Corte di Cassazione sentenza n. 25801 depositata il 1° settembre 2022
valutazione delle prove presuntive – iter logico seguito dal giudice – principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – operazioni soggettivamente inesistenti
RITENUTO CHE
L’Agenzia delle Entrate ha emesso nei confronti della 307 / A C. srl due avvisi di accertamento per gli anni di imposta 2009 e 2010 recanti il recupero a tassazione di IVA indebitamente detratta perct1è relativa a fatture per operazioni soggettivamente inesistenti.
In particolare, secondo l’Ufficio, la C. aveva acquistato merci da società buffer o addirittura «cartiere» rivendendo la merce acquistata per lo più a società residenti in San Marino per importi di poco superiori ai prezzi di acquisto.
La CTP di Roma aveva respinto i ricorsi proposti dalla società che ha proposto appello, accolto dalla CTR del Lazio che ha annullato gli avvisi impugnati.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione notificato l’11.12.2019, l’Agenzia delle Entrate affidato a quattro motivi.
Resiste con controricorso la C. srl che ha anche depositato memoria.
CONSIDERATO CHE:
1. La controricorrente ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per tardività, per violazione del principio di autosufficienza, per difetto di specificità e perchè tendenti ad ottenere un nuovo scrutinio del merito della controversia.
Le eccezioni sono infondate.
1.1 Quanto alla tempestività del ricorso, tenendo conto del termine lungo (sei mesi) di impugnazione (art. 327, comma 1, p1 oc. civ., nel testo novellato dall’art. 46, comma 17, della Legge 18 giugno 2009 n. 69), il ricorso per cassazione avverso la sentenza, depositata dal giudice appello il 10 settembre 2018, doveva essere proposto entro il 10 marzo 2019 che, cadendo in giorno festivo (domenica), deve essere prorogato all’ll marzo 2019 ex art. 155 comma quarto c.p.c..
Devono aggiungersi i nove mesi di sospensione straordinaria ex art. 6, comma 11, del D.L. 23 ottobre 2018 n. 119, convertito, con modificazioni, dalla Legge 17 dicembre 2018 n. 136, che fanno slittare la scadenza del termine all’ 11 dicembre 2019, ultimo giorno utile in cui l’Agenzia ha notificato il ricorso a mezzo pec.
La «sospensione dei termini processuali» prevista dall’art. 6, comma 11, del D.L. 23 ottobre 2018 n. 119, convertito, con modificazioni, nella Legge 17 dicembre 2018 n. 136 riguarda «i termini di impugnazione, anche incidentale, delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione, nonché per la proposizione del controricorso in Cassazione che scadono tra la data di entrata in vigore del presente decreto [24 ottobre 2018] ed il 31 luglio 2019».
Secondo questa Corte la sospensione opera in base alla mera
«proponibilità» (e non alla effettiva proposizione) della domanda di definizione agevolata nelle «controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l’Agenzia delle entrate, aventi ad oggetto atti impositivi, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in Cassazione e anche a seguito di rinvio» (art. 6, comma 1, del D.L. 23 ottobre 2018 n. 119, convertito, con modificazioni, nella Legge 17 dicembre 2018 n. 136), senza stabilire alcuna discriminazione tra amministrazione finanziaria e contribuente sulla usufruibilità del beneficio, che ha efficacia automatica per tutte le parti del processo tributario (Cass. n. 28398 del 2021).
1.2 Quanto alle altre eccezioni, va premesso, anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri Italia del 28 ottobre 2021, che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. – quale corollario del requisito di specificità dei motivi – non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito ( Cass. sez. U, n. 8950 del 18/03/2022).
Nel caso di specie l’esposizione dei motivi mette il giudice nelle condizioni di comprendere l’oggetto della controversia ed il contenuto delle censure senza dover scrutinare autonomamente gli atti di causa.
Per un verso, sul piano contenutistico, il ricorso per cassazione dell’Agenzia espone quanto necessario a porre il giudice di legittimità in condizione di avere completa cognizione della controversia e del suo oggetto, nonché di cogliere il significato e la portata delle censure contrapposte alle argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa; per altro verso, il ricorso soddisfa l’onere di «localizzazione» di ciascun atto o documento su cui il ricorso si fonda, con trascrizione testuale della parte di interesse e indicazione della sede processuale in cui si trova.
2. Passando ai motivi, con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli art. 54 bis P.R. n. 633 del 1972 nonchè degli art. 2727 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., in quanto la CTR si era soffermata su circostanze attinenti alla C. (quali l’esattezza dei pagamenti, la presenza di dipendenti, di locali di vendita e di merci) del tutto irrilevanti rispetto ai fatti contestati, consistenti nella inesistenza soggettiva e non oggettiva delle prestazioni acquistate fittiziamente da soggetti interposti (in particolare, la B.M. srl) che erano risultate mere cartiere.
Con il secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 654 cpc nonchè degli art. 2727 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cpc perchè il Giudice d’appello aveva evidenziato che il procedimento penale, promosso in riferimento ai fatti oggetto di accerta mento in relazione ai reati di cui agli art. 2 e 8 d.lgs. n. 74 del 2000, si era concluso con decreto di archiviazione disposto dal G.I.P. su richiesta del Pubblico Ministero.
Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 54 bis d.P.R. n. 633 del 1972 nonchè degli art. 2727, 2729 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.1 laddove la sentenza ha ignorato quanto emerso in sede amministrativa per concludere che l’Ufficio non avesse dato prova della consapevolezza del destinatario che le operazioni di acquisito si inserivano in una evasione di imposta in relazione al maggior numero di società fornitrici della C. srl.
Con il quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 54 bis d.P.R. n. 633 del 1972 nonchè degli art. 2727, 2729 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. perché con riferimento alla B.M. srl, la sentenza aveva escluso la consapevolezza da parte della C. del fatto che la B. M. Sri fosse una «cartiera» sulla considerazioni che la contribuente aveva acquisito la visura camerale della società e l’irreperibilità dell’amministratore e la cessazione dell’attività erano riconducibili al 2011, dando rilevanza ad elementi del tutto incongrui rispetto a quelli indiziari evidenziati dall’Ufficio (pagg. 11 e segg. dell’accertamento del 2010 trascritte nel ricorso).
3. Il secondo motivo è inammissibile per carenza di interesse, in quanto la pronuncia impugnata non ha riconosciuto forza vincolante al decreto di archiviazione emesso in sede penale ma la decisione si fonda sulla mancata prova da parte dell’Amministrazione dei presupposti per il recupero di IVA per operazioni soggettivamente inesistenti, in particolare con riguardo alla consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione di imposta.
4. Il primo, il terzo e il quarto motivo, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono invece ammissibili e fondati.
Come emerge già dall’esposizione al punto 2 e come risulterà nel prosieguo, la ricorrente ha esposto in termini sufficientemente specifici le critiche rivolte alla sentenza impugnata che non si risolvono in una mera riproposizione di questioni meritali, nel tentativo di rimettere in discussione l’apprezzamento in fatto dei giudici di merito, ma tendono ad un controllo sulla applicazione della normativa invocate: da un lato, quella relativa alla ripartizione dell’onere probatorio in materia di operazioni soggettivamente inesistenti e, dall’altro, quella relativa alla formazione della prova critica, sotto il profilo della correttezza del ragionamento svolto dalla sentenza impugnata e della sussistenza dei requisiti della presunzione.
4.1 Sotto il primo profilo, questa Corte, alla luce della giurisprudenza comunitaria, ha statuito il seguente principio di diritto: «In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi» (Cass. n. 9851 del 2018, Cass. n. 27555 del 2018, Cass. n. 15369 del 2020).
In caso di operazioni soggettivamente inesistenti l’Amministrazione deve provare, oltre l’alterità soggettiva dell’imputazione delle operazioni (il soggetto formale non è quello reale), che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente, con l’emissione della relativa fattura, aveva evaso l’imposta o partecipato a una frode, e cioè che il contribuente disponeva di indizi idonei ad avvalorare un tale dubbio ovvero «a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente» (Corte di Giustizia 6 dicembre 2012, Bonik, C-285/11; Corte di Giustizia, Ppuh, C-277/14, par. 50).
Questa prova può dirsi raggiunta qualora l’Amministrazione fornisca attendibili indizi, idonei ad integrare una presunzione semplice, come prevede per l’IVA l’art. 54, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972 (v. Cass. n. 14237 del 2017; Cass. n. 20059 del 2014; Cass. n. 10414 del 2011; Corte Giust. Kittel, C-439/04; Corte Giust. Mahagèben e David, C-80/11 e C-142/11); è sufficiente che gli elementi forniti dall’Amministrazione si riferiscano anche solo ad alcune fatture o circostanze rilevanti per la qualificazione della società dell’imprenditore, pur escludendo ogni automatismo probatorio o criterio generale predeterminato.
L’onere dell’Amministrazione finanziaria sulla consapevolezza dell’ interposta come cartiera (quali ad es. la mancanza di sede, la mancanza di iscrizione, l’omesso versamento delle imposte, … ) ovvero a singole indicazioni significativamente riferibili alla sfera di conoscenza o conoscibilità cessionario va dunque ancorato al fatto che questi, in base ad elementi obbiettivi e specifici, che spetta all’Amministrazione individuare e contestare, conosceva o avrebbe dovuto conoscere che l’operazione si inseriva in una evasione all’Iva e che tale conoscibilità era esigibile, secondo i criteri dell’ordinaria diligenza ed alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta, tenuto conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell’affare ed afferenti alla sua sfera di azione.
Raggiunta tale prova, è quindi onere del contribuente dimostrare – oltre all’effettività del suo interlocutore – la propria buona fede, ossia che il contribuente non disponeva di indizi idonei ad avvalorare un tale dubbio.
L’onere probatorio incombente sul destinatario può, invero, essere articolato su una pluralità di livelli: può, infatti, investire sia l’asserito carattere di anomalia degli elementi posti in evidenza dal Fisco, sia l’attività conoscitiva preventiva eventualmente posta in essere da cui emergeva, in ordine all’effettività ed operatività dell’impresa interposta, un esito tranquillizzante, mentre non potevano essere esperibili, né tantomeno esigibili, accertamenti più incisivi, (Cass. n. 9851 del 2018).
4.2 Con riguardo al profilo relativo al ragionamento presuntivo, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, se è vero che è devoluta al giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 c.c. che valorizzano gli elementi di fatto quale fonte di presunzione, tuttavia, tale giudizio non può sottrarsi al controllo in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360, comma 1, 3, c.p.c., se risulti che, violando i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice si sia limitato a negare valore indiziario a singoli elementi acquisiti in giudizio, senza accertarne l’effettiva rilevanza in una valutazione di sintesi (Cass. n. 10973 del 2017, Cass. n. 17183 del 2015; Cass. n. 9760 del 2015).
Nello specifico, «In tema di presunzioni di cui all’art. 2729 cod. civ., è deducibile come vizio di violazione e falsa applicazione di norma di diritto ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.: a) l’ipotesi in cui il giudice di merito contraddica il disposto dell’art. 2729 cod. civ., primo comma, affermando (e, quindi, facendone poi concreta applicazione) che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni (rectius: fatti), che non siano gravi, precise e concordanti: questo è un errore di diretta violazione della norma; b) l’ipotesi in cui il giudice di merito fonda la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza da esso della conseguenza ignota, così sussumendo sotto la norma dell’art. 2729 cod. civ. fatti privi di quelle caratteristiche e, quindi, incorrendo in una sua falsa applicazione, giacché dichiara di applicarla assumendola esattamente nel suo contenuto astratto, ma lo fa con riguardo ad una fattispecie concreta che non si presta ad essere ricondotta sotto tale contenuto, cioè sotto la specie della gravità, precisione e concordanza; c) l’ipotesi, opposta a quella sub b) in cui espressamente, cioè motivando, il giudice di merito abbia ritenuto un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza da esso della conseguenza ignota, così rifiutandosi di sussumere sotto la norma dell’art. 2729 cod. civ. fatti che avrebbero avuto le caratteristiche per esservi sussunti e, quindi, incorrendo per tale ragione in una sua falsa applicazione» (Cass. n. 17720 del 2018; Cass. sez. U., n. 1785 del 2018; Cass. n. 9054 del 2022).
5. Nel caso di specie, la CTR non ha fatto buon governo di questi principi trascurando completamente i numerosi e specifici elementi indicati dall’Ufficio, che non solo inducevano a dubitare che i soggetti emittenti le fatture fossero effettivamente i fornitori delle merci ma che lasciavano presumere anche la consapevolezza da parte della C. dei profili di anomalia o evasione.
Negli avvisi di accertamento (si vedano in particolare le trascrizioni sotto il terzo e quarto motivo), erano riportati innumerevoli indizi dell’inesistenza soggettiva di quelle operazioni e segnatamente:
a) la contribuente aveva avuto rapporti con la M. srl e la B. srl, I. srl e la D. srl, società inattive o cancellate, prive di strutture operative proprie e/o di dipendenti, con amministratori del tutto sconosciuti al fisco o irreperibili, come dettagliatamente riportato negli avvisi di accertamento; b) l’amministratore della C. srl aveva dato spiegazioni inconsistenti in ordine all’effettività dei rapporti con le fornitrici e alla inconsapevolezza di prendere parte ad un disegno fraudolento (dettagliatamente riportati a pagg. 30 e 31 dell’avviso del 2010 trascritte nel ricorso); c) l’Ufficio aveva posto in evidenza l’antieconomicità della condotta in quanto la C. srl, anzichè rivolgersi ai distributori comunitari ufficiali dei prodotti informatici, aveva preferito rivolgersi a fornitori italiani, che non erano nè produttori nè distributori ufficiali, così inserendo un altro intermediario nell’operazione di compravendita che diminuiva il margine di profitto.
A ciò si aggiungevano precisi elementi che escludevano l’effettività dei rapporti intercorsi con le fornitrici e deponevano per la consapevolezza della società di prendere parte al disegno fraudolento:
genericità delle giustificazioni quanto alla conoscenza degli amministratori o dei referenti delle società emittenti, che sarebbe avvenuta in maniera estemporanea o casuale;
mancata esibizione di significativa corrispondenza commerciale; incongruenze nelle visure camerali esibite relative ai fornitori che anzichè rassicurare avrebbero dovuto indurre un avveduto e prudente operatore commerciale a diffidare (indicazione di inattività del soggetto, oggetto sociale incoerente con la vendita all’ingrosso di materiale informatico, mancato versamento del capitale sociale).
La conclusione dell’Ufficio di una «condotta negligente e superficiale, posta in essere a fronte degli elevati e continui quantitativi di merce acquistata», che «denota come la 307/a C. fosse del tutto consapevole di quel ruolo di interposizione fittizia rivestito d le società fornitrici», avrebbe meritato maggiore attenzione da parte dei Giudici d’appello, che si limitano ad affermare apoditticamente che «l’Ufficio non ha assolto l’onere così come sopra richiesto in relazione al maggior numero di società che avevano avuto rapporti commerciali con la 307/ A C. srl».
6. Soltanto con riguardo alla B.M. srl si riconosce che «un fumus della inesistenza» si sarebbe potuto astrattamente configurare ma si esclude in concreto la prova della consapevolezza da parte della C. del fatto che la fornitrice fosse una società cartiera perchè la contribuente aveva provveduto ad acquisire una visura camerale della società e, inoltre, perchè sia l’irreperibilità del legale rappresentante della B.M. srl sia la cessazione dell’attività risalivano al 2011 e, quindi, erano successive al periodo di emissione delle fatture di cui all’accertamento.
Sono stati del tutto trascurati specifici elementi che non solo servivano a dimostrare la natura di cartiera della B.M. ma che rientravano nella sfera di conoscenza o conoscibilità della C. srl.
Spiccano, in particolare, le seguenti circostanze:
- l’Agenzia aveva evidenziato, riguardo alla M. srl, che «nonostante i notevoli quantitativi di merci acquistate e vendute, la società, oltre a non avere dipendenti, negli anni di attività non disponeva neppure di unità locali o di proprie strutture operative quali magazzin1i o depositi»;
- le fatture emesse dalla B.M. srl esibite dalla parte nel corso del controllo presentavano evidenti anomalie in merito alla effettiva movimentazione della merce «non essendo generalmente mai specificato il soggetto che avrebbe effettuato il trasporto della stessa (mittente, destinatario o Corriere), oltre ad essere generalmente sprovviste dell’eventuale documento di trasporto»;
- erano emerse «sistematiche vendite sottocosto nei confronti della C. srl» – oltre all’emissione di bonifici a favore di una società di diritto olandese (la Fotress ICT), distributrice di prodotti informatici, in coincidenza con il ricevimento dei pagamenti da parte della C.;
- la stessa parte aveva esibito, oltre alla visura camerale relativa alla B.M. srl, «un report da cui emergeva un alto coefficente di rischio in capo alla stessa B.M. Sri dovuto alla presenza di protesti elevati nei confronti dell’amministratore» di data posteriore alla chiusura delle operazioni di verifica di cui al pvc.
Di fronte a questi indizi che rendevano percepibile da parte del destinatario l’anomalia delle operazioni con la B.M. srl la sentenza ha dato prevalenza ad elementi che effettivamente, in mancanza di puntuali argomentazioni, presentano profili di incongruità e possono risultare recessivi rispetto al quadro indiziante evidenziato dall’Ufficio.
L’acquisizione della visura camerale non è di per sè in grado di escludere il rilievo di quelle anomalie o avere un effetto ragionevolmente tranquillizzante sul destinatario mentre la cessazione dell’attività e l’irreperibilità dell’amministratore della B.M.in epoca successiva all’emissione delle fatture sembra inconferente con la prova dell’elemento soggettivo.
7. Viene in evidenza il procedimento logico alla base del ragionamento presuntivo che «si articola in due indefettibili momenti» per i quali il giudice del merito deve, innanzi tutto, «valutare in maniera analitica ognuno degli elementi indiziari (1) per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e (2) per conservare quelli che, presi singolarmente, rivestano i caratteri della precisione e della gravità, ossia presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria» e, di poi, «procedere a una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati e accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni indizi» (Cass. n. 18021 del 2009, non massimata; Cass. n. 9054 del 2022).
Lo svolgimento di questo procedimento da parte dei giudici d’appello, alla luce di quanto sopra esposto, risulta ampiamente carente.
8. Conclusivamente, la sentenza impugnata deve essere cassata con riferimento al primo, terzo e quarto motivo e deve disporsi il rinvio alla CTR Lazio in diversa composizione che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
p.q.m.
accoglie il primo, terzo e quarto motivo, ritenuto inammissibile il secondo, cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti con rinvio alla CTR Lazio in diversa composizione che deciderà anche sulle spese.