Corte di Cassazione sentenza n. 25374 depositata il 12 dicembre 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – SANZIONE DISCIPLINARE – SOSPENSIONE DAL LAVORO E DALLA RETRIBUZIONE – LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA – LEGITTIMITA’
FATTO
Con sentenza 5 marzo 2014, la Corte d’appello di Bologna rigettava l’appello proposto da R.B. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto le domande di annullamento della sanzione disciplinare di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per tre giorni irrogatagli dalla datrice L.B. s.p.a. il 25 gennaio 2008 e di nullità del licenziamento per giusta causa intimatogli, previa ulteriore contestazione disciplinare, il 20 febbraio 2008 con le conseguenti domande reintegratorie e risarcitorie, nonché in subordine di riduzione per sproporzione.
A motivo della decisione, la Corte territoriale ribadiva la comprovata sussistenza e gravità dei due addebiti in questione: il primo, di manomissione del sistema di allarme del forno, di pulitura a martellate del suo canale vibrante, di alterazione delle temperature dei forni in contrasto con le prescrizioni ricevute e di ingiustificato allontanamento dal forno cui era addetto; il secondo, di impostazione di una potenza del forno nettamente superiore a quella prescritta. Dalla ritenuta infondatezza delle deduzioni istruttorie del lavoratore appellante essa reputava gli addebiti tali da giustificare le sanzioni conservativa e quindi espulsiva comminategli.
Con atto notificato il 5 (12) settembre 2014, R.B. ricorre per cassazione con unico motivo, illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui resiste I.V.R.I. s.p.a. con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.
Con unico motivo, il ricorrente deduce omesso esame di fatto decisivo ed erronea motivazione nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2119 c.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 e n. 3 c.p.c., per le negate esibizione dei registri dei forni e integrazione di C.t.u., attesa l’incertezza della propria responsabilità nell’innalzamento di temperatura del forno (alla base della contestazione disciplinare culminata nel licenziamento per giusta causa), alla luce delle richiamate dichiarazioni testimoniali assunte.
Il motivo è inammissibile.
Ed infatti, non sussistono le dedotte violazioni di legge, in difetto degli appropriati requisiti di erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta regolata dalla disposizione di legge, mediante specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984). Sicché, il motivo si risolve nella sostanziale sollecitazione ad una rivisitazione del merito, attraverso la rinnovata insistenza sull’ammissione delle deduzioni istruttorie: e pertanto in una contestazione dell’accertamento in fatto del giudice di merito insindacabile in sede di legittimità, cui è solo devoluto il controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni del giudice di merito, non equivalendo il sindacato di logicità del giudizio di fatto a revisione del ragionamento decisorio: (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694).
Per giunta, il vizio motivo neppure è denunciabile, in quanto non riferito ad omissione di un fatto storico (né tanto meno essendo stato specificamente indicato “dove” dedotto), quanto piuttosto ad una non condivisa valutazione delle risultanze istruttorie, in base al novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., applicabile ratione temporis (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439). Dalle superiori discende allora coerente l’inammissibilità del ricorso, con la regolazione delle spese secondo il regime di soccombenza.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna R.B. alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 100,00 per esborsi e € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
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