CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 2536 depositata il 27 gennaio 2023

Tributi – Avviso di liquidazione – Imposta di registro su decreto ingiuntivo – Cartella emessa a seguito di controllo automatizzato – L. n. 289 del 2002, art. 16 – Condono fiscale – Carattere infruttifero del finanziamento – Accoglimento

Fatti rilevanti e ragioni della decisione

1.1 L’Agenzia delle Entrate ha proposto un motivo di ricorso per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, con la quale la commissione tributaria regionale, a conferma della prima decisione, ha ritenuto illegittimo l’avviso di liquidazione con il quale l’ufficio aveva applicato l’imposta di registro sul decreto ingiuntivo Tribunale di Treviso n. 92 del 2011 ottenuto dal Fallimento a carico della immobiliare V. snc.

L’imposta di registro è stata applicata (art.22 d.P.R. 131/86 e 9 Tariffa Prima parte) in misura proporzionale del 3% sia sull’atto giudiziario in sé, sia sul contratto di finanziamento in esso enunciato in quanto di carattere infruttifero e, come tale, fuori campo Iva ex art.3 co. 2 n.3) d.P.R. n.633/72.

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha osservato che l’avviso di liquidazione in questione (seguito da una cartella di pagamento autonomamente impugnata dal Fallimento con ricorso riunito al primo dalla CTP) era carente di motivazione, poiché in esso nulla si diceva in ordine alla tipologia del finanziamento ed al fatto che il suo carattere infruttifero fosse desumibile (come riferito dall’Ufficio soltanto in corso di causa) da elementi esterni al decreto ingiuntivo (mancata esposizione degli interessi nella contabilità e nella documentazione fiscale della società creditrice).

1.2 Ha resistito con controricorso il Fallimento il quale, nelle more del presente giudizio, ha presentato istanza di definizione della lite ex art.6 d.l. 119/18 conv. in l. 136/18; istanza tuttavia respinta dall’amministrazione finanziaria (stante l’asserita natura meramente liquidatoria e non impositiva dell’avviso) con provvedimento di diniego ritualmente notificato e dal Fallimento stesso impugnato, contestualmente al controricorso, ai sensi dell’articolo 6 comma 12 d.l. cit..

L’Agenzia delle Entrate ha depositato controricorso al ricorso avverso il diniego.

1.3 Con l’unico motivo di ricorso l’ Ufficio lamenta – ex art.360, co. 1^ n.3, cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione degli artt. 7 l. 212/00, 3 l. 241/90, 54 co. 5 d.P.R. 131/86, 115 cod.proc.civ. e 2697 cod.civ.. Per avere la Commissione Tributaria Regionale indebitamente sovrapposto i piani della motivazione e quello della fondatezza della pretesa impositiva, tralasciando di considerare (quanto al primo profilo, l’unico qui rilevante) che l’avviso di liquidazione recava puntuale indicazione del decreto ingiuntivo, dell’autorità emanante e dell’imposta proporzionale applicata, sicché ben era in grado il Fallimento di avere piena contezza di tutti i componenti dell’imposta applicata, anche e specialmente in ordine al carattere infruttifero del finanziamento indicato nel decreto ingiuntivo; carattere non contestato dal Fallimento ed a questo ben noto per il solo fatto di basarsi sulla documentazione da esso posseduta perché allegata al ricorso per ingiunzione.

1.4 Con il ricorso avverso il diniego di condono, il Fallimento ha dedotto che:

– con riguardo all’avviso di liquidazione, contrariamente a quanto affermato dall’ufficio si verterebbe, nella specie, di un atto che, al di là della sua qualificazione nominale, contiene nella sostanza una vera e propria imposizione portata per la prima volta a conoscenza del contribuente, e ciò sulla base di una qualificazione giuridica (finanziamento infruttifero proporzionalmente tassabile ai fini dell’imposta di registro) operata in via interpretativa dall’ufficio e sulla base di documentazione estranea al decreto ingiuntivo;

– con riguardo alla cartella di pagamento, erroneamente l’Ufficio ne aveva negato la definibilità stante il mancato perfezionamento, per omesso versamento, di una asserita procedura di ‘rottamazione’, posto che il Fallimento non aveva in realtà mai presentato alcuna istanza di definizione in tal senso, del resto non meglio documentata dall’Amministrazione.

1.5 Il Procuratore Generale ha concluso per l’accoglimento del ricorso avverso il diniego di definizione agevolata e per la conseguente dichiarazione di avvenuta estinzione del giudizio; ciò in ragione della natura sostanzialmente impositiva assunta dall’avviso di liquidazione opposto.

2.1 Va accolto il ricorso avverso il diniego di definizione ex art.6 d.l. 119/18 conv. in l. 136/18.

Si premette che l’istanza di definizione della lite è stata allegata agli atti di causa, con il versamento dell’importo relativo, e che l’agenzia delle entrate ha dedotto a base del diniego unicamente il profilo costituito, come detto, dalla natura meramente liquidatoria e non impositiva dell’avviso opposto.

 Questa conclusione non può tuttavia trovare condivisione.

Ricorre in proposito l’indirizzo espresso da Cass. SSUU n. 18298/21, secondo cui: “in tema di definizione agevolata, anche il giudizio avente ad oggetto l’impugnazione della cartella emessa in sede di controllo automatizzato ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, con la quale l’Amministrazione finanziaria liquida le imposte calcolate sui dati forniti dallo stesso contribuente, dà origine a una controversia suscettibile di definizione ai sensi dell’art. 6 del d.l. n. 119 del 2018, conv. dalla l. n. 136 del 2018, qualora la predetta cartella costituisca il primo ed unico atto col quale la pretesa fiscale è comunicata al contribuente, essendo come tale impugnabile, ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, non solo per vizi propri, ma anche per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva”.

Da questa pronuncia – sebbene originata non da un avviso di liquidazione ma da una cartella emessa a seguito di controllo automatizzato – si traggono comunque principi di portata generale in ordine: sia al fatto che il carattere ‘impositivo’ dell’atto dedotto in lite debba muovere non dal ‘nomen’ utilizzato, ovvero da altri elementi di natura formale ed estrinseca, bensì dalla sua portata contenutistica e sostanziale; sia al fatto che detto carattere si debba ravvisare allorquando l’amministrazione, con l’atto in questione, porti a conoscenza del contribuente, per la prima volta, la propria pretesa di prelievo.

 A maggior ragione, anzi, questi principi possono essere applicati anche con riguardo ad un avviso che, sebbene denominato ‘di liquidazione’, presupponga una più o meno significativa attività di valutazione ed accertamento a fini prettamente impositivi.

Si è osservato (Cass. n. 20683/21) che: “In tema di definizione agevolata, anche il giudizio avente ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di liquidazione delle imposte proporzionali di registro, ipotecaria e catastale dà origine ad una controversia suscettibile di definizione ai sensi dell’art. 6 del d.l. n. 119 del 2018, conv. dalla l. n. 136 del 2018, laddove tale atto si riveli espressione di una finalità sostanzialmente impositiva, in quanto suscettibile di esprimere, nei confronti del contribuente, una pretesa fiscale maggiore di quella applicata, in via provvisoria, al momento della richiesta di registrazione”.

In effetti, l’art.6, co. 1^, d.l. 119/18 stabilisce che: “Le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l’Agenzia delle entrate, aventi ad oggetto atti impositivi, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in Cassazione e anche a seguito di rinvio, possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio o di chi vi è subentrato o ne ha la legittimazione, con il pagamento di un importo pari al valore della controversia”.

Nel caso di specie sussistevano tutti i presupposti di legge per la definizione, trattandosi di lite pendente attribuita alla giurisdizione del giudice tributario, e nella quale è parte l’agenzia delle entrate.

La lite aveva poi ad oggetto proprio un atto impositivo, e non di mera liquidazione. E’ costante l’indirizzo di legittimità – formatosi su altra disposizione condonistica, ma analogamente strutturata – secondo cui “in tema di condono fiscale ciò che rileva ai fini della qualificazione dell’atto come impositivo e della conseguente inclusione della relativa controversia nell’ambito applicativo della L. n. 289 del 2002, art. 16, è la sua effettiva funzione, a prescindere dalla qualificazione formale dell’atto stesso.

Pertanto, con specifico riferimento agli avvisi di liquidazione dell’imposta di registro, la definizione dell’atto come “avviso di liquidazione” non vale ad escludere la sua natura di atto impositivo, quando esso sia destinato ad esprimere, per la prima volta, nei confronti del contribuente, una pretesa fiscale maggiore di quella applicata, essendo sufficiente che la sua contestazione da parte del contribuente sia idonea ad integrare una controversia effettiva, e non apparente, sui presupposti e sui contenuti dell’obbligazione tributaria” (Cass. nn. 5158/14; 20731/10; 13136/16 ed altre).

Questa impostazione, incentrata su un criterio di effettività, è stata successivamente recepita anche dalla stessa Amministrazione finanziaria con la Circolare 6/E del 1^ aprile 2019, dove si osserva (§ 2.3.4): “con riferimento agli avvisi di liquidazione dell’imposta di registro, delle imposte ipotecarie e catastali e dell’imposta di successione, si osserva che tali atti non presuppongono, di norma, operazioni di rettifica delle dichiarazioni presentate dai contribuenti. Occorre tuttavia evidenziare che, ai fini della definizione, rileva la natura sostanziale dell’atto impugnato, che prescinde dal “nomen iuris” utilizzato nella specie. In tal senso si è espressa la Corte di cassazione con riferimento all’avviso di liquidazione dell’imposta di registro, volto a far valere “per la prima volta nei confronti del contribuente una pretesa fiscale maggiore di quella applicata al momento della richiesta di registrazione” (Cass. 6 ottobre 2010, n. 20731). In questo caso, infatti, l’avviso di liquidazione assume natura di atto impositivo, in quanto destinato ad esprimere, per la prima volta, nei confronti del contribuente una pretesa fiscale maggiore di quella applicata, in via provvisoria, al momento della richiesta di registrazione”.

2.2 Ciò premesso, nella specie l’avviso di liquidazione opposto operava sì la determinazione dell’imposta dovuta mediante l’aritmetica applicazione dell’aliquota del 3% sugli importi indicati nel decreto ingiuntivo ma, prima di questo, presupponeva una qualificazione giuridica del finanziamento dedotto nell’ingiunzione stessa, poiché soltanto il carattere infruttifero di esso ne giustificava appunto la sottoposizione ad imposta in misura proporzionale in quanto insuscettibile di imposizione Iva a sua volta legittimante il pagamento dell’imposta di registro in misura fissa ex art.40 d.P.R. 131/86.

Non solo, ma questa valutazione giuridica – sebbene in parte mutuata dall’Ufficio sulla base dello stesso decreto ingiuntivo, che significativamente non recava anche l’intimazione al pagamento a titolo di interessi corrispettivi – trovava definitivo conforto, nella stessa prospettazione dell’Agenzia, in ragione di documentazione estranea al decreto ingiuntivo, quale la contabilità e le dichiarazioni fiscali della società creditrice.

In definitiva, questa stessa documentazione rilevava in giudizio non soltanto ai fini di vagliare il sufficiente livello motivazionale dell’avviso in sé, ma anche ed appunto quale elemento di valutazione giuridica ed interpretazione negoziale (art.20 d.P.R. 131/86) del contratto di finanziamento in funzione dell’affermazione della sua natura infruttifera, e quindi della sua assoggettabilità ad una pretesa impositiva di tipo proporzionale (diversa ed aggiuntiva rispetto a quella dell’atto giudiziario, contestualmente ma autonomamente tassato).

Va infatti osservato che la natura pretensiva dell’avviso in questione venne dedotta dal Fallimento contribuente fin dal ricorso originario, nel quale venne contestata – proprio in ragione di questa natura – la sufficienza motivazionale dell’avviso stesso. Sicchè nel corso dei gradi di merito, ed indipendentemente dalla successiva presentazione dell’istanza di definizione, il contraddittorio si sviluppò anche sulla adeguatezza della motivazione dell’avviso in rapporto alla sua portata non meramente liquidativa ma impositiva, così come già sostanzialmente acclarata dai giudici di merito tanto in primo quanto in secondo grado. Entrambi i giudici, infatti, hanno ritenuto che il mero richiamo agli estremi del decreto ingiuntivo non costituisse, nella concretezza del caso, sufficiente motivazione, proprio perché inidoneo a dare conto di tutti gli elementi costitutivi (fattuali e giuridici) di una pretesa sostanziale che disattendeva il criterio di imposizione in misura fissa del finanziamento.

Quanto detto comporta l’affermazione di effettiva definibilità – ed anzi di avvenuta definizione – della lite, con conseguente assorbimento di ogni altra questione, anche concernente la legittimità della cartella di pagamento; del resto neppure considerata nel ricorso dell’agenzia delle entrate, la quale ha incentrato la propria doglianza esclusivamente sulla asserita legittimità dell’avviso di liquidazione prodromico.

§ 3. Le spese di lite vengono compensate anche in ragione del sopravvenire in corso di causa del su richiamato specifico indirizzo interpretativo di legittimità in ordine ai presupposti di definibilità delle liti rinvenienti da avvisi liquidatori.

P.Q.M.

– accoglie il ricorso avverso il diniego di definizione della lite pendente;

– dichiara conseguentemente definibile la lite ed estinto il giudizio ex art. 6 d.l. 119/18 conv. in l. 136/18;

– compensa tra le parti le spese di lite.