Corte di Cassazione sentenza n. 25857 depositata il 1° settembre 2022
l’accertamento può essere fondato anche su «altri atti o documenti» in possesso dell’amministrazione, tra i quali le informative di amministrazioni estere – inapplicabilità delle sanzioni nei casi di errore o incertezza sulla norma tributaria
FATTI DI CAUSA
1. L’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Varese, notificava, in data 18/12/2008, a S. Anastasia sei avvisi di accertamento, ai sensi degli 38 e 41 bis d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, ai fini IRPEF 2001-2006, contestando la violazione dell’art. 4, comma 1, n. d.l. 28 giugno 1990, n. 167, convertito nella legge 4 agosto 1990, 227, avendo ritenuto omessa la dichiarazione (modulo RW – Sez. II), per gli anni dal 2001 al 2006, di redditi di capitali all’estero pari ad € 650.000,00, detenuti tramite la Fondazione C., con sede a Vaduz in Liechtenstein.
Sostanzialmente negli avvisi di accertamento si precisava che, in risposta al questionario, la contribuente negava di possedere attività o investimenti esteri, mentre dalla allegata documentazione acquisita attraverso attività di cooperazione internazionale (Direttiva Europea n. 77/799 CEE – 1977), è risultato che, dal 28/06/2001, la medesima risultava beneficiaria delle disponibilità economiche facenti capo alla Fondazione C., costituita nel 1993 dal coniuge, commerciante internazionale di pellicce, deceduto nel 1998; ancora, si acclarava che oggetto della fondazione era la gestione di beni propri (riepilogativo della Fondazione datato 25/06/2001) e la contribuente, in ultima istanza, era abilitata a disporre economicamente dei relativi valori patrimoniali; inoltre, si accertava che l’importo di € 650.000,00, indicato nella documentazione pervenuta dalla Direzione Centrale dell’Accertamento-Settore controlli fiscali- Ufficio indagini fiscali, andava imputato a reddito derivante da investimenti, tanto più che nella segnalazione qualificata fornita dall’autorità estera era annotata la possibilità che la contribuente detenesse ulteriori fondi\depositi bancari, sicché era possibile che la somma di € 650.000,00 costituisse il provento di questi altri patrimoni.
Pertanto, per l’anno 2001, l’ufficio accertava un reddito di capitale non dichiarato pari ad € 650.000, proveniente da rapporti aventi ad oggetto l’impiego di capitale (art. 44, primo comma, lett. h), d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917), mentre, per gli anni dal 2002 al 2006, accertava il reddito non dichiarato in base alla presunzione di fruttuosità (art. 6 d.l. 28 giugno 1986, n. 167, conv. nella legge 4 agosto 1990, n. 227), applicando all’ammontare dell’investimento il tasso ufficiale medio di sconto vigente in Italia nei relativi periodi d’imposta.
Con distinti ricorsi la contribuente impugnava gli avvisi di accertamento lamentando violazioni di legge, vizi formali, assenza dei presupposti legittimanti gli accertamenti e infondatezza della pretesa impositiva.
2. Con sentenza 208/07/10, l’adita C.t.p. di Varese accoglieva i ricorsi riuniti e annullava gli avvisi di accertamento in quanto illegittimi, ritenendo non assolto dall’Ufficio accertatore l’onere probatorio a suo carico.
3. Avverso la predetta sentenza proponeva appello l’Agenzia delle Entrate-Direzione provinciale di Varese, censurando sostanzialmente la sentenza per non aver considerato che si trattava di accertamento ai sensi degli artt. 38 e 41 bis P.R. 29 settembre 1973, n. 600; che i documenti posti a fondamento costituivano prova delle disponibilità estere riconducibili alla contribuente, legittimamente acquisiti -tramite scambio di informazioni spontaneo a sensi della Direttiva CEE 77/779 – 1977 senza pagamento di corrispettivo, nonché attendibili e utilizzabili in quanto conformi agli originali in lingua tedesca, e tradotti in italiano.
Nel costituirsi, l’appellato, oltre a contestare l’impugnazione nel merito, eccepiva il difetto di notifica nei termini dell’atto di appello, eccezione alla quale, poi, rinunciava.
4. La C.t.r. della Lombardia, con sentenza n. 178/36/12, depositata in data 16/11/2012, in riforma dell’impugnata sentenza, accoglieva l’appello e dichiarava legittimi gli accertamenti.
5. Avverso detta sentenza, Anastasia S. ha proposto ricorso per Cassazione affidato a cinque motivi.
L’Agenzia delle Entrate si è costituita in giudizio con controricorso. Il Sostituto Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta, chiedendo il rigetto del ricorso.
La causa è stata discussa nella pubblica udienza del 05 aprile 2022 per la quale non sono state depositate memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1 Con il primo motivo di ricorso così rubricato «Inammissibilità della informativa internazionale. Violazione dell’art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e della Direttiva n. 77/799 CEE, in relazione all’art. 360, 3, cod. proc. civ.», la contribuente lamenta l’error in iudicando nella parte in cui il giudice di appello ha sostenuto che l’accertamento potesse essere fondato anche su altri atti o documenti in possesso dall’amministrazione, tra i quali ben possono rientrate le informative di amministrazioni estere, affermando che gli stessi atti o documenti devono essere legittimamente acquisiti e deve, quindi, essere indicato quale sia stata la modalità di assunzione degli stessi; circostanza che, a dire della ricorrente, non ricorrerebbe nel caso di specie e ciò in violazione dei principi contenuti nella legge 7 agosto 1990, n. 241 sul procedimento amministrativo.
1.2 Con il secondo motivo di ricorso così rubricato: «Illegittima inversione dell’onere della prova e assenza di presunzioni gravi, precise e concordanti. Violazioni degli artt. 38, 41 bis e 42 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, della Direttiva CEE n. 77/799 e degli artt. 7 e 10 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del Contribuente), degli artt. 2696 e 2729 cod. civ., dell’art. 97 della Costituzione e degli 6 e 8 della CEDU, in relazione all’art. 360 n. 3, cod. proc. civ.», la contribuente lamenta l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, si asserisce che le prove assunte dall’Amministrazione costituiscono presunzioni gravi, precise e concordanti ai sensi dell’art. 2729 cod. civ. e che sia illegittima la pretesa di imporre al contribuente di fornire prove adeguate che contrastino con l’informativa internazionale, invertendo l’onere della prova.
1.3 Con il terzo motivo di ricorso così rubricato «Sulla inammissibilità della informativa internazionale. Omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.», la ricorrente lamenta il vizio di motivazione nella parte in cui, nella sentenza impugnata, il giudice di seconde cure, ha ritenuto che l’informativa fornita dalla contribuente estera è sufficiente a giustificare la riferibilità alla contribuente della Fondazione C., salvo prova contraria, e ciò per la totale assenza di dati e fatti certi dell’informativa cui l’Agenzia ha fatto riferimento che non possono considerarsi prove, con conseguente illegittimità di una pretesa impositiva che ribalta sul contribuente l’onere di fornire la prova.
1.4 Con il quarto motivo di ricorso così rubricato «Omessa valutazione circa l’asserita rinuncia di domanda ed eccezioni proposte in primo grado dalla contribuente in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.», la ricorrente lamenta il vizio di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato precluso l’esame delle domande e delle eccezioni proposte dalla contribuente sulle quali la C.t.p. non si è pronunciata in quanto non espressamente riproposte in questo grado laddove, invece, esse sono state riproposte in appello, come di seguito indicate: a) sull’inesistenza/mancanza prova della notificazione degli avvisi di accertamento e sulla conseguente nullità degli stessi; b) sulla incompetenza della Direzione Regionale delle Entrate; c) sulla domanda subordinata: illegittima applicazione dell’aliquota progressiva in violazione degli artt. 18 e 44 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917; d) in ulteriore subordine: disapplicazione delle sanzioni per obiettive condizioni di incertezza per violazione degli artt. 8 d.P.R. 31 dicembre 1992, n. 546 e 16 d. lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 o comunque sulla riduzione delle stesse ai minimi edittali.
1.5 Con il quinto motivo di ricorso così rubricato «in subordine, alla domanda IV, circa la omessa pronuncia su domande ed eccezioni proposte dal contribuente, nullità della sentenza in parte qua in relazione all’art. 360, n.4, cod. proc. civ. con riferimento al combinato disposto dell’art. 1, comma 3, lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 e 112 cod. proc. civ.», la ricorrente ritiene che, in subordine alla precedente domanda, il motivo esposto possa comunque avere integrato una violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, con riferimento ai motivi esposti al punto 4), chiedendo al giudice di legittimità l’esame degli atti del giudizio di merito.
2. Il primo, secondo e terzo motivo, da trattarsi congiuntamente per evidenti ragioni di connessione trattando tutti della prova dei fatti costitutivi della pretesa tributaria e del relativo onere, sono infondati.
Con essi si deduce, da un lato, che nella sentenza impugnata i giudici illegittimamente hanno affermato che l’accertamento possa essere fondato anche su altri atti e documenti in possesso dell’amministrazione e che tra questi possano rientrare informative provenienti da amministrazioni estere nonché che l’ufficio, nell’atto di accertamento, avrebbe violato i principi immanenti della legge 7 agosto 1990, n.241 in quanto gli atti sarebbero stati raccolti in violazione di principi di pubblicità e trasparenza e, dall’altro, che le prove assunte dalla P.A. sarebbero prive dei crismi di autenticità, costituendo mere presunzioni con conseguente illegittimità di pretendere in capo al contribuente di fornire prove adeguate a contrasto di quelle assunte dall’ufficio finanziario.
Sul punto, va rilevato che la cooperazione tra organi amministrativi dei Paesi della Comunità trova fondamento, ratione temporis, nell’art. 65 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nell’art. 55 d.l. 30 agosto 1993, n. 331, nell’art. 38, terzo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nella Direttiva n.77/99 CEE (come modificata dalla Direttiva 79/1070/CEE) e nel Regolamento CEE n.218/92.
In particolare, ai sensi dell’art. 38, terzo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, l’accertamento può essere fondato anche su «altri atti o documenti» in possesso dell’amministrazione, tra i quali le informative di amministrazioni estere riguardo ad indagini che, per essere svolte in territorio estero, non potrebbero essere compiute all’amministrazione italiana.
In ambito comunitario è stato adottato uno specifico strumento, appunto la Direttiva Comunitaria n. 77/799/CEE del 19/12/1977 recepita nel nostro ordinamento con il d.P.R. 16 dicembre 1992, n. 56 e modificata dalla Direttiva 2004/56/CE del 21/4/2004, finalizzato a definire le modalità con cui gli stati membri possono scambiarsi efficacemente le informazioni fiscali così assicurandosi assistenza reciproca al fine precipuo di determinare correttamente le imposte sul reddito e sul patrimonio.
Di poi, l’art. 4 della Direttiva Comunitaria n. 77/799/CEE del 19/12/1977 – che disciplina lo scambio spontaneo delle informazioni – dispone che questo tipo di procedura trova attivazione allorchè l’autorità competente di uno stato membro, in possesso di informazioni idonee a permettere una corretta determinazione delle imposte sul reddito e sul patrimonio, comunichi le stesse all’autorità competente di ogni altro Stato quando trattasi di imposte sul reddito e sul patrimonio.
Orbene, la C.t.r. della Lombardia ha osservato come l’efficacia probatoria dell’informativa internazionale, quale fonte della notizia delle violazioni tributarie contestate alla contribuente avesse come fondamento l’art. 38, comma 8.3, d.P.R. 29 agosto 1973, n. 600 e la Direttiva n. 77/799/CEE del 19/12/1977. Del pari, i documenti esteri sui quali si fondavano gli accertamenti – prodotti dall’ufficio in originale e con traduzione italiana –non erano anonimi e consistevano in estratti conto della Fondazione C. e in dichiarazioni (atti unilaterali), validamente sottoscritti dai soli dichiaranti, responsabili del management della LGT Bank in Liechtenstein di Vaduz: R.P. e B.K..
Pertanto, l’informativa fornita dall’autorità estera era idonea a giustificare la riferibilità alla contribuente della Fondazione C., salvo prova contraria; vieppiù che la ricorrente era l’unica beneficiaria della fondazione C. e che la stessa era a conoscenza dell’esistenza e delle disponibilità del conto.
Il giudice di seconde cure riteneva che l’attribuzione del reddito non dichiarato non era stato desunto – come invece aveva sostenuto la sentenza della C.t.p. – da elementi di dubbia pertinenza e credibilità derivando, al contrario, il relativo accertamento da fatti certi, rappresentati nell’informativa estera, mentre la contribuente non aveva fornito le prove adeguate per contrastare il contenuto delle informative, né chiarimenti, benchè i vincoli posti dal Paese estero (Liechtenstein), in quanto paradiso fiscale, comportavano il dovere della medesima di collaborare, fornendo esaurienti notizie in ordine alla statuizione dell’indicata Fondazione al decesso del coniuge, e alle successive vicende.
Lo scambio di informazioni è stato effettuato in base a principi di cooperazione amministrativa e con riferimento a modelli conformi su principi attuativi di accordi bilaterali tra stati siccome improntata a principi antielusivi finalizzati al contenimento ed al contrasto del fenomeno della migrazione di risorse e di basi imponibili verso paesi che hanno una fiscalità più favorevole, in ambito comunitario; nell’ambito di tale procedimento, il contribuente è stato posto nelle condizioni di approntare le sue difese e di contrastare quanto indicato negli atti.
Le medesime argomentazioni possono essere agevolmente declinate anche per suffragare la tesi secondo cui le prove offerte dalla amministrazione finanziaria non costituiscono mere presunzioni prive dei crismi di autenticità atteso che la documentazione utilizzata dall’ufficio accertatore, per come è stato ben motivato dal giudice d’appello, è stata acquisita in base a scambio internazionale avvenuto nel rispetto della Direttiva 77/799/CEE del 19/12/1977 ed i documenti acquisiti costituivano estratti conto della fondazione C. validamente sottoscritti, prodotti in originale, con traduzione in italiano, assolutamente idonei a giustificare la riferibilità alla ricorrente della fondazione C., per come supra chiarito, sicchè la legittimità dell’accertamento su fatti storici acclarati non si palesa adeguatamente contrastato dalla contribuente.
3. Il quarto motivo è infondato
Va preliminarmente osservato che sulle argomentazioni afferenti alla nullità della notifica degli avvisi di accertamento, la sentenza impugnata motiva asserendo che «Deve ritenersi precluso l’esame delle domande e delle eccezioni proposte in primo grado dalla contribuente, sulle quali la C.t.p. non si è pronunciata, non specificamente riproposte in questo grado». Sul punto, nel ricorso, la difesa della contribuente ammette di non aver proposto, per questi vizi formali, appello incidentale e di aver confermato «le ragioni a difesa già espressi nei singoli ricorsi a suo tempo prodotti di cui in premessa nonché la valenza dei documenti a supporto».
Orbene, tale argomentazione va esaminata alla luce della pronuncia resa a S.U. dalla Corte (Cass. Sez. U. 21/03/2019, n. 7940) con la quale si è statuito che, nel giudizio di appello, la parte totalmente vittoriosa in primo grado deve riproporre, al fine di evitare preclusioni, con il primo atto difensivo e comunque entro la prima udienza, le domande ed eccezioni non accolte in primo grado poiché respinte o rimaste assorbite e ciò per evitare la presunzione di rinuncia alle stesse a mente dell’art. 346 cod. proc. civ.; non occorre, quindi, proporre appello incidentale, che, a norma dell’art. 345 cod. proc. civ., è richiesto solo per le domande proposte, esaminate e rigettate dal primo giudice, anche in modo implicito. Pertanto, lo scrutinio in appello delle questioni (domande o eccezioni che siano) non accolte dalla sentenza di primo grado postula, ai sensi dell’art 56 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 una specifica riproposizione di esse, vale a dire un’espressa riformulazione che, sia pure per relationem, non può essere ravvisabile nel generico richiamo del complessivo contenuto di atti della precedente fase processuale. Non è sufficiente, dunque, il generico quanto vacuo riferimento a tutte le difese e/o alle argomentazioni difensive prospettate nel ricorso di primo grado; ai fini della rituale riproposizione di una questione, essa deve essere effettuata in maniera chiara e univoca (cfr. Cass. 27/11/2015, n. 24267 che richiama, tra le tante, Cass. 20/10/2010, n. 21506, Cass. 26/07/2005, n. 15641, Cass. 27/03/2003, n. 4625).
Comunque, risulta ex actis che, nel caso di specie, gli avvisi di accertamento impugnati erano stati notificati attraverso il servizio postale presso il domicilio fiscale della contribuente a mente dell’art. 8 legge 20 novembre 1982, n. 890 e l’agente postale, in data 11/12/2008, non potendo recapitare l’atto alla contribuente per temporanea assenza della stessa ed in assenza di altre persone abilitate, lo aveva depositato presso l’ufficio postale competente; di tutto questo era stata notizia alla ricorrente mediante sei avvisi con lettera raccomandata con relativi e corrispondenti sei avvisi di ricevimento immesse nella cassetta della corrispondenza dell’abitazione della Stejirina. Successivamente, la medesima ha ritirato i plichi, come risulta dalla cartolina di avviso di ricevimento. Infine, non è senza rilievo la circostanza, ammessa in ricorso (pg. 10) che la contribuente aveva proposto istanza di accertamento con adesione avverso cinque dei sei avvisi di accertamento con esito negativo.
Anche la questione tesa a far valere la incompetenza dell’Ufficio accertatore è infondata siccome è pacifico che, nell’ambito della riforma introdotta dal d.lgs. 30 luglio 1999, n.300 sono state trasferite all’Agenzia delle Entrate tutte le funzioni, i poteri e le competenze concernenti le entrate tributarie già spettanti al dipartimento delle entrate e non attribuite alle altre agenzie contestualmente istituite.
La Corte di Cassazione ha ritenuto la legittimità di detto intervento stabilendo che la disciplina che ha istituito le agenzie fiscali, attribuendo ad esse la gestione della generalità delle funzioni, in precedenza esercitate dai dipartimenti e dagli uffici del Ministero delle finanze, va esercitata secondo la disciplina interna di ciascuna agenzia (Cass. 28/06/2007, n. 14912); l’art. 62 d.lgs. 30 luglio 1999, n.300, poi, prescrive che alla Agenzia delle Entrate sono attribuite tutte le funzioni concernenti le entrate tributarie che non sono specificamente attribuite per legge alla competenza di altre amministrazioni erariali; di poi, per lo svolgimento di tali funzioni le agenzie fiscali sono state dotate di autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale ed organizzativa e l’articolazione degli uffici è stabilita con disposizioni interne che si conformano alle esigenze della conduzione aziendale. Sotto questo profilo, pertanto, la Direzione regionale delle Entrate era competente sia per l’attività ispettiva che per quella di segnalazione.
La motivazione dei giudici di merito appare congrua, poi, anche con riferimento all’entità del reddito e alla ricostruzione del valore di €. 65.0000 risultante dalla copiosa documentazione acquisita; l’autenticità e la provenienza della documentazione è stata accertata ed essa derivava da fatti certi, da informativa estera di cui era stata accertata l’autenticità. Nella sentenza impugnata si pone infine in evidenza che dall’informativa acquisita risultava la riferibilità alla contribuente della fondazione C..
Anche con riferimento all’applicazione dell’aliquota progressiva va evidenziato che nell’avviso di accertamento è stato posto in rilievo che non era stato possibile ricostruire con esattezza la natura e la provenienza del capitale indicati, con conseguente applicazione della tassazione ordinaria.
Pure il motivo di ricorso relativo all’applicabilità delle sanzioni è infondato.
Il potere del giudice tributario di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni riguarda i casi esclusivamente di errore o incertezza sulla norma tributaria e presuppone una domanda del contribuente formulata nei modi e nei termini processuali appropriati (Cass. 03/06/2021, n. 15406). Tale situazione di oggettiva e comprovata incertezza sussiste quando la disciplina applicata si articoli in una pluralità di prescrizioni il cui coordinamento appaia difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto derivante anche da elementi di confusione il cui onere interpretativo grava sul contribuente; tali condizioni non sembrano sussistere nel caso di specie riguardando la questione in esame il possesso di capitali esteri che dovevano formare oggetto di dichiarazione in base alle norme vigenti.
Sul punto, il giudice d’appello ha correttamente attuato i principi di diritto già indicati, motivando adeguatamente sui profili demandati. La decisione adottata dai giudici di merito si profila adeguatamente motivata contenendo un espresso richiamo a tutte le disposizioni normative richiamate in sede di accertamento ed anche sotto il profilo dell’applicazione degli interessi e delle sanzioni che sono determinate e stabilite secondo la normativa in materia.
Dal rigetto del motivo in esame discende l’assorbimento del quinto motivo, peraltro, proposto in subordine.
Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese processuali che si liquidano in € 13.000,00 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo art. 13, se dovuto.
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