Corte di Cassazione sentenza n. 25159 depositata il 7 dicembre 2016
ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE – ICI – IMMOBILE UTILIZZATO COME CASA DI CURA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Par. 1. L’Opera Nazionale per il Mezzogiorno d’Italia propone tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 1775/04/14 del 21 marzo 2014 con la quale la commissione tributaria regionale del Lazio, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento ed irrogazione sanzioni notificatole dalla A. S. di V. (poi V.S.spa), per ICI 2008, relativamente ad un immobile di sua proprietà utilizzato in locazione, da una società commerciale, come casa di cura.
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto legittimata l’azienda comunale in house all’attività di accertamento e riscossione; nonché, nel merito, insussistente la causa di esenzione da lei di cui all’articolo 7, I comma, lettera i) d.lgs. 504/92, trattandosi di attività svolta non direttamente dall’ente ecclesiastico o assistenziale, bensì da un soggetto-imprenditore commerciale affittuario, a questo estraneo.
Resiste con controricorso il Comune di Velletri. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cod.proc.civ..
Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata.
Par. 2. Con i tre motivi di ricorso l’Opera Nazionale per il Mezzogiorno d’Italia deduce – ex art. 360, 1° c. nn. 3 e 5 cod.proc.civ. – violazione normativa e carente motivazione sotto i seguenti aspetti: – mancato rilievo della carenza di potestà impositiva in capo all’azienda comunale, spettando tale potestà esclusivamente al Comune, in quanto ente locale designato dal legislatore ed assegnatario del tributo; – erronea esclusione, nella specie, dell’esenzione lei di cui al cit. art. 7, 1° C. lett. i) d.lgs. 504/92; ciò perché, ai fini dell’esenzione, rileverebbero esclusivamente la natura giuridica non commerciale dell’ente proprietario; la natura sanitaria, assistenziale o solidaristica esercitata nell’immobile dall’ente stesso, ancorché attraverso un soggetto terzo; la destinazione dei proventi locativi alla realizzazione delle finalità istituzionali dell’ente.
Par. 3.1 I motivi in oggetto sono infondati.
Per quanto riguarda la legittimazione sostanziale e processuale della A. .S. di V., non è qui in discussione che l’azienda comunale abbia agito in forza di apposita convenzione stipulata con il Comune ex artt.52 e 53 d.lgs.446/97.
Ciò attribuiva all’azienda piena legittimazione allo svolgimento di un’attività che – senza estendersi alla individuazione regolamentare dell’aliquota lei dovuta, né degli altri elementi di imposizione demandati dal legislatore alla responsabilità amministrativa e politica dell’autorità comunale – sì limitava, come previsto dalla legge testé citata, alle operazioni di liquidazione, accertamento e riscossione del tributo, così come predeterminato dal Comune. Il che esclude, al contempo, che la decisione qui impugnata si ponga in contrasto con quanto stabilito da SSUU 8313/10 in materia di Tarsu, trattandosi nella specie – appunto – dello svolgimento di operazioni strumentali all’attuazione ed al recupero del credito fiscale, ma non determinative della tariffa né altrimenti impositive.
Vale, per contro, il più volte affermato indirizzo, secondo cui: “in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), qualora il Comune, in applicazione dell’art. 52 del d.lgs. 15 dicembre 1997 n. 446, che regola la potestà regolamentare generale delle Province e dei Comuni in materia di entrate, anche tributarie, affidi il servizio di accertamento e riscossione della tassa, mediante apposita convenzione, ai soggetti terzi indicati nelle norme suddette, il potere di accertamento del tributo spetta non già ai Comune, ma al soggetto concessionario, ai quali è pertanto attribuita anche la legittimazione processuale per le relative controversie” (Cass. 1138/08; così anche nn.6772/10; 20852/10).
Par. 3.2 Per quanto riguarda i limiti di operatività dell’esenzione lei invocata, soccorre parimenti l’orientamento consolidato di legittimità, al quale si intende dare qui continuità.
Tale orientamento, al quale la sentenza impugnata si allinea, stabilisce che l’esenzione dall’imposta che l’art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, prevede per gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all’art. 87, primo comma, lett. c), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (enti pubblici e privati, diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato e non aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio d’attività commerciali), purché destinati esclusivamente – fra l’altro – allo “svolgimento d’attività assistenziali”, “esige la duplice condizione dell’utilizzazione diretta degli immobili da parte dell’ente possessore e dell’esclusiva loro destinazione ad attività peculiari che non siano produttive di reddito. L’esenzione non spetta, pertanto, nel caso di utilizzazione indiretta, ancorché assistita da finalità di pubblico interesse” (tra le tante: Cass. nn.8054/05; 18838/06; 3733/10; 4502/12; 14226/15).
Questo indirizzo è stato anche più recentemente ribadito in forza del principio per cui l’esenzione in esame “è subordinata alla compresenza di un requisito oggettivo, rappresentato dallo svolgimento esclusivo nell’immobile dell’attività di assistenza o delle altre equiparate, e di un requisito soggettivo, costituito dallo svolgimento di tali attività da parte di un ente che non abbia come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (art. 87, ora 73, comma 1, lett. c), del d.P.R. n. 917 del 1986, cui il citato art. 7 rinvia), sicché non è applicabile ove l’immobile sia locato, rilevando in tale ipotesi l’utilizzo a fini di lucro da parte del proprietario, a prescindere dall’attività posta in essere al suo interno dal conduttore e dalle modalità di reimpiego dei canoni riscossi” (Cass. 8870/16).
La circostanza che, come è pacifico nel caso di specie, l’immobile in questione sia adibito ad attività sanitaria e di cura non direttamente dall’ente proprietario, ma in forza di un contratto di locazione a favore di una società commerciale (ancorché convenzionata con il SSN), esclude – in definitiva – l’esenzione in oggetto; risultando del tutto irrilevante che i proventi locativi vengano destinati dall’ente alla realizzazione delle proprie finalità istituzionali.
Si tratta di soluzione che, d’altra parte, è già stata affermata nei medesimi termini – in relazione a diversi periodi di imposta – tra le stesse parti in causa: Cass.ord. 12854/14.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in euro 7.000,00 per compenso professionale; oltre rimborso forfettario spese generali ed accessori di legge.
v.to l’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;
dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale.
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