Corte di Cassazione sentenza n. 24471 depositata il 9 agosto 2022
deducibilità del compenso amministratore subordinato alla esplicita approvazione dell’assemblea anche in quella di approvazione del bilancio – la motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche “per relationem” – operazioni soggettivamente inesistenti deducibilità dei costi ed indeducibilità IVA – esclusione dalla tassazione dei ricavi da operazioni oggettivamente inesistenti
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza 6257/18/16 del 01/07/2016 la Commissione tributaria regionale della Campania (di seguito CTR) ha accolto l’appello proposto da Alfonso Cappuccio s.r.l. (di seguito AC) avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli (di seguito CTP) n. 30863/13/14, la quale aveva respinto il ricorso della società contribuente nei confronti di un avviso di accertamento per IRES, IRAP e IVA relative all’anno d’imposta 2010.
1.1 Come si evince anche dalla sentenza della CTR, l’avviso di accertamento era stato emesso in ragione di plurime riprese, concernenti l’indeducibilità di alcuni costi, la sussistenza di ricavi non dichiarati e l’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti.
1.2 La CTR, in accoglimento dell’appello di AC, evidenziava che: a) l’avviso di accertamento non era stato correttamente motivato in quanto «il rinvio per relationem alla motivazione di altro atto redatto nei confronti di soggetti terzi richiede che l’atto richiamato sia o conosciuto dal destinatario o allegato all’avviso, ovvero che il suo contenuto sia riportato nell’avviso notificato» e, nel caso di specie, «tali circostanze non sono state assolutamente rispettate»; b) con riferimento alla contestazione della indeducibilità del compenso dell’amministratore, AC aveva provato la sussistenza di specifica delibera di approvazione di detto compenso; c) con riferimento alle riprese concernenti l’utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, non era provato che i soggetti interposti fossero effettivamente delle cartiere e che, tenuto conto di quanto dedotto dalla società contribuente, le transazioni rappresentate da dette fatture erano reali, con conseguente illegittimità dell’accertamento svolto; d) del resto, non spettava alla società contribuente provare l’effettività dell’operazione, ma era l’Amministrazione finanziaria a dover provare che l’operazione rappresentata dalla fattura fosse fittizia, tenendo anche conto del fatto che la buona fede di AC era stata accertata in sede penale.
2. Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
3. AC resisteva con controricorso e depositava memoria ex 380 bis.1 cod. proc. civ.
4. All’udienza camerale del 12 luglio 2021 la causa veniva rinviata a nuovo ruolo in ragione del fatto che la controversia non era decidibile ai sensi dell’art. 375, secondo comma, cod. proc. civ.
5. L’Agenzia delle entrate depositava memoria ex 378 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della l. 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente affermato che l’avviso di accertamento non è stato correttamente motivato per relationem in ragione della mancata allegazione di atti richiamati e concernenti soggetti terzi.
1.1 Il motivo è fondato.
1.2 Secondo la giurisprudenza di questa Corte, «nel regime introdotto dall’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche “per relationem”, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, cioè l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento» (Cass. n. 1906 del 29/01/2008; n. 28058 del 30/12/2009; Cass. n. 6914 del 25/03/2011; Cass. n. 13110 del 25/07/2012; Cass. n. 9032 del 15/04/2013; Cass. n. 9323 del 11/04/2017; si veda anche Cass. n. 21066 del 11/09/2017).
1.2.1 Pertanto, la riproduzione del contenuto essenziale dell’atto richiamato dall’avviso di accertamento non si realizza necessariamente, con la pedissequa trascrizione delle sue parti rilevanti nel contesto dell’atto impositivo, ma anche con la semplice indicazione, in forma riassuntiva, del suo contenuto essenziale, per come apprezzato e valutato dall’Amministrazione finanziaria e, quindi, posto a sostegno della pretesa impositiva.
1.2.2 Ne consegue che l’obbligo di allegazione riguarda i soli atti che non siano stati riprodotti nella loro parte essenziale nell’avviso di accertamento, con esclusione, altresì: a) di quelli cui l’Ufficio abbia fatto comunque riferimento, i quali, pur essendo considerati irrilevanti ai fini della motivazione, sono comunque utilizzabili per la prova della pretesa impositiva (Cass. n. 24417 del 05/10/2018); b) di quelli di cui il contribuente abbia già integrale o legale conoscenza (Cass. 9323 del 2017, cit.; Cass. n. 407 del 14/01/2015; Cass. n. 18073 del 02/07/2008), tra i quali rientrano certamente anche quelli comunicati al contribuente poi fallito, dovendosi presumere la conoscenza degli stessi da parte del curatore (Cass. n. 24254 del 27/11/2015; Cass. n. 20166 del 07/10/2016; Cass. n. 27628 del 30/10/2018).
1.3 Nel caso di specie, da quanto emerge dalla trascrizione del motivo di ricorso originario di AC, si evince che la motivazione dell’avviso di accertamento contiene tutte le indicazioni necessarie alla compiuta difesa della società contribuente, essendo stati correttamente riportati gli elementi rilevanti degli atti riguardanti i
1.4 Ne consegue che l’atto è legittimo sotto il profilo motivazionale e che la questione della mancata allegazione di tali atti attiene esclusivamente (ed eventualmente) alla prova in giudizio delle affermazioni effettuate dall’Amministrazione finanziaria in sede di avviso di accertamento.
2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 109 del P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi – TUIR) e dell’art. 2389 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR confermato la deducibilità del compenso dell’amministratore della società contribuente, Roberto Cappuccio.
2.1 Il motivo è fondato.
2.2 Va evidenziato che la giurisprudenza di questa Corte ha sempre ritenuto che, qualora il compenso dell’amministratore non sia stabilito nello statuto, è necessaria una esplicita delibera assembleare per la sua determinazione, delibera che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio (Cass. S.U. n. 21933 del 29/08/2008; Cass. n. 20265 del 04/09/2013).
2.3 Le affermazioni di Cass. n. 21953 del 28/10/2015, richiamata dalla difesa di AC, e involgenti la non necessità, con riferimento alle società a responsabilità limitata, della delibera assembleare specifica a seguito della riforma delle società di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 (e ciò in ragion del mancato richiamo normativo e per la differenza strutturale tra società per azioni e società a responsabilità limitata, non essendo nella prima i soci coinvolti istituzionalmente nella gestione della società) costituiscono un obiter dictum, perché la sentenza si pronuncia su di una fattispecie anteriore alla menzionata riforma, ponendosi nel solco dell’indirizzo sopra menzionato.
2.3.1 Non sembra prendere posizione sugli effetti della riforma Cass. n. 8210 del 30/03/2017, che pure riguarda una fattispecie posteriore alla stessa, ribadendo la tesi tradizionale per la quale v’è necessità di una specifica delibera assembleare. Nello stesso senso si esprimono altri arresti più recenti (Cass. n. 10308 del 20/04/2021 e Cass. n. 5763 del 03/03/2021), anche se in fattispecie riguardanti società per azioni e non società a responsabilità limitata.
2.4 Il collegio – pur ponendosi in continuità con l’orientamento tradizionale – ritiene, peraltro, di dovere condividere la soluzione più articolata accolta da Cass. n. 28668 del 09/11/2018, che, riprendendo la motivazione di Cass. S.U. n. 21933 del 2008, , ha ritenuto indeducibili i compensi corrisposti nel 2004 in favore degli amministratori per difetto di una preventiva delibera da parte dell’assemblea dei soci, non essendo stata ritenuta sufficiente una successiva ratifica contenuta nella delibera di approvazione del bilancio.
2.4.1 Così si esprime la menzionata sentenza «la Corte territoriale si è attenuta al consolidato principio, affermato da Cass. Sez. , 29.8.2008, n. 21933, Rv. 604262-01, per cui, con riferimento alla determinazione della misura del compenso degli amministratori di società di capitali, ai sensi dell’art. 2389, comma 1, cod. civ. qualora non sia stabilita nello statuto, è necessaria una esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio, attesa: (a) la natura imperativa e inderogabile della previsione normativa, discendente dall’essere la disciplina del funzionamento delle società dettata, anche, nell’interesse pubblico al regolare svolgimento dell’attività economica, oltre che dalla previsione come delitto della percezione di compensi non previamente deliberati dall’assemblea (art. 2630, comma 2, cod. civ., abrogato dall’art. 1 del d.lgs. n. 61 del 2002); (b) la distinta previsione delle delibera di approvazione del bilancio e di quella di determinazione dei compensi (art. 2364, n. 1 e 3, cod. civ); (c) la mancata liberazione degli amministratori dalla responsabilità di gestione, nel caso di approvazione del bilancio (art. 2434 cod. civ.); (d) il diretto contrasto delle delibere tacite ed implicite con le regole di formazione della volontà della società (art. 2393, comma 2, cod. civ.). Conseguentemente, l’approvazione del bilancio contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori non è idonea a configurare la specifica delibera richiesta dall’art. 2389 cit., salvo che un’assemblea convocata solo per l’approvazione del bilancio, essendo totalitaria, non abbia espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori (…).
Orbene, tale principio, affermato con riferimento alla formulazione della norma nel testo anteriore alle modifiche di cui al d.lgs. n. 6 del 2003, appare applicabile anche al caso di specie, avendo nella medesima occasione le Sezioni Unite chiarito che le modifiche, apportate dal d.lgs. n. 6, cit. non sono decisive per avallare una diversa interpretazione della disposizione: né risulta – e sotto tale profilo il ricorso difetta di specificità (cfr. l’art. 366, n. 6, cod. proc. civ.), per non essere stato trascritto il verbale dell’assemblea che avrebbe proceduto alla detta “ratifica”, che l’assemblea convocata solo per l’approvazione del bilancio abbia “espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori”».
2.4.2 Pertanto, il difetto di specifica delibera dell’assemblea in ordine alla determinazione del compenso degli amministratori può essere effettivamente sanato in sede di delibera di approvazione del bilancio, ma solo se detta delibera abbia espressamente approvato la relativa voce, non essendo sufficiente la semplice approvazione del bilancio contenente detta voce.
2.5 Nel caso di specie, la CTR ha accertato che la delibera assembleare ha semplicemente approvato un bilancio che contiene anche la voce relativa alla determinazione del compenso dell’amministratore, senza nulla chiarire in ordine ad una specifica approvazione della menzionata voce.
2.5.1 La delibera di approvazione del bilancio non è, dunque, sufficiente a sanare il difetto di specifica deliberazione sul compenso dell’amministratore.
3. Con il terzo motivo di ricorso si contesta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 116 cod. proc. civ., degli artt. 2697 e 2727 cod. civ. e degli artt. 19 e 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente attribuito rilevanza agli esiti del processo penale e palesemente violato le regole di ripartizione dell’onere della prova in materia di operazioni inesistenti.
3.1 Con il quarto motivo di ricorso si contesta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di fatti decisivi che hanno costituito oggetto di discussione tra le parti con riferimento alla natura di cartiere delle società derivanti da Clana Industriale s.r.l., Render Italia s.r.l. e Medi s.r.l., con conseguente qualificazione di inesistenza sia degli acquisti effettuate da queste ultime che delle vendite effettuate ad altre società, avendo svolto AC il ruolo di intermediario fittizio.
4. I due motivi, che possono essere unitariamente considerati, sono fondati nei termini di cui appresso si dirà.
4.1 Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini della detrazione dell’IVA, «l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta; la prova della consapevolezza dell’evasione richiede che l’Amministrazione finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente; incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi» (così Cass. n. 9851 del 20/04/2018, alla cui motivazione integralmente si rimanda; , tra le tante, Cass. n. 11873 del 15/05/2018; Cass. n. 17619 del 05/07/2018; Cass. n. 21104 del 24/08/2018; Cass. n. 27555 del 30/10/2018; Cass. n. 27566 del 30/10/2018; Cass. n. 5873 del 28/02/2019; Cass. n. 15369 del 20/07/2020).
4.1.1 Non è, invece, mai detraibile l’IVA afferente ad operazioni oggettivamente inesistenti, con riferimento alle quali l’Amministrazione finanziaria «ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, ma non anche quello di dimostrare la mala fede del contribuente, atteso che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede di quest’ultimo, che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo» (Cass. n. 28628 del 18/10/2021; conf. Cass. n. 18118 del 14/09/2016).
4.1.2 Grava, invece, sul contribuente l’onere di provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo (anche in questo caso) tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. n. 28628 del 2021, ).
4.2 La deducibilità dei costi va, invece, verificata alla luce dell’art. 8 del l. 2 marzo 2012, n. 16, conv. con modif. nella l. 26 aprile 2012, n. 44.
4.2.1 Il comma 1 della menzionata disposizione ha sostituito l’art. 14, comma 4 bis, della l. n. 537 del 1993, nel modo che segue: «Nella determinazione dei redditi di cui all’art. 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 424 cod. proc. pen., ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 del citato codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’art. 157 cod. pen.. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell’art. 530 cod. proc. pen., ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 c.p.p., fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla causa di estinzione indicata nel periodo precedente, ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell’art. 529 cod. pen., compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi».
4.2.2 L’art. 8, comma 2, del d.l. n. 16 del 2012 prevede, altresì, che «ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi», applicandosi in tal caso solo una sanzione amministrativa.
4.2.3 Tenuto conto del disposto del comma 3 – per il quale le disposizioni di cui al citato comma 1 «si applicano, in luogo di quanto disposto dalla L. 24 dicembre 1993, n.537, art. 14, comma 4-bis, previgente, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell’entrata in vigore» dello stesso comma 1, «ove più favorevoli, tenuto conto anche degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute, salvo che i provvedimenti emessi in base al citato comma 4-bis previgente non si siano resi definitivi» – appare evidente che le innovazioni sopra richiamate hanno portata retroattiva e sono applicabili d’ufficio (cfr. Cass. n. 7896 del 20/04/2016; Cass. n. 22430 del 19/12/2014 e la giurisprudenza ivi richiamata).
4.2.4 Le disposizioni in parola trovano applicazione nel caso di operazioni sia soggettivamente sia oggettivamente inesistenti.
4.2.5 Nel primo caso, questa Corte ha già avuto occasione di rilevare, anche sulla scorta della relazione al disegno di legge di conversione del d.l. n. 16 del 2012, che, poiché nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti i beni acquistati – di regola (e salvo il caso, ad esempio, in cui il “costo” sia consistito nel “compenso” versato all’emittente il falso documento) – non sono stati utilizzati direttamente per commettere il reato ma, nella maggior parte dei casi, per essere commercializzati, non è più sufficiente il coinvolgimento, anche consapevole, dell’acquirente in operazioni fatturate da soggetto diverso dall’effettivo venditore perché non siano deducibili, ai fini delle imposte sui redditi, i costi relativi a dette operazioni; ferma restando, tuttavia, la verifica della concreta deducibilità dei costi stessi in relazione ai requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (cfr. Cass. n. 10167 del 20/06/2012; n. 24426 del 30/10/2013; Cass. n. 26461 del 17/12/2014; Cass. n. 25249 del 07/12/2016; Cass. n. 27566 del 2018, cit.; Cass. n. 32587 del 12/12/2019; Cass. n. 4645 del 21/02/2020).
4.2.6 Con riguardo alle operazioni oggettivamente inesistenti grava sul contribuente l’onere di provare la fittizietà di componenti positivi che, ai sensi dell’art. 8, comma 2, del d.l. n. 16 del 2012, ove direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni e servizi non effettivamente scambiati o prestati, non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi (Cass. n. 7896 del 2016, ; Cass. n. 22430 del 2014, cit.; Cass. n. 25967 del 20/11/2013).
4.3 Applicando i superiori principi di diritto al caso di specie va osservato che, nel pieno rispetto del principio di autosufficienza, l’Amministrazione finanziaria ha fornito molteplici elementi indiziari non solo concernenti la sostanziale inesistenza dei soggetti con i quali AC ha intrattenuto rapporti commerciali (società cartiere riconducibili a soggetti coinvolti in frodi IVA), acquistando e rivendendo alle stesse la medesima merce (peraltro, non attinente al settore di attività in cui la società contribuente opera), ma anche della consapevolezza di AC della partecipazione alla frode.
4.3.1 La CTR, dando rilievo decisivo alle risultanze del processo penale (che, come noto, hanno valenza meramente indiziaria nel processo tributario) senza specificare le ragioni del proprio convincimento, ha del tutto trascurato la rilevanza dei superiori elementi probatori, dando rilievo a circostanze del tutto ininfluenti (fatture, mezzi di pagamento, movimentazione della merce, peraltro unicamente tra il venditore e il destinatario finale), così sostanzialmente, invertendo illegittimamente l’onere della
4.4 L’intero impianto probatorio va, dunque, riesaminato dal giudice del rinvio alla luce dei principi di diritto più sopra menzionati.
5. In conclusione, il ricorso va integralmente accolto e la sentenza impugnata va cassata e rinviata alla CTR della Campania, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
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