Corte di Cassazione sentenza n. 24547 depositata il 1° dicembre 2016
SOCIETÀ DI CAPITALI – S.P.A. – ORGANI SOCIALI – AMMINISTRATORI – RAPPRESENTANZA DELLA SOCIETÀ – ATTI DI STRAORDINARIA AMMINISTRAZIONE ED ATTI ECCEDENTI I LIMITI DELL’OGGETTO SOCIALE ATTO “ULTRA VIRES” – CONSEGUENZE – NULLITÀ – ESCLUSIONE – INEFFICACIA – SUSSISTENZA – CONSEGUENZE – RATIFICABILITÀ DA PARTE DELL’ASSEMBLEA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’appello di Venezia, in riforma della pronuncia di primo grado, rigetto’ l’opposizione proposta da A. I. s.r.l. contro il decreto ingiuntivo con il quale Banca Antoniana Popolare Veneta soc. coop. a r.l. le aveva intimato il pagamento della somma di Lire 529.721.817, in forza della fideiussione da essa prestata il 17.9.93 a garanzia dei debiti contratti verso la banca da P. s.p.a..
La corte del merito, per cio’ che in questa sede ancora rileva, ritenne infondate le eccezioni di nullità, annullabilità e/o di inefficacia della fideiussione svolte da A. I. ai sensi degli artt. 1394, 2384 e 2384 bis c.c. (questi ultimi nel testo, anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 6 del 2003, applicabile ratione temporis al caso di specie), rilevando che la garanzia non poteva ritenersi estranea all’oggetto sociale dell’opponente/appellata, ne’ rilasciata dall’ amministratore unico e legale rappresentate della società (che rivestiva la medesima carica anche presso la debitrice principale) in conflitto di interessi con la rappresentata, posto che: 1) A. I. e P. appartenevano ai medesimi tre soci, ciascuno titolare della quota (di un terzo del capitale sociale di entrambe le società; 2) la perfetta coincidenza delle compagini delle due società evidenziava la comunanza dei loro interessi ed il perseguimento di un progetto unitario ed escludeva che potesse residuare un interesse della garante distinto da quello dei soci; 3) era palese la funzione strumentale di A. I., utilizzata quale “salvadanaio” di famiglia dei soci, nel quale venivano riversati gli utili derivanti dall’attività prettamente commerciale di P., che trovava conferma nel fatto che il comune A.U. delle due società aveva chiesto alla banca appellante, nella sua quadruplice veste di legale rappresentante e socio di entrambe, l’allargamento del fido della seconda offrendo la garanzia della prima; 4) l’oggetto sociale di entrambe le società prevedeva sia l’attività di compravendita di immobili, sia la possibilità di rilasciare fideiussioni; 5) l’operato dell’amministratore di A. I. era stato, comunque, ratificato dai soci; 6) infine, e in ogni caso, le eccezioni non erano opponibili alla banca, terzo di buona fede.
La sentenza, pubblicata il 24.2.06, fu impugnata da A. I. con ricorso per cassazione, i cui primi due motivi, che censuravano i predetti capi della decisione, sono stati rigettati da questa Corte con la sentenza n. 17640/012 del 15.10.2012. A. I. ricorre per la revocazione della sentenza, sulla base di un unico motivo. Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. (succeduta a Banca Popolare Veneta nella titolarità del rapporto controverso) resiste con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con l’unico motivo di ricorso A. I. deduce che la sentenza impugnata si fonda sull’insussistente presupposto di fatto, che non trova riscontro negli atti processuali e che deriva dall’errata lettura di un passo della motivazione della sentenza d’appello, che il proprio oggetto sociale, cosi’ come indicato nello statuto, prevede espressamente il rilascio di fideiussioni in favore di P..
Il ricorso e’ inammissibile.
2) La sentenza ha in realtà respinto i primi due motivi del ricorso di A. I. in base al rilievo che la corte d’appello aveva accertato, con statuizione non censurata dalla ricorrente, che “negli statuti delle due società e’ espressamente prevista, quale oggetto sociale, sia l’attività di compravendita degli immobili sia la possibilità di rilasciare fideiussioni, tra A. I. e P….” e che la specificità e la concretezza dell’atto cosi’ come previsto nello statuto non consentivano “in radice” di prospettare l’esorbitanza della fideiussione ex art. 2384 c.c. e rendevano superflua ogni ulteriore valutazione in ordine alla compatibilità della garanzia rispetto all’oggetto sociale.
Sennonche’, ad una piu’ attenta lettura del richiamato passo della sentenza d’appello, appare evidente che la corte del merito si e’ limitata ad accertare che l’oggetto sociale di A. I. comprende la possibilità del rilascio (in via generale) di fideiussioni, mentre l’inciso “tra A. I. e P.’ (che se davvero fosse riferito alla parola “fideiussioni” non avrebbe dovuto essere da questa separato da una virgola), sorregge la proposizione conclusiva: “vi e’ senza dubbio un collegamento di natura squisitamente economica…”, che altrimenti resterebbe priva di senso compiuto.
L’errata ricognizione della reale portata della clausola statutaria deriva dunque da una mera incomprensione del testo della sentenza della corte veneziana, per effetto della quale il collegio ha supposto, in contrasto con cio’ che il giudice del gravame aveva accertato, che l’oggetto sociale di A. I. contenesse l’espressa previsione della possibilità per la società di prestare fideiussioni in favore di P..
Non v’e’ dubbio che si tratti di un errore di fatto revocatorio, ovvero di un errore di percezione di un inconfutabile dato di fatto, risultante dal contenuto letterale della sentenza d’appello.
Cio’ tuttavia, non puo’ condurre all’accoglimento dei primi due motivi dell’originario ricorso, che risultano inammissibili e/o infondati, sia pur in base ad una diversa motivazione, alla stregua delle considerazioni che seguono.
3) Con il primo motivo, che denuncia violazione dell’art. 1394 c.c., nonche’ vizio di motivazione, la ricorrente lamenta che la corte del merito abbia escluso l’annullabilità della fideiussione in ragione del conflitto di interessi in cui versava il legale rappresentante. A. I. sostiene che, poiche’ l’interesse della società e’ distinto da quello dei soci, considerati uti singuli o come comunità riunita in assemblea, il giudice d’appello ha errato nel ritenere insussistente il conflitto solo per la perfetta coincidenza fra la sua compagine societaria e quella di P.; con la conseguenza che l’atto, sottoscritto dal comune amministratore unico, ma nell’esclusivo intento di soccorrere finanziariamente quest’ultima, non poteva ritenersi stipulato anche nel proprio interesse.
Nel prosieguo del motivo A. I. ha dedotto che il conflitto sicuramente ricorreva, stante la diversità del principale oggetto sociale di P., consistente nell’attività di commercio di maglieria e confezioni, rispetto all’attività immobiliare che essa svolge e l’assenza di qualsivoglia suo vantaggio imprenditoriale, nonche’ l’inesistenza del presunto “gruppo” societario; che, inoltre, il conflitto era sicuramente conosciuto dalla banca, cui non poteva sfuggire l’evidente estraneità dell’atto all’oggetto sociale e la sua rispondenza ai soli interessi della garantita.
A confutazione di tali assunti, va ricordato in premessa che grava sul soggetto che deduce l’annullabilità dell’atto compiuto dal legale rappresentante in conflitto di interessi di provare sia la sussistenza in concreto del conflitto, sia la sua conoscenza da parte del terzo (Cass. n. 4782/98).
Ebbene, la corte territoriale ha ampiamente motivato il proprio convincimento in ordine alla non ricorrenza, in fatto, di tale causa di annullabilità dell’atto, attesa non solo la perfetta coincidenza dei soci (e delle rispettive quote di partecipazione al capitale) delle due società, ma anche la parziale coincidenza dell’oggetto sociale delle stesse e l’unitarietà del progetto imprenditoriale perseguito. Il giudice a quo ha accertato, in particolare, che A. I. e P. erano due società “di famiglia”, la prima delle quali fungeva da “salvadanaio” dei soci, che vi riversavano gli utili derivanti dall’attività piu’ prettamente commerciale della seconda, con la conseguenza che il buon andamento di quest’ultima si risolveva in un indiscutibile vantaggio per l’altra; ha, ancora, rilevato come la funzione strumentale di A. I. fosse dimostrata dal fatto che i soci avevano ratificato l’operato dell’amministratore che, nella sua veste di legale rappresentante e socio di entrambe le società, aveva offerto la garanzia per ottenere da Popolare Veneta l’allargamento del fido di P.; ha escluso, infine, che potesse residuare un interesse della società distinto da quello dei soci, non avendo A. I. neppure dedotto l’esistenza di creditori sociali (potenzialmente) danneggiati dal rilascio della fideiussione.
La decisione non si fonda, dunque, sull’astratta affermazione dell’inesistenza di un conflitto ogni qual volta l’atto compiuto dal legale rappresentante della società vada a vantaggio di altra società (anch’essa da lui rappresentata) posseduta dai medesimi soci, ma sulla valutazione di una serie di circostanze, fra le quali l’accertata, perfetta, coincidenza delle due compagini societarie e’ stata correttamente assunta ad indice presuntivo della piena corrispondenza (dell’unicità) dell’interesse perseguito da entrambe, non smentita, ed anzi confermata, dalle ulteriori risultanze processuali.
Tanto, peraltro, in aderenza al principio già affermato da questa Corte, secondo cui quando v’e’ coincidenza dei soci di due società – l’una di persone e l’altra di capitali (Cass. 8472/98) od entrambe di capitali (Cass. n. 3385/04) – e le stesse perseguano progetti imprenditoriali di tipo unitario o quantomeno coordinato, la fideiussione rilasciata dalla prima per assicurare il finanziamento dell’altra, amministrata dallo stesso soggetto, non puo’ ritenersi stipulata in conflitto di interessi, perche’ il buon andamento della garantita si risolve in un vantaggio per la garante.
Cio’ che, tuttavia, maggiormente rileva e’ che nella specie, sulla scorta dei medesimi elementi di fatto – nel cui ambito, del tutto logicamente, e’ stato attribuito specifico e dirimente rilievo all’intervenuta ratifica assembleare dell’operato dell’amministratore di A. I. – il giudice d’appello ha escluso che il conflitto fosse riconoscibile dalla banca.
Le censure della ricorrente, muovendo dall’errato presupposto che la corte del merito abbia violato i principi di diritto applicabili in materia di art. 1394 c.c., non contrastano la ricostruzione del fatto se non per aspetti marginali: non trova, in primo luogo, smentita l’affermazione della strumentalità della costituzione di A. I., concepita quale “cassaforte di famiglia” nella quale riversare gli utili derivanti dall’attività piu’ prettamente commerciale di P.; neppure e’ smentita la parziale coincidenza dell’oggetto delle due società, mentre, in difetto di qualsivoglia allegazione dell’attività concretamente svolta all’epoca dalla garantita, risulta del tutto irrilevante che essa avesse ad oggetto principale la produzione di maglieria. Quanto, poi, alla conoscibilità del conflitto da parte della banca, la tesi di A. I., secondo cui era “palese l’assenza di vantaggio imprenditoriale per la garante, atteso che la fideiussione rispondeva esclusivamente all’interesse della garantita, la quale rischiava di vedersi revocato l’accesso al credito da parte della banca ed ha chiesto ed ottenuto dopo poco giorni dal rilascio della garanzia di essere ammessa al concordato preventivo” si risolve, nella prima parte, in una tautologia e, nella seconda parte, nell’allegazione di una circostanza che non risulta essere stata dedotta nei precedenti gradi di merito (avendo, al contrario, la corte veneziana accertato che P. aveva ottenuto un ampliamento, per 400 milioni di lire, dell’affidamento di cui già godeva presso la banca) e di un’ulteriore circostanza che, oltre a non trovare preciso riscontro negli atti, e’ palesemente irrilevante, dovendo la sussistenza e la conoscibilità del conflitto essere apprezzate con riferimento alla data del compimento dell’atto, non invalidabile a posteriori per eventi sopraggiunti che possano contrapporre interessi prima paralleli (cfr. Cass. nn. 8472/98, 3385/04 cit.). Ben puo’ dirsi, in conclusione, che il motivo in esame -laddove si sofferma ad illustrare argomenti dottrinari e giurisprudenziali in materia di interesse sociale e di conflitto – e’ sostanzialmente estraneo al decisum, mentre e’ del tutto carente nell’individuazione degli elementi istruttori decisivi, trascurati o erroneamente interpretati dalla corte del merito, che avrebbero dovuto condurre ad una diversa soluzione della questione controversa.
4) Col secondo motivo, nel ribadire le considerazioni in fatto già svolte nella precedente censura, la ricorrente assume che la fideiussione avrebbe dovuto essere comunque dichiarata inefficace, ai sensi degli artt. 2384 e 2384 bis c.c. (nel testo all’epoca vigente), attesa la nullità della delibera sociale che aveva ratificato l’operato dell’amministratore.
Il motivo, quand’anche non dovesse ritenersi assorbito dall’inammissibilità della doglianza concernente l’accertamento da parte della corte del merito della buona fede della banca, e’ infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di società di capitali, l’eccedenza dell’atto rispetto ai limiti dell’oggetto sociale, ovvero il suo compimento da parte dell’amministratore al di fuori dei poteri conferitigli, non integra un’ipotesi di nullità, ma di inefficacia e di opponibilità dell’atto medesimo ai terzi; e’ dunque rimesso alla società, e solo ad essa, di respingere gli effetti dell’atto, sicche’ deve correlativamente esserle riconosciuto il potere di assumere “ex tunc” quegli effetti, attraverso la ratifica, ovvero di farli preventivamente propri, attraverso una delibera autorizzativa, capace di rimuovere i limiti del potere rappresentativo dell’amministratore.
Ne deriva che ogni questione relativa alla estraneità dell’atto compiuto dall’amministratore rispetto all’oggetto sociale e’ da ritenersi irrilevante a seguito e per effetto dell’adozione di una delibera di autorizzazione preventiva, o di ratifica successiva, adottata dalla società, posto che tale delibera impegna la società medesima alla condotta di essa esecutiva e ad essa conforme posta in essere dall’organo di gestione, idonea o meno che sia rispetto al perseguimento dell’oggetto sociale (cfr. Cass. nn. 9905/08, 26325/06, 17678/04).
Il rispetto dell’oggetto sociale, d’altro canto, non puo’ ritenersi espressione di un interesse superiore a quello dei soci, se e’ vero che questi non trovano alcun limite nel loro potere di modificarlo in ogni tempo, senza che nessun creditore abbia diritto di esserne informato o il diritto di opporvisi.
Non e’ pertanto condivisibile l’assunto della ricorrente secondo cui, nella specie, ci si troverebbe in presenza di un atto radicalmente nullo e non sanabile con la ratifica, che avrebbe richiesto la preventiva modifica dello statuto societario (che, peraltro, già prevedeva la possibilità del rilascio di fideiussioni).
Non si vede, infine, come possano ritenersi opponibili ai terzi eventuali vizi del procedimento deliberativo interno, neppure fatti valere dai soggetti legittimati all’impugnazione.
5) All’accertata infondatezza delle censure consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso per revocazione: il principio contenuto nell’art. 100 c.p.c., secondo il quale per proporre una domanda o per resistere ad essa e’ necessario avervi interesse, si applica, infatti, anche al giudizio di cui all’art. 395 c.p.c., nel quale l’interesse ad impugnare la sentenza o un capo di essa va desunto dall’utilità giuridica che dall’eventuale accoglimento del ricorso possa derivare alla parte che lo propone, e non puo’ consistere nella sola correzione della motivazione della sentenza impugnata ovvero di parte di essa (Cass. n. 17745/05).
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 10.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso forfetario e accessori di legge.
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