Corte di Cassazione sentenza n. 25632 depositata il 31 agosto 2022
TARSU – PRESUPPOSTI IMPOSITIVI – ESCLUSIONI – Per tutti i prelievi sui rifiuti opera poi la presunzione di produttività che costituisce una condizione oggettiva fondata sulla mera disponibilità di un locale o area scoperta operativa idonea all’uso
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza 750/35/16, depositata in data 24 febbraio 2016, la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia accoglieva l’appello proposto dalla società contribuente avverso la sentenza n. 1322/4/15 della Commissione Tributaria Provinciale di Trapani, con compensazione delle spese di lite;
2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione del rigetto di un’istanza di rimborso, relativa alla TARSU per le annualità dal 2010 al 2012, dell’importo complessivo di € 23.914,00, ritenuta non dovuta per l’illegittimità delle tariffe, in quanto approvate con determina sindacale e non del Consiglio comunale, l’errata ripartizione delle spese, e l’indebita inclusione delle aree scoperte di mq 4.228 adibite ad esposizione delle auto;
3. la Commissione di primo grado aveva rigettato il ricorso sul presupposto che in sede contenziosa non fosse possibile far valere motivi diversi rispetto a quelli posti a fondamento dell’istanza di rimborso;
4. La CTR aveva accolto l’appello, rilevando che il tributo era stato illegittimamente preteso sulla base di tariffe approvate dal Sindaco e non dal competente Consiglio comunale e, che in ogni caso, nulla fosse dovuto in relazione alle aree scope1 te ritenute non idonee a produrre rifiuti solidi urbani in quanto destinate ad esposizione delle auto;
5. avverso la sentenza di appello il Comune impositore proponeva ricorso per cassazione, consegnato per la notifica il 4 marzo 2016, affidato a sei motivi, e depositava memoria ex art. 378 c.p.c; la controricorrente si costituiva con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso il Comune di Alcamo eccepiva la violazione degli artt. 99 e 112 p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., deducendo che la CTR si era pronunciata ultrapetita sull’incompetenza funzionale del Sindaco benché tale motivo non costituisse una censura riproposta in sede di appello;
2. con il secondo motivo deduceva la violazione dell’art 346 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., rilevando che la CTR si era pronunciata sull’incompetenza funzionale del Sindaco benché su tale motivo, non riproposto in appello, si fosse formato il giudicato interno;
3. con il terzo motivo lamentava, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., una omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo per il giudizio che individuava nella circostanza che le aree scoperte, per la loro destinazione all’esposizione di auto, fossero quotidianamente frequentate da personale e clientela e quindi idonee alla produzione di rifiuti;
4. con il quarto motivo denunciava la violazione e falsa applicazione della n. 549 del 1995 e dell’art. 62 del d.lgs. n. 507 del 1993, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per aver escluso dalla tassazione delle aree scoperte destinate all’esposizione delle vetture in vendita, incombendo sul contribuente la prova contraria;
5. con il quinto motivo eccepiva la violazione dell’art. 5 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, c.p.c., in quanto pronunciandosi sulla non tassazione delle aree scoperte, pur in assenza di una richiesta di esclusione presentata in sede amministrativa dal contribuente, aveva assunto una decisione su un punto sottratto alla sua giurisdizione;
6. con il sesto motivo deduceva la violazione dell’art. 91 p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per aver illegittimamente disposto la compensazione delle spese di lite.
7. Il primo e secondo motivo di ricorso, da trattarsi congiuntamente per connessione, meritano accoglimento.
Come è agevole evincere dallo svolgimento del processo descritto dalla CTR, non smentito dalla società contribuente nelle difese del controricorso, la questione della competenza del Sindaco in ordine all’adeguamento delle tariffe in materia di Tarsu, pur costituendo un motivo di impugnazione del diniego di rimborso nel ricorso dinanzi alla CTP, non era stata poi riproposta in sede di appello.
La contribuente aveva formulato infatti un primo motivo di appello con cui lamentava esclusivamente la violazione di norme processuali da parte del giudice di prime cure (invocando a conforto delle sue ragioni l’art. 24 Cost. e l’art. 32 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546), senza riproporre la questione concernente l’individuazione dell’organo dell’ente locale (consiglio comunale o sindaco) competente a deliberare le aliquote da applicare per la TARSU.
Ne consegue la formazione del giudicato interno su tale questione che, pur avendo formato oggetto di dibattito in primo grado, portando alla pronuncia di inammissibilità perché ritenuta domanda non proposta già nell’istanza di rimborso, non era stata ritualmente riproposta dalla parte interessata in sede di gravame.
Ha dunque errato la CTR ad esaminare una questione di merito ormai preclusa, che non risultava oggetto di alcun motivo di gravame e sulla quale, pertanto, si era già formato il giudicato interno a seguito della decisione di prime cure.
8. Anche i motivi terzo, quarto e quinto, da trattarsi congiuntamente per connessione, meritano accoglimento.
Ai sensi dell’art. 62, comma 3, d.lgs. n. 507/1993, la TARSU deve essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale.
Per locali si intendono strutture stabilmente infisse al suolo, chiuse da ogni lato verso l’esterno, anche se non conformi alle disposizioni urbanistico-edilizie, mentre per aree scoperte, sia le superfici prive di edifici o di strutture edilizie, sia gli spazi circoscritti che non costituiscono locale.
Soggette a tributo sono, ad esempio, anche le aree coperte o scoperte destinate a parcheggi frequentate da persone e, quindi, presuntivamente produttive di rifiuti (Cass. civ. Sez. 5 17 settembre 2019 n. 23058; Cass. civ. Sez. 5 11 aprile 2018 n. 8908; Cass. civ. Sez. 5 26 luglio 2017 n. 18500; Cass. civ. Sez. 5 lS luglio 2016 n. 17623; Cass. civ. Sez. 5 13 marzo 2015 n. 5047; Cass. civ. Sez. 5 1 luglio 2004 n. 12084.)
Tra le aree scoperte si distinguono quelle accessorie o pertinenze di locali già tassati, escluse dalla tassa; l’iniziale disciplina delle superfici scoperte diverse da quelle accessorie alle civili abitazioni, ha subito una serie di successive modificate in forza delle quali si è innanzitutto distinto tra aree operative, tassabili per intero, ed aree pertinenziali od accessorie a locali tassabili, escluse dal tributo a decorrere dall’anno 1997 (inizialmente a norma dell’art. 2, comma 4 bis, d.l. 2 novembre 1996, n. 599, conv. dalla I. 24 gennaio 1997, n. 5).
8.1 Sulla base di tale quadro normativo va quindi affermato che ai fini della tassabilità delle aree scoperte rileva esclusivamente la natura operativa delle stesse, intesa quale idoneità a produrre rifiuti ulteriori rispetto al locale e all’area principale già tassata e di cui, tenuto conto della destinazione funzionale, non rappresentano una mera estensione.
Per tutti i prelievi sui rifiuti opera poi la presunzione di produttività che costituisce una condizione oggettiva fondata sulla mera disponibilità di un locale o area scoperta operativa idonea all’uso; ai fini dell’assoggettabilità a tributo conta la mera idoneità di locali ed aree alla produzione di rifiuti, piuttosto che l’effettivo utilizzo del servizio.
La presunzione di potenzialità o attitudine a produrre rifiuti non costituisce poi una presunzione assoluta iuris et de iure, in quanto opera fino a prova contraria, fondata non sulla volontà del soggetto passivo di utilizzare o meno il bene, bensì sulla inidoneità per motivi strutturali o per la carenza di servizi minimi che ne consentano oggettivamente l’utilizzo.
Rileva, non da ultimo, che “la TARSU è dovuta, a norma dell’art. 62 del d.lgs. n. 507 del 1993, per l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte (a qualsiasi uso adibite, ad esclusione delle aree scoperte pertinenziali o accessorie ad abitazioni) e dei locali e delle aree che, per la loro natura o il particolare uso cui sono stabilmente destinate, o perché risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità, non possono produrre rifiuti: tali esclusioni non sono, tuttavia, automatiche, perché ponendo la norma una presunzione “iuris tantum” di produttività, superabile solo dalla prova contraria del detentore dell’area, dispone altresì che le circostanze escludenti la produttività e la tassabilità siano dedotte “nella denuncia originaria” o in quella “di variazione”, e siano debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione.( Sez. 5 – , Sentenza n. 31460 del 03/12/2019 (Rv. 656023 – 01)
9. Nella specie la CTR non ha fatto corretta applicazione di questi principi in quanto ha escluso l’assoggettabilitè a tributo degli spazi aperti in contestazione, pur risultando incontestato in fatto che tali aree fossero destinate all’esposizione delle vetture, e che quindi in quanto funzionali all’attività di concessionaria svolta dalla società contribuente, costituissero un’area operativa rispetto alla vendita delle autovetture, potenzialmente soggetta alla abituale frequentazione di personale e clientela e quindi idonea alla produzione di rifiuti.
Si aggiunga che non risultava agli atti alcuna istanza di esclusione o riduzione proposta in sede amministrativa, né l’avvenuta presentazione di tale istanza costituiva circostanza dedotta, né tanto meno alcuna prova contraria era stata offerta dalla contribuente idonea a superare la presunzione di produttività connessa alla natura operativa dell’area.
10. Per le suesposte considerazioni, assorbito il sesto motivo, la sentenza impugnata va cassata e, in applicazione dell’art. 384, comma 2, c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il ri Jetto del ricorso originario della contribuente.
10.1. In considerazione dell’esito finale della lite, tenuto conto che le questioni giuridiche oggetto di causa hanno trovato soluzione alla luce di interventi legislativi e giurisprudenziali complessi, va disposta la compensazione delle spese processuali del giudizio di merito, con condanna della controricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte,
accoglie i motivi di ricorso dal primo al quinto, dichiara assorbito il sesto, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla società contribuente;
condanna la controricorrente a pagare al Comune di Alcamo le spese di lite del presente giudizio, che si liquidano nell’importo complessivo di € 2.500,00 per compensi professionali, oltre CU, € 200,00 per esborsi, spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge; compensa le spese del giudizio di merito.
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