Corte di Cassazione sentenza n. 26923 depositata il 22 ottobre 2019
Imposte dirette – Ires – Redditi d’impresa – Ricavi in nero – Sotto l’1% del fatturato – Irrilevanza
RILEVATO
che:
– con memoria ex art. 378 c.p.c. in vista dell’adunanza camerale del 23 maggio 2018 la società contribuente comunicava l’avvenuta definizione della vertenza D.L. n. 98 del 2011, ex art. 39, comma 12, come convertito in legge, depositando anche documentazione comprovante l’avvenuto versamento delle somme dovute e la presentazione delle domande per la definizione delle liti fiscali pendenti in via telematica;
– in forza di quanto sopra la controversia era rinviata a nuovo ruolo per consentire all’Amministrazione Finanziaria di depositare la documentazione attestante la regolarità della definizione;
– che è in atti comunicazione dell’Agenzia delle Entrate, d.P. di Palermo, con la quale si conferma al difensore della contribuente avv. B.C. l’inoltro all’avvocatura Erariale di una nota inerente l’oggetto;
– che a fronte della precedente ordinanza resa da questa Corte in data 23 maggio 2018, né l’Avvocatura né il contribuente hanno prodotto alcunché a dimostrazione della regolarità della definizione non risultando sufficiente la prova del pagamento ove questo non sia stato dichiarato corretto e satisfattivo da parte dell’Erario;
– che conseguentemente la definizione non può ritenersi perfezionata e la vertenza va quindi esaminata e decisa.
CONSIDERATO
che:
– la società ricorrente ricevette un avviso di accertamento per IRPEG, IRAP e IVA riferiti all’anno 1998 con il quale a seguito di verifica della Gdf, l’Ufficio recuperava a tassazione somme derivanti da omessa fatturazione e dichiarazione di ricavi e da illegittima deduzione di costi. Impugnava la contribuente eccependo la tardività dell’azione accertatrice e l’infondatezza delle pretese nel merito;
– la CTP di Palermo accoglieva il ricorso. Appellava l’Amministrazione, e la CTR in accoglimento parziale del gravame riformava la sentenza impugnata limitatamente ai recuperi fondati sull’omessa dichiarazione di ricavi, confermando nel resto;
– ricorre la società con un unico motivo; censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 40, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e degli artt. 2727, 2729, 2697 c.c. e per omessa e insufficiente motivazione; la CTR avrebbe erroneamente fatto applicazione dei meccanismi presuntivi utilizzati dell’Ufficio applicando erroneamente i principi di materia di ripartizione dell’onere della prova anche affermando illegittimamente la sussistenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza senza svolgere nessun processo logico deduttivo, con conseguente ulteriore vizio di motivazione della sentenza così resa. Inoltre, la CTR – a fronte della prova presuntiva offerta dal fisco – non avrebbe dato conto in motivazione delle diverse prospettazioni sul punto fornite dalla ricorrente;
– resiste l’Erario con controricorso sostenendo che nel caso di specie l’accertamento analitico induttivo operato dall’Ufficio si è fondato su presunzioni gravi, precise e concordanti, quindi logicamente e giuridicamente corrette, a fronte delle quali il contribuente non ha fornito alcuna spiegazione di segno opposto sostenuta da adeguata prova documentale. Precisa come in tal situazione sia sufficiente, perché si possa ritenere provato il fatto ignoto, che esso sia proposto e configurato dall’Amministrazione come conclusione per lo meno probabile a partire da determinate premesse;
– l’amministrazione Finanziaria ha ritenuto che gli occupanti le stanze della casa riposo c.d. “a pensione” ivi ricoverati (fatto che costituisce elemento certo e base del ragionamento presuntivo) abbiano versato somme non dichiarate alla struttura stessa, in quanto beneficiari di servizi individuali (Tv, frigorifero, letto per il congiunto) in aggiunta a quelli ordinariamente disponibili per le stanze “a corsia”;
– per tali prestazioni, infatti, a fronte della prestazione certa di tali servizi, non risultano emesse le fatture per tale assistenza; sostiene il contribuente che il rispetto delle disposizioni di legge (che invero non indica in ricorso) probabilmente relative all’esercizio dell’attività di cura, oltre che quelle deontologiche, ma anche la situazione sanitaria nella quale si trova il paziente o la tipologia della malattia, fanno sì che ove sia consigliabile ciò, questi venga ricoverato nelle stanze “a pensione” senza nulla chiedergli in aggiunta a quanto versa il Servizio Sanitario. In sostanza, quindi, gli ospiti collocati nelle stanze non per ciò solo sono ospiti che automaticamente versano il corrispettivo per i maggiori servizi fruiti;
– la CTR, sul punto, ha ritenuto fondato il recupero dei maggiori ricavi sia pur nella regolarità della contabilità esaminata dai verificatori, in quanto – sostanzialmente – a fronte del ragionamento presuntivo adottato dall’Ufficio, la società non ha offerto elementi di prova idonei a vincere le presunzioni adottate in avviso di accertamento per sostenere la maggior pretesa; ricorre la contribuente con i motivi di cui alla parte relativa ai fatti di causa;
– il ricorso è infondato per le ragioni che seguono;
– l’Erario fonda la pretesa sulla presenza nelle stanze “a pensione” di ospiti che fruiscono di servizi personalizzati. Il fatto è certo. Da tal elemento, in via presuntiva, che l’Erario qualifica come indizio grave, preciso e concordante, si trae il fatto incerto costituito dai maggiori ricavi non dichiarati; il sillogismo risulta conforme non solo a massime di esperienza, secondo le quali l’assistenza a ospiti di condizione personale delicata è non di rado costosa, e quindi risulterebbe inspiegabile tal comportamento per un operatore imprenditoriale, ma anche alle logiche sottese alla giurisprudenza della Corte;
– si è infatti ritenuto (Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 30803 del 22/12/2017) che in tema di accertamento induttivo del reddito di impresa, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), il convincimento del giudice in ordine alla sussistenza di maggiori ricavi non dichiarati da un’impresa commerciale può fondarsi anche su una sola presunzione semplice, purché grave e precisa. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la pronuncia di merito che aveva escluso la sufficienza, ai fini della determinazione induttiva del reddito, dell’unico indizio rappresentato dalla discordanza tra la quantità di carburante acquistato da un autotrasportatore e quella da costui dichiarata ai fini della richiesta di agevolazioni fiscali); in altri termini, anche un solo elemento di fatto, purché adeguatamente qualificato e coerente con massime di esperienza del tutto note e ragionevoli, può fondare la prova presuntiva, salva sempre e comunque la prova contraria da parte di chi abbia interesse a fornirla;
– ancora, questa Corte ha precisato (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16993 del 01/08/2007) come il convincimento del giudice possa ben fondarsi anche su una sola presunzione, purché grave e precisa, nonché su una presunzione che sia in contrasto con altre prove acquisite, qualora la stessa sia ritenuta di tale precisione e gravità da rendere inattendibili gli elementi di giudizio ad essa contrari. Né occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, cioè che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possano verificarsi secondo regole di esperienza;
– dal punto di vista generale, quando l’atto impositivo sia sufficientemente motivato (come è nel caso di specie, poiché sotto tal profilo nulla quaestio) e l’ufficio provveda a dimostrare il fatto costitutivo della pretesa, il contribuente soggiace a un onere maggiore; egli a sua volta deve sopportare in excipiendo ex art. 2697 c.c., comma 2, l’onere specifico e attuale di provare in giudizio qualsiasi fatto modificativo, impeditivo o estintivo della pretesa tributaria che egli intenda allegare e opporre al fisco, anche in relazione a criteri o ad elementi diversi da quelli indicati nella motivazione dell’atto impugnato;
– si osserva poi che, secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, nella ricerca e nella valutazione degli elementi presuntivi del proprio convincimento, il giudice del merito è investito del più ampio potere discrezionale, nel senso che è libero di scegliere gli elementi che ritiene maggiormente attendibili e meglio rispondenti all’accertamento del fatto ignoto ed a valutarne la gravità e la concludenza. Tale potere discrezionale vale tuttavia allorché detto giudice giunga alla conclusione della sussistenza del fatto ignoto; quando invece perviene a diversa conclusione, non può escludere dalla valutazione quegli elementi di fatto che, se presi in considerazione, avrebbero comportato un differente giudizio. Tuttavia, nella ricerca di tali elementi, il giudice non può trascurare dal prendere in esame quelli che appaiono maggiormente indizianti, salvo che non motivi congruamente e logicamente tale omissione; in ogni caso, deve comunque procedere ad un esame organico e complessivo (globale) degli elementi di fatto presi in considerazione, cioè esprimere un ragionamento non viziato da illogicità o da errori giuridici, quale l’esame isolato dei singoli elementi presuntivi, al fine di ritenerne la irrilevanza caso per caso (Cass. n. 7084-90; n. 6850-82; n. 2002-76). E’ ovvio poi che, se in tema di prove per presunzione, il controllo della Corte di Cassazione non può riguardare il convincimento del giudice del merito sulla rilevanza probatoria degli elementi indiziari o presuntivi, convincimento che costituisce indubbiamente un giudizio di fatto, può tuttavia incidere sulla congruità e logicità della motivazione posta a base del cennato convincimento. Nella pronuncia in esame, invero, sia pur giungendo alla conclusione dell’esistenza del fatto ignoto (l’omessa dichiarazione dei ricavi), il giudice della Sicilia ha esaminato in concreto – sia pur indirettamente – anche quegli elementi che avrebbero potuto condurlo a diverse conclusioni, che il ricorrente segnala nel proprio atto;
– e in dettaglio si tratta delle osservazioni relative alla modestia, rapportata con il fatturato, dell’evasione contestata che corrisponde al solo 0,56% del volume di affari della società ricorrente, e che quindi non renderebbe plausibile, stante il limitato vantaggio che se ne trarrebbe, la sua stessa esistenza. L’argomento viene affrontato, per quanto indirettamente, in motivazione, con riferimento al rilievo (oggetto invece di annullamento) relativo al recupero di costi non inerenti, per i quali esplicitamente si afferma che la scarsa significatività di tali spese (pari a Euro 2.218,24) rende inoperativo il meccanismo presuntivo applicato per il rilievo che ci interessa;
– la CTR, quindi, ha limitato l’esperibilità della prova presuntiva a quelle situazioni nelle quali – sia pur riferendosi a poste inferiori all’1% del fatturato – la somma presuntivamente sottratta a tassazione risulti pur sensibile, dal punto di vista oggettivo (trattandosi di ricavi omessi per Euro 19.518,28 ai fini dell’imposizione diretta e per Euro 3.709,56 per IVA), non facendone applicazione per la somma quasi trascurabile di Euro 2.218,24;
– in altri termini, la corretta applicazione della regola probabilistica dell’id quod plerumque accidit è stata rispettata distinguendo casi diversi poiché diversi gli importi oggetto di ripresa;
– conseguentemente, il ricorso va rigettato; la soccombenza regola le spese.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; liquida le spese in Euro 2.000 oltre a spese prenotate a debito che pone a carico di parte soccombente.
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