Corte di Cassazione sentenza n. 26698 depositata il 12 settembre 2022
transfer pricing – valor normale – termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 applicabile anche agli accessi cd. istantanei, ossia quelli volti alla sola acquisizione della documentazione posta a fondamento dell’accertamento
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale (CTR) dell’Emilia – Romagna, con sentenza n. 260/11/16, depositata il 2 febbraio 2016, non notificata, respinse l’appello dell’Agenzia delle Entrate nei confronti della Ferrari S.p.A. avverso la sentenza di primo grado resa tra le parti dalla Commissione tributaria provinciale (CTP) di Modena che aveva accolto il ricorso proposto dalla nota casa automobilistica avverso avviso di accertamento, col quale l’Amministrazione finanziaria, ai fini IRAP per l’anno d’imposta 2004, recependo i rilievi di cui a processo verbale della Guardia di Finanza, aveva contestato alla società di avere applicato nelle operazioni con proprie controllate estere, segnatamente, nella fattispecie in esame, con la statunitense Ferrari NA (North America) Lmt, facente parte del medesimo gruppo, prezzi inferiori al “valore normale”, in violazione dell’art. 110, comma 7, del d.P.R. n. 917/1986 (TUIR).
La CTR – disattesa in via preliminare la doglianza della contribuente di cui all’appello incidentale proposto avverso la sentenza di primo grado con la quale si era dedotta la nullità dell’accertamento impugnato per difetto del previo espletamento del contraddittorio in sede amministrativa – nel merito, ritenuto che la norma di cui all’art. 110, comma 7, TUIR, in tema di transfer pricing, costituisse clausola antielusiva, affermò di condividere la decisione di primo grado che, «con adeguata motivazione», aveva rilevato che l’Amministrazione non aveva assolto all’onere della prova dell’elusione fiscale attribuita alla società ricorrente, per avere praticato alle consociate estere prezzi inferiori al valore normale, senza avere tenuto in debito conto la comparazione dei prezzi praticati sia alle società consociate che a quelle indipendenti, rilevabili dalla copiosa documentazione prodotta».
Osservò ancora la CTR che «[a]nche in ordine al metodo di controllo del “valore normale”, la stessa Agenzia delle entrate, con circolare n. 32 del 22/09/1980, aveva suggerito l’utilizzazione del metodo CUP in luogo del meno affidabile metodo TNMM “poco consigliabile per la sua notevole approssimazione e per la sua arbitrarietà’ per cui la doglianza dell’Ufficio va ritenuta inammissibile».
Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso principale per cassazione, affidato a quattro motivi, cui la società resiste con controricorso e ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi, con proposizione, in via subordinata, ove non ritenuta possibile interpretazione costituzionalmente e/o comunitariamente orientata, di questione d’illegittimità costituzionale delle disposizioni in tema di contraddittorio preventivo e di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE ai fini della verifica della compatibilità delle stesse con il diritto dell’Unione europea.
L’Agenzia delle entrate resiste, a sua volta, con controricorso, all’avverso ricorso incidentale condizionato.
In corso di giudizio la contribuente ha presentato istanza di definizione agevolata della lite, ex art. 6, del d.l. 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla I. 17 dicembre 2018, n. 136.
È quindi intervenuto da parte dell’Amministrazione finanziaria diniego di definizione agevolata della lite, in ragione della ritenuta insufficienza del versamento effettuato, sul presupposto che la lite nei gradi di merito avesse visto l’Agenzia delle entrate non totalmente, ma solo parzialmente soccombente, senza che detto diniego sia stato impugnato dalla contribuente, donde la successiva richiesta di trattazione del giudizio.
Entrambe le parti, che in prossimità dell’originaria fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, avevano depositato memoria, ex art. 380 – bis. l, cod. proc. civ., la società anche allegando la nomina di nuovi difensori in sostituzione del difensore originariamente costituito, hanno chiesto fissarsi la pubblica udienza, ove all’odierna udienza la causa, anche a seguito dell’ordinanza resa in data 12 aprile 2021, viene per la discussione in uno alle altre cause connesse ivi indicate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo l’Agenzia delle Entrate denuncia violazione dell’art. 110, comma 7, del d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., assumendo l’erroneità della pronuncia impugnata nella parte in cui, richiamando alcune decisioni di questa Suprema Corte, ha affermato che la disposizione in rubrica costituisce una clausola antielusiva, finalizzata ad evitare spostamenti di materia imponibile dall’Italia a favore di tassazioni estere inferiori e che, conseguentemente, l’Amministrazione finanziaria è tenuta a provare i presupposti dell’elusione.
2. Con il secondo motivo l’Amministrazione finanziaria denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 57 del d. lgs. 31.12.1992, n. 546, in relazione all’art. 30 (recte 360), primo comma, 4, cod. proc. civ.. Rilevando come la controversia verteva anche – e precipuamente – sulla validità del metodo utilizzato dall’Ufficio per la determinazione del valore normale, essendosi le difese della società incentrate, oltre che sulla «mancanza della dimostrazione di un disegno elusivo» (pagg. 5-7 del ricorso introduttivo), sulla dedotta «illegittima applicazione “retroattiva” del criterio del “Berry ratio”» posto a base del metodo TNMM (Transactional Net Margin Method) evidenziato da uno studio commissionato dalla stessa Ferrari S.p.A. alla società Pricewaterhouse Cooper inc. (Pwc) nell’anno 2005, come più attendibile, la ricorrente lamenta l’erroneità della pronuncia della CTR laddove avrebbe affermato l’inammissibilità della «tardiva doglianza dell’Ufficio» in ordine al metodo di controllo del valore normale, posto che quanto dedotto dall’Ufficio a contestazione dell’applicabilità del metodo CUP (Comparable Uncontrollated Price) adottato dalla ricorrente, «in assenza degli elementi necessari al fine della comparabilità delle vendite di beni con caratteristiche diverse, attinenti a soggetti funzionalmente differenti, avvenute con clausole contrattuali non omogenee, in contesti nazionali economicamente differenti e tra imprese con diverse strategie», costituiva mera difesa rispetto al secondo motivo di contestazione della legittimità dell’accertamento svolto dalla società.
3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia «Nullità della sentenza per carenza di motivazione e/o motivazione apparente. Violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.», lamentando che la decisione della CTR, come sopra riportata, si sarebbe limitata a recepire in modo del tutto acritico ed apodittico la tesi della società, omettendo di esaminare, sia pur sinteticamente, le complesse problematiche sollevate dall’Ufficio circa la comparabilità delle transazioni allegate da controparte e l’utilizzabilità del metodo CUP in luogo del metodo TNMM utilizzato dall’Ufficio e definito come l’unico correttamente applicabile dalla richiamata consulenza della Pwc del dicembre 2005.
4. Con il quarto motivo, infine, la ricorrente Amministrazione finanziaria denuncia violazione dell’art. 2697 cod. civ., anche in combinato disposto con l’art. 110, comma 7, del d.P.R. n. 917/1986, in relazione all’art. 360, primo comma, 3, cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata non si era avveduta di come l’Ufficio avesse comunque fornito plurimi indizi a supporto anche dell’intento elusivo della controparte, atteso che, avendo l’Amministrazione evidenziato come solo a decorrere dal giugno 2005 la società Ferrari S.p.A. avesse mutato la propria politica di transfer pricing al fine di sfruttare i vantaggi fiscali connessi all’introduzione del consolidato ed alla sussistenza di perdite in capo alla consolidante FIAT S.p.A., doveva risultare evincibile, a contrario, che la localizzazione fino a quel momento di un maggiore imponibile in altri Paesi, tramite politiche di prezzi di trasferimento più bassi rispetto al loro valore normale, era ritenuta vantaggiosa per la società.
5. Con il primo motivo di ricorso incidentale condizionato, in caso di ritenuta fondatezza del ricorso principale, la società controricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, della n. 212/2000 e, comunque, ove applicabile, dell’art. 37 bis, quarto comma, del d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nella parte in cui la CTR ha rigettato l’appello incidentale della società avverso la sentenza di prima grado, non ritenendo che nella fattispecie in esame dovesse trovare applicazione la disposizione di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212/2000, trattandosi non di “accertamento a tavolino” come ritenuto dalla CTR, ma di verifica svolta presso la società con conseguente emanazione di processo verbale di constatazione, cui era seguita la notifica dell’avviso di accertamento senza che fosse stato rispettato il termine dilatorio previsto dalla citata norma; rilevando ancora la contribuente che nel momento in cui la CTR aveva qualificato la disposizione di cui all’art. 110, comma 7, TUIR, come disposizione antielusiva, ne sarebbe conseguita la necessità del previo espletamento del contraddittorio secondo le modalità previste dall’art. 37 bis, quarto comma, del d.P.R. n. 917/1986, quale applicabile ratione temporis.
6. Con il secondo motivo di ricorso incidentale condizionato la controricorrente, sempre subordinatamente all’ipotesi di accoglimento del ricorso principale dell’Amministrazione finanziaria, denuncia violazione o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 12, comma 7, n. 212/2000, 1, comma 1, 6, commi 2 e 5, 8, 10, comma 1, I. n. 212/2000, 36 – bis, 36 – ter, 37 -bis, comma 4 e 38, comma 7 (così come sostituito dall’art. 22, comma 1, del ci.I. n. 78/2010), del d.P.R. n. 600/1973, 62 – bis del ci.I. 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla I. 29 ottobre 1993, n. 427, 7 e 10, l. n. 241/1990, anche in via d’interpretazione costituzionalmente orientata, in relazione agli artt. 3 (anche sotto il profilo della ragionevolezza costituzionale), 10, 24, 53, 97, 111 e 117 Cost. e/o, in via d’interpretazione comunitariamente orientata in relazione agli artt. 41, 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ed alla relativa elaborazione della Corte di Giustizia UE; nonché, ove occorra, solleva eccezione d’illegittimità costituzionale della medesima disciplina in relazione ai parametri sopra indicati e/o eccezione d’illegittimità comunitaria in relazione ai parametri ugualmente sopra indicati, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
7. In via preliminare deve essere disattesa l’eccezione della controricorrente d’inammissibilità dell’avverso ricorso principale per omessa impugnazione di tutte le concorrenti ed autonome rationes decidendi poste a base della pronuncia
7.1 Assume la società controricorrente che difetterebbe, nel ricorso così come proposto dall’Amministrazione finanziaria – a fronte della specifica censura della prima ratio riferita al non avere soddisfatto l’onere della prova sull’Ufficio stesso incombente, avente ad oggetto lo spostamento dei profitti tramite l’applicazione di prezzi inferiori al valore normale dei beni ceduti, da cui consegue il vantaggio fiscale per il contribuente di assoggettare materia imponibile ad un livello di tassazione inferiore a quello italiano – la specifica impugnazione della seconda ratio decidendi, relativa all’avvenuta dimostrazione, da parte della società, dell’esistenza di transazioni comparabili atte a comprovare l’idoneità del metodo CUP prescelto e, dunque, la corrispondenza dei corrispettivi contabilizzati al valore normale, con la conseguente assenza di benefici fiscali ritratti o ritraibili dalla società.
7.2 La lettura e l’analisi globale del ricorso, all’esito della disamina anche specifica di ciascun singolo motivo a cui esso è affidato, consentono di escludere la fondatezza di detta eccezione in rito, specificamente con riferimento al contenuto del terzo motivo.
Esso, rubricato come «Nullità della sentenza per carenza di motivazione e/o motivazione apparente» è volto alla censura della sentenza impugnata laddove, secondo l’Amministrazione finanziaria, riguardo alla dedotta specifica questione dell’inutilizzabilità da parte della contribuente del metodo CUP, la CTR si sarebbe limitata a recepire del tutto acriticamente la tesi della società.
7.3 Nel ribadire l’indirizzo espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. SU 25 marzo 2013, n. 7831; Cass. SU 4 novembre 2009, n. 23318; Cass. SU 6 marzo 2009, n. 5456) in forza del quale «[a]nche alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, secondo cui fine primario di questo è la realizzazione del diritto delle parti ad ottenere risposta nel merito, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito, ivi comprese quelle attinenti alla giurisdizione, o», come nella fattispecie in esame, «preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d’ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita (ove quest’ultima sia possibile) da parte
del giudice di merito. Qualora, invece, sia intervenuta detta decisione, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte di cassazione, solo in presenza dell’attualità dell’interesse, sussistente unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale», rilevato altresì che sulla questione preliminare di merito inerente all’eccepita violazione dell’art. 12, comma 7, della I. n. 212/2000, riproposta dalla società con apposito motivo di ricorso incidentale, la CTR ha espressamente pronunciato, rigettandola, conviene quindi muovere dall’esame del terzo motivo di ricorso principale per evidente ragione di continuità espositiva con quanto sopra osservato.
7.3.1 Detto motivo è infondato.
Invero, in proposito, giova in primo luogo rilevare come la sentenza in esame è motivata per relationem alla pronuncia di primo grado e non già al contenuto del ricorso in appello dell’Amministrazione.
Questa Corte ha più volte chiarito che «In tema di ricorso per cassazione, è nulla, ai sensi d.ell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., la motivazione solo apparente, che non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado, attraverso una generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni svolte dal primo giudice, senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame» (cfr. tra le molte, più di recente, Cass. sez. 5, ord. 3 maggio 2019, n. 11667; Cass. sez. lav. 25 ottobre 2018, n. 27112; più in generale, -in tema di motivazione apparente, Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. SU 3 novembre 2016, n. 22232).
7.3.2 Nella fattispecie in esame, come già sopra rilevato, la sentenza impugnata non si è limitata ad affermare di condividere la decisione di primo grado che, «con adeguata motivazione», aveva rilevato che l’Amministrazione non aveva assolto all’onere della prova dell’elusione fiscale attribuita alla società ricorrente, per avere praticato alle consociate estere prezzi inferiori al valore normale, senza avere tenuto in debito conto della comparazione dei prezzi praticati sia alle società consociate che a quelle indipendenti, rilevabili dalla copiosa documentazione prodotta», ma, per un verso, nella parte espositiva dello svolgimento del processo, ha dato conto dell’articolazione del gravame dell’Ufficio avverso la sentenza di primo grado segnatamente, per quanto qui rileva, riguardo alla contestazione della «applicabilità del metodo CUP adottato dalla ricorrente (e, più in generale, dei metodi definiti “tradizionali” dall’OCSE), in assenza degli elementi necessari al fine della compatibilità delle vendite di beni, attinenti a soggetti funzionalmente differenti, avvenute con clausole contrattuali non omogenee, in contesti nazionali economicamente differenti e tra imprese con diverse strategie»; per altro verso ha poi in proposito autonomamente osservato, rispetto alla decisione di primo grado, che «[a]nche in ordine al metodo di controllo del “valore normale”, la stessa Agenzia delle entrate, con circolare n. 32 del 22/09/1980, aveva suggerito l’utilizzazione del metodo CUP in luogo del meno affidabile metodo TNMM “poco consigliabile per la sua notevole approssimazione e per la sua arbitrarietà”, per cui la doglianza dell’Ufficio va ritenuta inammissibile». Ne consegue che la qualificazione della norma nel senso di antielusiva o meno (su cui, per completezza, infra, par. 8.5.2), non ha avuto concreto rilievo nella decisione impugnata, la quale ha in radice escluso l’esistenza del differenziale tra valore normale dei beni venduti alla consociata estera ed il prezzo in concreto praticato nelle transazioni di riferimento.
7.3.3 Come ben è dato rilevare, quindi, la pronuncia della CTR è pervenuta al rigetto della questione in esame dedotta dall’Amministrazione con il ricorso in appello, previo esame critico del relativo motivo di gravame, non solo facendo propria sul punto la sentenza di primo grado, ma aggiungendo proprie autonome considerazioni che hanno reso chiaramente riconoscibile la relativa ratio decidendi, tanto che, in effetti l’Amministrazione ha svolto autonomo motivo di censura, che verrà esaminato nel contesto del paragrafo successivo.
8. Il primo ed il quarto motivo di ricorso principale possono essere congiuntamente esaminati in quanto intimamente connessi.
Essi sono fondati.
Giova premettere in proposito un’opportuna ricognizione del quadro normativo di riferimento secondo la disciplina applicabile ratione temporis, dando conto sinteticamente della sua successiva evoluzione.
8.1 L’art. 110, comma 7, TUIR, nella sua formulazione vigente in relazione all’anno di accertamento, prevede, per quanto qui di rilievo, che «[i] componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, determinato a norma del comma 2, se ne deriva aumento del reddito».
Il concetto di “valore normale” dei componenti è desumibile dall’art. 9, comma 3, TUIR, secondo cui «[p]er valore normale, salvo quanto stabilito nel comma 4 per i beni ivi considerati, si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso. Per i beni e i servizi soggetti a disciplina dei prezzi si fa riferimento ai provvedimenti in vigore».
8.2 L’art. 110, comma 7, TUIR, è stato quindi modificato dall’art. 59, comma 1, del d.l. 24 aprile 2017, n. 50 (entrato in vigore il 4 giugno 2017) convertito, con modificazioni, dalla I. 21 giugno 2017, n. 96), stabilendosi, quindi, nella sua formulazione, che «[i] componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono determinati con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili, se ne deriva un aumento del reddito. La medesima disposizione si applica anche se ne deriva una diminuzione del reddito, secondo le modalità e alle condizioni di cui all’articolo 31- quater del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, possono essere determinate, sulla base delle migliori pratiche internazionali, le linee guida per l’applicazione del presente comma».
8.3 La disciplina primaria è stata quindi integrata dal d.m. 14 maggio 2018, che ha dettato le linee guida per l’applicazione delle nuove disposizioni di cui all’art. 110, comma 7, TUIR.
L’art. 4 del succitato decreto ministeriale, in particolare, delinea e definisce cinque metodi per la valorizzazione di un’operazione controllata in base al principio di libera concorrenza, premettendo che detta Valorizzazione è determinata applicando il metodo più appropriato alle circostanze del caso.
Tra detti metodi, con riferimento all’oggetto della presente controversia, rilevano specificamente il metodo del confronto di prezzo (CUP), basato sul confronto tra il prezzo praticato nella cessione di beni o nelle prestazioni di servizi resi in un’operazione controllata con il prezzo praticato in operazioni non controllate comparabili, adottato, per l’anno di riferimento, dalla società contribuente (che poi ha virato, a partire dall’anno 2007, sulla base di studio commissionato a primaria società di consulenza, resosi disponibile sul finire del 2005, sul metodo del margine netto della transazione) e quest’ultimo (TNMM), basato sul confronto tra il rapporto tra margine netto ed una base di commisurazione appropriata, che può essere rappresentata, a seconda delle circostanze, da costi, ricavi o attività, realizzato da un’impresa in una operazione controllata e il rapporto tra il margine netto e la medesima base realizzato in operazioni non controllate comparabili, ritenuto invece più affidabile nel caso concreto dall’Amministrazione finanziaria recependo i rilievi formulati dai verificatori.
8.4 Premesso che, sebbene la modifica legislativa sia stata finalizzata all’esigenza di adeguamento dell’ordinamento giuridico nazionale ai criteri d’individuazione dei prezzi di trasferimento tra imprese multinazionali delineati dall’OCSE, già in precedenza la prospettiva interpretativa si era evoluta in linea con il principio di libera concorrenza quale enunciato nell’art. 9 del Modello di Convenzione OCSE, che prevede la possibilità di sottoporre a tassazione gli utili derivanti da operazioni infragruppo che siano state regolate da condizioni diverse da quelle che sarebbero state convenute tra imprese indipendenti, in transazioni comparabili effettuate sul libero mercato, dovendosi rilevare come già le Linee Guida OCSE del 1995 (OECD, Guidelines, 1995) prevedessero che «[l]a selezione di un metodo di determinazione dei prezzi di trasferimento si pone sempre l’obiettivo di trovare il metodo più appropriato ad un particolare caso. A questo scopo, nel processo di . selezione andrebbero presi in considerazione: i rispettivi’ vantaggi e svantaggi dei metodi riconosciuti dall’OCSE; la coerenza del metodo considerato con la natura della transazione controllata, determinata in particolar modo attraverso l’analisi funzionale; la disponibilità di informazioni affidabili (in particolar modo sugli elementi comparabili indipendenti) necessaria all’applicazione del metodo selezionato e/o degli altri metodi; il grado di comparabilità tra transazioni controllate e transazioni tra imprese indipendenti, compresa l’affidabilità degli aggiustamenti di comparabilità che siano necessari per eliminare le differenze significative tra di loro. Nessun metodo è utilizzabile in tutte le eventualità e non è necessario dimostrare la non applicabilità di un dato metodo alle circostanze del caso concreto».
8.5 Tenuto anche conto della natura di soft law che le Sezioni Unite di questa Corte (cfr. SU 25 marzo 2021, n. 8500, pag. 35, in motivazione) hanno riconosciuto essere propria delle raccomandazioni contenute nel Commentario OCSE, la statuizione resa dalla CTR incorre nei denunciati errores in iudicando di cui al primo ed al quarto motivo del ricorso principale erariale.
8.5.1 Essa, infatti, oltre a motivare per relationem alla decisione di primo grado – che, nel ritenere necessaria l’applicazione del metodo CUP, in ragione di non meglio chiariti “opportuni aggiornamenti”, aveva osservato che l’Ufficio non poteva basare un accertamento per l’annualità 2004 sull’applicazione retroattiva del metodo TNMM, né aveva contestato, con riferimento ad ogni singola vettura, le ragioni per le quali il prezzo fosse inferiore a quello di mercato – si è soffermata, quindi, sulla pretesa natura antielusiva della disposizione di cui all’art. 110, comma 7, TUIR, facendone, quindi, scaturire la conseguenza che l’onere della prova della ricorrenza dei presupposti di fatto dell’elusione gravi, in via di principio, sull’Amministrazione che intenda operare le conseguenti rettifiche, concludendo, infine, con l’osservazione secondo cui anche in ordine al metodo di controllo del valore normale, la stessa Agenzia delle entrate, con circolare n. 32 del 22 settembre 1980, aveva suggerito l’utilizzazione del metodo CUP in luogo del «meno affidabile» “TNMM”, «poco consigliabile per la notevole approssimazione e per la sua arbitrarietà».
8.5.2 In ciò la decisione impugnata ha ignorato che l’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte, già al tempo dell’emanazione della sentenza resa dalla CTR, aveva abbandonato la considerazione della natura dell’art. 110, comma 7, TUIR, come clausola antielusiva (cfr. sez. 5, 18 settembre 2015, n. 18392; di seguito cfr. anche Cass. sez. 5, 15 aprile 2016, n. 7493; Cass. sez. 5, 30 giugno 2016, n. 13387; Cass. sez. 5, 15 novembre 2017, n. 27018; Cass. sez. 5, 19 aprile 2018, n. 9673; da ultimo, nelle more della pubblicazione della presente decisione, Cass. sez. 5, 17 maggio 2022, n. 15668), a ciò conseguendo l’ulteriore principio, affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui «[i]n tema di determinazione del reddito di impresa, la disciplina di cui all’art. 110, comma 7, d.P.R. n. 917 del 1986, finalizzata alla repressione del fenomeno economico del “transfer pricing”, cioè dello spostamento dell’imponibile fiscale in seguito ad operazioni tra società appartenenti al medesimo gruppo e soggette a normative nazionali differenti, non richiede di provare, da parte dell’amministrazione, la funzione elusiva, bensì la sola esistenza di “transazioni” tra imprese collegate a un prezzo apparentemente inferiore a quello normale, mentre grava sul contribuente, in virtù del principio di vicinanza della prova ex art. 2697 e.e. e in tema di deduzioni fiscali, l’onere di dimostrare che tali “transazioni” sono intervenute per valori di mercato da considerare normali ai sensi dell’art. 9, comma 3, del medesimo decreto, tali essendo i prezzi di beni e servizi praticati in condizioni di libera concorrenza, al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e luogo in cui i beni e servizi sono stati acquistati o prestati e, in mancanza, nel tempo e luogo più prossimi e con riferimento, in quanto possibile, a listini e tariffe d’uso, non escludendosi dunque l’utilizzabilità di altri mezzi di prova» (cfr., più di recente, Cass. sez. 5, orci. 19 maggio 2021, n. 13571 e già, in senso conforme, Cass. sez. 5, 8 maggio 2013, n. 10742).
8.5.3 Va ancora osservato, in relazione al passaggio conclusivo della motivazione della sentenza impugnata, come già con la circolare n. 42/IIDD/1981 la stessa Amministrazione finanziaria avesse precisato che l’adeguatezza di un metodo di determinazione dei prezzi di trasferimento si deve valutare caso per caso.
8.6 Ciò posto, va ricordato infine come la già citata Cass. n. 15668/2022, con specifico riferimento al Transactional Net Margin Method o TNMM, nel richiamare la Sezione B della Parte III del Capitolo II delle Linee Guida OCSE del 2010 che lo disciplina, come, in modo analogo la successiva edizione del 2017, abbia avuto modo di affermare il principio, cui va data in questa sede ulteriore continuità, secondo cui «[i]n tema di determinazione del reddito di impresa, la disciplina di cui all’art. 110, comma 7, del d.P.R. 917 del 1986, finalizzata alla repressione del fenomeno economico del “transfer pricing”, cioè dello spostamento dell’imponibile fiscale in seguito ad operazioni tra società appartenenti al medesimo gruppo e soggette a normative nazionali differenti, impone la determinazione dei prezzi ponderati di trasferimento per operazioni similari poste in essere da imprese concorrenti sul mercato, al cui fine è possibile utilizzare il metodo elaborato dall’Ocse che si basa sulla determinazione del margine netto della transazione (cd. “TNMM”), a condizione che sia selezionato il periodo di indagine, siano identificate le società comparabili, siano apportate le appropriate rettifiche contabili al bilancio della parte testata, siano tenute in debito conto le differenze tra la parte testata e le società comparabili in termini di rischi assunti o di funzioni svolte e sia assunto un indicatore affidabile del livello di profitto di redditività».
Si tratta, con ogni evidenza, di accertamenti di fatto che sono stati totalmente omessi dalla CTR nell’individuazione del metodo di determinazione dei prezzi di trasferimento più adeguato rispetto al caso di specie.
9. La sentenza impugnata va dunque cassata in accoglimento del primo e quarto motivo del ricorso principale, mentre, alla stregua delle considerazioni che precedono, il secondo motivo di detto ricorso, resta assorbito.
10. Stante l’esito dello scrutinio riferito al ricorso principale dell’Amministrazione finanziaria, residua, dunque, l’interesse della società controricorrente all’esame del ricorso incidentale condizionato, il cui primo motivo è
10.1 Nella stessa sentenza impugnata si attesta, infatti, che l’avviso di accertamento da cui ha tratto origine la presente controversia scaturisce da un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza di Modena il 22 dicembre 2009, redatto, quindi, evidentemente, a seguito di accesso finalizzato ad acquisizione documentale.
10.2 Erronea, pertanto, risulta la qualificazione, contenuta nella sentenza impugnata, della natura dell’accertamento come “a tavolino”, che ha condotto la decisione impugnata a negare l’applicabilità nella fattispecie del rispetto del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della I. n. 212/2000.
10.3 Incontroversa, in fatto, la circostanza che la notifica dell’avviso di accertamento è seguita in data 29 dicembre 2009, la sentenza impugnata si è posta in contrasto con il principio di diritto più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui «[i]n tema di accertamento, la garanzia del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000, quale espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente, si applica anche agli accessi cd. istantanei, ossia quelli volti alla sola acquisizione della documentazione posta a fondamento dell’accertamento, sicché, anche in detta ipotesi, è illegittimo, ove non ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’atto impositivo emesso “ante tempus”» (cfr., tra le altre, Cass. sez. 6-5, ord. 12 aprile 2019, n. 10388, in continuità con i principi affermati, in generale, in materia, da Cass. SU 29 luglio 2013, n. 18184 ed ulteriormente chiariti da Cass. SU 9 dicembre 2015, n. 24823, impropriamente richiamata, in relazione alla fattispecie concreta per cui è causa, dalla decisione della CTR in questa sede impugnata).
11. Il secondo motivo di ricorso incidentale condizionato resta, per quanto osservato nel paragrafo precedente, assorbito, irrilevanti, quindi, ai fini della decisione, divenendo tanto la questione di legittimità costituzionale quanto la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea subordinatamente prospettate dalla controricorrente.
12. La sentenza impugnata va per l’effetto cassata, in accoglimento tanto del ricorso principale, in relazione al primo ed al quarto motivo, quanto con riferimento al primo motivo di ricorso incidentale condizionato, il cui accoglimento, investendo questione preliminare per la cui decisione non occorrono ulteriori accertamenti di fatto, comporta che la causa possa essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., con accoglimento dell’originario ricorso proposto dalla società
13. La soccombenza reciproca in relazione alle tematiche affrontate nel giudizio di legittimità e l’evoluzione della giurisprudenza in materia di c.d. transfer pricing giustificano la compensazione delle spese tra le parti dell’intero giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale in relazione al primo e quarto motivo, rigettato il terzo ed assorbito il secondo.
Accoglie altresì il ricorso incidentale condizionato in relazione al primo motivo, assorbito il secondo.
Cassa la decisione impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie l’originario ricorso della società contribuente.
Dichiara compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.