Corte di Cassazione sentenza n. 25956 depositata il 15 ottobre 2019
Accertamento – Capitali all’estero – Mera disponibilità – Sufficienza – Sussiste
RILEVATO IN FATTO
Che:
A.A. propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, indicata in epigrafe, che aveva respinto l’appello contro la decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Varese n. 315/2015, con cui era stato respinto il ricorso avverso avviso di accertamento IRES IRAP 2009-2010 per omessa dichiarazione di investimenti detenuti all’estero;
l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Che:
1.1. con il primo motivo di ricorso il ricorrente censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 denunciando, in rubrica, “violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. ” perché a CTR avrebbe “omesso di pronunciarsi in relazione alle eccezioni promosse dal ricorrente nei due gradi di giudizio afferenti il difetto di sottoscrizione e la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42”;
1.2. con il secondo motivo di ricorso parimenti si lamenta omessa pronuncia della CTR “in relazione alle eccezioni promosse dal ricorrente in appello afferenti la violazione delle norme del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42”;
1.3. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono inammissibili per violazione dei criterio dell’autosufficienza, tale dovendo ritenersi il ricorso per Cassazione col quale, come nella specie, si lamenti la mancata pronuncia del Giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte (cfr. Cass. nn. 17049/2015, 14561/2012);
1.4. a fronte peraltro della specifica contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, circa la novità delle doglianze in tale sede proposte e della mancata proposizione di appello relativamente alla violazione dell’art. 42 cit. (questione ritenuta assorbita in primo grado), il ricorrente ha del tutto omesso la specifica indicazione, mediante trascrizione in parte qua dell’atto di appello, dei motivi sottoposti al Giudice del gravame sui quali egli non si sarebbe pronunciato, essendo in tal caso indispensabile alla Corte la conoscenza puntuale dei motivi di appello, essendosi limitato a trascrivere una parte dell’atto di gravame del tutto generico quanto alle censure nei confronti della sentenza di primo grado;
1.5. come è noto, peraltro, nel processo tributario, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, impone la specifica riproposizione in appello, in modo chiaro ed univoco, sia pure per relationem, delle questioni non accolte dalla sentenza di primo grado, siano esse domande o eccezioni, sotto pena di definitiva rinuncia, sicché non è sufficiente il generico richiamo del complessivo contenuto degli atti della precedente fase processuale (cfr. Cass. n. 30444/2017);
2.1. con il terzo motivo di ricorso il ricorrente censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, denunciando, in rubrica, “violazione e falsa applicazione del D.L. n. 167 del 1990, art. 6” perché, secondo la ricorrente, la CTR avrebbe mancato di rilevare che egli aveva fornito “piena prova di non essere il titolare delle somme” relative agli investimenti e delle disponibilità finanziarie detenute all’estero;
2.2. il ricorrente, a supporto delle sue argomentazioni, ha dunque genericamente richiamato “tutta la documentazione dalla quale emerge(rebbe)… la circostanza che le somme di denaro… non erano riconducibili all’ingiunto” ed in particolare la “copia autentica, munita di data certa” relativa a liberatoria allo stesso rilasciata in merito a riconsegna di somma di denaro alla società IH S.r.L., che la CTR avrebbe del tutto omesso di valutare;
2.3. il motivo di ricorso è parimenti inammissibile in quanto, in applicazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, qualora sia dedotta l’omessa o viziata valutazione di documenti, deve procedersi ad un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto, nonché alla specifica indicazione del luogo in cui ne è avvenuta la produzione, al fine di consentire la verifica della fondatezza della doglianza sulla base del solo ricorso, senza necessità di fare rinvio od accesso a fonti esterne ad esso (cfr. Cass. nn. 5478/2018, 23575/2015);
2.4. nel caso di specie in primo luogo il ricorrente non ha ottemperato all’obbligo di indicare nel ricorso la sede in cui ciascun documento è rinvenibile, ed inoltre ha omesso di trascrivere i documenti nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza;
3.1. con il quarto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, denunciando, in rubrica, “violazione e falsa applicazione dell’art. 2727 c.c.” perché, secondo il ricorrente, la CTR avrebbe errato nel ritenere “fatto noto” la detenzione di attività finanziarie all’estero alla base della presunzione di cui al D.L. n. 197 del 1990, art. 6;
3.2. la CTR ha ritenuto la legittimità dell’atto impositivo ritenendo sufficiente “ad integrare l’obbligo di dichiarazione di investimenti detenuti all’estero anche il fatto, ammesso dallo stesso A. … di aver trasmesso istruzioni e volontà dell’effettivo titolare, poiché tale attività integra, comunque, una vera e propria movimentazione degli investimenti e/o delle attività finanziarie, rilevante ai fini della norma”;
3.3. la pronuncia è conforme all’insegnamento di questa Corte secondo cui l’obbligo di dichiarazione di cui al D.L. 28 giugno 1990, n. 167, art. 4, (Rilevazione a fini fiscali di taluni trasferimenti da e per l’estero di denaro, titolo e valori), convertito, con modificazioni, in L. 4 agosto 1990, n. 227, riguarda non solo l’intestatario formale e il beneficiario effettivo di investimenti o attività di natura finanziaria all’estero, ma anche colui che, all’estero, abbia la disponibilità di fatto di somme di denaro non proprie, con il compito fiduciario di movimentarle a beneficio dell’effettivo titolare, atteso che, tenuto conto della ratio della previsione, rileva una nozione onnicomprensiva di detenzione, che include anche le situazioni di detenzione nell’interesse altrui (cfr. Cass. nn. 26848/2014, 9320/2003);
3.4. emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni del ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in realtà si risolvono nella mera doglianza circa l’attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (cfr. Cass. n. 20322/2005), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., n. 8932/2006), per tale via in realtà sollecitando un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443);
4. per quanto fin qui osservato il ricorso va integralmente rigettato;
5. le spese della presente fase di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio in favore dell’Agenzia controricorrente, liquidandole in Euro 5,600,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
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