CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 ottobre 2018, n. 26820
Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense – Pretesa contributiva – Prescrizione
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Salerno, con sentenza n. 1012 del 2012, ha rigettato l’appello principale proposto dalla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense e quello incidentale proposto dall’avvocato R. S., avverso la sentenza del locale Tribunale di parziale accoglimento dell’opposizione proposta dallo stesso avvocato alla cartella con la quale la Cassa aveva preteso il pagamento della somma di Euro 5.168,82 per differenze sui contributi relativi agli anni 1997,1999 e 2002.
2. La Corte territoriale, dopo aver ripercorso l’assunto del primo giudice relativo all’illegittimità della pretesa contributiva relativa agli anni 1997 e 1999 per intervenuto pagamento, ha ritenuto dovuta la contribuzione relativa all’anno 2002 per la quale non era maturata la prescrizione posto che la dichiarazione dei redditi era stata presentata nell’agosto del 2008 e la cartella era stata notificata il 22 luglio 2008; la Corte d’appello ha, inoltre, motivato la decisione sostenendo che i contributi relativi all’anno 1997, pur non essendo in effetti ricompresi nella domanda di condono e nel pagamento effettuato, erano prescritti non valendo la stessa domanda di condono come atto interruttivo della prescrizione. Quanto, poi, ai contributi relativi all’anno 2002, oggetto dell’appello incidentale proposto dall’avvocato S., la Corte territoriale ha osservato che la prescrizione non si era determinata in quanto il dies a quo del calcolo del relativo termine doveva ravvisarsi nella data di comunicazione alla Cassa della dichiarazione obbligatoria sui redditi.
3. Avverso tale sentenza ricorre la Cassa Nazionale per l’assistenza e la previdenza forense proponendo ricorso per cassazione fondato su tre motivi illustrati da memoria.
4. L’avvocato R. S. è rimasto intimato.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia sul motivo dì gravame formulato dall’appellante principale, in relazione all’art. 112 cod, proc. civ. (art. 360, primo comma n. 4, cod. proc. civ.). In particolare, si sostiene che la Corte d’appello non abbia esaminato il motivo d’impugnazione con il quale la Cassa aveva dedotto l’errore del primo giudice nel ritenere che con la lettera del 26 novembre 2006 fosse stata richiesta la somma di € 1438,97, effettivamente versata dall’avvocato S., per regolarizzare anche l’anno 1997, laddove per la regolarizzazione della contribuzione relativa a tale anno la Cassa aveva richiesto la somma di Euro 3237,04, mai versata dal professionista.
2. Con il secondo motivo si deduce la nullità della sentenza per vizio di ultrapetizione (art. 360, primo comma n. 4, cod. proc. civ.) in relazione all’art. 112 cod. proc. civ., in quanto la censura della sentenza di primo grado formulata dalla Cassa era estranea alla questione della prescrizione posta dalla sentenza impugnata a base della decisione.
3. Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 2944 cod. civ. , in relazione all’art. 81, comma 9, della legge n. 448 del 1998, per aver negato alla domanda di condono l’idoneità a valere come atto interruttivo della prescrizione del credito contributivo.
4. Il primo ed il secondo motivo, da trattarsi congiuntamente in quanto connessi dalla questione comune del rispetto del principio di devoluzione in grado d’appello, sono infondati giacché, come riconosce la stessa ricorrente, la sentenza impugnata si è pronunciata sulla permanenza dell’obbligo contributivo relativo all’anno 1997 rigettando la pretesa per accertata prescrizione.
5. Il tema devoluto al giudizio d’appello era, infatti, quello dell’accertamento e della persistenza dell’obbligo contributivo e, anche per effetto delle difese di controparte e della natura officiosa del rilievo di prescrizione non si è realizzata l’omissione di pronuncia denunciata né vi è ultrapetizione.
5. Questa Corte di cassazione ( Cass. n. 21830 del 15 ottobre 2014) ha affermato che nella materia previdenziale, a differenza che in quella civile, il regime della prescrizione già maturata è sottratto alla disponibilità delle parti – ai sensi della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, – anche per le contribuzioni relative a periodi precedenti la entrata in vigore della stessa legge (medesimo art. 3, comma 10) e con riferimento a qualsiasi forma di previdenza obbligatoria. Ne consegue che, una volta esaurito il termine, la prescrizione ha efficacia estintiva (non già preclusiva) – poiché l’ente previdenziale creditore non può rinunziarvi-, opera di diritto ed è rilevabile d’ufficio. Pertanto, una volta devoluta in grado d’appello la questione relativa alla persistenza dell’obbligo contributivo relativo all’anno 1997, non essendo il medesimo obbligo stato estinto per pagamento, non può ritenersi violato il principio devolutivo nell’ipotesi in cui il giudice d’appello ne accerti l’avvenuta prescrizione. Nel caso di specie, va aggiunto, la sentenza impugnata (alla pagina 8) giudica privo di pregio il motivo d’appello proposto dalla difesa della Cassa relativo alla negazione dell’avvenuta prescrizione dei contributi relativi all’anno 1997, con ciò rappresentando una concreta situazione processuale che legittima pienamente l’accertamento ora denunciato.
6. Il terzo motivo è pure infondato e va rigettato.
In materia di possibili effetti ricognitivi del debito derivanti dalla presentazione della domanda di condono previdenziale, questa Corte di cassazione ( Cass. n. 3320 del 2018) ha più volte affermato che con la domanda di condono previdenziale non si pone in essere un atto di riconoscimento del debito ma, venendo ad innescarsi una procedura di recupero dei contributi, si tratta soltanto di una «procedura già iniziata» che rende applicabile, se ricadente nel discrimine temporale del 31 dicembre 1995, il previgente termine decennale di prescrizione (v., fra le tante, Cass. 6 luglio 2015, n. 13831 e successive conformi).
7. Del pari costituisce principio costantemente espresso dalla giurisprudenza di legittimità che il riconoscimento del diritto, idoneo ad interrompere il corso della prescrizione, non deve necessariamente concretarsi in uno strumento negoziale, cioè in una dichiarazione di volontà consapevolmente diretta all’intento pratico di riconoscere il credito, e può, quindi, anche essere tacito e concretarsi in un comportamento obiettivamente incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa del creditore; l’indagine e l’apprezzamento di una dichiarazione come riconoscimento, ai sensi dell’articolo 2944 cod. civ.,rientra nei poteri del giudice di merito, il cui accertamento non è sindacabile in cassazione se sorretto da motivazione sufficiente e non contraddittoria (cfr., fra le tante, Cass. 26 aprile 2017, n.10327).
8. Tanto premesso, il mezzo di censura, che devolve alla Corte di legittimità la sola violazione di legge in ordine al contenuto dell’art. 2944 c.c. in relazione alla disciplina della domanda di condono con riserva di cui all’art. 81, comma 9, l. n. 448 del 1998, sul presupposto dell’efficacia interruttiva della presentazione della domanda di condono in data 29 dicembre 2003, non coglie il possibile vizio della motivazione relativo alla interpretazione dei contenuti della domanda di condono non solo perché non risulta formulato il motivo di cui all’art. 360, primo comma n. 5, cod. proc. civ., in relazione alla natura, a critica vincolata, del ricorso per cassazione, ma anche perché non si fa carico di sostenere in base a quali elementi specifici, contenuti nella domanda di condono di cui si discute, la Corte d’appello avrebbe dovuto ritenere integrata l’ipotesi disciplinata dall’art. 2944 cod. civ.
Costituiscono, infatti, principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte non solo, come già ricordato, quello secondo cui “l’indagine diretta a stabilire se una certa dichiarazione costituisca riconoscimento, a norma dell’art.2944 c.c., rientra nei poteri del giudice di merito e il relativo accertamento non è sindacabile in sede di legittimità quando è sorretto da una motivazione sufficiente e non contraddittoria” (Cass., 8 novembre 2004, n. 21252; Cass., 29 aprile 2003, n. 6651), ma anche quello secondo cui il riconoscimento, agli effetti del citato art. 2944 c.c., pur non richiedendo formule speciali, deve tuttavia consistere in una ricognizione di debito chiara e specifica del diritto altrui, univoca e incompatibile con la volontà di non riconoscere il debito stesso (Cass., 18 febbraio 1985, n. 1405; Cass., 21 gennaio 1994, n. 576; Cass., 16 giugno 2000, n. 8248).
9. Il giudice del merito ha, nella specie, escluso che alla richiesta rivolta dall’avvocato S. alla Cassa procedente di ottenere il condono potesse essere attribuito il significato di un riconoscimento della pretesa contributiva ed una simile valutazione non merita le censure ad essa rivolte dalla ricorrente, giacché in modo plausibile, la Corte d’appello, seppure in modo essenziale, ha comunque escluso che nella mera richiesta di regolarizzazione della posizione, anche riferita all’anno 1997, fosse implicito il riconoscimento della pretesa contributiva e ciò, può aggiungersi, anche in verosimile considerazione della portata testuale della domanda laddove la parte si dichiarava consapevole del fatto che la richiesta di regolarizzazione non poteva riguardare i contributi prescritti.
Il ricorso, che si limita ad affermare che, invece, in detta richiesta era implicito il riconoscimento della pretesa stessa e che il Giudice di merito avrebbe dovuto procedere all’interpretazione approfondita della domanda di condono, va quindi rigettato. Il vizio dedotto, infatti, è quello di violazione di legge e non anche di difetto di motivazione; in ogni caso, quand’anche nella censura concernente la asserita irragionevolezza della decisione impugnata volesse cogliersi la denuncia di un vizio di motivazione, ugualmente la censura dovrebbe essere disattesa, in quanto la Cassa si limita a proporre una propria interpretazione in ordine alla dichiarazione del resistente contrapposta a quella fatta propria dal giudice di merito, senza indicare specifiche violazione di canoni ermeneutici da parte di quest’ultimo.
10. In definitiva, il ricorso va rigettato. Non si provvede sulle spese del giudizio di legittimità essendo rimasto solo intimato l’avvocato R. S..
Ai sensi dell’art. 13,comma 1-quater, D.P.R. n.115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13,comma 1-quater, D.P.R. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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