Corte di Cassazione sentenza n. 24243 depositata il 29 novembre 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO AUTONOMO – ORDINE DEI GIORNALISTI – SANZIONE – DIVIETO DI EMETTERE DECISIONI A SORPRESA
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Roma, con ordinanza ex art. 702 ter cpc depositata il 22.11.2013, rigettò il ricorso di E.C., Direttore Responsabile del “C.L.” contro la decisione del 14.5.2013 con cui il Consiglio Nazionale di Disciplina dell’Ordine dei Giornalisti gli aveva inflitto la sanzione della sospensione dall’Albo per la durata di un anno.
Questa decisione è stata confermata dalla Corte d’Appello di Roma che, con sentenza 14.9.2015, ha rigettato il gravame proposto dal C. rilevando:
– che il principio del contraddittorio e il diritto di difesa non erano stati violati;
– che non si era verificato nessun ampliamento della contestazione, essendo state accertate solo circostanze nuove e ulteriori;
– che i testi escussi avevano confermato l’omessa corresponsione della retribuzione;
– che la tesi della irresponsabilità dell’incolpato doveva ritenersi infondata perché lo stesso aveva certificato una regolare corresponsione di retribuzione pur nella consapevolezza della gratuità della stessa;
– che non erano state applicate aggravanti non previste.
Il C. propone ricorso per cassazione con sette motivi a cui resiste con controricorso il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti.
Motivi della decisione
1.1 Col primo motivo il ricorrente denunzia la violazione degli artt. 111 e 24 Cost., 56 legge 69/1963. Violazione del diritto al contraddittorio e di difesa. Sostiene che, pur avendo eletto domicilio presso la redazione del giornale da lui diretto, si imponeva l’avviso della convocazione davanti al Consiglio Nazionale anche al difensore. Inoltre si duole della mancata informazione in ordine alle audizioni dei testimoni e quindi in ordine alla formazione della prova. Precisa che l’assenza del difensore fu determinata dal mancato avviso, mentre quella dell’incolpato dipendeva da ragioni di salute.
La censura è priva di fondamento perché si scontra con il principio affermato dalle sezioni unite che invece ritiene pienamente sufficiente l’invio delle comunicazioni presso il domicilio eletto (v. Sez. U, Sentenza n. 22889 del 07/12/2004 Rv. 578245 in tema di procedimento disciplinare a carico degli avvocati, ma il principio è di portata generale e dunque sicuramente applicabile anche nel procedimento disciplinare in questione).
1.2 Con un secondo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 111 Cost., 345 e 346 cpc perché vi sarebbe stato un ampliamento della contestazione davanti al Consiglio Nazionale di Disciplina: sostiene che perché durante le nuove audizioni di testi, questi sarebbero stati sentiti su circostanze irrilevanti, ma non sulla avvenuta retribuzione del collaboratore P. (il cui esposto sarebbe stato alla base dell’ incolpazione), ciò, ad avviso del ricorrente, avrebbe comportato un mutamento dei fatti rispetto all’imputazione.
1.3 Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2702 cc osservando che le dichiarazioni dei testi non riguardavano la posizione del giornalista P. e comunque erano smentite dalle quietanze, firmate dallo stesso P., circa la corresponsione della retribuzione.
1.4 Con quarto motivo sì deduce la violazione degli artt. 111, 24, 25 e 27 Cost. nonché 3 della legge n. 63/1969: la mancata retribuzione del P. – si dice – sarebbe stata addebitata al Direttore del giornale al di fuori di ogni previsione di legge, gravando invece il relativo obbligo sull’editore (la società E.). Si precisa che il Direttore si era limitato a certificare l’avvenuta retribuzione prendendo come riferimento le quietanze firmate e dunque non poteva ritenersi consapevole della gratuità delle prestazioni. Ricorda il ricorrente che la responsabilità del giornalista implica la violazione dei doveri propri di tale categoria e pertanto si ritiene destinatario di una sanzione a titolo di responsabilità oggettiva in violazione dei principi di legalità e tipicità degli illeciti oltre che della responsabilità personale.
1.5 Col quinto motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 25 e 111 Cost. nonché dell’art. 33 della legge n. 63/1969: a dire del C., il Consiglio Nazionale gli avrebbe applicato addirittura una aggravante mai contestata.
1.6 Con un sesto motivo dì ricorso si deduce la violazione degli artt. 111 Cost. e 35 della legge n. 69/1963: essendo state accolte molte delle eccezioni sollevate, il Consiglio Nazionale avrebbe dovuto conseguentemente ridurre la sanzione.
1.7 Con il settimo e ultimo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cpc l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (il mutamento dell’incolpazione avvenuto più volte nel corso del procedimento disciplinare e amministrativo): secondo il ricorrente, la Corte d’Appello non ha preso in esame la censura con cui si deduceva che la contestazione iniziale riguardava l’omessa retribuzione al collaboratore S.P., mentre ha affermato la responsabilità per avere certificato prestazioni di lavoro come regolarmente retribuite.
2. Quest’ultimo motivo di ricorso è fondato.
In tema di giudizi disciplinari contro avvocati, le sezioni unite hanno affermato che pure nella fase amministrativa dinanzi al Consiglio locale dell’Ordine, vige, come naturale corollario del principio del contraddittorio e della garanzia del diritto di difesa, il divieto di emettere decisioni a sorpresa, sicché non è consentito porre a base della decisione con cui si dichiari la responsabilità disciplinare dell’avvocato un’ipotesi di illecito disciplinare diversa da quella originariamente contestata con il decreto di citazione dinanzi al Consiglio dell’Ordine, e senza che, in relazione alla nuova ipotesi di illecito, vi sia stata, per l’incolpato, la possibilità di svolgere alcuna attività difensiva (v. Sez. U, Sentenza n. 2197 del 04/02/2005 Rv. 578974).
Analogo principio è stato riaffermato, sempre dalle sezioni unite, in materia di responsabilità disciplinare dei magistrati (Sez. U, Sentenza n. 10604 del 20/05/2005 Rv. 583244).
Ritiene il Collegio che tale regola, espressione di un principio generale a tutela del contraddittorio e del diritto di difesa, debba valere logicamente anche nel caso di specie.
Ebbene, sulla scorta del citato principio, appare evidente che nel caso in esame costituiva un fatto decisivo lo stabilire se nel corso del procedimento amministrativo davanti all’Organo di disciplina e, poi nella successiva fase giurisdizionale, vi fosse stato un mutamento dell’incolpazione, posto che il quarto motivo di appello (riportato sufficientemente nel ricorso per cassazione a pagg. 10 e ss.) mirava proprio a censurare la pronuncia del Tribunale laddove aveva ravvisato la responsabilità dell’incolpato per avere “certificato la retribuzione come retribuita regolarmente”, mentre in precedenza il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti aveva confermato la sanzione “per avere l’incolpato omesso di retribuire nei modi dovuti la collaborazione di S.P.”, a fronte di una contestazione iniziale per “non avere mai corrisposto” ai tre aspiranti giornalisti “i compensi per le collaborazioni giornalistiche prestate a favore del C.L.. Il tutto in violazione della Carta di Firenze e dell’art. 2 della citata legge” (la legge sull’ordinamento della professione di giornalista).
Su tale rilevante questione la Corte d’Appello non ha dato una risposta perché a pag. 3 ha valutato solo “le nuove audizioni”, ma non – come le si richiedeva – le conclusioni che da esse ne avevano tratto l’Organo di disciplina prima e il Tribunale di Roma poi.
Piuttosto, va rilevato che la Corte di Appello si è espressa in maniera contraddittoria perché in un passaggio della motivazione ha affermato che “le nuove audizioni hanno, invero, ad oggetto lo stesso fatto, ovvero il necessario accertamento dei fatti esposti da S.P., confermando la omessa retribuzione, nonostante le firme apposte alle quietanze”, mentre in un successivo passaggio – nel rispondere alla censura sulla individuazione dell’obbligato alla retribuzione – ritiene infondata la tesi della irresponsabilità del C., per avere costui “certificato la prestazione di lavoro come retribuita regolarmente pur nella consapevolezza della gratuità delle collaborazioni confermata dalle risultanze testimoniali” (v. pag. 4).
Insomma, non è affatto chiaro se, ad avviso della Corte d’Appello, il C. sia stato ritenuto responsabile per l’unico fatto formalmente enunciato nella lettera di contestazione, cioè il mero inadempimento di una obbligazione pecuniaria (omesso pagamento dei compensi per le collaborazioni giornalistiche prestate dal P. e dagli altri soggetti indicati nella contestazione) oppure per avere rilasciato una certificazione dal contenuto non veritiero.
Sussiste pertanto il vizio motivazionale denunziato e la sentenza deve essere cassata per nuovo esame da parte di altra sezione della d’Appello di Roma che, sulla scorta dei principi di diritto sopra esposti, si pronuncerà sul dedotto mutamento dell’incolpazione, provvedendo altresì sulle spese di questo grado di giudizio.
Resta logicamente assorbito l’esame delle altre censure.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il settimo e dichiara assorbiti i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese, ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma.
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