Corte di Cassazione sentenza n. 25756 depositata il 1° settembre 2022
operazioni inesistenti – IVA – onere della prova – giudicato esterno – è limitato non solo alle ipotesi di concreta sussistenza del “medesimo rapporto giuridico”‘, ma anche alla “soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune”, aventi natura di “premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza – l’inerenza dei costi non può essere considerata un elemento costante del rapporto d’imposta
RILEVATO CHE
– Con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva parzialmente l’appello proposto
da Mascolo Sergio avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli, che aveva rigettato il ricorso proposto dal predetto contribuente – esercente attività dì agente dì commercio – avverso un avviso di accertamento per IRES, IRAP e IVA relativi all’anno d’imposta 2011, con il quale erano stati ripresi a tassazione costi, ritenuti non inerenti, non documentati o relativi a operazioni soggettivamente ed oggettivamente inesistenti e veniva recuperata l’IVA considerata indebitamente detratta;
– la CTR evidenziava, per quanto ancora interessa in questa sede, che:
– con riferimento ai costi, ritenuti non inerenti per C 90.800,00 oltre IVA, per fatture emesse in favore del ricorrente dalla A.T. s.r.l. in liquidazione, si trattava di spese di consulenza deducibili, perchè compatibili con l’attività ad ampio spettro che il M.S. si era impegnato a fornire, in forza di un accordo di coordinamento accessorio al mandato di agenzia da lui sottoscritto con la M. s.p.a., come è stato stabilito anche dalla CTP di Napoli in altra sentenza emessa tra le stesse parti, in relazione all’anno 2009, passata in giudicato;
– a tale proposito non veniva meno la determinabilità oggettiva del costo, a causa dei ruoli rivestiti dal M.S. ìn entrambe le imprese (il M.S. era socio, unitamente al fratello, della A.T.), in quanto non era stata contestata la coerenza delle spese rispetto al totale dei ricavi, e non vi era alcuna promiscuità degli uffici, in quanto era stato dimostrato, mediante la produzione di una scrittura privata del 28.04.2009, che la A.T. aveva messo a disposizione della ditta M.S. uno spazio attrezzato all’interno della propria struttura, dietro pagamento di un corrispettivo;
– i costi per€ 4.950,00 oltre IVA, relativi alle fatture emesse in favore del M.S. dalla fornitrice T.D. n.c., erano deducibili, in quanto si trattava di spese di materiale per cartoleria e bozze grafiche clienti, documentate da fatture, da ritenere sicuramente inerenti, in considerazione della loro tipologia, essendo irrilevante che !a società fornitrice non aveva prodotto alcuna dichiarazione dei redditi dal 2008 e non aveva dipendenti, in quanto l’effettività di dette spese risultava dalla documentazione prodotta;
– anche i costi relativi ai compensi a terzi per servizi resi, rispettivamente, dai fornitori M. s.r.l. e CMD s.r.l. erano deducibili, in quanto dalla documentazione prodotta dal ricorrente risultava che entrambe le società fornitrici erano operanti nel 2011;
– in particolare, l’operatività della M. è stata riconosciuta anche da altra sentenza della CTR della Campania, passata in giudicato, in relazione all’anno di imposta 2009, avendo la predetta società ottenuto dal Tribunale di Milano un decreto ingiuntivo per il mancato pagamento di fatture emesse nel 2011 in favore della M. s.p.a.;
– anche la CMD risultava operante, avendo depositato il bilancio di esercizio relativo all’anno 2011;
– i suindicati compensi, poi, trovavano fondamento nel contratto stipulato tra la ditta M.S. e la M. s.p.a. per servizi che il contribuente doveva svolgere, in esecuzione del contratto di agenzia, anche a mezzo di terzi fornitori, e riguardavano attività di teleselling e telemarketing ovvero di contatto telefonico con la potenziale clientela, essendo propedeutici all’attività esercitata dal contribuente per la vendita del prodotto;
– la conferma della oggettiva esistenza delle operazioni si desumeva anche dalla testimonianza resa dal funzionario dell’Agenzia delle Entrate, Giordano Francesco, nel procedimento penale pendente innanzi al Tribunale di Napoli, il quale aveva dichiarato che i servizi erano stati effettivamente eseguiti e i costi documentati, potendosi eventualmente porre un problema sull’inesistenza soggettiva delle operazioni in relazione alla mancata prova dell’operatività delle predette società fornitrici;
– l’Ufficio non aveva provato nella specie non solo “la oggettiva fittizietà del fornitore”, ma neppure la conoscenza o conoscibilità del carattere fraudolento delle operazioni da parte del contribuente;
– l’Agenzia delle Entrate impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi;
– resiste con controricorso M.S..
CONSIDERATO CHE
– Con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione degli 109, comma 5, TUIR e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente ritenuto che la documentazione prodotta dal contribuente fosse idonea a dimostrare la sussistenza e l’inerenza delle spese relative alle fatture emesse dalla A.T. s.r.l., senza considerare che la sussistenza di elementi di promiscuità (mancando una netta distinzione tra l’attività di consulenza svolta dal M.S. quale socio e/o rappresentante della A.T. s.r.l. e quella svolta dallo stesso in veste di agente di commercio) e la riferibilità delle spese ad un unico centro di interesse economico avrebbero imposto la produzione di documentazione più specifica (quale, ad esempio l’attestazione dell’effettivo svolgimento dei corsi di formazione e della presenza dei partecipanti) per attestarne la certezza;
– con il secondo motivo, lamenta la violazione dell’art. 2909 civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., in quanto la decisione impugnata, nel richiamare le argomentazioni contenute in altra sentenza emessa tra le stesse parti in relazione all’anno 2009, passata in giudicato, si pone in contrasto con il principio che esclude l’efficacia vincolante del giudicato in materia tributaria – nella specie, con riferimento alla deducibilità delle spese – stante l’autonomia di ciascun periodo d’imposta; richiama in proposito quanto affermato dalle sentenze della CTR Campania n. 7390/08/18 e n. 7771/07/18, emesse tra le stesse parti, in relazione, rispettivamente, agli anni d’imposta 2010 e 2012;
– con il terzo motivo, denuncia la violazione degli 39 d.P.R. n. 600 del 1973 e 2697 cod. civ.1in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto deducibili, sebbene privi dei requisiti della certezza e dell’inerenza, i costi sostenuti in relazione alle forniture della T.D. s.n.c. e quelli riguardanti le fatture emesse dalla M. s.r.l. e dalla CMD Comunìcations s.r.l., omettendo di valutare le circostanze accertate dall’Ufficio (per la Trama Distribuzioni: omessa presentazione della dichiarazione dei redditi da parte della società fornitrice dal 2008, mancanza di dipendenti, esibizione delle sole fatture per documentare tali spese; per le altre due società: mancanza di una sede operativa e di una struttura commerciale, mancanza di dipendenti, inattività) e dando rilievo ad elementi di natura formale (decreto ìngìuntivo emesso dal Tribunale di Milano, contratto stipulato tra il M.S. e la M., estrapolazione di alcune dichiarazioni rese dal funzionario Giordano Francesco nel procedimento penale, iscrizione alla Camera di Commercio, presentazione dei bilanci);
– a tal proposito evidenzia che la sentenza impugnata contrasta con i principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte in materia di distribuzione dell’onere della prova, in quanto, nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’onere dell’Ufficio può esaurirsi nella dimostrazione che il soggetto interposto è privo di dotazione personale e strumentale, gravando poi sul contribuente l’onere di provare la propria buona fede;
– ragioni di priorità logica impongono di esaminare prima il secondo motivo che è inammissibile per carenza di interesse;
– il motivo riguarda la questione dell’effetto vincolante del giudicato esterno nel processo tributario, in relazione alle imposte periodiche;
– secondo il principio enunciato sul punto dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 13916 del 16.06.2006, “Qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo. Tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta1in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio1 la capacità contributiva, le spese deducibili); e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari a/l’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente In riferimento a tali elementi, il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato appare d’altronde coerente non solo con l’oggetto del giudizio tributario, che attraverso l’impugnazione dell’atto mira all’accertamento nel merito della pretesa tributaria1 entro i limiti posti dalle domande di parte, e quindi ad una pronuncia sostitutiva dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria (salvo che il giudizio non si risolva nell’annullamento dell’atto per vizi formali o per vizio di motivazione), ma anche con la considerazione unitaria del tributo dettata dalla sua stessa ciclicità, la quale impone, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di effettività della tutela giurisdizionale, di valorizzare l’efficacia regolamentare del giudicato tributario, quale “norma agendi” cui devono conformarsi tanto l’Amministrazione finanziaria quanto il contribuente nell’individuazione dei presupposti impositivi relativi ai successivi periodi d’imposta“;
– l’effetto preclusivo del giudicato relativo ad un singolo periodo di imposta, dunque, non opera indistintamente e in via generale per altri periodi d’imposta, ma è limitato non solo alle ipotesi di concreta sussistenza del “medesimo rapporto giuridico”‘, ma anche alla “soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune”, aventi natura di “premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza;
– detto effetto preclusivo può riguardare, poi, esclusivamente gli “elementi costitutivi della fattispecie” estensibili nel tempo e quindi insensibili al “periodo d’imposta”, individuati, in via esemplificativa, nella “qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria”;
– fra tali elementi costitutivi non possono rientrare, in ogni caso, quelli non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo, come le spese deducibili, posto che l’inerenza dei costi non può essere considerata un elemento costante del rapporto d’imposta, trattandosi di una componente negativa del reddito, tipicamente soggetta a variabilità annuale (Cass. 3.11.2019, n. 37; Cass. 4.04.2022, n. 10673);
– occorre, peraltro, considerare gli ulteriori limiti che pone all’efficacia espansiva del giudicato la ripresa per l’imposta armonizzata (ex plurimis, Cass. 18.12.2019, n. 33596 e CGUE Olimpiclub, C-2/08, 09.2009);
– ciò posto, benchè le sentenze definitive richiamate dalla decisione impugnata e specificatamente invocate dal controricorrente non possano esplicare alcun effetto espansivo con riferimento alla deducibilità dei costi relativi alle fatture emesse dalla A.T. e dalla M. per l’anno 2011, dal tenore della motivazione si evince che la CTR le ha citate esclusivamente come semplici precedenti conformi ai sensi dell’art. 118 att. cod. proc. civ., avendo poi valutato autonomamente l’esistenza, certezza ed inerenza di detti costi;
– il primo e il terzo motivo sono fondati;
– preliminarmente va disattesa l’eccezione della controricorrente di inammissibilità di entrambi i motivi, in quanto volti ad ottenere un ulteriore esame delle emergenze istruttorie, posto che la parte ricorrente lamenta, in realtà, la non corretta sussunzione della fattispecie nell’ambito del paradigma astratto delle citate disposizioni, laddove la CTR ha ritenuto che l’Ufficio non avesse assolto all’onere di prova su di esso gravante per contestare la mancanza dei requisiti di inerenza, certezza ed esistenza delle spese, desumibili dalla documentazione prodotta dal contribuente;
– con riferimento al primo motivo, occorre ribadire, in particolare, che “In tema dì accertamento delle imposte sui redditi, spetta al contribuente l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi A tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa” (ex plurimis, Cass. 26.05.2017, n. 13300);
– nella specie, la CTR ha errato nel ritenere che l’esistenza e l’inerenza dei costi per le prestazioni fornite dalla A.T. si dovesse fondare solo sulle fatture emesse dalla predetta società fornitrice;
– l’onere probatorio che si pretende dal contribuente, invero, deve essere proporzionale alla complessità o all’atipicità del rapporto nell’ambito del quale viene fatturata la prestazione (cfr. Cass. 09.2018, n. 23519);
– la genericità della descrizione dei servizi nella specie fatturati, la promiscuità dei ruoli ricoperti dal contribuente (che era anche socio di maggioranza e legale rappresentante della A.T.) e la commistione degli spazi fisici in cui operavano le due imprese esigevano, pertanto, che la qualificazione dell’operazione come atto di impresa doveva tradursi in elementi oggettivi più pregnanti, suscettibili di apprezzamento in funzione del giudizio di inerenza;
– con riferimento al terzo motivo, occorre ribadire che la sentenza impugnata non rispetta l’orientamento espresso più volte da questa Corte in materia di riparto dell’onere della prova e di individuazione degli elementi presuntivi idonei ai finì della contestazione dell’inesistenza oggettiva delle operazioni fatturate;
– l’inerenza e la certezza delle spese sostenute nei confronti della T.D. è stata affermata solo sulla base delle fatture emesse dalla predetta società, senza considerare gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione finanziaria circa la mancata operatività della società fornitrice;
– anche per quanto riguarda le spese di cui alle fatture emesse dalla M. e dalla CMD, riguardanti operazioni ritenute inesistenti, il giudice di appello ha violato ì principi di distribuzione dell’onere della prova;
– la sentenza impugnata, infatti, non si è attenuta al principio più volte affermato da questa Corte, in tema di detrazione dell’IVA, secondo il quale “una volta che l’Amministrazione finanziaria dimostri, anche mediante presunzioni semplici, l’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi cosn provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono dì regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia” (Cass. 18.10.2021, n. 28628);
– più in particolare, occorre considerare che “la dimostrazione a carico dell’amministrazione finanziaria è raggiunta qualora siano forniti validi elementi che, alla stregua dell’art. , comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600/1973, e dell’art. art. 54, comma 2, d.P.R. n. 633/1972, possono anche assumere la consistenza di attendibili indizi, per affermare che le fatture sono state emesse per operazioni fittizie, ovvero che dimostrino ìn modo certo e diretto la inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati ovvero la inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione” (Cass. 18.10.2021, n. 28628);
– solo in un secondo momento, qualora il giudice di merito ritenga che gli elementi presuntivi forniti dall’Ufficio, valutati singolarmente e complessivamente, siano dotati dei caratteri di gravità, previsione e concordanza (e a tale proposito costituisce significativo elemento indiziario la circostanza che il soggetto emittente era privo di una struttura organizzativa e di una sede operativa), potrà esaminare l’eventuale prova contraria offerta dal contribuente, verificando se la stessa sia idonea a scalfire il quadro probatorio posto alla base dell’atto impositivo;
sul punto occorre precisare che, nell’ipotesi di operazioni oggettivamente inesistenti, non grava sull’Amministrazione finanziaria anche l’onere di provare la mala fede del contribuente (Cass. 10.11.2020, 25113), essendo tale ulteriore onere probatorio richiesto solo quando la fattura contestata attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti, in relazione alle quali spetterà, poi, al contribuente dimostrare, eventualmente, la propria buona fede (Cass. 20.04.2018, n. 9851);
– il giudice del gravame non ha seguito i principi sopra indicati, ritenendo che, con riferimento alle fatture emesse dalla T.D., “i costi per spese di cancelleria, relativi a forniture di materiale per cartoleria e bozze grafiche clienti”, fossero inerenti, in quanto “documentati dalle fatture prodotte”, e che nessuna rilevanza poteva essere attribuita alla circostanza che la società fornitrice non avesse prodotto alcuna dichiarazione dei redditi dal 2008 e non avesse dipendenti, “in quanto l’effettività di tali spese risulta dalla documentazione prodotta e non è stata smentita da rilievi di segno contrario da parte dell’Ufficio”;
– anche con riferimento alle fatture emesse dalla M. e dalla CMD, la CTR ha erroneamente svalutato il valore sintomatico della mancanza di una sede operativa e di un’organizzazione aziendale delle predette società emittenti, dando rilievo alla prova contraria che il contribuente ha indicato in elementi meramente formali (decreto ingiuntivo riguardante un rapporto estraneo alla presente controversia e l’avvenuto deposito del bilancio da parte di una delle società emittenti) e ponendo a carico dell’Ufficio l’ulteriore onere di dimostrare la consapevolezza della frode da parte del contribuente, nell’eventualità che le contestate operazioni potessero essere qualificate solo soggettivamente inesistenti;
– il giudice di appello ha, dunque, alterato le regole di ripartizione gravanti sulle parti nei casi in cui la fattura viene contestata sotto ìl profilo dell’inesistenza oggettiva delle operazioni;
– in conclusione, vanno accolti il primo e il terzo motivo di ricorso, va dichiarato inammissibile il secondo, con conseguente cassazione della sentenza con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il terzo motivo, dichiara inammissibile il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.