Corte di Cassazione sentenza n. 24681 depositata il 2 dicembre 2016
LICENZIAMENTO – GIUSTA CAUSA – ASSENZE REITERATE ALLA VISITA FISCALE – SUSSISTE
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 1266/2013, depositata il 13/12/2013, la Corte di appello di Catania rigettava il gravame di M.G. e confermava la sentenza del Tribunale di Ragusa, che ne aveva respinto il ricorso diretto alla dichiarazione di illegittimita’ del licenziamento con preavviso intimatogli dalla S.p.A. Poste Italiane per assenza al controllo domiciliare di malattia, non preventivamente comunicata al datore di lavoro, del giorno 29/2/2008.
La Corte osservava che il lavoratore era stato rinvenuto ripetutamente assente alla visita domiciliare di controllo della malattia; che nessuna giustificazione, neppure ex post, aveva fornito per l’ultima assenza, che aveva portato al licenziamento, e che, per le precedenti quattro, non ne aveva fornito di adeguate; che si doveva tenere conto del particolare ruolo ricoperto dal ricorrente, caratterizzato, quale direttore di ufficio postale, dall’esercizio di compiti di coordinamento e controllo di altri dipendenti.
Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il M. con due motivi; la societa’ ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente, deducendo violazione o falsa applicazione del D.L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 5, comma 14, convertito nella L. 11 novembre 1983, n. 638, censura la sentenza impugnata per non avere la Corte, capovolgendo la gerarchia di valori stabilita dalla norma, ritenuto prevalenti le esigenze di tutela della salute del lavoratore rispetto a quelle poste a giustificazione dell’obbligo di comunicare preventivamente al datore di lavoro la necessita’ di assentarsi durante le fasce orarie di reperibilita’.
Con il secondo motivo, deducendo violazione o falsa applicazione di norme del CCNL dell’11/7/2007 per il personale non dirigente di Poste Italiane S.p.A. (art. 43, comma 9; art. 55, commi 4 e 5), il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la Corte applicato le richiamate disposizioni collettive in modo non coerente alla necessita’ di un contemperamento tra l’esigenza di punire una condotta disciplinarmente rilevante e la indispensabile valutazione dei fattori, nelle medesime espressamente indicati, volti alla commisurazione della gravita’ della condotta e della gradazione/proporzionalita’ della sanzione applicabile.
Il primo motivo e’ infondato.
Nel fissare i limiti dell’obbligo di reperibilita’ del lavoratore alle visite di controllo questa Corte ha infatti precisato, con orientamento risalente e consolidato, che, mediante la previsione di cui alla L. n. 638 del 1983, art. 5, si e’ imposto al lavoratore un comportamento (e cioe’ la reperibilita’ nel domicilio durante prestabilite ore della giornata) che e’, ad un tempo, un onere all’interno del rapporto assicurativo ed un obbligo accessorio alla prestazione principale del rapporto di lavoro, ma il cui contenuto resta, in ogni caso, la “reperibilita’” in se’; con la conseguenza che l’irrogazione della sanzione puo’ essere evitata soltanto con la prova, il cui onere grava sul lavoratore, di un ragionevole impedimento all’osservanza del comportamento dovuto e non anche con quella della effettivita’ della malattia, la quale resta irrilevante rispetto allo scopo, che la legge ha inteso concretamente assicurare, dell’assolvimento tempestivo ed efficace dei controlli della stessa da parte delle strutture pubbliche competenti, siano esse attivate dall’ente di previdenza ovvero dal datore di lavoro ai sensi della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 5.
In particolare, a dimostrazione che il giudizio sull’osservanza dell’obbligo di reperibilita’ non dipende dal fatto dell’esistenza della malattia (nel senso della necessita’ di ritenere il lavoratore assolto da tale obbligo soltanto perche’ effettivamente malato), e’ stato precisato che – in presenza di una contrattazione collettiva contenente (quale anche il CCNL per il personale non dirigente di Poste Italiane: cfr. art. 43, commi 8 e 9) detto obbligo di reperibilita’ a carico del lavoratore – che il dipendente non puo’ limitarsi a produrre il certificato medico attestante l’effettuazione di una visita specialistica, ma deve dare dimostrazione delle “comprovate necessita’” che impediscono l’osservanza delle fasce orarie, e cioe’ che la visita non poteva essere effettuata in altro orario al di fuori delle predette fasce, “ovvero che la necessita’ della visita era sorta negli orari di reperibilita’, tenuto conto che il giustificato motivo di assenza del lavoratore ammalato dal proprio domicilio durante le fasce orarie di reperibilita’, di cui all’art. 5, della normativa sopra indicata, si identifica in una situazione sopravvenuta che comporti la necessita’ assoluta ed indifferibile di allontanarsi dal luogo nel quale il controllo deve essere esercitato” (cfr. Cass. n. 2756/1995; conforme Cass. n. 13982/1991).
Tale principio di diritto e’ stato ancora e piu’ di recente ribadito da Cass. n. 3226/2008 (gia’ citata nella sentenza impugnata), per la quale “in tema di controlli sulle assenze per malattia dei lavoratori dipendenti, volti a contrastare il fenomeno dell’assenteismo e basati sull’introduzione di fasce orarie entro le quali devono essere operati dai servizi competenti accessi presso le abitazioni dei dipendenti assenti dal lavoro, ai sensi del D.L. 12 settembre 1983, n. 496, art. 5, comma 14, convertito con modificazioni dalla L. n. 638 del 1983, la violazione da parte del lavoratore dell’obbligo di rendersi disponibile per l’espletamento della visita domiciliare di controllo entro tali fasce assume rilevanza di per se’, a prescindere dalla presenza o meno dello stato di malattia, e puo’ anche costituire giusta causa di licenziamento”.
Nel caso di specie, la Corte, con motivazione adeguata e comunque non oggetto di censure, ha accertato come l’appellante non solo non avesse mai documentato, neppure ex post, alcuna causa di giustificazione in relazione all’assenza dal domicilio del 29/2/2008, ma avesse, per le quattro assenze precedenti (in data 25/10/2007, 10/12/07, 18/12/2007 e 18/1/2008), prodotto certificati medici, oggetto di specifico esame, inidonei a provare un serio e fondato motivo che giustificasse l’assenza alle visite domiciliari di controllo (cfr. sentenza, p. 5).
La Corte territoriale risulta altresi’ avere esaminato la relazione di consulenza medico-legale depositata dal ricorrente, traendone il convincimento che neppure da essa fosse possibile ritenere provata la sussistenza di un giustificato motivo di assenza, atteso che – come riconosciuto dallo specialista che l’aveva redatta – la cura praticata dal M. si attua secondo appuntamenti concordati con il centro terapeutico (p. 6).
Anche il secondo motivo di ricorso e’ infondato.
La Corte ha, infatti, accertato come il lavoratore fosse stato rinvenuto ripetutamente assente alle visite domiciliari di controllo della malattia e come avesse reiterato il medesimo comportamento rilevante sul piano disciplinare, pur dopo l’applicazione della prima sanzione (della multa) e di quelle (sospensione dal servizio) in seguito, e secondo una progressione crescente (un giorno, cinque e dieci giorni), adottate dal datore di lavoro: comportamento, questo, per la cui valutazione, ai fini del giudizio di proporzionalita’ in rapporto alla piu’ grave misura espulsiva da ultimo inflitta, non poteva restare indifferente il contenuto delle mansioni assegnate, e cioe’ di preposto ad un ufficio, tali da comportare compiti di coordinamento e di controllo di altri dipendenti.
Su tali premesse, la sentenza impugnata si sottrae alle censure che le sono state rivolte.
L’art. 43, comma 9, CCNL per il personale non dirigente di Poste Italiane S.p.A. prevede esplicitamente che il “constatato mancato rispetto da parte del lavoratore degli obblighi” indicati al precedente comma 8 (e cioe’ l’obbligo del lavoratore in malattia di trovarsi fin dal primo giorno di assenza dal lavoro nel domicilio comunicato al datore “in ciascun giorno, anche se domenicale o festivo, dalle ore 10 alle 12 e dalle ore 17 alle 19” nonche’ l’obbligo di dare “preventiva comunicazione alla Societa’” nel caso in cui, durante tali fasce orarie, egli debba assentarsi dal proprio domicilio “per visite, prestazioni o accertamenti specialistici o per altri giustificati motivi”), “comporta la perdita del trattamento di malattia, ai sensi delle vigenti disposizioni di legge, ed e’ sanzionabile con l’applicazione di provvedimento disciplinare”.
Non rileva, d’altra parte, che l’applicazione di una sanzione sia configurata come una “possibilita’” (laddove risulta affermato che il mancato rispetto degli obblighi a carico del lavoratore e’ sanzionabile) e non come “effetto automatico” dell’infrazione, posto che l’esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro rientra comunque, su di un piano generale, nella sfera della sua discrezionalita’ e che la previsione della “possibilita’” di tale esercizio, quale delineata dalle parti collettive con la norma in esame, assicura di per se’ della rispondenza della decisione datoriale di farvi eventuale ricorso alla comune volonta’ dei contraenti.
La sentenza si sottrae altresi’ alle censure del ricorrente con riguardo alle disposizioni di cui all’art. 55 CCNL, commi 4 e 5 di riferimento.
In particolare, e diversamente da quanto sembra sostenere il lavoratore, che imputa alla sentenza di non avere tenuto in debito conto l’assenza di intenzionalita’/mala fede nel comportamento sanzionato, il comma 4, prevede esplicitamente che nella valutazione dell’entita’ afflittiva del provvedimento disciplinare si debba avere riguardo non solo alla intenzionalita’ del comportamento ma anche al “grado di negligenza” dimostrato da esso, elemento soggettivo rispetto al quale la Corte territoriale ha correttamente evidenziato la reiterazione in un contenuto periodo di tempo della identica condotta e la sua costante riproduzione pur a fronte della relativa e conseguente progressione sanzionatoria, consumatasi a partire dall’ottobre 2007.
Ne’, sulla scorta di tali valutazioni, puo’ ritenersi che la Corte abbia trascurato l’ulteriore previsione del comma 4, la’ dove e’ stabilito che la verifica dell’osservanza del principio di “gradualita’ e proporzionalita’” nell’applicazione delle sanzioni debba volgersi anche a comprendere la valutazione del “comportamento complessivo del lavoratore”, avendo le parti collettive espressamente precisato sul punto che tale valutazione debba avere “particolare riguardo ai precedenti disciplinari nell’ambito del biennio”; o la previsione di cui allo stesso art. 55, comma 5, che per “mancanze della stessa natura gia’ sanzionate nel biennio” (come nella fattispecie) consente l’irrogazione, a seconda della gravita’ del caso e delle circostanze, di una sanzione di livello piu’ elevato rispetto a quella gia’ inflitta: profilo che la Corte risulta aver preso in considerazione attraverso gli elementi gia’ posti in evidenza e il rilievo della mancanza di alcuna giustificazione, neppure ex post, a proposito dell’assenza all’ultima visita domiciliare di controllo, nel quadro di un codice disciplinare (art. 56) che vede la “recidiva plurima, nell’anno, delle mancanze previste nel precedente gruppo” sanzionata proprio con la misura (recesso con preavviso) da ultimo adottata da Poste Italiane e oggetto di impugnazione.
Il ricorso deve conseguentemente essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
la Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita’, liquidate in Euro 100,00 per esborsi e in Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.