Corte di Cassazione sentenza n. 25471 depositata il 29 agosto 2022
il mancato esame su questioni proposte, qualora siano incompatibili con la sentenza emessa, va fatto valere come violazione di legge e come difetto di motivazione – qualora l’Amministrazione contesti la fittizietà del costo, consegue anche la contestazione dell’inerenza – onere della prova – principio dell’inerenza dei costi deducibili – il controllo del fisco sull’inerenza dei costi d’impresa, ai fini della loro deducibilità, non può interferire nel campo delle scelte imprenditoriali, a meno che la sproporzione tra prestazioni non sia rilevante ed evidente ictu oculi
FATTI DI CAUSA
La CTR della Lombardia con la sentenza impugnata ha respinto il gravame di I. srl avverso la sentenza della CTP di Como che aveva rigettato il ricorso della predetta società contro gli avvisi di accertamento relativi ai periodi d’imposta 2005 e 2006 per imposte IRES, IRAP ed IVA dovute a seguito di ripresa a tassazione dei seguenti costi: a) commissioni pagate in relazione al contratto di prestito di azioni della G. s.a. società di diritto portoghese, stipulato dalla ricorrente con la DFD Czech s.r.o., b) oneri relativi ad una imbarcazione acquistata con contratto di leasing.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione I. srl, ora in liquidazione, che si affida a quattro motivi.
Replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la società deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. e all’art. 62 d.lgs. n. 546 del 1992, nullità della sentenza per omessa pronuncia e violazione dell’art. 112 c.p.c. laddove la CTR non si è pronunciata sulla domanda di nullità degli avvisi di accertamento fondata sulle seguenti ragioni: a) violazione dell’obbligo di motivazione sulle osservazioni al pvc, b) motivazione plurima e contraddittoria, c) omessa allegazione agli avvisi di accertamento di atti ivi richiamati, d) emissione degli atti in violazione dei principi d’imparzialità, collaborazione e buona fede.
Queste questioni, proposte sin dal primo grado e disattese dalla CTP, avevano costituito specifici motivi d’appello, trascurati dalla CTR che si era pronunciata soltanto sul merito della pretesa impositiva.
1.1 Il motivo è inammissibile alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il vizio di omessa pronuncia ricorre ove manchi qualsivoglia statuizione sulla domanda così dando luogo alla inesistenza della decisione sulla controversia per la mancanza di un provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, e non anche quando, come in questo caso, l’omissione riguarda una eccezione o una tesi difensiva che, anche se non espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa dell’attore, determinando un’implicita pronuncia di rigetto anche in mancanza di una esplicita argomentazione (v. Cass. n. 2151 del 2021; n. 459 del 2021; Cass. n. 7472 del 2017; Cass. n. 1539 del 2018).
In questa evenienza il mancato esame doveva farsi valere non già quale omessa pronunzia e, dunque, violazione di una norma sul procedimento (art. 112 c.p.c.) – perché quelle eccezioni sono incompatibili con la decisione della CTR e, quindi, si devono intendere rigettate -, bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla decisività del punto di cui sarebbe stato pretermesso l’esame (Cass. n. 24953 del 2020; Cass. n. 14486 del 2004).
2. Con il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. e all’art. 62 d.lgs. n. 546 del 1992, nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 36 lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. e all’art. 62 d.lgs. n. 546 del 1992, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c..
Secondo la ricorrente la sentenza sarebbe contraddittoria laddove ha stabilito, da un lato, che il prestito d’azioni era fittizio per essere i pagamenti simulati e, dall’altro, che la società non avrebbe potuto dimostrare gli avvenuti pagamenti.
Il motivo è inammissibile.
2.1 Il ricorrente non coglie la ratio decidendi perchè la sentenza non nega la possibilità di dare la prova dell’avvenuto pagamento ma osserva che quella circostanza – che di per sé non è decisiva in quanto, normalmente, operazioni fittizie e fraudolente vengono realizzate proprio attraverso una parvenza di regolarità (v., Cass. n. 28628 del 2021, Cass. n. 17619 del 2018, Cass. 27554 del 2018) – non esclude, nel caso concreto, la fittizietà dell’operazione, risultante, secondo l’apprezzamento in fatto del Giudice di merito incensurabile nel giudizio di legittimità se correttamente e congruamente motivato, da una serie di elementi
Questi consistono, in primo luogo, in una «assoluta carenza documentale» sull’intera vicenda negoziale (v. punto 8 della sentenza): assenza di «data, luogo di perfezionamento del rapporto contrattuale», di «scritturazione notarile» e di registrazione presso l’Agenzia delle Entrate, di fissati bollati relativi alla girata delle azioni ordinarie, «nessuna traccia di comunicazioni postali, come contrattualmente previsto».
Si aggiungono argomenti di ordine logico:
- in particolare, gli utili conseguiti dalle azioni oggetto del prestito erano stati compensati dalle commissioni dovute alla mutuante, tutte somme transitate su un conto svizzero (e non sui conti correnti nazionali di I.) con il risultato, da un lato, di rafforzare l’apparenza contrattuale, e, dall’altro, di evitare la costituzione di una provvista perché i dividendi distribuiti dalla G. venivano immediatamente portati a compensazione delle commissioni dovute dalla DFD Czech (le stesse contabili trascritte dalla ricorrente confermano che accrediti e addebiti avvenivano nella medesima giornata);
- inoltre, l’operazione non aveva alcun reale aspetto aleatorio o di rischio – in quanto i contratti erano stati stipulati in prossimità della scadenza dell’esercizio di riferimento, cosicché doveva già esserci una attendibile previsione sull’entità degli utili – né una concreta utilità per la I. perché la DFD continuava «ad avere titolarità ed esercizio dei diritti e poteri relativi o pertinenti ai titoli della società portoghese».
3. Con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli 37 bis d.P.R. n. 600 del 1973, 10 comma 3 legge n. 212 del 2000, artt. 1325, 1343, 1414 e 1418 c.c. e dell’art. 12 delle preleggi, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. e all’art. 62 d.lgs. n. 546 del 1992.
Secondo la ricorrente, «I contratti conclusi dai contribuenti per scopi esclusivamente fiscali non possono perciò stesso essere considerati puramente simulati, essendo l’A.F. legittimata a contestarne l’elusività al ricorrere dei requisiti previsti dall’art. 37 bis del d.P.R. n. 600 (che, tuttavia, nella specie non sussistono)».
In sostanza, ad avviso della contribuente, la contestazione riguardava una elusione fiscale e l’Agenzia avrebbe dovuto ricorrere all’art. 37 bis cit..
3.1 L’Agenzia ha eccepito l’inammissibilità del motivo, in quanto dedotto per la prima volta in sede di legittimità, e l’eccezione pare fondata perché né dalla sentenza d’appello né dal ricorso si ricava la proposizione di questa questione nel giudizio di merito.
3.2 In ogni caso, il motivo è infondato.
L’Agenzia ha escluso la deducibilità del costo relativo alle commissioni pagate dalla ricorrente alla mutuante in relazione al contratto in oggetto, contestandone la fittizietà in quanto derivante da una operazione ritenuta simulata e, quindi, «inesistente» (v. pag. 15 del ricorso), ciò che «comporta il venir meno dell’indefettibile requisito dell’inerenza tra i costi medesimi e l’attività imprenditoriale» (Cass. n. 33915 del 2019).
La fattispecie non è riconducibile all’elusione fiscale – in cui si assiste ad un uso artificioso, distorto o manipolatorio di istituti giuridici essenzialmente in vista del conseguimento di un vantaggio fiscale (tra le ultime, Cass. n. 27151 del 2021; Cass. n. 9135 del 2021; Cass. n. 5644 del 2020) e in cui si prescinde dalla simulazione e da condotte fraudolente (Cass. n. 21221 del 2006; Cass. n. 24914 del 2013 in motivazione) – ed è stata decisa sulla scorta del consolidato principio secondo cui, una volta che l’Amministrazione finanziaria dimostri, anche mediante presunzioni semplici, la fittizietà di un costo, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare, la sua effettività (Cass. n. 28628 del 2021; Cass. n. 28246 del 2020; Cass. n. 14237 del 2017; Cass. 25775 del 2014; Cass. n. 9784 del 2010), onere che, come osservato in precedenza (punto 2.1.), non può ritenersi assolto «con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia» (Cass. 28628 del 2021).
4. Con il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 67, 102 e 109 TUIR nonché dell’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., laddove si è esclusa l’inerenza dei costi sostenuti per l’imbarcazione da diporto acquisita in locazione finanziaria e la loro deducibilità.
Il motivo deve essere disatteso.
Intanto la doglianza presenta aspetti di inammissibilità in quanto sotto il paradigma della violazione di legge si cerca di rimettere in discussione l’accertamento in fatto.
Comunque, il motivo è infondato perché la sentenza ha correttamente applicato i consolidati principi di questa Corte in materia.
4.1 Va premesso che il principio dell’inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d’impresa – e non dall’art. 75, comma 5 del d.P.R. n. 917 del 1986, ora art. 109, comma 5, del medesimo d.P.R., riguardante il diverso principio dell’indeducibilità dei costi relativi a ricavi esenti (ferma l’inerenza) cioè della correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili – ed esprime la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta), in quanto è configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico, e assuma rilevanza la congruità delle spese, perché il giudizio sull’inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo (v. n. 450 del 2018; Cass. n. 22938 del 2018; Cass. n. 29404 del 2019; Cass. n. 30366 del 2019).
Comunque, si ammette che «l’antieconomicità e l’incongruità della spesa sono indici rivelatori della mancanza di inerenza, pur non identificandosi con essa» (Cass. n. 450 del 2018), cosicché questa impostazione non è molto lontana dalla tradizionale interpretazione (Cass. n. 14579 del 2018; Cass. n. 22938 del 2018).
Sul piano dell’onere della prova, poi, si è sottolineato che l’inerenza integra un giudizio sulla riferibilità del costo all’attività d’impresa ma spetta al contribuente l’onere della prova che, quindi, si articola ancora prima dell’esigenza di contrastare la maggiore pretesa erariale, dovendo egli provare e documentare l’imponibile maturato e, quindi, l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto di impresa perché in correlazione con l’attività di impresa e non ai ricavi in sé (Cass. n. 18904 del 2018; Cass. n. 2224 del 2021). Nel contempo, l’Amministrazione può contestare l’inerenza, rilevando la carenza degli elementi di fatto portati dal contribuente e quindi la loro insufficienza a dimostrare l’inerenza ovvero allegando l’esistenza di ulteriori elementi tali da far ritenere che il costo non è correlato all’impresa (Cass. n. 30366 del 2019), però il controllo del fisco sull’inerenza dei costi d’impresa, ai fini della loro deducibilità, non può interferire nel campo delle scelte imprenditoriali, a meno che la sproporzione tra prestazioni non sia rilevante ed evidente ictu oculi (Cass. n. 2224 del 2021), così da costituire elemento sintomatico dell’assenza di correlazione della stessa con l’esercizio dell’attività imprenditoriale (Cass. n. 33574 del 2018).
Di fronte alle allegazioni dell’Amministrazione incombe sul contribuente l’onere della prova della inerenza dei costi per smentire le contestazioni dell’Ufficio (Cass. n. 4554 del 2010; Cass. n. 24065 del 2011; Cass. n. 9892 del 2011; Cass. n. 10269 del 2017; Cass. n. 13588 del 2018, che valorizza il principio di “vicinanza alla prova”).
4.2 Nel caso di specie la sentenza ha fatto corretta applicazione di questi principi, escludendo un collegamento funzionale tra quei costi e la concreta attività sociale («non si vede, francamente, in quale modo i costi inerenti una imbarcazione da diporto, in capo ad una società avente, in concreto, tutt’altro oggetto, possano essere considerati inerenti») e ha rilevato la macroscopica differenza tra i costi sostenuti (euro 823.148,95) e i ricavi conseguiti: a far data dal 2003, l’imbarcazione venne locata per un mese nel 2005 e per quindici giorni nel 2007 con ricavi complessivamente pari ad euro 30.240,00 iva compresa.
Oltre a ciò, la sentenza ha esaminato specificamente le difese della società – le stesse riproposte nel motivo in esame sub specie di violazione di legge ma attinenti in realtà a questioni di fatto – sulle quali ha dato puntuali e logiche motivazioni; la CTR ha osservato, in particolare, che l’imbarcazione non era «sistematicamente proposta per la locazione» – come del resto si deduce dalla tempistica dei ricavi e dalla sporadicità degli impieghi – così riconoscendo che l’imbarcazione non era né necessaria né funzionale all’impresa.
La contribuente insiste sul fatto che l’operazione rientrava nell’oggetto sociale previsto nell’atto costitutivo e che nella valutazione dell’antieconomicità si doveva tener conto del fatto che i costi relativi al leasing comprendevano anche le quote versate per l’acquisto del bene che rappresentavano un investimento per la società, ma queste circostanze sono insufficienti a dimostrare l’inerenza di quei costi lasciando intatta la forza indiziaria delle circostanze accertate dai giudici di merito: la marginalità in concreto dell’attività di noleggio di imbarcazioni rispetto all’attività svolta prevalentemente in campo immobiliare, oltre alla macroscopica antieconomicità dell’iniziativa. Anche se quei costi comprendevano il costo per l’acquisto dell’imbarcazione, non viene meno l’antieconomicità dell’operazione restando carente la correlazione e il collegamento funzionale di quel bene (e del suo acquisto) con l’attività di impresa.
5. Le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 15.000,00;
ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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