Corte di Cassazione sentenza n. 25894 depositata il 2 settembre 2022
La produzione della sentenza in altro processo non fa decorrere il termine breve per impugnarla – omessa pronunzia – principio di autosufficienza del ricorso per cassazione non deve essere interpretato, anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia, in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa – qualora l’amministrazione tributaria ritenga che il contribuente abbia indebitamente fruito del regime del margine, deve contestarne l’esistenza dei presupposti, oggettivi o soggettivi, adducendo elementi specifici e concreti – sanzioni amministrative
FATTI DI CAUSA
La CTR della Sicilia, sezione staccata di Messina, ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza con la quale la CTP, accogliendo il ricorso proposto da R.C., aveva annullato l’avviso di accertamento, relativo all’anno 2003 emesso nei suoi confronti dall’Agenzia delle Entrate con recupero di Iva, Irpef e applicazione di sanzioni.
L’Ufficio aveva contestato al contribuente, esercente l’attività di commercio di autovetture con l’estero, l’indebita applicazione del regime del margine in luogo di quello IVA ordinario e altre violazioni, oltre ricavi non contabilizzati per provvigioni.
La CTP aveva accolto il ricorso sul presupposto che l’onere della prova, in relazione all’IVA e al regime del margine, gravasse sull’Ufficio e non sul contribuente.
La sentenza era stata appellata dall’Agenzia delle Entrate che aveva dedotto, in particolare, che il R.C. aveva effettuato prevalentemente acquisti di auto usate dalla ditta M.C. LTD con sede in Londra.
La CTR, respinte le eccezioni di tardività e inammissibilità dell’appello proposto dall’Agenzia, sollevate dal R.C., aveva accolto il gravame.
La sentenza, in particolare, aveva ritenuto che gravasse sul contribuente l’onere di provare i presupposti per l’applicazione del regime speciale e aveva escluso ogni rilievo alle difese del R.C. il quale aveva asserito di non essere in grado di accertare la corretta applicazione del regime speciale da parte dei venditori, i quali comunque avevano rilasciato le fatture con annotazione che l’operazione era soggetta al regime del margine.
Contro questa sentenza il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a quattordici motivi.
Resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con i primi due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi, il ricorrente insiste sulla questione della tardività dell’appello dell’Agenzia, già eccepita nel giudizio di secondo grado.
Con il primo motivo deduce, ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 51 d.lgs. n. 546 del 1992: poichè la sentenza era stata notificata all’Agenzia in data 21.11.2009, unitamente al ricorso proposto dal R.C. contro la cartella di pagamento emessa a seguito dell’iscrizione a ruolo del debito IVA per il 2003, l’appello notificato dall’Agenzia soltanto il 25.6.2010 doveva ritenersi tardivo per violazione del termine breve.
Con il secondo motivo lamenta, ex art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., che su tale questione la CTR non si era pronunciata avendo motivato soltanto sull’inapplicabilità, ai sensi dell’art. 58 l. n. 69/2009, del termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c. abbreviato a sei mesi dall’art. 46 comma 17 della stessa legge.
1.1 Le questioni sono infondate.
L’eccezione di tardività deve essere disattesa alla luce del principio espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 11366 del 2016 secondo cui «La produzione della sentenza in altro processo non fa decorrere il termine breve per impugnarla, giacché di regola, ai sensi dell’art. 326, comma 1, c.p.c., la notificazione della sentenza non ammette equipollenti quale fonte di conoscenza legale».
Non può neppure ravvisarsi un vizio di omessa pronunzia, dovendo ritenersi che la questione sia stata implicitamente rigettata dal Giudice d’appello. Infatti, secondo costante giurisprudenza di questa Corte il vizio di omessa pronuncia ricorre ove manchi qualsivoglia statuizione su una domanda o su una eccezione di parte, così dando luogo alla inesistenza di una decisione sul punto della controversia per la mancanza di un provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, e non anche quando sia omesso l’esame di un elemento di prova (v. Cass. n. 459/2021; Cass.n. 7472/2017; n. 1539/2018) ovvero quando l’omissione riguarda una tesi difensiva che, anche se non espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa dell’attore, determinando un’implicita pronuncia di rigetto anche in mancanza di una esplicita argomentazione (Cass. n. 29191/2017).
2. Con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 52 comma 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 3 comma 1 lett. c) l. n. 40 del 2010 e insiste sulla questione della mancanza di autorizzazione alla proposizione dell’appello dell’Ufficio da parte del responsabile del servizio del contenzioso della competente direzione compartimentale del territorio.
Con il quarto motivo lamenta, ex art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., l’omessa motivazione sulla questione di legittimità costituzionale sollevata con riguardo all’art. 3 comma 1 lett. c), d.l. n. 40 del 2010 conv. con legge n. 73 del 2010.
2.1 Possono essere esaminate congiuntamente anche queste doglianze con le quali il ricorrente deduce, in sostanza, che l’abrogazione dell’art. 52, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, da parte dell’art. 3 comma 1 c) cit. – secondo la quale gli uffici periferici del dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze e gli uffici del territorio devono essere previamente autorizzati alla proposizione dell’appello principale, rispettivamente, dal responsabile del servizio del contenzioso della competente direzione generale delle entrate e dal responsabile del servizio del contenzioso della competente direzione compartimentale del territorio – doveva trovare applicazione soltanto per i processi inastaurati successivamente all’entrata in vigore della norma abrogativa, comportando l’opposta interpretazione una censura di illegittimità costituzionale con riferimento, in particolare, ai principi di cui all’art. 77 cost., in mancanza dei requisiti di necessità e urgenza.
Le questioni sono superate dal consolidato orientamento di questa Corte secondo cui la disposizione di cui all’art. 52 comma 2 cit. «non è più applicabile una volta divenuta operativa – in forza del d.m. 28 dicembre 2000 del Ministero dell’economia – la disciplina recata dall’art. 57 del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, che ha istituito le Agenzie fiscali, attribuendo ad esse la gestione della generalità delle funzioni in precedenza esercitate dai dipartimenti e dagli uffici del Ministero delle finanze, e trasferendo alle medesime i relativi rapporti giuridici, poteri e competenze, spettando a ciascuna agenzia (nella specie, l’Agenzia delle Dogane) appellare le sentenze ad esse sfavorevoli delle commissioni tributarie provinciali» (Cass. sez. Un., n. 604 del 2005; Cass. n. 10736 del 2014; conf. Cass. n. 22 del 2016).
A questa stregua, risulta infondata anche la doglianza relativa all’omessa pronunzia dovendo ritenersi implicitamente rigettata da parte del Giudice d’appello la questione di legittimità costituzionale sollevata con riguardo alla norma abrogativa censurata che, in realtà, costituisce soltanto presa d’atto da parte del Legislatore della inoperatività dell’art. 52, comma secondo, del D.Lgs. n. 546 del 1992, a seguito della soppressione di tutti gli uffici ed organi ministeriali ai quali esso fa riferimento.
3. Con il quinto motivo lamenta, sotto il paradigma dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione del disposto dell’art. 3 l. n. 241/1990 e dell’art. 7 l. n. 212/2000 sotto due distinti profili.
In primis il ricorrente censura la sentenza per aver accolto l’appello dell’Ufficio il cui avviso di accertamento era carente di motivazione in quanto fondato soltanto su un «documento grafico» relativo ad una fattura per una singola operazione con la M.C. ltd, utilizzato come indizio del fatto che tutte le transazioni dovevano essere inquadrate come cessioni intracomunitarie ma privo di qualsiasi valore fiscale e probatorio in quanto non riporta la firma di alcun soggetto e non era mai stato ricevuto dal contribuente.
Inoltre, il ricorrente denuncia un difetto di allegazione in quanto questo documento era stato acquisito dalla Guardia di Finanza ad esito di «autonome indagini» i cui atti non erano stati allegati al pvc nè trasfusi in questo o nell’avviso di accertamento.
3.1 Sotto il primo profilo la doglianza è inammissibile per difetto di autosufficienza e specificità.
Sebbene il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. – quale corollario del requisito di specificità dei motivi – non debba essere interpretato, anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021, in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non possa pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso (Cass. sez. U, n. 8950 del 18/03/2022), il ricorso deve comunque indicare il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure e deve specificamente segnalare la loro presenza negli atti del giudizio di merito, perchè l’esposizione dei motivi deve mettere comunque il giudice nelle condizioni di comprendere l’oggetto della controversia ed il contenuto delle censure senza dover scrutinare autonomamente gli atti di causa (Cass. n. 8117 del 2022).
Nel caso di specie, il ricorrente si è limitato ad una esposizione riassuntiva, ha omesso non solo la trascrizione ma anche una puntuale indicazione del contenuto del documento citato, così come del pvc e dell’avviso di accertamento, cosicchè non si è in grado di apprezzare il dedotto vizio di motivazione.
3.2 La denuncia del difetto di allegazione, invece, è infondata perché l’onere di cui all’art. 7 della n. 212 del 2000 è limitato ai documenti cui l’avviso di accertamento fa riferimento (Cass. n. 20428 del 2020) e che costituiscono il presupposto dell’atto impositivo (Cass. n. 14723 del 2020); in questo caso, secondo la stessa prospettazione del motivo, l’elemento indiziario principale era costituito dalla fattura indicata, la cui allegazione all’avviso non è contestata.
4. Con il sesto e settimo motivo si eccepisce la nullità della sentenza, ex 360 comma 1 n. 4 c.p.c., per omissione della motivazione e per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in quanto la sentenza impugnata sarebbe copia integrale di altra pronuncia della CTR Sicilia (la n. 1199/19) avente presupposti di fatto e diritto completamente differenti, ciò che, secondo il ricorrente, vizierebbe la sentenza, priva di una corretta costruzione logico – giuridica.
Infatti, prosegue il ricorrente, era stato eccepito che l’Ufficio non aveva dimostrato l’inapplicabilità del regime del margine e non aveva provato che i precedenti intestatari fossero società che avevano già dedotto l’IVA; la CTR non aveva dato risposta sul punto e aveva attribuito una responsabilità assoluta al contribuente sulla base delle risultanze dei libretti esteri relativi alle autovetture, le cui risultanze non potevano essere sufficienti per escludere l’applicabilità del regime del margine.
4.1 I motivi sono infondati in quanto l’identità del percorso logico – giuridico tra le due sentenze non ha pregiudicato la coerenza della decisione rispetto alle domande e l’adeguatezza della motivazione alla luce dei principi in materia.
Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 21105 del 12/09/2017, hanno sottolineato, alla luce degli orientamenti della Corte di Giustizia (18 maggio 2017, Litdana, C-624/15) e dei coerenti orientamenti della Suprema Corte (Cass. n. 20089 del 24/9/2014; Cass. n. 24604 del 19/11/2014), che «qualora l’amministrazione tributaria ritenga che il contribuente abbia indebitamente fruito del regime del margine, deve contestarne l’esistenza dei presupposti, oggettivi o soggettivi, adducendo elementi specifici e concreti (anche, ovviamente, aventi efficacia meramente presuntiva) e non, quindi, in modo generico»; a fronte di ciò, quindi, spetta al contribuente fornire la prova contraria, dimostrando «la propria buona fede, intesa come comprensiva sia dell’assenza di consapevolezza che il suo acquisto si iscriveva nel contesto di un’evasione dell’IVA, sia dell’uso della necessaria diligenza, . ossia di aver adottato tutte le misure ragionevolmente esigibili da parte di un operatore accorto, al fine di assicurarsi che una tale evenienza dovesse escludersi».
Con particolare riferimento alla compravendita di veicoli usati, le Sezioni Unite hanno specificamente affermato che «il cessionario … deve provare la propria buona fede, cioè di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto – secondo i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto – al fine di evitare di essere coinvolto in una tale situazione, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto».
Questa condotta include «anche l’individuazione, nei limiti dei dati risultanti dalla carta di circolazione in suo possesso, eventualmente integrati da elementi di agevole e rapida reperibilità, dei precedenti intestatari del veicolo, al fine di accertare, sia pure solo in via presuntiva, se l’IVA sia stata, o no, già assolta a monte da altri, nell’ambito della catena di fornitura, senza possibilità di detrazione».
In sostanza, essendo l’applicazione del regime del margine di utile un regime impositivo speciale e derogatorio rispetto a quello ordinario ed essendo la contestazione dell’Amministrazione fondata su elementi oggettivi, l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificavano l’operatività di tale regime incombe sul cessionario, tenuto a verificare preventivamente la regolarità sostanziale dell’operazione, pure con riferimento alla mancata detrazione dell’IVA corrisposta a monte, secondo la diligenza confacente alla sua qualità di operatore commerciale del settore ed alla stregua dei documenti in suo possesso, il tutto conformemente al principio di vicinanza al fatto oggetto di prova ed al sistema del diritto comunitario (Cass. n. 20089 del 24/9/2014; Cass. n. 24604 del 19/11/2014).
In altri termini, l’Amministrazione non è tenuta a provare l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione del regime del margine ma deve soltanto indicare elementi oggettivi, anche meramente presuntivi, che inducano a dubitare della ricorrenza di quelle condizioni; onere che è stata assolto con il rilievo della natura di società estera della cedente (che normalmente procede alla detrazione dell’IVA a monte sull’acquisto) e, come ammesso dallo stesso ricorrente, con « l’analisi dei libretti esteri, unita all’allegato 5 PVC della GDF» (v. pag. 18 del ricorso).
4.2 La sentenza impugnata ha correttamente applicato quei principi laddove osserva che «il R.C. non può invocare la buona fede solo per l’annotazione sulla fattura di “vendita effettuata in regime di margine” perché proprio per la qualifica rivestita dalla società cessionaria, se intendeva beneficiare del regime agevolato, aveva l’onere di acquisire con una particolare diligenza, informazioni più dettagliate sull’effettivo assolvimento “a monte” dell’IVA in via definitive da parte del cedente comunitario».
5. Con l’ottavo motivo, si deduce «violazione e falsa applicazione della legge sulle frodi carosello Iva», ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., lamentando, in particolare, un’inversione dell’onere della prova a danno del contribuente.
Il motivo è inammissibile in quanto carente di specificità, mancando di indicazioni concrete e precise sui punti della motivazione in cui si sarebbero violate le regole in materia di onere della prova con riferimento alla c.d. «frode carosello», che non risulta nè contestata dall’Ufficio nè riconosciuta dalla sentenza impugnata.
6. Con il nono motivo si deduce, sempre ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli art. 19 e 19 bis d.P.R. n. 633 del 1972 perchè la CTR aveva ritenuto preclusive del diritto alla detrazione dell’Iva violazioni meramente formali (quali le omesse registrazioni delle fatture nel registro degli acquisti).
Secondo il ricorrente, la registrazione era stata omessa sul presupposto che si applicasse il regime del margine ma, una volta ritenuta illegittima l’applicazione di questo regime, si sarebbe dovuto riconoscere il diritto alla detrazione.
6.1 Il motivo è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ciò che rileva, ai fini della detrazione IVA, non è tanto la natura degli obblighi violati ma gli effetti che la violazione è capace di produrre, nel senso che anche violazioni di ordine formale, come individuate dalla Corte di Giustizia, possono determinare la perdita del diritto alla detrazione quando, in estrema sintesi, «l) la violazione ha l’effetto di impedire che sia fornita la prova certa del rispetto dei requisiti sostanziali; 2) l’inosservanza degli obblighi formali sia finalizzata ad una evasione dell’imposta» (così Cass. n. 143 del 2022).
Lo stesso giudice unionale avverte che anche la violazione di obblighi formali può determinare la perdita del diritto alla detrazione IVA, quando la «violazione ha come effetto d’impedire che sia fornita la prova certa del rispetto dei requisiti sostanziali» (Corte di Giustizia 28 luglio 2016, in C-332/15, Astone, p. 46; 12 luglio 2012, EMS-Bulgaria Transport, C-284/11, p. 71; 11 dicembre 2014, Idexx Laboratories Italia, C-590/13, p. 39 e la giurisprudenza ivi citata).
Proprio questa evenienza ricorre nel caso in esame, in cui si è contestata e posta in dubbio la regolarità delle operazioni di cessione e la sussistenza dei requisiti sostanziali della detrazione IVA.
7. Con il decimo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per omessa pronuncia su punti decisivi dell’impugnazione.
Il ricorrente si duole del fatto che le eccezioni di nullità dell’atto di accertamento e di omessa ed errata motivazione dello stesso, fondate sulla mancanza di riscontri alla contestata insussistenza dei requisiti del regime speciale o all’irregolare applicazione del margine da parte del cedente, basata esclusivamente sulla nazionalità estera del cedente, siano rimaste senza risposta da parte della CTR.
Il motivo è, per un verso, inammissibile e, per altro verso, infondato.
7.1 E’ inammissibile per difetto di specificità.
Proprio con riguardo alla deduzione del vizio di omessa pronuncia l’onere di specificità richiede un certo rigore, dovendosi procedere alla verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettate; si richiede, pertanto, che istanze e deduzioni siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte (Cass. n. 28072 del 2021).
Viene in rilevo, ancora una volta, la regola dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. – quale corollario del requisito di specificità – negli stessi termini indicati al punto 3.1.
Nel caso di specie l’esposizione del motivo non mette il giudice in condizione di svolgere il vaglio richiesto e di decidere sulla doglianza in quanto il ricorrente si è limitato ad una esposizione generica, carente della specifica esposizione delle risultanze documentali e delle deduzioni svolte nel precedente grado di giudizio, oltre che della loro precisa localizzazione negli atti di causa.
7.2 Il motivo, comunque, appare infondato perchè muove dal convincimento che incomba sull’Amministrazione l’onere di fornire una prova certa della insussistenza dei presupposti per l’applicazione del regime del margine, ciò che è in contrasto con la cornice giurisprudenziale, già riportata al punto 4.1., secondo cui «Essendo l’applicazione del regime del margine di utile un regime impositivo speciale e derogatorio rispetto a quello ordinario ed essendo la contestazione dell’Amministrazione fondata su elementi oggettivi, l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificavano l’operatività di tale regime incombe sul cessionario» (v., ultimamente, Cass. n. 37261 del 2021).
La CTR Sicilia, come osservato al punto 4.2, si è posta nel solco tracciato da questo orientamento e deve concludersi che tutte le questioni sollevate dal contribuente siano state implicitamente rigettate in quanto incompatibili con il principio applicato, ciò che esclude la ricorrenza del vizio di omessa pronunzia sulla scorta della regola citata al punto 1.1.
8. Con l’undicesimo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., la violazione del giudicato interno che si sarebbe formato su questioni introdotte originariamente dal ricorrente (riguardanti errori nel calcolo dell’IVA non fatturata, la mancanza assoluta di accertamento su operazioni illegittimamente contestate, la richiesta, in subordine, rispetto al totale annullamento dell’avviso, di rideterminazione della maggiore IVA, l’illegittimità della duplicazione di imposta e l’illegittimità delle sanzioni ai sensi dell’art. 8 d.lgs. n. 546 del 1992), condivise dalla CTP e non oggetto di appello da parte dell’Ufficio che avrebbe quindi fatto acquiescenza.
8.1 Il motivo è inammissibile per difetto di specificità in quanto, anche in questo caso, la decisione richiederebbe lo scrutinio degli atti di causa, al fine di verificare quanto riportato: le questioni sono riportate in maniera riassuntiva, non vengono indicate le parti della sentenza di primo grado da cui si dovrebbe desumere l’accoglimento di quelle questioni nè viene riportato l’appello dell’Ufficio, cosicchè non si è in grado di valutarne il perimetro e accertare l’acquiescenza parziale alla sentenza di primo grado.
9. Con il dodicesimo motivo, proposto in via subordinata rispetto a quello precedente, lamenta l’omesso esame da parte della CTR della questione concernente la precisa determinazione del quantum che poteva essere recuperato a tassazione, attesi gli errori commessi dall’Ufficio nel calcolo della presunta Iva non fatturata.
Il motivo, sia pure erroneamente ricondotto all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. anzichè al n. 4 trattandosi di un errar in procedendo e un caso di omessa pronunzia su una domanda (ciò che non determina l’inammissibilità del ricorso, essendo chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato, v. Cass. n. 26310 del 2017), è fondato.
La stessa sentenza impugnata riporta che era stata proposta «in subordine una rideterminazione dell’Iva dovuta» ma ha omesso di decidere sul punto.
10. Con il tredicesimo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 8 lgs. n. 546 del 1992, art. 5 d.lgs. n. 472 del 1997, art. 5 comma 4, art. 6 commi 1, 4 e 5 d.lgs. n. 471 del 1997, perchè i) la CTR non aveva considerato le condizioni di obiettiva incertezza nell’applicazione della normativa sul regime del margine, ii) aveva applicato le sanzioni senza accertare personalità e colpevolezza, iii) non aveva escluso, per la parte di sanzioni relative alla mancata doppia registrazione per acquisti comunitari, le sanzioni proporzionali per omessa registrazione IVA e per infedele dichiarazione che presuppongono l’esistenza di una maggiore IVA recuperata a tassazione.
10.1 Quanto al primo aspetto, la doglianza è infondata.
Va osservato, infatti, che – secondo il costante insegnamento di questa Corte – in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, l’incertezza normativa obiettiva, che costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8), postula una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della stessa norma tributaria, ossia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso la sua interpretazione. Tale attività interpretativa, volta a chiarire il significato della disposizione tributaria, non è, tuttavia, riferibile ad un generico contribuente, ne’ ai soggetti capaci di un’interpretazione qualificata (studiosi, professionisti legali, ecc), e tanto meno all’Ufficio finanziario, bensì esclusivamente al giudice, in quanto rappresenta l’unico soggetto dell’ordinamento investito del potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione normative (ex plurimis, Cass. 24670/07, 2192/12, 4683/12; 23845/2016).
Questa Corte, poi, ha già avuto modo di affrontare la questione dell’applicabilità dell’art. 8 d.lgs. n. 546 del 1992 alla normativa del regime del margine, escludendo l’incertezza normativa obiettiva con riferimento all’art. 36 del d.l. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito in legge 22 marzo 1995, n. 85, in materia di erroneo assoggettamento di operazioni commerciali soggette ad I.V.A. al regime del margine (Cass. n. 18434 del 2012).
10.2 Infondata è anche la seconda questione.
Per ciò che riguarda l’accertamento della colpevolezza, le sanzioni irrogate trovano fondamento nell’accertamento delle violazioni tributarie. In sostanza, nella misura in cui è stato ritenuto fondato l’accertamento delle violazioni contestate la sentenza impugnata ha, parimenti, ritenuto legittime le conseguenti sanzioni che sono state irrogate con l’atto di accertamento.
Del resto, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 5, applicando alla materia fiscale il principio sancito in generale dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 3, stabilisce che non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, essendo richiesta anche la consapevolezza del contribuente, cui deve potersi rimproverare di aver tenuto un comportamento, se non necessariamente doloso, quantomeno negligente. Questo può consistere anche nella inosservanza di norme tributarie e sono sufficienti, quindi, coscienza e volontà, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa ( o di un intento fraudolento), atteso che la norma pone una presunzione di colpa per l’atto vietato a carico di chi lo abbia commesso, lasciando a costui l’onere di provare di aver agito senza colpa (Cass. 22890/2006; 13068/2011; 4171/09; n. 2139/2020).
10.3 Quanto alle sanzioni per l’omessa doppia registrazione degli acquisti intracomunitari, la doglianza è inammissibile sotto più profili.
10.3.1 In primo luogo non risulta che sia stata sollevata nel giudizio di merito (nella sentenza impugnata manca qualsiasi indicazione in proposito) e viene in rilievo il principio secondo il quale «Qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa» (v. da ultimo Cass. 32804 del 2019).
10.3.2 Inoltre, l’avviso di accertamento impugnato non è stato trascritto nè è riportato comunque il suo contenuto con riguardo alle sanzioni, cosicchè non si è in grado di verificare quale applicazione sia stata fatta in concreto di quelle norme.
11. Con il quattordicesimo motivo si deduce, ex 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 12 del d.lgs. n. 472 del 1997 per mancata applicazione del cumulo giuridico.
Non risulta che la questione sia stata sollevata nel precedente grado di giudizio e vale la stessa motivazione di cui al punto 10.3.1.
12. Conclusivamente, accolto il dodicesimo motivo il ricorso deve essere rigettato per il resto.
La sentenza va, quindi, cassata con riferimento al motivo accolto con rinvio alla CTR Sicilia in diversa composizione che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
p.q.m.
accoglie il dodicesimo motivo, rigettato per il resto il ricorso, e cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto, rinviando alla CTR Sicilia in diversa composizione che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
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- Corte di Cassazione ordinanza n. 16489 depositata il 23 maggio 2022 - I requisiti sostanziali del diritto a detrazione sono quelli che stabiliscono il fondamento stesso e l'estensione di tale diritto, come quelli previsti nel capo 1 del titolo X della…
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