Corte di Cassazione sentenza n. 26692 depositata il 9 settembre 2022

IVA – distacco del personale dipendente – disapplicazione dell’art. 8 comma 35 del Dpr 633/72 – 

FATTI DI CAUSA

La CTR Emilia Romagna, con la sentenza impugnata, ha accolto parzialmente l’appello proposto dalla M. spa avverso la sentenza della CTP Bologna che aveva rigettato il suo ricorso contro l’avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2010 che, per ciò che rileva in questa sede, aveva qualificato costi per complessivi euro 1.933.607,00 come oneri straordinari di gestione, indeducibili dalla base imponibile IRAP, e aveva negato la detraibilità ai fini IVA di fatture emesse dalla FIAT spa per l’utilizzo di personale in distacco.

La sentenza della CTR ha riconosciuto la deducibilità dalla base IRAP di quegli oneri (consistenti in somme riconosciute dalla casa madre alle controllate estere, M. West Europe e M. Deutschland, a seguito della loro sostituzione con venditori terzi nei mercati nazionali in cui le controllate avrebbe continuato a operare come fornitrici di servizi di supporto post vendita).

La stessa sentenza ha rigettato, invece, l’appello relativamente alla detraibilità dell’IVA sulle fatture relative al distacco di un dipendente, osservando che si era trattato di mero costo di personale senza effettuazione di prestazioni di servizi ulteriori.

Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, la M. spa.

Ha proposto ricorso anche l’Agenzia delle Entrate con unico motivo, contro il quale resiste con controricorso la M. spa che ha anche depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va premesso che il ricorso notificato per primo (quello proposto da M. spa) assume carattere ed effetti d’impugnazione principale, in quanto esso ha determinato la costituzione del procedimento, nel quale debbono confluire, con natura ed effetti di impugnazioni incidentali, le successive impugnazioni proposte contro la medesima sentenza dalle altre parti soccombenti (Cass. n. 27680 del 2021; Cass. n. 11602 del 2002).

2. La M. p.a. con il primo motivo ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 8 comma 35 l. n. 67 del 1988, degli art. 2 punto 1 e 6, par. 1 della Direttiva n. 77/388/CEE e dell’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972, laddove i giudici hanno negato la detrazione dell’IVA relativa ad un distacco di personale con riaddebito del costo del dipendente incrementato da un mark up.

Con il secondo motivo ha dedotto, sempre ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 8 comma 35 l. n. 67 del 1988, degli art. 2 punto 1 e 6, par. 1 della Direttiva n. 77/388/CEE e dell’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972, laddove gli stessi giudici hanno fatto discendere la rilevanza ai fini IVA del distacco di personale dalla presenza di «prestazioni di servizio ulteriori» mentre il distacco di personale è una prestazione di servizi che eccezionalmente non rileva ai fini IVA solo laddove l’ammontare riaddebitato corrisponda al costo del lavoro.

Con il terzo motivo ha lamentato, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., falsa applicazione dell’art. 8 comma 35 l. n. 67 del 1988, laddove i giudici hanno sussunto un riaddebito maggiorato di mark up in una norma che disciplina il riaddebito privo di maggiorazioni.

Con il quarto motivo ha asserito, ex art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza perché fondata su affermazioni inconciliabili laddove ha negato la rilevanza del mark up ai fini dell’applicazione dell’IVA ai distacchi di personale sulla base di una norma che dispone invece la non applicazione dell’IVA solo in caso di riaddebito del mero costo del personale.

2.1 I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto tutti trattano del medesimo tema sotto diverse angolazioni, sono fondati.

Secondo il comma 35 dell’art. 8 cit. «non sono da intendere rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo».

Sull’interpretazione di questa disposizione si registra un importante mutamento di giurisprudenza a seguito della sentenza della Corte di Giustizia in data 11 marzo 2020 nella causa C-94/19 pronunciata su ordinanza interlocutoria n. 2385/19 di questa stessa Corte.

In precedenza, l’orientamento prevalente sosteneva che «In tema di IVA, ai sensi dell’art. 8, comma 35, della legge 11 marzo 1988, n. 67, il rimborso del costo del personale dipendente di una società, distaccato presso altra, è esente da IVA soltanto se la controprestazione del distaccatario consista nel rimborso di una somma pari alle retribuzioni ed agli altri oneri previdenziali e contrattuali gravanti sul distaccante» (Cass. n. 4024 del 2015; Cass. sez. un., n. 23021 del 2011).

La sentenza impugnata non era in linea con questa giurisprudenza, avendo escluso ogni rilievo alla maggiorazione (mark up) che incrementava il costo del personale in distacco, e risulta pure in palese contrasto con l’attuale stato dell’arte in materia.

Secondo l’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia in causa C-94/19, alla luce dell’art. 1, par. 2, della sesta direttiva 77/388/CEE, infatti, il distacco di personale dalla società controllante alla controllata costituisce un’operazione economica inerente all’esercizio dell’attività di impresa ed in particolare una prestazione di servizi che deve ritenersi onerosa e quindi imponibile purché sussista un nesso di corrispettività tra il servizio reso e la somma ricevuta, anche in mancanza di lucratività (per l’applicazione dei principi fissati dal Giudice unionale nell’ordinamento interno, v. Cass. n. 529 del 2021).

In base a quanto stabilito dalla Corte, si deve procedere alla disapplicazione dell’art. 8 comma 35 cit. poiché «il distacco di personale, di per sé e nell’ambito dei rapporti tra controllante e controllata,  è  operazione  economica,  inerente  all’esercizio dell’attività d’impresa, sia della controllante, sia della controllata, ed è tra l’altro contemplato tra le prestazioni di servizi dall’art. 9 della sesta direttiva, che si riferisce con formulazione generale alla “messa a disposizione di personale”», e ciò sul presupposto che la prestazione di servizi, come definita dall’art. 2, punto 1, della sesta direttiva (che si specchia nell’art. 3 del d.P.R. n. 633/72) sia da ritenere onerosa, e quindi imponibile, essendo ravvisabile cioè un nesso di corrispettività tra servizio reso e somma ricevuta, anche in mancanza di lucratività (Cass. n. 529 del 2021).

Irrilevante è, in particolare, l’importo del corrispettivo, ossia che esso sia pari, superiore o inferiore ai costi che il soggetto passivo ha sostenuto nell’ambito della fornitura della sua prestazione. Occorre, tuttavia, verificare che il pagamento degli importi fatturati costituiva condizione del distacco del dirigente e che la controllata aveva pagato tali importi solo come corrispettivo del distacco: in tal caso, osserva sempre la Corte, si deve concludere per l’esistenza di un nesso diretto tra le due prestazioni.

3. L’Agenzia delle Entrate, invece, ha proposto ricorso contro la sentenza indicata in epigrafe affidato ad un unico motivo, con il quale ex 360 comma n. 1 n. 3 c.p.c lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 comma 1 d.lgs. n. 446/1997 con riferimento alla classificazione del costo consistente nelle somme corrisposte in favore della M. Deutschland e M. West Europe, da considerarsi un onere straordinario di gestione, con conseguente esclusione dalla base imponibile IRAP, perché derivante non dallo svolgimento di ordinarie operazioni economiche ma da un’operazione di ristrutturazione aziendale.

La controricorrente ha eccepito l’inammissibilità del motivo, sul presupposto che mirerebbe ad una revisione dell’accertamento in fatto, ma in realtà la doglianza è ammissibile in quanto lamenta, in sostanza, l’erronea applicazione dei criteri interpretativi in materia.

Il motivo, inoltre, è fondato.

3.1 Ai sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, vigente ratione temporis, la base imponibile IRAP delle società commerciali (diverse dalle banche, altri enti e società finanziarie e dalle imprese assicuratrici) «è determinata dalla differenza tra il valore e i costi della produzione di cui alle lettere A) e B) dell’articolo 2425 del codice civile, con esclusione delle voci di cui ai numeri 9), 10), lettere c) e d), 12) e 13), così come risultanti dal conto economico dell’esercizio».

Vanno compresi, quindi, anche gli oneri diversi di gestione (lett. B n. 14) ma da questi vanno esclusi i «proventi e oneri straordinari», che al tempo, secondo i corretti principi contabili, erano da inserire nella voce 21 della lettera E) del conto economico. Occorre considerare, inoltre, che la disciplina impositiva dell’IRAP individua le componenti reddituali rilevanti ai fini del calcolo del valore della produzione netta attraverso il riferimento alle voci del conto redatto in conformità a corretti principi contabili: lo stesso art. 5 ct. comma 5 stabiliva che «Indipendentemente dalla effettiva collocazione nel conto economico, i componenti positivi e negativi del valore della produzione sono accertati secondo i criteri di corretta qualificazione, imputazione temporale e classificazione previsti dai principi contabili adottati dall’impresa».

3.2 Si aggiunga che secondo il d.lgs. 09/04/1991 n. 127 (di recepimento della IV Direttiva CEE del 25/07/1978), il carattere di «straordinarietà», sulla base del quale il componente va escluso dalla base imponibile IRAP, non vale a indicare l’eccezionalità o anormalità dell’evento, bensì l’estraneità della fonte del provento e dell’onere all’attività ordinaria (Cass. n. 24257 del 2021).

L’attività ordinaria, però, non si esaurisce nell’attività caratteristica, potendovi rientrare anche attività accessorie e connesse che non costituiscono in senso stretto attività tipica dell’impresa. A questa stregua, la finalità lato sensu transattiva (risarcitoria o indennitaria) dell’onere non implica necessariamente la sua natura straordinaria se è stato assunto nell’ambito dell’attività tipica (p.es., la tacitazione di un cliente che lamenta la difettosità del prodotto consegnato).

Diversamente, gli oneri che derivano da scelte che eccedono l’attività ordinaria, come quelle che incidono sull’indirizzo imprenditoriale e sulla struttura aziendale, presentano natura straordinaria.

3.3 Sul punto la sentenza impugnata appare assai carente e contraddittoria. Da un lato, non ha svolto alcun accertamento coerente con la cornice normativa riportata né ha applicato i criteri sopra indicati; dall’altro, chiarisce che quei costi rappresentavano «una sorta di indennizzo riconosciuto alle due società estere» che doveva servire a ristorare e tacitare queste ultime, a seguito del trasferimento della funzione di distribuzione dei prodotti alla capogruppo M. spa, «di eventuali investimenti operati dalle due società», dell’«impegno a non avviare controversie», dell’«annullamento degli ordini d’acquisto», ecc., ma, nel contempo, osserva che si tratta di «clausole di dubbia portata e/o di incerta interpretazione» e accoglie la domanda della contribuente applicando una sorta di principio sussidiario e residuale secondo cui, in questi casi, «il criterio più congruo è quello più vicino al contribuente che non all’ufficio».

Invece, una volta individuata la volontà delle parti in termini sufficientemente precisi, si sarebbe dovuto considerare quell’atto, da cui deriva il costo in questione, nel contesto dell’impresa al fine di accertarne la natura.

La CTR ha del tutto omesso, invece, questo accertamento affidandosi ad un criterio di chiusura contra fiscum di incerto fondamento normativo.

4. La sentenza, quindi, deve essere cassata con rinvio alla CTR Emilia Romagna in diversa composizione che deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

p.q.m.

accoglie i ricorsi nei termini in motivazione, cassa di conseguenza la sentenza impugnata e rinvia alla CTR Emilia Romagna in diversa composizione che deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.