P. & C. s.a.s. gli avvisi di accertamento nn. RCG010802541/2009, RCE020601389/2009, RCE010601439/2009 ed RCE010601442/2009, relativi ad IRPEF 2004 e riguardanti un maggior reddito da plusvalenza da cessione di azienda, dichiarata nel mod. Unico 2005 (redditi 2004) in € 19.500,00 e rideterminata in € 203.585,00, con maggior reddito di € 184.085,00 e relative sanzioni.
2. Proposta impugnazione dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma questa, con sentenza n. 206/1/2012, rigettava i ricorsi, ritenendo legittimo il comportamento dell’Ufficio e condannando i ricorrenti alla rifusione delle spese di lite.
3. Proposto gravame dai contribuenti dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio – sede di Roma questa, con sentenza n. 401/29/2014, pronunciata il 15 gennaio 2014 e depositata in segreteria il 28 gennaio 2014, rigettava l’appello, compensando tra le parti le spese del giudizio.
4. Avverso tale ultima sentenza hanno proposto ricorso per cassazione Patrizi David, De Marchis Luciana, Patrizi Attilio e la Gruppo PAC di D.P. & C. s.a.s, sulla base di due motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
Con ordinanza del 9 marzo 2021 la Corte, rilevato che i ricorrenti avevano informato che la società Gruppo PAC s.a.s. aveva presentato istanza di adesione alla definizione agevolata ai sensi dell’art. 6 del d.l. 22 ottobre 2016, n. 193, conv. in l. 1° dicembre 2016, n. 225 (domanda accettata dal concessionario per la riscossione), ha assegnato il termine di gg. 60 per la notificazione di tale istanza e della documentazione ad essa allegata all’Agenzia delle Entrate
5. La discussione del ricorso è stata quindi nuovamente fissata per la camera di consiglio del 20 maggio 2022, ai sensi degli artt. 375, secondo comma, e 380-bis.1 proc. civ., come introdotti dal d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.
Considerato che:
6. Preliminarmente, deve rilevarsi che le istanze di definizione agevolata presentate da Gruppo Pac di D.P. & C. s.a.s, De Marchis Luciana e Patrizi David riguardano delle cartelle di pagamento, che tuttavia non sono state depositate e per le quali, quindi, non è possibile verificare se trattasi effettivamente del credito riveniente dagli avvisi di accertamento impugnati.
La stessa Agenzia delle Entrate, peraltro, con nota depositata il 18 maggio 2022, ha comunicato che le cartelle di pagamento in questione riguardano solo una parte della pretesa tributaria contestata con gli atti impositivi impugnati, senza tuttavia ulteriori specificazioni.
Appare necessario, quindi, procedere all’esame del merito del ricorso.
7. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione “di norme di diritto”, in relazione all’art. 360, primo comma, 3), cod. proc. civ., nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360, primo comma, num. 5), cod. proc. civ.
Rilevano, in particolare, i ricorrenti che nella sentenza impugnata non era stato dato rilievo al fatto che il valore indicato nel contratto di vendita faceva riferimento alla cessione dell’attività svolta all’interno di un singolo box di mq. 30, nel mentre la società contribuente continuava a svolgere la propria attività commerciale in altro box di sua proprietà, e che pertanto il valore attribuito alla cessione in questione era assolutamente sproporzionato ed irragionevole.
Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti hanno eccepito violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., in quanto il valore di vendita del bene era congruo, e l’Ufficio non aveva provato l’effettiva sussistenza della plusvalenza accertata, non avendo, peraltro, adeguatamente motivato l’avviso di accertamento.
7. Entrambi i motivi possono essere esaminati congiuntamente, e sono fondati nei termini che si indicheranno.
Ed invero, l’Ufficio ha imputato a maggior reddito la plusvalenza da cessione di azienda. Tuttavia, in base allo ius superveniens di cui all’art. 5, comma 3, d.lgs. 14 settembre 2015, n. 147, «il testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e il d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 5, 5-bis, 6 e 7, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 347».
La giurisprudenza di legittimità ha in proposito fissato il principio di diritto – che il Collegio ribadisce ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., condividendo le ragioni sviluppate nei pertinenti arresti – secondo il quale: «in tema di imposte sui redditi, la norma di interpretazione autentica di cui al d.lgs. n. 147 del 2015, art. 5, comma 3, avente efficacia retroattiva, esclude che l’Amministrazione finanziaria possa determinare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata dalla cessione di immobili e di aziende solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria o catastale, dovendo l’Ufficio individuare ulteriori indizi, gravi, precisi e concordanti, che supportino l’accertamento del maggior corrispettivo rispetto a quanto dichiarato dal contribuente, su cui grava la prova contraria» (Cass. 6 febbraio 2020, n. 2816; Cass. 8 maggio 2019, n. 12131; Cass. 1° ottobre 2018, n. 23719), in quanto «la base imponibile ai fini IRPEF è data non già dal valore del bene, ma dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo» (Cass. 2 agosto 2017, n. 19227; Cass. 18 aprile 2018, n. 9513; Cass. 17 maggio 2017, n. 12265; Cass. 6 giugno 2016, n. 11543).
In definitiva, quindi, in assenza, nel caso di specie, di indizi gravi, precisi e concordanti che giustifichino l’accertamento di un maggior corrispettivo rispetto a quello dichiarato (elemento sul quale non vi alcuna evidenza in atti), la sentenza impugnata va cassata, con accoglimento nel merito del ricorso proposto in primo grado.
Sussistono giustificati motivi per la compensazione integrale tra le parti delle spese di tutti i gradi di giudizio, in considerazione della rilevanza dello ius superveniens ai fini della decisione della controversia.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso proposto in primo grado da Patrizi David, De Marchis Luciana, Patrizi Attilio e dalla società Gruppo PAC di D.P. & C. s.a.s. e, per l’effetto, annulla gli avvisi di accertamento impugnati.
Compensa integralmente tra le parti le spese di tutti i gradi di giudizio.
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